CATERINA DA SIENA
VOLGARMENTE DETTO
NUOVA EDIZIONE
SECONDO UN INEDITO CODICE SENESE
A CURA DI MATILDE FIORILLI
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-
EDITORI-LIBRAI 1912
Dialogue
Hurtaud ; Dialogue Cartier ; Dialogo ; Lettres I ; Lettres II ;
Vie ; Bibliothèque
édition numérique a été réalisée pour
le 82ème anniversaire du Pape Jean-Paul II, le 18 mai 2002
et lui est dédiée.
SANTA
CATERINA DA SIENA
LIBRO
DELLA DIVINA DOTTRINA
DIALOGO
DELLA DIVINA PROVVIDENZA
CAPITOLO
I. Come l'anima per orazione s'unisce con Dio, e come questa anima, de la quale
qui si parla, essendo levata in contemplazione, faceva a Dio quatro petizioni.
CAPITOLO
II. Come el desiderio di questa anima crebbe, essendole mostrato da Dio la
necessitá del mondo.
CAPITOLO
III. Come l'operazioni finite non sono sufficienti a punire né a remunerare
senza l'affetto de la caritá continuo.
CAPITOLO
IV. Come el desiderio e la contriczione del cuore satisfa a la colpa e a la
pena in sé e in altrui, e come tale volta satisfa a la colpa e none a la pena.
CAPITOLO
V. Come molto è piacevole a Dio el desiderio di volere portare per lui.
CAPITOLO
VI. Come ogni virtú e ogni defecto si fa col mezzo del proximo.
CAPITOLO
VII. Come le virtú s'aoperano col mezzo del proximo, e perché le virtú sono
poste tanto differenti ne le creature.
CAPITOLO
VIII . Come le virtú si pruovano e fortificano per li loro contrari.
TRACTATO
DE LA DISCREZIONE
CAPITOLO
IX. Qui comincia el trattato de la discrezione. E prima, come l'affetto non si
die ponere principalmente ne la penitenzia ma ne le virtú. E come la
discrezione riceve vita da l’umilita, e come rende ad ciascuno el debito suo.
CAPITOLO
X. Similitudine come la canta, l'umilita e la discrezione sono unite insieme; a
la quale similitudine l'anima si debba conformare.
CAPITOLO
XI. Come la penitenzia e gli altri exercizi corporali si debbono prendere per
strumento da venire a virtú e non per principale affecto. E del lume de la
discrezione in diversi altri modi e operazioni.
CAPITOLO
XII. Repetizione d'alcune cose gia dette, e come Dio promette refrigerio a'
servi suoi e la reformazione de la sancta Chiesa col mezzo del molto sostenere.
CAPITOLO
XIII. Come questa anima per la responsione divina crebbe insiememente e manca
in amaritudine; e come fa orazione a Dio per la Chiesa sancta sua e per lo
popolo suo.
CAPITOLO
XIV. Come Dio si lamenta del popolo cristiano, e singularmente de' ministri
suoi, toccando alcuna cosa del sacramento del Corpo di Cristo e del benefizio
de la Incarnazione.
CAPITOLO
XV. Come la colpa è piú gravemente punita doppo la passione di Cristo che
prima, e come Dio promette di fare misericordia al mondo e a la sancta Chiesa
col mezzo dell'orazione e del patire de' servi suoi.
CAPITOLO
XVI. Come questa anima cognoscendo piú de la divina bontá, non rimaneva
contenta di pregare solamente per lo popolo cristiano e per la sancta Chiesa,
ma pregava per tutto quanto el mondo.
CAPITOLO
XVII. Come Dio si lamenta de le sue creature razionali e maximamente per
l'amore proprio che regna in loro, confortando la predetta anima ad orazione e
lagrime.
CAPITOLO
XVIII. Come neuno può uscire de le mani di Dio, però che o egli vi sta per
misericordia o elli vi sta per giustizia.
CAPITOLO
XIX. Come questa anima crescendo nell'amoroso fuoco desiderava di sudare di
sudore di sangue; e reprendendo se medesima faceva singulare orazione per lo
padre dell'anima sua.
CAPITOLO
XX. Come senza tribolazioni portate con pazienzia non si può piacere a Dio; e
però Dio conforta lei e il padre suo a portare con vera pazienzia.
CAPITOLO
XXI. Come, essendo rotta la strada d'andare al cielo per la disobedienzia
d'Adam, Dio fece del suo Figliuolo ponte per lo quale si potesse passare.
CAPITOLO
XXII. Come Dio induce la predecta anima a raguardare la grandezza d'esso ponte,
cioè per che modo tiene da la terra al cielo.
CAPITOLO
XXIII. Come tutti siamo lavoratori messi da Dio a lavorare ne la vigna de la
sancta Chiesa. E come ciascuno ha la vigna propria da se medesimo; e come noi
tralci ci conviene essere uniti ne la vera vite del Figliuolo di Dio.
CAPITOLO
XXIV. Per che modo Dio pota i tralci uniti con la predetta vite, cioè i servi
suoi, e come la vigna di ciascuno è tanto unita con quella del proximo, che
neuno può lavorare o guastare la sua che non lavori o guasti quella del
proximo.
CAPITOLO
XXV. Come la predetta anima, doppo alcune laude rendute a Dio, el prega che le
mostri coloro che vanno per lo ponte predetto e quelli che non vi vanno.
CAPITOLO
XXVI. Come questo benedetto ponte ha tre scaloni, per li quali si significano
tre stati dell'anima. E come questo ponte, essendo levato in alto, non é pera
separato da la terra. E come s'intende quella parola che Cristo dixe: “Se Io
sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me ».
CAPITOLO
XXVII. Come questo ponte é murato di pietre, le quali significano le vere e
reali virtú, e come in sul ponte è una bottiga, dove sì dú el cibo a'
viandanti; e come chi tiene per lo ponte va ad vita, ma chi tiene di sotto per
lo fiume, va ad perdizione e ad morte.
CAPITOLO
XXVIII. Come per ciascuna di queste due strade si va con fadiga, cioè per lo
ponte e per lo fiume. E del dilecto che l'anima sente in andare per lo ponte.
CAPITOLO
XXIX. Come questo ponte, essendo salito al cielo el di de la Ascensione, non si
parti però di terra.
CAPITOLO
XXX. Come questa anima, maravigliandosi de la misericordia di Dio, raconta
molti doni e grazie procedute da essa divina misericordia ad l'umana
generazione.
CAPITOLO
XXXI. De la indignita di quelli che passano per lo fiume, di sotto al ponte
decto; e come l'anima, che passa di sotto, Dio la chiama arbore di morte, el
quale tiene le radici sue principalmente in quatro vizi.
CAPITOLO
XXXII. Come e' fructi di questo arbore tanto sono diversi quanto sono diversi
e' peccati. E prima del peccato de la carnalitade.
CAPITOLO
XXXIII. Come el frutto d'alcuni altri è l'avarizia. E de' mali che procedono da
essa.
CAPITOLO
XXXIV. Come d'alcuni altri, e' quali tengono stato di signoria, el loro fructo
è ingiustizia.
CAPITOLO
XXXV. Come per questi e per altri defecti si cade nel falso giudicio. E de la
indignità ne la quale perciò si viene.
CAPITOLO
XXXVI. Qui parla sopra quella parola che dixe Cristo quando dixe: « Io mandarò
el Paraclito che riprendere el mondo de la ingiustizia e del falso giudicio ».
E qui dice come una di queste reprensioni è continua.
CAPITOLO
XXXVII. De la seconda reprensione, ne la quale si riprende de la ingiustizia e
del falso giudicio in generale e in particulare.
CAPITOLO
XXXVIII. Di quattro principali tormenti de' danpnati; a' quali seguitano tucti
gli altri e in singularita della ladiezza del demonio.
CAPITOLO
XXXIX. De la terza reprensione, la quale si farà nel di del giudicio.
CAPITOLO
XL. Come i danpnati non possono desiderare alcuno bene.
CAPITOLO
XLI. De la gloria de' beati.
CAPITOLO
XLII. Come doppo el giudicio generale crescerá la pena de' danpnati.
CAPITOLO
XLIII. De la utilita de le temptazioni, e come ogni anima ne la extremita de la
morte vede e gusta el luogo suo, prima che essa anima sia separata dal corpo,
cioè o pena o gloria che debba ricevere.
CAPITOLO
XLIV. Come el demonio sempre piglia l'anime sotto colore d'alcuno bene. E come
quelli che tengono per lo fiume, e non per lo ponte predetto, sono ingannati,
però che volendo fuggire le pene caggiono ne le pene; ponendo qui la visione
d'uno arbore che questa anima ebbe una volta.
CAPITOLO
XLV. Come, avendo el mondo per lo peccato germinato spine e triboli, chi sono
quelli ad cui queste spine non fanno male, bene che neuno passi questa vita
senza pena.
CAPITOLO
XLVI. De' mali che procedono da la cechita dell'occhio de l'intelletto. E come
li beni che non sono facti in stato di grazia non vagliono ad vita etterna.
CAPITOLO
XLVII. Come non si possono observare i comandamenti che non si observino i
consigli. E come in ogni stato che la persona vuole essere, avendo sancta e
buona volontà, è piacevole a Dio.
CAPITOLO
XLVIII. Come li mondani con ciò che posseggono non si possono saziare; e de la
pena che dá loro la perversa volontà pur in questa vita.
CAPITOLO
XLIX. Come el timore servile non è sufficiente a dare vita eterna; e come
exercitando questo timore si viene ad amore de le virtú.
CAPITOLO
L. Come questa anima venne in grande amaritudine per la cechità di quelli che
s'annegavano giú per lo fiume.
CAPITOLO
LI. Come i tre scaloni figurati nel ponte giá decto, cioè nel Figliuolo di Dio,
significano le tre potenzie dell'anima.
CAPITOLO
LII. Come, se le predecte tre potenzie dell'anima non sono unite insieme, non
si può avere perseveranzia, senza la quale neuno giogne al termine suo.
CAPITOLO
LIII. Exposizione sopra quella parola che dixe Cristo: « Chi ha sete venga ad
me e beia ».
CAPITOLO
LIV. Che modo debba tenere generalmente ogni creatura razionale per potere
escire del pelago dei mondo e andare per lo predecto sancto ponte.
CAPITOLO
LV. Repetizione in somma d'alcune cose giá decte.
CAPITOLO
LVI. Come Dio, volendo mostrare a questa devota anima che i tre scaloni del
sancto ponte sono significati in particulare per li tre stati dell'anima, dice
che ella levi sé sopra di sé a raguardare questa veritá.
CAPITOLO
LVII. Come questa devota anima, raguardando nel divino specchio, vedeva le
creature andare in diversi modi.
CAPITOLO
LVIII. Come el timore servile, senza l'amore de le virtú, non è sufficiente a
dare vita eterna. E come la legge del timore e quella dell'amore sono unite
insieme.
CAPITOLO
LIX. Come, exercitandosi nel timore servile, el quale è stato d' inperfeczione
(per lo quale s'intende el primo scalone del sancto ponte), si viene al
secondo, el quale è stato di perfeczione.
CAPITOLO
LX. De la inperfeczione di quelli che amano e servono Dio per propria utilita e
diletto e consolazione.
CAPITOLO
LXI. In che modo Dio manifesta se medesimo all'anima che l'ama.
CAPITOLO
LXII. Perché Cristo non dixe: «Io manifestarti el Padre mio», ma dire: « Io
manifestarò me medesimo ».
CAPITOLO
LXIII. Che modo tiene l'anima per salire lo scalone secondo del sancto ponte,
essendo giá salita el primo.
CAPITOLO
LXIV. Come, amando Dio inperfectamente, inperfectamente s'ama el proximo. E de'
segni di questo amore inperfecto.
TRACTATO
DELL'ORAZIONE
CAPITOLO
LXV. Del modo che tiene l'anima per giognere ad l'amore schietto e liberale. E
qui comincia el tractato dell'orazione.
CAPITOLO
LXVI. Qui, toccando alcuna cosa del sacramento del Corpo di Cristo, da piena
doctrina come l'anima venga da l'orazione vocale a la mentale; e narra qui una
visione che questa devota anima ebbe una volta.
CAPITOLO
LXVII. De lo inganno che ricevono gli uomini mondani, e' quali amano e servono
Dio per propria consolazione e dilecto.
CAPITOLO
LXVIII. De lo inganno che ricevono e' servi di Dio, e' quali ancora amano Dio
di questo amore imperfecto predecto.
CAPITOLO
LXIX. Di quelli e' quali, per non lassare la loro pace e consolazione, non
sovengono al proximo ne le sue necessitadi.
CAPITOLO
LXX. De lo inganno che ricevono quelli li quali hanno posto tucto el loro
affecto ne le consolazioni e visioni mentali.
CAPITOLO
LXXI. Come i predecti, che si dilectano de le consolazioni e visioni mentali,
possono essere ingannati ricevendo el demonio transfigurato in forma di luce. E
de' segni a' quali si può cognoscere quando la visitazione è da Dio, o dal
demonio.
CAPITOLO
LXXII. Come l'anima, che in verita cognosce se medesima, saviamente si guarda
da tucti li predecti inganni.
CAPITOLO
LXXIII. Per che modi l'anima si parte da l'amore inperfecto e giogne ad l'amore
perfecto dell'amico e filiale.
CAPITOLO
LXXIV. De' segni a' quali si cognosce che l'anima sia venuta all'amore
perfecto.
CAPITOLO
LXXV. Come gl' imperfecti vogliono seguitare solamente el Padre, ma i perfecti
seguitano el Figliuolo. E d'una visione che ebbe questa devota anima, ne la
quale si narra di diversi baptesmi e d'alcune altre belle e utili cose.
CAPITOLO
LXXVI. Come l'anima, essendo salita el terzo scalone del sancto ponte, cioè
pervenuta a la bocca, piglia incontenente l'offizio de la bocca. E come la
propria volonta essendo morta è vero segno che ella v'è gionta.
CAPITOLO
LXXVII. De le operazioni de l'anima poi che è salita el predecto sancto terzo
scalone.
CAPITOLO
LXXVIII. Del quarto stato, el quale non è però separato dal terzo; e de le
operazioni de l'anima che è gionta a questo stato; e come Dio non si parte mai
da essa per continuo sentimento.
CAPITOLO
LXXIX. Come Dio da' predecti perfectissimi non si sottrae per sentimento né per
grazia, ma si per unione.
CAPITOLO
LXXX. Come li mondani rendono gloria e loda a Dio, vogliano essi o no.
CAPITOLO
LXXXI. Come eziandio li demòni rendono gloria e loda a Dio.
CAPITOLO
LXXXII. Come l'anima, poi che è passata di questa vita, vede pienamente la
gloria e loda del nome di Dio in ogni creatura. E come in essa è finita la pena
del desiderio, ma non el desiderio.
CAPITOLO
LXXXIII. Come, poi che sancto Paulo appostolo fu tracto a vedere la gloria de'
beati, desiderava d'essere sciolto dal corpo; la qual cosa fanno anche quelli
che sono giunti al terzo e al quarto santo stato predecto.
CAPITOLO
LXXXIV. Per quali cagioni l'anima desidera d'essere sciolta dal corpo. La quale
cosa non potendo essere, non discorda però dalla volontà di Dio; ma piú tosto
si gloria in questa e in ogni altra pena per onore di Dio.
CAPITOLO
LXXXV. Come quelli che sono gionti al predetto stato unitivo, sono illuminati
nell'occhio dell'intelletto loro di lume sopranaturale infuso per grazia; e
come è meglio andare per consiglio de la salute dell'anima ad uno umile con
sancta coscienzia, che a uno superbo licterato.
CAPITOLO
LXXXVI. Repetizione utile di molte cose gia dette; e come Dio induce questa
devota anima a pregarlo per ogni creatura e per la sancta Chiesa.
CAPITOLO
LXXXVII. Come questa devota anima fa petizione a Dio di volere sapere de li
stati e fructi de le lagrime.
CAPITOLO
LXXXVIII. Come sono cinque maniere di lagrime.
CAPITOLO
LXXXIX. De la differenzia d'esse lagrime, discorrendo per li predecti stati
dell'anima.
CAPITOLO
XC. Repetizione breve del precedente capitolo. E come el demonio fugge da
quelli che sono gionti a le quinte lagrime. E come le molestie del dimonio sono
verace via da giognere a questo stato.
CAPITOLO
XCI. Come quelli, che desiderano le lagrime degli occhi e non le possono avere,
hanno quelle del fuoco. E per che cagione Dio sottrae le lagrime corporali.
CAPITOLO
XCII. Come li quatro stati di questi predetti cinque stati de le lagrime danno
infinite varietadi di lagrime. E come Dio vuole essere servito con cosa
infinita e non con cosa finita.
CAPITOLO
XCIII. Del fructo de le lagrime degli uomini mondani.
CAPITOLO
XCIV. Come li predecti piangitori mondani sono percossi da quatro diversi
venti.
CAPITOLO
XCV. De' fructi de le seconde e de le terze lagrime.
CAPITOLO
XCVI. Del fructo de le quarte e unitive lagrime.
CAPITOLO
XCVII. Come questa devota anima, ringraziando Dio de la dechiarazione de'
predecti stati de le lagrime, gli fa tre petizioni.
CAPITOLO
XCVIII. Come el lume de la ragione è necessario ad ogni anima che vuole a Dio
in veritá servire. E prima, del lume generale.
CAPITOLO
XCIX. Di quelli e' quali hanno posto piú el loro desiderio in mortificare el
corpo che in uccidere la propria volontà; el quale è uno lume perfecto piú che
il generale, ed è questo el secondo lume.
CAPITOLO
C. Del terzo e perfectissimo lume de la ragione. E dell'opere che fa l'anima
quando è venuta a esso lume. E d'una bella visione che questa devota anima ebbe
una volta, ne la quale si tracta pienamente del modo da venire ad perfecta
purita, e dove anco si parla del non giudicare.
CAPITOLO
CI. Per che modo ricevono l'arra di vita eterna in questa vita quelli che
stanno nel predetto terzo perfectissimo lume.
CAPITOLO
CII. Per che modo si debba reprendere el proximo, a ciò che la persona non
caggia in falso giudizio.
CAPITOLO
CIII. Come, se, pregando per alcuna persona, Dio la manifestasse, ne la mente
di chi prega, piena di tenebre, non si debba però giudicare in colpa.
CAPITOLO
CIV. Come la penitenzia non si die pigliare per fondamento né per principale
affecto, ma l’affecto e l'amore de le virtú.
CAPITOLO
CV. Repetizione in somma de le predecte cose, con una agiunta sopra la
reprensione del proximo.
CAPITOLO
CVI. De' segni da cognoscere quando le visitazioni e visioni mentali sono da
Dio o dal demonio.
CAPITOLO
CVII. Come Dio è adempitore de' sancti desidèri de' servi suoi, e come molto
gli piace chi dimanda e bussa a la porta de la sua Verità top perseveranzia.
CAPITOLO
CVIII. Come questa devota anima, rendendo grazie a Dio, s'umilia. Poi fa
orazione per tutto el mondo e singularmente per lo corpo mistico de la sancta
Chiesa e per li figliuoli suoi spirituali e per li due padri de l'anima sua. E,
doppo queste cose, dimanda d'udire parlare de' defecti de' ministri de la
sancta Chiesa.
CAPITOLO
CIX. Come Dio rende sollicita la predecta anima all'orazione, rispondendo ad
alcuna de le predecte petizioni.
CAPITOLO
CX. De la dignità de' sacerdoti, e del sacramento del Corpo di Cristo. E di
quelli che comunicano degnamente e indegnamente.
CAPITOLO
CXI. Come i sentimenti corporali tucti sono ingannati del predetto sacramento,
ma non quelli dell'anima; e però con quelli si debba vedere, gustare e toccare.
E d'una bella visione che questa anima ebbe sopra questa materia.
CAPITOLO
CXII. De la excellenzia dove l'anima sta, la quale piglia el predetto
sacramento in grazia.
CAPITOLO
CXIII. Come le predecte cose, che sono dette intorno a la excellenzia del
sacramento, sono decte per meglio cognoscere la dignità de' sacerdoti. E come
Dio richiede in essi maggiore purità che nell'altre creature.
CAPITOLO
CXIV. Come li sacramenti non si debbono vendere né comprare, e come quelli che
el ricevono debbono sovenire li ministri de le cose temporali, quali essi
ministri debbono dispensare in tre parti.
CAPITOLO
CXV. De la dignità de' sacerdoti, e come la virtú de' sacramenti non diminuisce
per le colpe di chi gli ministra o riceve. E come Dio non vuole che li secolari
s' inpaccino di corrèggiarli.
CAPITOLO
CXVI. Come la persecuzione, che si fa a la sancta Chiesa o vero a' ministri,
Dio la reputa facta a sé, e come questa colpa piú è grave che neuna altra.
CAPITOLO
CXVII. Qui si parla contra li persecutori de la sancta Chiesa e de' ministri,
in diversi modi.
CAPITOLO
CXVIII. Repetizione breve sopra le predecte cose de la sancta Chiesa e de'
ministri.
CAPITOLO
CXIX. De la excellenzia e de le virtii e de le operazioni sancte de' virtuosi e
sancti ministri. E come essi hanno la condiczione del sole. E de la correczione
loro verso de' subditi.
CAPITOLO
CXX. Repetizione in somma del precedente capitolo; e de la reverenzia che si
debba rendere a' sacerdoti, o buoni o rei che siano.
CAPITOLO
CXXI. De' difecti e de la malavita degl' iniqui sacerdoti e ministri.
CAPITOLO
CXXII. Come ne' predecti iniqui ministri regna la ingiustizia, e singularmente
non correggendo i subditi.
CAPITOLO
CXXIII. Di molti altri defecti de' predetti ministri, e singularmente
dell'andare per le taverne e del giocare e del tenere le concubine.
CAPITOLO
CXXIV. Come ne' predetti ministri regna el peccato contra natura, e d'una bella
visione che questa anima ebbe sopra questa materia.
CAPITOLO
CXXV. Come per gli predetti defecti li subditi non si correggono. E de' defecti
de' religiosi. E come, per lo non correggere li predetti mali, molti altri ne
seguitano.
CAPITOLO
CXXVI. Come ne' predecti iniqui ministri regna el peccato de la luxuria.
CAPITOLO
CXXVII.Come ne' predecti ministri regna l'avarizia, prestando ad usura; ma
singularmente vendendo e comprando li benefizi e le prelazioni. E de' mali che
per questa cupidità sono advenuti ne la sancta Chiesa.
CAPITOLO
CXXVIII. Come ne' predecti ministri regna la superbia, per la quale si perde el
co. gnoscimento; e come, avendo perduto el cognoscimento, caggiono in questo
defecto, cioè che fanno vista di consecrare e non consacrano.
CAPITOLO
CXXIX. Di molti altri defecti e' quali per superbia e per l'amore proprio si
comectono.
CAPITOLO
CXXX. Di molti altri defecti e' quali comectono li predetti iniqui ministri.
CAPITOLO
CXXXI. De la differenzia de la morte de' giusti ad quella de' peccatori. E
prima, de la morte de' giusti.
CAPITOLO
CXXXII. De la morte de' peccatori e de le pene loro nel punto de la morte.
CAPITOLO
CXXXIII. Repetizione breve sopra molte cose gin dette, e come Dio in tutto
vieta che i sacerdoti non siano toccati per le mani de' secolari, e come invita
la predetta anima a piangere sopra essi miseri sacerdoti.
CAPITOLO
CXXXIV.Come questa devota anima, laudando e ringraziando Dio, fa orazione per
la sancta Chiesa.
TRACTATO
DE LA PROVIDENZIA
CAPITOLO
CXXXV. Qui comincia el tractato de la providenzia di Dio. E prima de la
providenzia in generale, cioè come providde creando l'uomo a la imagine e
similitudine sua. E come provide con la incarnazione del Figliuolo suo, essendo
serrata la porta del paradiso per lo peccato d'Adam. E come providde dandocisi
in cibo continuamente nell'altare.
CAPITOLO
CXXXVI. Come Dio providde dando la speranza ne le sue creature. E come chi piú
perfectamente spera, piú perfectamente gusta la providenzia sua.
CAPITOLO
CXXXVII. Come Dio provide nel Testamento vecchio con la legge e co' profeti; e
poi con mandare el Verbo; poi con gli apostoli, co' martiri e con gli altri
sancti uomini. Come nulla adiviene a le creature, che tucto non sia providenzia
di Dio.
CAPITOLO
CXXXVIII. Come ciò che Dio ci permecte è solamente per nostro bene e per nostra
salute. E come sono ciechi e ingannati quelli che giudicano el contrario.
CAPITOLO
CXXXIX. Come Dio providde in alcuno caso particulare a la salute di quella
anima ad cui adivenne el caso.
CAPITOLO
CXL. Qui, narrando Dio la providenzia sua verso de le sue creature in diversi
altri modi, si lagna de la infedelità d'esse sue creature. Ed exponendo una
figura del vecchio Testamento, dá una utile doctrina.
CAPITOLO
CXLI. Come Dio provede verso di noi, che noi siamo tribolati per la nostra
salute. E de la miseria di quelli che si confidano in sé e non ne la
providenzia sua. E de la excellenzia di quelli che si confidano in essa
providenzia.
CAPITOLO
CXLII. Come Dio providde verso de l'anime dando i sacramenti, e come provede a'
servi suoi affamati del sacramento del Corpo di Cristo; narrando come providde
piú volte, per mirabile modo, verso d'una anima affamata d'esso sacramento.
CAPITOLO
CXLIII. De la providenzia di Dio verso di coloro che sono in peccato mortale.
CAPITOLO
CXLIV. De la providenzia che Dio usa verso di coloro che sono ancora nell'amore
inperfecto.
CAPITOLO
CXLVI. Repetizione breve de le predette cose. Poi parla sopra quella parola che
dixe Cristo a sancto Pietro, quando dixe: « Mette la rete da la parte dextra de
la nave».
CAPITOLO
CXLVII. Come la predetta rete la gitta; piú perfettamente uuo; che un altro,
unge piglia piú pesci. E de la excellenzia di questi perfetti.
CAPITOLO
CXLVIII. De la providenzia di Dio in generale, la quale usa verso le sue
creature in questa vita é nell'altra.
CAPITOLO
CXLIX. De la providenzia che Dio usa verso de' poveri servi suoi, sovenendoli
ne le cose temporali.
CAPITOLO
CL. Dei mali che procedono dal tenere o desiderare disordinatamente le
ricchezze temporali.
CAPITOLO
CLI. De la excellenzia de' poveri per spirituale intenzione. E come Cristo ci
amaestrò di questa povertà non solamente per parole, ma per exemplo. E de la
providenzia di Dio verso di quelli che questa povertà pigliano.
CAPITOLO
CLII. Repetizione in somma de la predecta divina providenzia.
CAPITOLO
CLIII. Come questa anima, laudando e ringraziando Dio, el prega che esso le
parli de la virtú de la obedienzia.
TRACTATO
DELL' OBEDIENZIA
CAPITOLO
CLIV. Qui comincia el trattato dell'obedienzia. E prima, dove l’obedienzia si
truova, e che è quello che ce la tolle, e quale è il segno che l'uomo l'abbi o
no, e chi è la sua compagna e da cui è notricata.
CAPITOLO
CLV. Come l’obedienzia é una chiave con la quale si disera el cielo, e come
debba avere el funicello e debbasi portare attaccata a la cintura. E de le excellenzie
sue.
CAPITOLO
CLVI. Qui insiememente si parla de la miseria de li inobedienti e de la
excellenzia de li obedienti.
CAPITOLO
CLVII. Di quelli e' quali pongono tanto amore all'obedienzia che non rimangono
contenti de la obedienzia generale de' comandamenti, ma pigliano l’obedienzia
particulare.
CAPITOLO
CLVIII. Per che modo si viene da l’obedienzia generale a la particulare. E de
la excellenzia de le religioni.
CAPITOLO
CLIX. De la excellenzia de li obedienti e de la miseria de li inobedienti, li
quali vivono ne lo stato de la religione.
CAPITOLO
CLX. Come li veri obedienti ricevono per uno cento e vita eterna. E che
s'intende per quello uno e per quello cento.
CAPITOLO
CLXI. De la perversita, miserie e fadighe de lo inobediente. E de' miserabili
frutti che procedono da la inobedienzia.
CAPITOLO
CLXII. De la inperfeczione di quelli che tiepidamente vivono ne la religione,
avengaché si guardino da peccato mortale. E del remedio da uscire de la loro
tiepiditade.
CAPITOLO
CLXIII. De la excellenzia de la obedienzia, e de’ beni che dá a chi in veritá
la piglia.
CAPITOLO
CLXIV. Distinczione di due obedienzie, cioè di quella de' religiosi e di quella
che si rende ad alcuna persona fuore de la religione.
CAPITOLO
CLXV. Come Dio non merita secondo la fadiga de l’obedienzia né secondo
longhezza di tempo, ma secondo la grandezza de la carita. E de la prontitudine
de' veri obedienti, e de' miracoli che Dio ha mostrati per questa virtú. E de
la discrezione nell'obedire, e dell'opere e del premio del vero obediente.
CAPITOLO
CLXVI. Questa è una repetizione in somma quasi di tucto questo presente libro.
CAPITOLO
CLXVII. Come questa devotissima anima, ringraziando e laudando Dio, fa orazione
per tutto el mondo e per la Chiesa sancta. E, comendando la vìrtú de la fede,
fa fine a questa opera.
PROPRIETA LETTERARIA
AGOSTO MCMXII — 31955
AL NOME
DI IESU CRISTO CROCIFIXO E DI MARIA DOLCE
QUESTO
LIBRO FECE LA VENERABILE VERGINE
CATERINA
DA SIENA MANTELLATA DI SANCTO DOMENICO
LIBER
DIVINE DOCTRINE DATE PER PERSONAM DEI PATRIS INTELLECTUI LOQUENTIS GLORIOSE ET
STANTE VIRGINI CATERINE DE SENIS PREDICATORUM ORDINIS. CONSCRIPTUS IPSA
DICTANTE LICET VULGARITER ET STANTE IN RAPTU ACTUALITER ET AUDIENTE QUID IN EA
LOQUERETUR
DOMINUS DEUS ET CORAM
PLURIBUS REFERENTE
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Levandosi una anima
ansietata di grandissimo desiderio verso l'onore di Dio e la salute de l'anime;
exercitandosi per alcuno spazio di tempo nella virtú, abituata e abitata nella
cella del cognoscimento di sé per meglio cognoscere la bontá di Dio in sé;
perché al cognoscimento séguita l'amore, amando cerca di seguitare e vestirsi
della veritá. E perché in veruno modo gusta tanto ed è illuminata d'essa veritá
quanto col mezzo de l'orazione umile e continua fondata nel cognoscimento di sé
e di Dio (però che l'orazione, exercitandola per lo modo decto, unisce l'anima
in Dio, seguitando le vestigie di Cristo crocifixo), e cosí per desiderio e
affecto e unione d'amore ne fa un altro sé.
Questo parbe che
dicesse Cristo quando disse: « Chi m'amará e servará la parola mia Io
manifestarò me medesimo a lui, e sarà una cosa con mero e Io con lui ». E in
piú luoghi troviamo simili parole, per le quali potiamo vedere che egli è la
veritá che per affecto d'amore l'anima diventa un altro lui. E per vederlo piú
chiaramente, ricòrdomi d'avere udito d'alcuna serva di Dio che essendo in
orazione, levata con grande elevazione di mente, Dio non nascondeva a l'occhio
de l' intellecto suo l'amore che aveva a' servi suoi: anco el manifestava, e
tra l’altre cose diceva: — Apre l'occhio de l’intellecto e mira in me, e vedrai
la dignità e bellezza della mia creatura che ha in sé ragione. E tra la
bellezza che io ho data a l'anima creandola a la imagine e similitudine mia,
raguarda costoro che sono vestiti del vestimento nupziale, cioè della carità,
adornato di (4) molte vere e reali virtú, uniti sonno con meco per amore. E
però ti dico che se tu mi dimandassi : — Chi sonno costoro? — Rispondarei —
diceva il dolce e amoroso Verbo: — Sonno un altro me, perché hanno perduta e
annegata la propria volontà, e vestitisi, unitisi e conformatisi con la mia. —
Bene è dunque vero
che l'anima s'unisce per affetto d'amore. Si che, volendo piú virilmente
cognoscere e seguitare la veritá, levando il desiderio suo, prima per se
medesima (considerando che l'anima non può fare vera utilitá di dottrina,
d'exemplo e d'orazione al proximo suo se prima non fa utilitá a sé, cioè
d'avere e acquistare la virtú in sé) domandava al sommo ed etterno Padre
quattro petizioni. La prima era per se medesima; la seconda per la reformazione
della sancta Chiesa; la terza generale per tutto quanto il mondo, e
singularmente per la pace dei cristiani e' quali sonno ribelli con molta
irreverenzia e persecuzione alla sancta Chiesa. Nella quarta dimandava la
divina providenzia che provedesse in comune, e in particulare in alcuno caso
che era adivenuto.
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Questo desiderio
era grande ed era continuo; ma molto maggiormente crebbe essendo mostrato dalla
prima Verità la necessità del mondo, e in quanta tempesta e offesa di Dio egli
era. E intesa aveva ancora una lettera, la quale aveva ricevuta dal padre de
l'anima sua, dove egli mostrava pena e dolore intollerabile de l'offesa di Dio
e danno de l'anime e persecuzione della sancta Chiesa. Tutto questo l'accendeva
il fuoco del sancto desiderio, con dolore de l'offesa e con allegrezza d'una
speranza per la quale aspettava che Dio provedesse a tanti mali. E perché nella
comunione l'anima pare che piú dolcemente si strenga fra sé e Dio e meglio
cognosca la sua veritá (l'anima (5) allora è in Dio, e Dio ne l'anima, si come
il pesce che sta nel mare, e il mare nel pesce); e per questo le venne
desiderio di giognere nella mactina per avere la messa; el quale di era il di
di Maria. Venuta la mactina e l'ora della messa, si pose con ansietato
desiderio e con grande cognoscimento di sé, vergognandosi della sua
imperfeczione, parendole essere cagione del male che si faceva per tutto quanto
el mondo, concipendo uno odio e uno dispiacimento di sé con una giustizia
sancta; nel quale cognoscimento e odio e giustizia purificava le macchie che le
pareva, ed era ne l'anima sua, di colpa, dicendo: — O Padre etterno, io mi
richiamo di me a te, che tu punisca l'offese mie in questo tempo finito. E
perché delle pene, che debba portare il proximo mio, io per li miei peccati ne
so' cagione, però ti prego benignamente che tu le punisca sopra di me.
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Alora la Verità
etterna, rapendo e tirando a sé piú forte il desiderio suo, facendo come faceva
nel Testamento vecchio che quando facevano il sacrifizio a Dio veniva uno fuoco
e tirava a sé il sacrifizio che era accepto a lui, cosí faceva la dolce Verità
a quella anima: che mandava il fuoco della clemenzia dello Spirito sancto e
rapiva il sacrifizio del desiderio che ella faceva di sé a lui, dicendo: — Non
sai tu, figliuola mia, che tutte le pene che sostiene o può sostenere l'anima
in questa vita non sonno sufficienti a punire una minima colpa? però che
l'offesa che è fatta a me, che so' Bene infinito, richiede satisfaczione
infinita. E però lo voglio che tu sappi che non tutte le pene che sonno date in
questa vita sonno date per punizione, ma per correczione, per gastigare il
figliuolo quando egli offende. Ma è vero questo: che col desiderio de l'anima
si satisfa, cioè con (6) la vera contrizione e dispiacimento del peccato. La
vera contrizione satisfa a la colpa ed a la pena, non per pena finita che
sostenga, ma per desiderio infinito. Perché Dio, che è infinito, infinito amore
e infinito dolore vuole. Infinito dolore vuole in dite modi: l'uno è della
propria offesa la quale ha commessa contra 'l suo Creatore; l'altro è de
l'offesa che vede fare al proximo suo. Di questi cotali, perché hanno desiderio
infinito (cioè che sonno uniti per affecto d'amore in me, e però si dogliono
quando offendono o veggono offendere), ogni loro pena che sostengono, spirituale
o corporale, da qualunque lato ella viene, riceve infinito merito e satisfa a
la colpa che meritava infinita pena: poniamo che sieno state operazioni finite,
facte in tempo finito; ma perché fu adoperata la virtú e sostenuta la pena con
desiderio e contrizione e dispiacimento della colpa infinito, però valse.
Questo dimostrò
Paolo quando disse: «Se io avesse lingua angelica, sapesse le cose future,
desse il mio a' poveri, e dessi el corpo mio ad ardere, e non avesse carità,
nulla mi varrebbe ». Mostra il glorioso apostolo che l'operazioni finite non
sonno sufficienti né a punire né a remunerare senza il condimento dell'affecto
della caritá.
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— Hotti mostrato,
carissima figliuola, come la colpa non si punisce in questo tempo finito per
veruna pena che si sostenga, puramente pur pena. E dico che si punisce con la
pena che si sostiene col desiderio, amore e contrizione del cuore: non per
virtú della pena, ma per la virtú del desiderio de l'anima. Si come il
desiderio e ogni virtú vale ed ha in sé vita per Cristo crocifixo unigenito mio
Figliuolo in quanto l'anima ha tracto l'amore dallui e con virtú séguita le
vestigie sue.
7
Per questo modo
vagliono, e non per altro; e cosí le pene satisfanno a la colpa col dolce e
unitivo amore acquistato nel cognoscimento dolce della mia bontá, e amaritudine
e contrizione di cuore, cognoscendo se medesimo e le proprie colpe sue. El
quale cognoscimento genera odio e dispiacimento del peccato e della propria
sensualità. Unde egli si reputa degno delle pene e indegno del fructo. Si che —
diceva la dolce Verità — vedi che, per la contrizione del cuore, con l'amore
della vera pazienzia e con vera umilità, reputandosi degni della pena e indegni
del fructo, per umilità portano con pazienzia. Si che vedi che satisfa per lo
modo decto.
Tu mi chiedi pene
acciò che si satisfacci a l'offese che sonno facte a me dalle mie creature, e
dimandi di volere cognoscere e amare me che so' somma Verità. Questa è la via a
volere venire a perfecto cognoscimento e volere gustare me Verità etterna: che
tu non esca mai del cognoscimento di te; e abbassata che tu se' nella valle de
l’umilità, e tu cognosce me in te. Del quale cognoscimento trarrai quello che
t'è necessario. Neuna virtú può avere in sé vita se non dalla caritá. E
l’umilità è baglia e nutrice della caritá. Nel cognoscimento di te t'aumiliarai
vedendo te per te non essere, e l'essere tuo cognoscerai da me che v'ho amati
prima che voi fuste; e per l'amore ineffabile che lo v'ebbi, volendovi ricreare
a grazia v'ho lavati e ricreati nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo sparto
con tanto fuoco d'amore.
Questo sangue fa
cognoscere la veritá a colui che s'ha levata la nuvila de l'amore proprio per
lo cognoscimento di sé; ché in altro modo non la cognoscerebbe. Allora l'anima
s'accenderà in questo cognoscimento di me con uno amore ineffabile; per lo
quale amore sta in continua pena, non pena afiliggitiva che affligga né
disecchi l'anima, anco la ingrassa; ma perché ha cognosciuta la mia veritá e la
propria colpa sua e la ingratitudine e ciechità del proximo, ha pena
intollerabile; e però si duole perché m'ama, ché se ella non m'amasse non si
dorrebbe.
Subbito che tu e
gli altri servi miei avarete, per lo modo decto, cognosciuta la mia veritá, vi
converrà sostenere infine a (8) la morte le molte tribolazioni e ingiurie e
rimprovèri in decto e in facto per gloria e loda del nome mio. Si che tu
portarai e patirai pene.
Tu dunque e gli
altri miei servi, portate con vera pazienzia, con dolore della colpa e amore
della virtú, per gloria e loda del nome mio. Facendo cosí, satisfarò le colpe
tue e degli altri miei servi, si che le pene che sosterrete saranno
sufficienti, per la virtú della carità, a satisfare e a remunerare in voi e in
altrui. In voi ne ricevarete fructo di vita, spente le macchie delle vostre
ignoranzie, e Io non mi ricordarò che voi m'offendeste mai. In altrui satisfarò
per la caritá e affecto vostro, e donarò secondo la disposizione loro con la
quale ricevaranno. In particulare a coloro che si dispongono umilemente e con
reverenzia a ricevere la doctrina de' servi miei, lo' perdonarò la colpa e la
pena. Come? che per questo verranno a questo vero cognoscimento e contrizione
de' peccati loro. Si che con lo strumento de l'orazione e desiderio de' servi
miei riceveranno fructo di grazia, ricevendo essi umilemente, come decto è, e
meno e piú, secondo che vorranno exercitare con virtú la grazia.
In generale, dico
che per li desidèri vostri riceveranno remissione e donazione. Guarda giá che
non sia tanta la loro obstinazione che eglino vogliano essere riprovati da me
per disperazione, spregiando el Sangue che con tanta dolcezza gli ha
ricomprati. Che frutto ricevono? el frutto è che Io gli aspetto, costretto da
l’orazioni de' servi miei, e dollo' lume, e follo' destare il cane della
coscienzia, e follo' sentire l'odore della virtú, e dilettargli della
conversazione de' miei servi. E alcuna volta permetto che ‘l mondo lo'
mostri quello che egli è, sentendo variate e diverse passioni acciò che
cognoscano la poca fermezza del mondo e levino il desiderio a cercare la patria
loro di vita etterna. E cosí per questi e molti altri modi, e' quali l'occhio
non è sufficiente a vedere né la lingua a narrare né il cuore a pensare quante
sonno le vie e' modi che Io tengo, solo per amore e per riducerli a grazia,
acciò che la mia veritá sia compita in loro.
9
Costrecto so' di
farlo da la inextimabile caritá mia con la quale lo li creai, e da l’orazioni e
desidèri e dolore de' servi Iniei; perché non so' spregiatore della lagrima,
sudore e umile orazione loro, anco gli accepto, però che lo so' colui che gli
fo amare e dolere del danno de l'anime. Ma non lo' dá satisfaczione di pena a
questi cotali generali, ma si di colpa, perché non sonno disposti dalla parte
loro a pigliare con perfetto amore l'amore mio e de' servi miei. Né non
pigliano el loro dolore con amaritudine e perfecta contrizione della colpa
commessa; ma con amore e contrizione imperfecta, e però non hanno né ricevono
satisfaczione di pena come gli altri, ma si di colpa; perché richiede
disposizione da l'una parte e da l'altra, cioè da chi dá e da chi riceve.
Perché sonno imperfecti, imperfettamente ricevono la perfeczione de' desidèri
di coloro che con pena gli offerano dinanzi da me per loro.
Perché ti dixi che
ricevevano satisfaczione, e anco l'era donato. Cosí è la veritá, che per lo
modo che Io t’ho decto, per li strumenti di quello che di sopra contiammo (del
lume della coscienzia, e de l'altre cose), l'è satisfacto la colpa; cioè
cominciandosi a ricognoscere, bomicano il fracidume de' peccati loro, e cosí ne
ricevono dono di grazia.
Questi sonno coloro
che stanno nella caritá comune. Se essi hanno ricevuto per correczione quello
che hanno avuto, e non hanno fatta resistenzia alla clemenzia dello Spirito
sancto, ricévonne vita di grazia estendo della colpa. Ma se essi, come
ignoranti, sonno ingrati e scognoscenti verso di me e verso le fadighe de'
servi miei, esso facto lo' torna in ruina e a giudicio quello che era dato per
misericordia; non per difetto della misericordia né di colui che impetrava la
misericordia per lo ingrato, ma solo per la miseria e durizia sua, il quale ha
posto, con la mano del libero arbitrio, in sul cuore la pietra del diamante
che, se non si rompe col Sangue, non si può rompere. Anco ti dico che, non
obstante la durizia sua, mentre che egli ha il tempo che può usare il libero
arbitrio, chiedendo il sangue del mio Figliuolo, con essa medesima mano e
pongalo sopra la durizia del cuore suo, lo spezzarà e riceverà il frutto del
(10) Sangue che è pagato per lui. Ma se egli s'indugia, passato el tempo, non
ha rimedio veruno, perché non ha riportata la dota che gli fu data da me:
dandoli la memoria perché ritenesse i benefizi miei, e lo 'ntellecto perché
vedesse e cognoscesse la veritá, e l'affecto perché egli amasse me, veritá
etterna, la quale lo 'ntellecto cognobbe.
Questa è la dota
che io vi diei, la quale debba ritornare a me Padre. Avendola venduta e
sbaractata al demonio, el demonio con esso lui ne va e portane quello che in
questa vita acquistò, empiendo la memoria delle delizie e ricordamento di
disonestà, superbia, avarizia e amore proprio di sé; odio e dispiacimento del
proximo, perseguitatore de' miei servi. In queste miserie obfuscano lo
'ntellecto per la disordinata volontà; cosí ricevono, con le puzze loro, pena
etternale, infinita pena, perché non satisfecero a la colpa con la contrizione
e dispiacimento del peccato.
Si che hai come la
pena satisfa alla colpa per la perfecta contrizione del cuore, non per le pene
finite. E non tanto la colpa, ma la pena che séguita doppo la colpa, a questi
che hanno questa perfeczione. E a' generali, come decto è, satisfa a la colpa,
cioè che, privati del peccato mortale, ricevono la grazia; e non avendo
sufficiente contrizione e amore a satisfare a la pena, vanno alle pene del
purgatorio, passati dal secondo e ultimo mezzo.
Si che vedi che
satisfa per lo desiderio de l'anima unito in me, che so' infinito Bene; poco e
assai, secondo la misura del perfecto amore di colui che dá l'orazione e il
desiderio e di colui che riceve. Con quella medesima misura che colui dá a me e
l'altro riceve in sé, con quella l'è misurato dalla mia bontá. Si che cresce il
fuoco del desiderio tuo, e non lassare punto di tempo che tu non gridi con voce
umile e con continua orazione dinanzi da me per loro. Cosí dico a te e al padre
de l'anima tua che Io t'ho dato in terra, che virilmente portiate, e morta sia
ogni propria sensualità.
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11
— Molto è piacevole
a me il desiderio di volere portare ogni pena e fadiga infino a la morte in
salute de l’anime. Quanto piú sostiene, piú dimostra che m'ami; amandomi, piú
cognosce della mia veritá; e quanto piú cognosce, piú sente pena e dolore
intollerabile de l'offesa mia.
Tu dimandavi di
sostenere e di punire e' difecti altrui sopra di te; e tu non t'avedevi che tu
dimandavi amore, lume e cognoscimento della veritá. Perché giá ti dixi che
quanto era maggiore l'amore, tanto cresce il dolore e la pena. A cui cresce amore,
cresce dolore. Adunque lo vi dico che voi dimandiate, e egli vi sarà dato. Io
non denegarò a chi mi dimanderà in veritá. Pensa che egli è tanto unito l'amore
della divina carità, che è ne l'anima, con la perfecta pazienzia, che non si
può partire l'una che non si parta l'altra. E però debba l'anima, come elegge
d'amare me, cosí elegga di portare per me pene in qualunque modo, e di
qualunque cosa lo le concedo. La pazienzia non si pruova se non nelle pene, e
la pazienzia è unita con la carità, come decto è. Adunque portate virilmente,
altrimenti non sareste né dimostrareste d'essere sposi della mia veritá e
figliuoli fedeli, né che voi fuste gustatori del mio onore né della salute de
l'anime.
Alto del documento
— Ché io ti fo a
sapere che ogni virtú si fa COI mezzo del prossimo, e ogni difecto. Chi sta in
odio di me fa danno al proximo e a se medesimo che è principale prossimo. Fagli
(12) danno in generale e in particolare. In generale è perché sète tenuti
d'amare il prossimo vostro come voi medesimi; amandolo dovete sovenirlo
spiritualmente con l'orazione e con la parola, consigliandolo e aitandolo
spiritualmente e temporalmente secondo che fa bisogno alla sua necessità,
almeno volontariamente, non avendo altro. Non amando me, non ama lui; non
amandolo, non el soviene; offende innanzi se medesimo che si tolle la grazia, e
offende il prossimo tollendoli, perché non gli dá l'orazione e i dolci desidèri
che è tenuto d'offerire dinanzi a me per lui. Ogni sovenire che egli fa debba
uscire della dileczione che egli gli ha per amore di me.
Cosí ogni male si
fa per mezzo del prossimo, cioè che, non amando me, non è nella caritá sua. E
tucti e' mali dependono perché l'anima è privata della caritá di me e del
prossimo suo. Non facendo bene, séguita che fa male; facendo male, verso cui el
fa e dimostra? verso se medesimo in prima e del proximo; non verso di me, ché a
me non può fare danno se none in quanto Io reputo facto a me quello che fa ad
altrui. Fa danno a sé di colpa, la qual colpa el priva della grazia; peggio non
si può fare. Al proximo fa danno non dandoli el debito che gli debba dare della
dileczione e dell'amore, col quale amore il debba sovenire con l'orazione e
sancto desiderio offerto a me per lui.
Questo è uno
sovenimento generale che si debba fare a ogni creatura che ha in sé ragione.
Utilità particolari sonno quelle che si fanno a coloro che vi sonno piú da
presso dinanzi agli occhi vostri, de' quali sète tenuti di sovenire l'uno a
l'altro con la parola e doctrina e exemplo di buone operazioni, e in tucte
l'altre cose che si vede che egli abbi bisogno; consigliandolo schiectamente
come se medesimo e senza passione di proprio amore. Egli non el fa, perché giá
è privato della dileczione verso di lui. Si che vedi che, non facendolo, gli fa
danno particolare; e non tanto che gli facci danno non facendoli quel bene che
egli può, ma e' gli fa male e danno assiduamente. Come? Per questo modo: el peccato
si fa actuale e mentale; mentale è giá facto, ché ha conceputo piacere del
peccato e (13) odio della virtú, cioè del proprio amore sensitivo, il quale
l'ha privato de l’affecto della caritá el quale debba avere a me e al proximo
suo. E poi che egli ha conceputo, gli parturisce l'uno di po' l'altro sopra del
proximo, secondo che piace a la perversa volontà sensitiva, in diversi modi:
alcuna volta vediamo che parturisce una crudeltá e in generale e in
particolare. Generale è di vedere sé e le creature in dampnazione e in caso di
morte per la privazione della grazia; ed è tanto crudele che non si soviene, sé
né altrui, de l'amore della virtú e odio del vizio; anco come crudele distende
actualmente piú la crudeltá sua, cioè che non tanto che egli dia exemplo di
virtú, ma egli, come malvagio, piglia l'officio delle dimonia, traendo,
giusta’l suo potere, la creatura da la virtú e conducendola nel vizio.
Questa è crudeltá verso l'anima che s'è facto strumento a tollarle la vita e
darle la morte. Crudeltà corporale usa per cupidità, ché non tanto che egli
sovenga il proximo del suo, ma egli tolle l'altrui, robbando le poverelle, e
alcuna volta per acto di signoria e alcuna volta con inganno e con frode
facendo ricomprare le cose del proximo e spesse volte la propria persona. O
crudeltá miserabile, la quale sarai privata della misericordia mia, se esso non
torna a pietà e benivolenzia verso di lui !
E alcuna volta
parturisce parole ingiuriose, doppo le quali parole spesse volte séguita
l'omicidio. E alcuna volta parturisce disonestà nella persona del proximo, per
la quale ne diventa animale bruto, pieno di puzza; e non atosca né uno né due,
ma chi se gli appressima con amore e conversazione ne rimane atoscato.
In cui parturisce
la superbia? solo nel proximo per propria reputazione di sé; unde ne traie
dispiacere del proximo suo, reputandosi maggiore di lui, e per questo modo gli
fa ingiuria. Se egli ha a tenere stato di signoria, parturisce ingiustizia e
crudeltá ed è rivenditore delle carni degli uomini.
O carissima
figliuola, duolti de l'offesa mia e piagne sopra questi morti, acciò che con
l'orazione si distruga la morte loro! Or vedi che da qualunque lato, e di
qualunque maniera di genti, tu vedi tucti parturire i peccati sopra del
proximo, e farli col (14) suo mezzo. In altro modo non farebbe mai peccato
neuno, né occulto né palese: occulto è quando non gli dá quello che gli debba
dare; palese è quando parturisce e' vizi, si come lo ti dixi.
Adunque bene è la
veritá che ogni offesa (acta a me si fa col mezzo del proximo.
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— Detto t'ho
come tutti e' peccati si fanno col mezzo del proximo per lo principio che ti
posi, perché erano privati dell'affetto della carità, la quale caritá dá vita a
ogni virtú; e cosí l'amore proprio, il quale tolle la caritá e dileczione del
proximo, è principio e fondamento d'ogni male. Tutti gli scandali, e odio e
crudeltá e ogni inconveniente procede da questa perversa radice de l'amore
proprio. Egli ha avelenato tutto quanto el mondo e infermato el corpo mistico
della sancta Chiesa e l'universale corpo della religione cristiana, perché lo
ti dixi che nel proximo si fondavano tutte le virtú, e cosí è la veritá.
Io si ti dixi che
la caritá dava vita a tutte le virtú, e cosí è: che veruna virtú si può avere
senza la carità, cioè che la virtú s'acquisti per puro amore di me. Ché poi che
l'anima ha cognosciuta sé, come di sopra dicemmo, ha trovata umilità e odio
della propria passione sensitiva, cognoscendo la legge perversa che è legata
nelle membra sue che sempre impugna contra lo spirito. E però s'è levata con
odio e dispiacimento d'essa sensualità, conculcandola sotto la ragione con
grande sollicitudine; e in sé ha trovata la larghezza della mia bontá per molti
benefizi che ha ricevuti da me, e' quali tutti ritruova in se medesima. E il
cognoscimento che ha trovato di sé il retribuisce a me per umilità, cognoscendo
che per grazia Io l'abbi tratto della tenebre e recato a lume di vero
cognoscimento.
E poi che ha
cognosciuta la mia bontá, l'ama senza mezzo ed amala con mezzo: cioè senza
mezzo di sé e di sua propria utilitá; e amala col mezzo della virtú (la quale virtú
ha conceputa per amor di me), perché vede che in altro modo non sarebbe grato
né accepto a me se non concepesse l'odio del peccato e amore delle virtú. E poi
che l'ha conceputa per affecto d'amore, subbito la parturisce al proximo suo,
ché in altro modo non sarebbe veritá che egli l'avesse conceputa in sé. Ma come
in veritá m'ama, cosí fa utilitá al proximo suo; e non può essere altrementi,
perché l'amore di me e del proximo è una medesima cosa, e tanto quanto l'anima
ama me, tanto ama lui, perché l'amore verso di lui esce di me.
Questo è quel mezzo
che io v'ho posto acciò che exercitiate e proviate la virtú in voi: che, non
potendo fare utilitá a me, dovetela fare al proximo. Questo manifesta che voi
aviate me per grazia ne l'anima vostra; facendo frutto in lui di molte e sancte
orazioni con dolce e amoroso desiderio, cercando l'onore di me e la salute de
l'anime. Non si ristà mai l'anima inamorata della mia veritá di fare utilitá a
tutto el mondo, in comune e in particulare, poco e assai, secondo la disposizione
di colui che riceve e de l'ardente desiderio di colui che dà, si come di sopra
fu manifestato quando ti dichiarai che pura la pena, senza il desiderio, non
era sufficiente a punire la colpa.
Poi che egli ha
facto utilitá per l'amore unitivo che ha facto in me, per lo quale ama lui,
disteso l'affetto alla salute di tutto quanto il mondo, sovenendo alla sua
necessità, ingegnasi (poi che ha facto bene a sé per lo concipere la virtú,
unde ha tratta la vita della grazia) di ponere l'occhio a la necessità del
proximo in particulare. Poi che mostrato l'ha generalmente a ogni creatura che
ha in sé ragione, per affecto di carità, come detto è, ed egli soviene quelli
da presso, secondo diverse grazie che lo gli ho date a ministrare: chi di
dottrina, cioè con la parola consigliando schiettamente senza alcuno rispetto;
chi con exemplo di vita. E questo debba fare ogniuno, e dare edificazione al
proximo di sancta e onesta vita.
15
Queste sonno le
virtú, e molte altre, le quali non potresti narrare, che si parturiscono nella
dileczione del proximo. Perché l'ho poste tanto differenti che lo non ho dato
tucto a uno, anco a cui ne do una, e a cui ne do un'altra particulare? poniamo
che una non ne possa avere che tucte non l'abbi, perché tucte le virtú sono legate
insieme. Ma dolle molte, quasi come per capo di tucte l'altre virtú; cioè che a
cui darò principalmente la carità, e a cui la giustizia, e a cui l’umilità, e a
cui una fede viva; ad altri una prudenzia, una temperanzia, una pazienzia; ad
altri una fortezza. Queste e molte altre darò ne l'anima differentemente a
molte creature: poniamo che l'una di queste sia posta per uno principale
obiecto di virtú ne l'anima, disponendosi piú a conversazione principale con
essa che con l'altre; e per questo affecto di questa virtú trae a sé tucte
l'altre virtú, ché (come decto è) elle sono tucte legate insieme ne l’affecto
della caritá.
E cosí molti doni e
grazie di virtú e d'altro, spiritualmente e corporalmente (corporalmente dico
per le cose necessarie per la vita de l'uomo), tucte l'ho date in tanta
differenzia che non l'ho poste tucte in uno, perché abbi materia, per forza,
d'usare la caritá l'uno con l'altro. Ché ben potevo fare gli uomini dotati di
ciò che bisogna e secondo il corpo e secondo l'anima; ma Io volsi che l'uno
avesse bisogno de l'altro, e fussero miei ministri a ministrare le grazie e i
doni che hannó ricevuti da me. Ché voglia l'uomo o no, non può fare che per
forza non usi facto della caritá. È vero che, se ella non è facta e donata per
amore di me, quello acto non gli vale quanto a grazia.
Si che vedi che
acciò che essi usassero la virtú della carità, Io gli ho facti miei ministri e
posti in diversi stati e variati gradi. Questo vi mostra che nella Casa mia ha
molte mansioni, e che Io non voglio altro che amore. Però che ne l'amore di me
compie l'amore del proximo; compito l'amore del proximo, ha observata la legge:
ciò che può fare d'utilitá, secondo lo stato suo, colui che è legato in questa
dileczione, si el fa.
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17
— Hotti decto come
egli fa utilitá al proximo, nella quale utilitá mostra l'amore che ha a me. Ora
ti dico che nel proximo pruova in se medesimo la virtú della pazienzia nel
tempo della ingiuria che riceve da lui. E pruova l'umilità nel superbo, e
pruova la fede ne l'infedele, e pruova la vera speranza in colui che none
spera, e la giustizia nello ingiusto, e la pietà nel crudele, e la mansuetudine
e benignità ne l' iracundo.
Tucte le virtú si
pruovano e parturiscono nel proximo, si come gl' iniqui parturiscono ogni vizio
nel proximo loro. Se tu vedi bene, dumilità è provata nella superbia: cioè che
l'umile spegne la superbia, però che ‘l superbo non può fare danno a
l'umile; né la infidelità dello iniquo uomo, che non ama né spera in me, a
colui che è fedele a me non diminuisce né la fede, né la speranza in colui che
l'ha conceputa in sé per amore di me: anco la fortifica e la pruova nella
dileczione de l'amore del proximo. Ché conciosiacosa che egli el vegga infedele
e senza speranza in me e in lui (ché colui che non ama me non può avere fede né
speranza in me, anco la pone nella propria sensualità, la quale egli ama), el
servo fedele mio non lassa però che fedelmente non l'ami e che sempre con
esperanza non cerchi in me la salute sua. Si che vedi che nella loro infidelità
e mancamento di speranza pruova la virtú della fede. In questo e ne l'altre
cose nelle quali è bisogno di provarla, egli la pruova in sé e nel proximo suo.
E cosi la giustizia
non diminuisce per le sue ingiustizie, anco dimostra di provare la giustizia,
cioè che dimostra che egli è giusto per la virtú della pazienzia; come la
benignità e mansuetudine nel tempo de l'ira si manifesta con la dolce
pazienzia; e la invidia, dispiacimento e odio con la dileczione della carità,
fame e desiderio della salute de l'anime.
18
Anco ti dico che
non tanto che si pruovi la virtú in coloro che rendono bene per male, ma Io ti
dico che spesse volte gictarà carboni accesi di fuoco di carità, ci quale
dissolve e l'odio e il rancore del cuore e della mente de l' iracundo; e da
odio torna spesse volte a benivolenzia. E questo è per la virtú della caritá e
perfecta pazienzia che è in colui che sostiene l'ira de l'iniquo, portando e
sopportando e' difecti suoi.
Se tu raguardi la
virtú della fortezza e perseveranzia, ella è provata nel molto sostenere, nelle
ingiurie e detraczioni degli uomini, e' quali spesse volte, quando per ingiuria
e quando con lusinghe, il vogliono ritrare da seguitare la via e doctrina della
veritá, in tucto è forte e perseverante se la virtú della fortezza è dentro
conceputa; alora la pruova nel proximo, come decto t'ho. E se ella, al tempo
che è provata con molti contrari, non facesse buona pruova, non sarebbe virtú
in veritá fondata.
Alto del documento
21
— Queste sonno le
sancte e dolci operazioni che io richieggio da' servi miei: ciò sonno queste
virtú intrinseche de l'anima, provate come detto ho; non solamente quelle virtú
che si fanno con lo strumento del corpo, cioè con atto di fuore o con diverse e
varie penitenzie, le quali sonno strumento di virtú, ma non virtú. Ché se solo
fusse questo, senza le virtú di sopra contiate, poco sarebbe piacevole a me:
anco, spesse volte, se l'anima non facesse la penitenzia sua discretamente,
cioè che l'affetto suo fusse principalmente posto nella penitenzia cominciata,
impedirebbe la sua perfeczione. Ma debbalo ponere ne l'affetto de l'amore, con
odio sancto di sé, e con vera umilità e perfetta pazienzia, e ne l'altre virtú
intrinseche de l'anima, con fame e desiderio del mio onore e salute de l'anime.
Le quali virtú dimostrano che la volontà sia morta, e continuamente s'uccide
sensualmente per affetto d'amore di virtú.
Con questa discrezione debba fare la
penitenzia sua: cioè di pònare il principale affetto nelle virtú piú che nella
penitenzia. La penitenzia die fare come strumento per augmentare la virtú,
secondo che è bisogno e che si vede di potere fare secondo la misura della sua
possibilità. In altro modo, cioè facendo il fondamento sopra la penitenzia,
impedirebbe la sua perfeczione, perché non sarebbe fatta con lume di
cognoscimento di sé e della mia bontá discretamente. E non pigliarebbe la
veritá mia, ma indiscretamente farebbe, non amando quello (22) che Io piú amo e
odiando quello che Io piú odio. Ché « discrezione» non è altro che uno vero
cognoscimento che l'anima debba avere di sé e di me; in questo cognoscimento tiene
le sue radici.
Ella è uno
figliuolo che è innestato e unito con la caritá. È vero che ha molti figliuoli,
si come uno arbore che abbi molti rami; ma quello che dá vita a l’arbore e a'
rami è la radice se ella è piantata nella terra de l’umilità (la quale è balia
e nutrice della carità), dove egli sta innestato questo figliuolo e arbore
della discrezione. Ché altrementi non sarebbe virtú di discrezione e non
producerebbe fructo di vita, se ella non fusse piantata nella virtú de
l’umilità, perché l’umilità procede dal cognoscimento che l'anima ha di sé. E
giá ti dixi che la radice della discrezione era uno vero cognoscimento di sé e
della mia bontá; unde subbito rende a ogniuno discretamente il debito suo.
E principalmente il
rende a me, rendendo gloria e loda al nome mio; e retribuisce a me le grazie e
i doni che vede e cognosce avere ricevuti da me. E a sé rende quello che si
vede avere meritato, cognoscendo sé non essere; e l'essere suo, el quale ha,
cognosce avere avuto per grazia da me; e ogni altra grazia, che ha ricevuta
sopra l'essere, la retribuisce a me e non a sé. Parle essere ingrata a tanti
benefizi e negligente in non avere exercitato il tempo e le grazie ricevute, e
però le pare essere degna delle pene. Alora si rende odio e dispiacimento nelle
colpe sue.
E questo fa la
virtú della discrezione, fondata nel cognoscimento di sé con vera umilità. Ché
se questa umilità non fusse ne l'anima (come decto è), sarebbe indiscreta e non
discreta. La quale indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la
discrezione è posta ne l’umilità. E però indiscretamente, si come ladro,
furarebbe l'onore a me e darebbelo a sé per propria reputazione; e quello che è
suo porrebbe a me, lagnandosi e mormorando de' misteri miei e' quali Io
adoperasse in lui o ne l’altre mie creature; d'ogni cosa si scandelizzarebbe in
me e nel proximo suo.
23
El contrario che
fanno coloro che hanno la virtú della discrezione: che, poi che hanno renduto
il debito che detto è a me e a loro, rendono poi al proximo il principale debito
de l’affecto della caritá e de l'umile e continua orazione. El quale debba
rendere ciascuno l'uno a l'altro; e rendeli debito di doctrina, di sancta e
onesta vita per exemplo, consigliandolo e aitandolo secondo che gli è di
bisogno a la salute sua, come di sopra ti dixi.
In ogni stato che
l'uomo è, o signore o prelato o subdito, se egli ha questa virtú, ogni cosa che
fa e rende al proximo suo fa discretamente e con affecto di carità, perché elle
sonno legate e innestate insieme e piantate nella terra della vera umilità, la
quale esce del cognoscimento di sé.
Alto del documento
— Sai come stanno
queste tre virtú? come se tu avessi uno cerchio tondo posto sopra la terra; e
nel mezzo del cerchio escisse uno arbore con uno figliuolo dallato unito con
lui. L'arbore si notrica nella terra che contiene la larghezza del cerchio, ché
se egli fusse fuore della terra, l’arbore sarebbe morto e non darebbe fructo
infino che non fusse piantato nella terra.
Or cosí ti pensa
che l'anima è uno arbore facto per amore, e però non può vivere altro che
d'amore. È vero che, se ella non ha amore divino di perfecta carità, non
produce fructo di vita ma di morte. Conviensi che la radice di questo arbore,
cioè l’affecto de l'anima, stia e non esca del cerchio del vero cognoscimento
di sé; el quale cognoscimento di sé è unito in me che non ho né principio né fine,
si come el cerchio che è tondo; ché quanto tu ti vai ravollendo dentro nel
cerchio, non truovi né fine né principio; e pure dentro vi ti truovi. Questo
cognoscimento di sé e di me in sé, truova e sta sopra (24) la terra della vera
umilità; la quale è tanto grande quanto la larghezza del cerchio, cioè il
cognoscimento che ha avuto di sé,. unito in me come decto è. Ché altrimenti non
sarebbe cerchio senza fine né senza principio: anco avarebbe principio, avendo
cominciato a cognoscere sé, e finirebbe nella confusione se questo
cognoscimento non fusse unito in me.
Alora l’arbore
della caritá si nutrica ne l'umilità, mectendo il figliuolo dallato della vera
discrezione per lo modo che decto t'ho. El mirollo de l’arbore, cioè de
l’affecto della caritá che è ne l'anima, è la pazienzia; la quale è uno segno
dimostrativo che dimostra me essere ne l'anima e l'anima unita in me. Questo
arbore cosí dolcemente piantato gicta fiori odoriferi di virtú, con molti e
divariati sapori; egli rende fructo di grazia a l'anima e fructo d'utilitá al
proximo secondo la sollicitudine di chi vorrà ricevere de' fructi de' servi
miei. A me rende odore di gloria e loda al nome mio; e cosí fa quello per che
Io el creai, e da questo giogne al termine suo, cioè me, che so' vita durabile
che non gli posso essere tolto se egli non vuole.
Tucti quanti e'
fructi che escono de l’arbore sonno conditi con la discrezione, perché sonno
uniti insieme, come detto t'ho.
Alto del documento
— Questi sonno e'
fructi e l'operazioni che Io richieggio da l'anima: la pruova delle virtú al
tempo del bisogno. E però ti dixi, se bene ti ricorda giá cotanto tempo, quando
desideravi di fare grande penitenzia per me, dicendo: — Che potrei io fare che
io sostenesse pena per te? — E Io ti risposi nella mente tua, dicendo: — Io so'
colui che mi dilecto di poche parole e di molte operazioni; — per dimostrarti
che non colui che solamente mi chiamará col suono della parola: — Signore,
Signore, io vorrei fare (25) cuna cosa per te; — né colui che per me desidera e
vuole mortificare il corpo con le molte penitenzie, senza uccidere la propria
volontà, m'era molto a grado. Ma Io volevo le molte operazioni del sostenere
virilmente e con pazienzia, e l’altre virtú che contiate t' ho, intrinseche de
l'anima, le quali tucte sonno operative, che aduoperano fructo di grazia.
Ogni altra
operazione, posta in altro principio che questo, Io le reputo essere chiamare
solo con la parola, perché elle sonno operazioni finite. E Io, che so'
infinito, richieggio infinite operazioni, cioè infinito affecto d'amore. Voglio
che l'operazioni di penitenzia e d'altri exercizi, e' quali sonno corporali,
siano posti per strumento e non per principale affecto. Ché se fusse posto el
principale affecto ine, mi sarebbe data `cosa finita, e farebbe come la parola
che, escita che è fuore della bocca, non è piú; se giá la parola non escisse
con l’affecto de l'anima, il quale concipe e parturisce in veritá la virtú;
cioè che l'operazione finita (la quale t'ho chiamata «parola ») fusse unita con
l'affecto della caritá. Alora sarebbe grata e piacevole a me, perché non
sarebbe sola ma accompagnata con la vera discrezione, usando l'operazioni
corporali per strumento e non per principale capo.
Non sarebbe
convenevole che principio e capo si facesse solo nella penitenzia o in
qualunque acto di fuore corporale, ché giá ti dixi che elle erano operazioni
finite. E finite sonno: si perché elle sonno facte in tempo finito, e si perché
alcuna volta si conviene che la creatura le lassi, o che elle gli sieno facte
lassare. Quando le lassa per necessità di non potere fare quello acto che ha
cominciato, per diversi accidenti che gli vengono, o per obbedienzia che sarà
comandato dal prelato suo, che facendole, non tanto che egli meritasse, ma egli
offendarebbe. Si che vedi che elle sonno finite. Debba dunque pigliare per uso
e non per principio; ché, pigliandole per principio, di bisogno è che in alcuno
tempo le lassi, e l'anima alora rimane vòta.
E questo vi mostrò
il glorioso Pavolo mio banditore quando dixe nella epistola sua che voi
mortificaste il corpo e uccideste (26) la propria volontà: cioè sapere tenere a
freno il corpo, macerando la carne, quando volesse inpugnare contra lo spirito;
ma la volontà vuole essere in tutto morta e abnegata e sottoposta a la volontà
mia. La quale volontà s'uccide con quello debito che Io ti dixi che la virtú
della discrezione rendeva a l'anima: cioè odio e dispiacimento de l'offese e
della propria sensualità, il quale acquistò nel cognoscimento di sé.
Questo è quello
coltello che uccide e taglia ogni proprio amore fondato nella propria volontà.
Or costoro sonno quegli che non mi dànno solamente parole ma molte operazioni.
Dicendo « molte» non ti pongo numero, perché l'affetto de l'anima fondato in
carità, che dá vita a tutte le virtú, debba giognere in infinito. E none schifo
però la parola, ma dixi ch' Io volevo poche parole, mostrandoti che ogni
operazione actuale era finita, e però le chiamai « poche»; ma pure mi piacciono
quando sonno poste per strumento di virtú e non per principale virtú.
E però non debba
veruno dare giudicio di ponere maggiore perfeczione nel grande penitente, che
si dá molto a uccidere il corpo suo, che in colui che ne fa meno; però che,
come Io t’ho detto, none sta ine la virtú né il merito loro; però che male ne
starebbe chi non può fare, per legiptime cagioni, operazione e penitenzia
actuale; ma sta solo nella virtú della carità, condita col lume della vera
discrezione, però che altrimenti non varrebbe. E questo amore la discrezione il
dá senza fine e senza modo verso di me, però che so' somma e etterna veritá;
non pone legge né termine a l'amore col quale egli ama me, ma bene il pone con,
modo e con caritá ordinata verso ci proximo suo.
El lume della
discrezione, la quale esce della carità, come detto t'ho, dá al proximo amore
ordinato, cioè con ordinata caritá che non fa danno di colpa a sé per fare
utilitá al proximo. Ché se uno solo peccato facesse per campare tutto il mondo
de lo 'nferno, a per adoperare una grande virtú, non sarebbe caritá ordinata
con discrezione: anco sarebbe indiscreta, perché licito non è di fare una
grande virtú e utilitá al proximo con colpa di peccato. Ma la discrezione
sancta è ordinata in questo (27) modo: che l'anima tutte le potenzie sue
dirizza a servire me virilmente con ogni sollicitudine, e il proximo ama con
affetto
D’amore ponendo la
vita del corpo per salute de l'anime, se fusse possibile, mille volte;
sostenendo pene e tormenti perché abbi vita di grazia. E la substanzia sua
temporale pone in utilitá ed in sovenimento del corpo del proximo suo.
Questo fa el lume
della discrezione che esce della caritá. Si che vedi che discretamente rende e
debba rendere, ogni anima che vuole la grazia, a me amore infinito e senza
modo, e al proximo (col mio amore infinito) amare lui con modo e caritá ordinata,
come detto t'ho, non rendendo male di colpa a sé per utilitá altrui. E di
questo v'amuní sancto Pavolo quando disse che la carita si debba prima muovere
da sé; altrimenti non sarebbe utilitá altrui d'utilitá perfetta. Ché quando la
perfeczione non è ne l'anima, ogni cosa è imperfetta: e ciò che aduopera e in
sé e in altrui. Non sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che
sonno finite e create da me, fussi offeso lo, che so' Bene infinito; piú
sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il frutto che
farebbe per quella colpa.
Si che colpa di
peccato in veruno modo tu non debbi fare; la vera caritá il cognosce, perché
ella porta seco ci lume della sancta discrezione. Ella è quello lume che
dissolve ogni tenebre, e tolle la ignoranzia, e ogni virtú condisce; e ogni
strumento di virtú actuale è condito dá lei. Ella ha una prudenzia che non può
essere ingannata; ella ha una fortezza che non può essere venta; ella ha una
perseveranzia grande infino al fine che tiene dal cielo a la terra, cioè dal
cognoscimento di me al cognoscimento di sé; da la caritá mia a la caritá del
proximo. Con vera umilità campa e passa tutti e' lacciuoli del dimonio e delle
creature con la prudenzia sua. Con la mano disarmata, cioè col molto sostenere,
ha sconfitto ci dimonio e la carne con questo dolce e glorioso lume, perché con
esso cognobbe la sua fragilità, e cognoscendola le rende il debito de l'odio.
Ha conculcato ci mondo e messoselo sotto e' piei de l'affetto. Spregiandolo e
tenendolo a vile n'è facto signore, facendosene beffe.
28
E però gli uomini
del mondo non possono tollere le virtu de l'anima; ma tutte le loro
persecuzioni sonno acrescimento e provamento della virtú. La quale prima è
conceputa per affetto d'amore, come detto è, e poi si pruova nel proximo e si
parturisce sopra di lui. E cosí t'ho mostrato che, se ella non si vedesse e
rendesse lume al tempo della pruova dinanzi da l'uomo, non sarebbe veritá che
la virtú fusse conceputa. Perché giá ti dixi e hotti manifestato che virtú non
può essere, che sia perfetta, che dia frutto, senza el mezzo del proximo. Se
non come la donna che ha conceputo in sé il figliuolo, che se ella non il
parturisce che venga dinanzi a l'occhio della creatura, non si reputa lo sposo
d'avere figliuolo; cosí lo che so' sposo de l'anima, se ella non parturisce il
figliuolo della virtú nella caritá del proximo, mostrandolo, secondo che è di
bisogno, in comune e in particulare, si come Io ti dixi; dico che in veritá non
avara conceputa la virtú in sé. E tosi dico el vizio che tutti si commettono
col mezzo del proximo.
Alto del documento
— Ora hai veduto
che Io, Verità, t'ho mostrata la veritá e la dottrina per la quale tu venga e
conservi la grande perfeczione. E anco t'ho dichiarato in che modo si satisfa
la colpa e la pena, in te e nel proximo tuo, dicendoti che la pena che sostiene
la creatura mentre che è nel corpo mortale, non è sofficiente la pena in se
sola a satisfare la colpa e la pena, se giá ella non fusse unita con l'affetto
della caritá e con la vera contrizione e dispiacimento del peccato, come detto
t'ho.
Ma la pena alora
satisfa quando è unita la pena con la carità: non per virtú di veruna pena
attuale che si sobstenga, ma per virtú della caritá e dolore della colpa
commessa. La quale (29) caritá è acquistata col lume de l'intelletto, con cuore
schietto e liberale raguardando in me, obietto, che so' essa caritá. Tucto
questo t'ho mostrato perché tu mi dimandavi di volere portare. Rottelo mostrato
acciò che tu e gli altri servi miei sappiate in che modo e come dovete fare
sacrifizio di voi a me. Sacrifizio, dico, attuale e mentale unito insieme, si
come è unito el vasello con l'acqua che si presenta al Signore: ché l'acqua
senza il vasello non si potrebbe presentare; el vaso senza l'acqua, portandolo,
non sarebbe piacevole a lui. Cosí vi dico che voi dovete offerire a me il
vasello delle molte fadighe attuali per qualunque modo lo ve le concedo; non
eleggendo voi né luogo né tempo né fadighe a modo vostro, ma a mio. Ma questo
vasello debba essere pieno, cioè portandole tutte con affetto d'amore e con
vera pazienzia; portando e sopportando e' difectí del proximo vostro con odio e
dispiacimento del peccato. Alora si truovano queste fadighe (le quali t'ho
poste per uno vasello) piene de l'acqua della grazia mia, la quale dà vita a
l'anima; alora lo ricevo questo presente da le dolci spose mie, cioè da ogni
anima che mi serve. Ricevo, dico, da loro gli anxietati desidèri, lagrime e
sospiri loro, umili e continue orazioni; le quali cose sono tutte uno mezzo
che, per l'amore che lo l'ho, placano l'ira mia sopra e' nemici miei de gl'
iniqui uomini che tanto m'offendono.
Si che sostiene
virilmente infino alla morte; e questo mi sarà segno che voi in verità
m'amiate. E non dovete vòllere il capo indietro a mirare l'aratro per timore di
veruna creatura né per tribolazioni: anco nelle tribolazioni godete. El mondo
si rallegra facendovi molta ingiuria, e voi sète contristati nel mondo per le
ingiurie e offese che mi vedete fare, per le quali offendendo me offendono voi;
e offendendo voi offendono me, perché so'facto una cosa con voi. Ben vedi tu
che avendovi data la imagine e similitudine mia, e perdendo voi la grazia per
lo peccato, per réndarvi la vita della grazia unii la mia natura in voi,
velandola della vostra umanità. E cosí, essendo voi imagine mia, presi la imagine
vostra, prendendo forma umana.
30
Si che Io so' una
cosa con voi, se giá l'anima non si diparte da me per la colpa del peccato
mortale. Ma chi m'ama sta in me, e Io in lui; e però el mondo il perseguita,
perché ‘l mondo non ha conformità con meco; e però perseguitò l'unigenito
mio Figliuolo infino a l’obrobriosa morte della croce. E cosí fa a voi: egli vi
perseguita e perseguitarà in fino a la morte perché me non ama; ché se ‘l
mondo avesse amato me, e voi amarebbe. Ma rallegratevi, ché l'allegrezza
vostra sarà piena in celo.
Anco ti dico che
quanto ora abondarà piú la tribolazione nel corpo mistico della sancta Chiesa,
tanto abondarà piú in dolcezza ed in consolazione. E questa sarà la dolcezza
sua: la reformazione de' sancai e buoni pastori, e' quali sonno fiori di
gloria, cioè che rendono gloria e loda al nome mio, rendendomi odore di virtú
fondate in veritá. E questa è la reformazione de' fiori odoriferi dei miei
ministri e pastori. Non che abbi bisogno il frutto di questa sposa d'essere
riformato, perché non diminuisce né si guasta mai per li difetti de' ministri.
Si che rallegratevi, tu e’l padre de l'anima tua e gli altri miei servi,
ne l’amaritudine; ché Io, Verità etterna, v'ho promesso di darvi refrigerio, e
doppo l’amaritudine vi darò consolazione (col molto sostenere) nella
reformazione della sancta Chiesa.
Alto del documento
Alora l'anima
anxietata e affocata di grandissimo desiderio, conceputo ineffabile amore nella
grande bontá di Dio, cognoscendo e vedendo la larghezza della sua caritá che
con tanta dolcezza aveva degnato di rispondere a la sua petizione, e di
satisfare dandole speranza a l'amaritudine, la quale aveva conceputa per
l'offesa di Dio e danno della sancta Chiesa e miseria (31) sua propria (la
quale vedeva per cognoscimento di sé), mitigava l’amaritudine, e cresceva
l’amaritudine; perché avendole il sommo ed etterno Padre manifestata la via
della perfeczione e nuovamente le mostrava l'offesa sua e il danno de l'anime,
si come di sotto dirò piú distesamente.
Perché nel
cognoscimento che l'anima fa di sé, cognosce meglio Dio, cognoscendo la bontá
di Dio in sé; e nello specchio dolce di Dio cognosce la dignità e la indegnità
sua medesima: cioè la dignità della creazione, vedendo sé essere imagine di Dio
e datole per grazia e non per debito. E nello specchio della bontá di Dio dico
che cognosce l'anima la sua indegnità nella quale è venuta per la colpa sua.
Però che come nello specchio meglio si vede la macula della faccia de l'uomo
specchiandosi dentro nello specchio, cosí l'anima che, con vero cognoscimento
di sé, si leva per desiderio con l'occhio de l'intelletto a raguardarsi nello
specchio dolce di Dio, per la purità, che vede in lui, meglio cognosce la
macula della faccia sua.
E perché el lume e
il cognoscimento era maggiore in quella anima per lo modo detto, era cresciuta
una dolce amaritudine, ed era scemata l'amaritudine. Era scemata per la
speranza che le die' la prima Verità; e si come il fuoco cresce quando gli è
data la materia, cosí crebbe il fuoco in quella anima per sí facto modo che
possibile non era a corpo umano a potere sostenere che l'anima non si partisse
dal corpo. Unde, se non che era cerchiata di fortezza da Colui che è somma
fortezza, non l'era possibile di camparne mai.
Purificata l'anima
dal fuoco della divina carità, la quale trovò nel cognoscimento di sé e di Dio,
e cresciuta la fame con la speranza della salute di tutto quanto el mondo e
della reformazione della sancta Chiesa, si levò con una sicurtà dinanzi al
sommo Padre, avendole mostrato la lebbra della sancta Chiesa e la miseria del
mondo, quasi con la parola di Moisé dicendo:
— Signore mio,
vòlle l'occhio della tua misericordia sopra el popolo tuo e sopra el corpo
mistico della sancta Chiesa; però che piú sarai tu gloriato di perdonare a
tante creature e dar lo' lume di cognoscimento (ché tutte ti rendarebbero laude
(32) vedendosi campare per la tua infinita bontá da la tenebre del peccato
mortale e da l'etterna dampnazione) che tu non sarai Solamente di me miserabile
che tanto t' ho offeso e la quale so' cagione e strumento d'ogni male. E però
ti prego, divina etterna carità, che tu facci vendetta di me e facci
misericordia al popolo tuo. Mai dinanzi ala presenzia tua non mi partirò infino
che io vedrò che tu lo' facci misericordia.
E che sarebbe a me
che io vedesse me avere vita e il popolo tuo la morte? e che la tenebre si
levasse nella sposa tua, che è essa luce, principalmente per li miei difetti e
de l'altre
tue creature? Voglio dunque, e per grazia tel
dimando, che abbi misericordia al popolo tuo per la caritá increata che mosse
te medesimo a creare l'uomo a la imagine e similitudine tua dicendo: «Facciamo
l'uomo a la imagine e similitudine nostra ». E questo facesti volendo tu,
Trinitá etterna, che l'uomo participasse tutto te, alta, etterna Trinitá. Unde gli
desti la memoria perché ritenesse i benefizi tuoi, nella quale participa la
potenzia di te, Padre etterno; e destili l'intelletto acciò che cognoscesse,
vedendo, la tua bontá e participasse la sapienzia de l'unigenito tuo Figliuolo;
e destili la volontà acciò che potesse amare quello che lo 'ntellecto vide e
cognobbe de la tua veritá participando la clemenzia dello Spirito sancto.
Chi ne fu cagione
che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? L'amore inextimabile col quale
raguardasti in te medesimo la tua creatura e inamorastiti di lei, e però la
creasti per amore e destile l'essere acciò che ella gustasse e godesse il tuo
etterno bene. Vego che per lo peccato commesso perdette la dignità nella quale
tu la ponesti; per la rebellione che fece a te cadde in guerra con la clemenzia
tua, cioè che diventammo nemici tuoi. Tu, mosso da quel medesimo fuoco con che
tu ci creasti, volesti ponere il mezzo a reconciliare l'umana generazione che
era caduta nella grande guerra, acciò che della guerra si facesse la grande pace.
E destici el Verbo de l'unigenito tuo Figliuolo, il quale fu tramezzatore fra
noi e te.
Egli fu nostra
giustizia che sopra di sé puní le nostre ingiustizie; e fece l'obbedienzia tua,
Padre etterno, la quale gli (33) ponesti quando el vestisti della nostra
umanità, pigliando la natura e imagine nostra umana. Oh abisso di carità! qual
cuore si può difendere che non scoppi a vedere l'altezza discesa a tanta
bassezza quanta è la nostra umanità? Noi siamo imagine tua, e tu imagine nostra
per l'unione che hai fatta ne l'uomo, velando la Deitá etterna con la
miserabile nuvila e massa corrocta d'Adam. Chi n'è cagione? L'amore. Tu, Dio,
se' facto uomo, e l'uomo è facto Dio. Per questo amore ineffabile ti costringo
e prego che facci misericordia a le tue creature.
Alto del documento
Alora Dio, vollendo
l'occhio della sua misericordia verso di lei, lassandosi costrignere a le
lagrime e lassandosi legare a la fune del sancto desiderio suo, lagnandosi
diceva:
— Figliuola
dolcissima, la lagrima mi costrigne perché è unita con la mia caritá ed è
gittata per amore di me; e léganomi e' penosi desidèri vostri. Ma mira e vede
come la sposa mia ha lordata la faccia sua; come è lebbrosa per immondizia e
amore proprio e infiata superbia e avarizia di coloro che si pascono al petto
suo, cioè la religione cristiana, corpo universale; e anco il corpo mistico
della sancta Chiesa; ciò dico de' miei ministri, e' quali sonno quelli che si
pascono e stanno alle mamelle sue. E non tanto che essi si pascano, ma essi
hanno a pascere e tenere a queste mamelle l'universale corpo del popolo
cristiano e di qualunque altro volesse levarsi dalla tenebre della infedelità e
legarsi come membro nella Chiesa mia.
Vedi con quanta
ignoranzia e con quanta tenebre e con quanta ingratitudine è ministrato, e con
mani inmonde, questo glorioso latte e Sangue di questa sposa? e con quanta
presumpzione e inreverenzia è ricevuto? E però quella cosa che dá (34)
vita, spesse volte, per loro difecto, loro dá morte, cioè il prezioso sangue de
l'unigenito mio Figliuolo, el quale tolse la morte e la tènabre e donò la luce
e la veritá, e confuse la bugia.
Ogni cosa donò
questo sangue e adoperò intorno a la salute e a compire la perfeczione ne
l'uomo, a chi si dispone a ricévare; ché, come dá vita e dota l'anima d'ogni
grazia (poco e assai, secondo la disposizione e affecto di colui che riceve),
cosí dá morte a colui che iniquamente vive. Si che da la parte di colui che
riceve, ricevendolo indegnamente con la tenebre del peccato mortale, a costui
gli dá morte e non vita. Non per difecto del Sangue, né per difecto del
ministro che fusse in quello medesimo male o maggiore: però che’l suo
male non guasta né lorda il Sangue, né diminuisce la grazia e virtú sua, e però
non fa male a colui a cui egli el dà; ma a se medesimo fa male di colpa, alla
quale gli séguita la pena se esso non si corregge con vera contrizione e
dispiacimento della colpa sua.
Dico dunque che fa
danno a colui che ‘l riceve indegnamente, non per difecto del Sangue né
del ministro (come detto è), ma per la sua mala disposizione e difecto suo, che
con tanta miseria e immondizia ha lordata la mente e il corpo suo e tanta
crudeltá ha avuta a sé e al proximo suo. A sé l'ebbe tollendosi la grazia,
conculcando sotto e' piei de l'affetto suo el frutto del Sangue che trasse del
sancto baptesmo, essendoli giá tolta per virtú del Sangue la macchia del
peccato originale, la quale macchia trasse quando fu conceputo dal padre e
dalla madre sua. E però donai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo perché la
massa de l'umana generazione era corrocta per lo peccato del primo uomo Adam, e
però tutti voi, vaselli fatti di questa massa, eravate corrotti e non disposti
ad avere vita etterna.
Unde per questo lo,
altezza, unii me con la bassezza della vostra umanità: per remediare a la
corruczione e morte de l'umana generazione, e per restituirla a grazia, la
quale per lo peccato perdé. Non potendo Io sostenere pena (e della colpa voleva
la divina mia giustizia che n'escisse la pena) e non essendo sufficiente pure
uomo a satisfare, che se egli avesse pure in alcuna (35) cosa satisfacto, non
satisfaceva altro che per sé e non per l' altre creature che hanno in loro
ragione (benché di questa colpa né per sé né per altrui poteva egli satisfare,
perché la colpa era facta contra me che so' infinita bontá); volendo Io pure
restituire l'uomo, el quale era indebilito e non poteva satisfare perla cagione
detta e perché era molto indebilito, mandai el Verbo del mio Figliuolo vestito
di questa medesima natura che voi, massa corrocta d' Adam, acciò che sostenesse
pena in quella natura medesima che aveva offeso e, sostenendo sopra del corpo
suo infino a l’obrobriosa morte della croce, placasse l'ira mia.
E cosí satisfeci a
la mia giustizia e saziai la divina mia misericordia, la quale misericordia
volse satisfare a la colpa de l'uomo e disponerlo a quel bene per lo quale lo
l'avevo creato. Si che la natura umana, unita con la natura divina, fu
sufficiente a satisfare per tucta l'umana generazione, non solo per la pena che
sostenne nella natura finita, cioè della massa d'Adam, ma per la virtú della
Deitá etterna, natura divina infinita. Unita l'una natura ne l'altra, ricevecti
e acceptai el sacrifizio del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, intriso e
impastato con la natura divina col fuoco della divina carità, la quale fu
quello legame che ‘l tenne confitto e chiavellato in croce.
Or per questo modo
fu sufficiente a satisfare la colpa la natura umana: solo per virtú della
natura divina. Per questo modo fu tolta la marcia del peccato d' Adam, e rimase
solo el segno, cioè inchinamento al peccato e ogni difecto corporale. Si come
la margine che rimane quando l'uomo è guarito della piaga, cosí la colpa d'Adam
la quale menò marcia mortale. Venuto el grande medico de l'unigenito mio
Figliuolo, curò questo infermo beiendo la medicina amara, la quale l'uomo bere
non poteva perché era molto indebilito. Egli fece come la baglia che piglia la
medicina in persona del figliuolo, perché ella è grande e forte, e il fanciullo
non è forte a potere portare l'amaritudine. Si che egli fu baglia, portando con
la grandezza e fortezza della Deitá, unita con la natura vostra, l'amara
medicina della penosa morte della croce per sanare e dare vita a voi, fanciulli
indebiliti per la colpa.
36
Solo il segno
rimase del peccato originale, el quale peccato contraete dal padre e dalla
madre quando sète concepirti da loro. Il quale segno si tolle da l'anima,
benché nona tutto;
e questo si fa nel sancto baptesmo, el quale
baptesmo ha virtú e dá vita di grazia in virtú di questo glorioso e prezioso
sangue. Subbito che l'anima ha ricevuto il sancto baptesmo, l’è tolto il
peccato originale ed èlle infusa la grazia. E lo inchinamento al peccato (che è
la margine che rimane del peccato originale, come detto è) indebilisce, e può
l'anima rifrenarlo se ella vuole.
Alora el vasello de
l'anima è disposto a ricévare e aumentare in sé la grazia, assai e poco,
secondo che piacerà a lei di volere disponere se medesima con affetto e
desiderio di
volere amare e servire me. Cosí si può disponere
al male come al bene, non obstante che egli abbi ricevuta la grazia nel sancto
baptesmo. Unde venuto el tempo de la discrezione, per lo libero arbitrio può
usare il bene e il male secondo che piace a la volontà sua. Ed è tanta la
libertà che ha l'uomo, e tanto è facto forte per la virtú di questo glorioso
sangue, che né df lonfo egli né creatura il può costregnere a una minima colpa
piú che si voglia. Tolta gli fu la servitudine e facto libero, acciò che
signoreggiasse la sua propria sensualità e avesse il fine per lo quale era
stato creato.
Oh miserabile uomo
che si diletta nel loto come fa l'animale, e non ricognosce tanto benefizio
quanto ha ricevuto da me; piú non poteva ricevere la miserabile creatura piena
di tanta ignoranzia !
Alto del documento
— Voglio che tu
sappi, figliuola mia, che per la grazia che hanno ricevuta avendoli ricreati
nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e restituita a grazia l'umana
generazione (si come detto t'ho), non ricognoscendola, ma andando sempre di
male (37) in peggio e di colpa in colpa, sempre perseguitandomi con molte
ingiurie e tenendo tanto a vile le grazie che Io l'ho fatte e fo, che non tanto
che essi se la rechino a grazia, ma e' lo' pare ricevere alcuna volta da me
ingiuria, né piú né meno come se lo volesse altro che la loro sanctificazione;
dico che lo' sarà piú duro, e degni saranno di maggiore punizione. E cosí
saranno piú puniti ora, poi che hanno ricevuta la redempzione del sangue del
mio Figliuolo, che innanzi la redempzione, cioè innanzi che fusse tolta via la
marcia del peccato d'Adam. Cosa ragionevole è che chi piú riceve, piú renda e
piú sia tenuto a colui da cui egli riceve.
Molto era tenuto
l'uomo a me per l'essere che Io gli avevo dato, creandolo a la imagine e
similitudine mia. Era tenuto di rendermi gloria, ed egli me la tolse e volsela
dare a sé; per la qual cosa trapassò l'obedienzia mia imposta a lui e
diventommi nemico. Ed Io con l’umilità destruxi la superbia sua, umiliando la
natura divina e pigliando la vostra umanità; cavandovi dalla servitudine del
dimonio, fecivi liberi; e non tanto che Io vi desse libertà, ma, se tu vedi
bene, l'uomo è facto Dio, e Dio è facto uomo per l'unione della natura divina
nella natura umana.
Questo è uno debito
il quale hanno ricevuto, cioè il tesoro del Sangue, dove essi sonno ricreati a
grazia. Si che vedi quanto essi sono piú obligati a rendere a me doppo la
redempzione che inanzi la redempzione. Sonno tenuti di rendere gloria e loda a
me, seguitando le vestigie della Parola incarnata de l'unigenito mio Figliuolo,
e alora mi rendono debito d'amore di me e dileczione del proxitno con vere e
reali virtú, si come di sopra ti dixi. Non facendolo (perché molto mi debbono
amare), caggiono in maggiore offesa; e però Io per divina giustizia lo' rendo
piú gravezza di pena dando lo' l'esterna dampnazione. Unde molto ha piú pena
uno falso cristiano che uno pagano; e piú el consuma el fuoco senza consumare,
per divina giustizia, cioè affigge, e affliggendo si sentono consumare col
vermine della coscienzia e nondimeno non consuma, perché i dampnati non perdono
l'essere per veruno tormento che ricevano. Onde lo ti dico che essi dimandano
la morte e non la (38) possono avere, perché non possono perdere l'essere.
Perdéro l'essere della grazia per la colpa loro; ma l'essere no. Si che la
colpa è molto piú punita doppo la redempzione del Sangue che prima, perché
hanno piú ricevuto; e non pare che se n'aveggano né si sentano de' mali loro.
Essi mi sonno fatti nemici, avendoli reconciliati col mezzo del sangue del mio
Figliuolo.
Uno rimedio ci ha,
col quale lo placarò l'ira mia: cioè col mezzo de' servi miei, se solliciti
saranno di costrignermi con la lagrima e legarmi col legame del desiderio. Tu
vedi che con questo legame tu m'hai legato; il quale legame lo ti diei perché
volevo fare misericordia al mondo. E però do Io fame e desiderio ne' servi miei
verso l'onore di me e la salute de l'anime, acciò che, costretto da le lagrime
loro, mitighi el furore della divina mia giustizia.
Tolle dunque le
lagrime e il sudore tuo e tra' le della fontana della divina mia caritá tu e
gli altri servi miei; e con esse lavate la faccia a la sposa mia, ché Io ti
prometto che con questo
mezzo le sarà renduta la bellezza sua. Non con
coltello né con guerra né con crudeltá riavarà la bellezza sua; ma con la pace
ed umili e continue orazioni, sudori e lagrime, gittate con anxietato desiderio
de' servi miei. E cosí adempirò el desiderio tuo con molto sostenere, gictando
lume la pazienzia vostra nella tenebre degl'iniqui uomini del mondo. E non
temete perché ‘l mondo vi perseguiti, ché lo sarò per voi, e in veruna
cosa vi mancarà la mia providenzia.
Alto del documento
Alora quella anima
levandosi con maggiore cognoscimento, e con grandissima allegrezza e conforto
stando dinanzi a la divina Maestà, si per la speranza che ella avea presa della
divina (39) misericordia, e si per l'amore ineffabile il quale gustava vedendo
che, per amore e desiderio che Dio aveva di fare misericordia a l'uomo non
obstante che fussero suoi nemici, avea dato il modo e la via a' servi suoi come
potessero costregnere la sua bontá e placare l'ira sua, si rallegrava, perdendo
ogni timore nelle persecuzioni del mondo, vedendo che Dio fusse per lei. E
cresceva forte il fuoco del sancto desiderio, intanto che none stava contenta
ma con sicurtà sancta dimandava per tutto quanto el mondo.
E poniamo che nella
seconda petizione si conteneva el bene e l'utilitá de' cristiani e degli
infedeli, cioè nella reformazione della sancta Chiesa; nondimeno, come
affamata, si stendea l'orazione sua a tutto quanto el mondo (si come egli
stesso la faceva dimandare), gridando: — Misericordia, Idio etterno, verso le
tue pecorelle, si come pastore buono che tu se'. Non indugiare a fare
misericordia al mondo, però che giá quasi pare che egli non possa .piú, perché
al tutto pare privato de l'unione della caritá inverso di te, Verità etterna, e
verso di loro medesimi : cioè di non amarsi insieme d'amore fondato in te.
Alto del documento
Alora Dio, come
ebbro d'amore verso la salute nostra, teneva modo d'accendere maggiore amore e
dolore in quella anima in questo modo: mostrando con quanto amore aveva creato
l'uomo, (si come di sopra alcuna cosa dicemmo), e diceva: — Or non vedi tu che
ognituto mi percuote; e Io gli ho creati con tanto fuoco d'amore e dotatigli di
grazia; e molti, quasi infiniti doni ho dati a loro per grazia e non per
debito? Or vedi, figliuola, con quanti e diversi peccati essi mi percuotono, e
spezialmente col miserabile e abominevole amore proprio di loro medesimi, unde
(40) procede ogni male. Con questo amore hanno avelenato tutto quanto il mondo,
però che come l'amore di me tiene in sé ogni virtú parturita nel proximo (si
com' Io ti dimostrai), cosí l'amore proprio sensitivo, perché procede da la
superbia (come il mio procede da carità), contiene in sé ogni male. E questo
male fanno col mezzo della creatura, separati e divisi da la caritá del
proximo, perché me non hanno amato, né il proximo non amano, però che sonno
uniti l'uno e l'altro insieme. E però ti dissi che ogni bene e ogni male era
facto col mezzo del proximo, si come lo, di sopra, questa parola ti spianai.
Molto mi posso
lagnare de l'uomo che da me non ha ricevuto altro che bene, e a me dá odio
facendo ogni male. Perché Io ti dissi che con le lagrime de' servi miei
mitigarei l'ira mia; e cosí ti ridico. Voi, servi miei, paratevi dinanzi con le
molte orazioni e ansietati desidèri e dolore de l'offesa che è facta a me, e
della dannazione loro; e cosí mitigarete l'ira mia del divino giudicio.
Alto del documento
— Sappi che veruno
può escire delle mie mani: però che Io so' Colui che so'; e voi non sète per
voi medesimi se non quanto sète fatti da me, il quale so' Creatore di tutte le
cose
che participano essere, excepto che del
peccato che non è, e però non è facto da me e, perché non è in me, non è degno
d'essere amato. E però offende la creatura: perché ama quel che non debba
amare, cioè il peccato; e odia me che è tenuto e obligato d'amarmi, che so'
sommamente buono e hogli dato l'essere con tanto fuoco d'amore. Ma di me non
possono escire: o eglino ci stanno per giustizia per le colpe loro, o essi ci
stanno per misericordia. Apre dunque l'occhio de l'intelletto e mira nella mia
mano, e vedrai che egli è la veritá quel ch' Io t'ho detto. —
41
Alora ella, levando
l'occhio per obedire al sommo Padre, vedeva nel pugno suo rinchiuso tucto
l'universo mondo, dicendo Dio: — Figliuola mia, or vedi e sappi che veruno me
ne può essere tolto, però che tucti ci stanno o per giustizia o per
misericordia, come decto è, perché sonno miei e creati da me, e angoli
ineffabilemente. E però, non obstanti le iniquità loro, Io lo' farò
misericordia col mezzo de' servi miei, e adempirò la petizione tua, che con
tanto amore e dolore me l'hai adimandata.
Alto del documento
Alora quella anima
come ebbra e quasi fuore di sé, crescendo el fuoco del sancto desiderio, stava
quasi beata e dolorosa. Beata stava per l'unione che aveva facta in Dio,
gustando la larghezza e bontá sua, tucta annegata nella sua misericordia: e
dolorosa era vedendo offendere tanta bontá. E rendeva grazie a la divina
Maiestà, quasi cognoscendo che Dio avesse manifestato e' difecti delle creature
perché fusse costrecta a levarsi con piú sollicitudine e maggiore desiderio.
Sentendosi
rinnovare il sentimento de l'anima nella Deitá etterna, crebbe tanto el sancto
e amoroso fuoco che il sudore de l'acqua, el quale ella gictava per la forza
che l'anima faceva al corpo (perché era piú perfetta l'unione che quella anima
aveva fatta in Dio, che non era l'unione fra l'anima e il corpo, e però sudava
per forza e caldo d'amore), ella lo spregiava per grande desiderio che aveva di
vedere escire del corpo suo sudore di sangue; dicendo a se medesima: — O anima
mia, oimè ! tutto il tempo della vita tua hai perduto, e però sonno venuti
tanti danni e mali nel mondo e nella sancta Chiesa; molti, in comune e in
particulare. E però lo voglio che tu ora rimedisca col sudore del sangue. —
42
Veramente questa
anima aveva bene tenuta a mente la dottrina che le die' la Verità: di sempre
cognoscere sé e la bontá di Dio in sé; e il remedio che si voleva a rimediare
tutto quanto el mondo, a placare l'ira e il divino giudicio, cioè con umili,
continue e sancte orazioni.
Alora questa anima,
speronata dal sancto desiderio, si levava molto maggiormente aprendo l'occhio
de l'intelletto, e speculavasi nella divina carità, dove vedeva e gustava
quanto siamo
tenuti d'amare e di cercare la gloria e loda
del nome di Dio nella salute de l'anime. A questo vedeva chiamati e' servi di
Dio. E singularmente chiamava ed eleggeva la Verità etterna ci padre de l'anima
sua, ci quale ella portava dinanzi a la divina bontá, pregandola che infondesse
in lui uno lume di grazia acciò che in veritá seguitasse essa Verità.
Alto del documento
Alora Dio, rispondendo
a la terza petizione, cioè della fame della salute sua, diceva:
— Figliuola, questo voglio: che egli cerchi di
piacere a me, Verità, nella fame della salute de l'anime, con ogni
sollicitudine. Ma questo non potrebbe né egli né tu né veruno altro avere senza
le molte persecuzioni, sí come Io ti dixi di sopra, secondo ch'io ve le
concedarò.
Si come voi
desiderate di vedere il mio onore nella sancta Chiesa, cosí dovete concipere
amore a volere sostenere con vera pazienzia. E a questo m'avedrò, che egli e tu
e gli altri miei servi cercarete il mio onore in veritá. Alora sarà egli ci
carissimo mio figliuolo, e riposarassi, egli e gli altri, sopra ci petto de
l'unigenito mio Figliuolo, del quale lo ho facto ponte perché tutti potiate
giognere al fine vostro e ricevere il frutto d'ogni vostra fadiga che avarete
sostenuta per lo mio amore. Si che portate virilemente.
43
Alto del documento
— E perché Io ti
dixi che del Verbo de l'unigenito mio Figliuolo avevo facto ponte, e cosí è la
veritá, voglio che sappiate, figliuoli miei, che la strada si ruppe, per lo
peccato e disobedienzia d'Adam, per si facto modo che neuno potea giognere a
vita durabile; e non mi rendevano gloria per quel modo che dovevano, non
participando quel bene per lo quale Io gli avevo creati a la imagine e
similitudine mia. E non avendolo, non s'adempiva la mia veritá. Questa veritá è
che Io l'avevo creato perché egli avesse vita etterna, e participasse me e
gustasse la somma ed etterna dolcezza e bontá mia. Per lo peccato suo non giogneva
a questo termine, e questa veritá non s'adempiva. E questo era però che la
colpa aveva serrato ci cielo e la porta della misericordia mia.
Questa colpa
germinò spine e tribolazioni con molte molestie; la creatura trovò ribellione a
se medesima subbito che ebbe ribellato a me; esso medesimo si fu ribello.
La carne impugnò subbito contra lo spirito,
perdendo lo stato della innocenzia, e diventò animale immondo. E tutte le cose
create gli furono ribelle, dove in prima gli sarebbero state obedienti se egli
si fusse conservato nello stato dove Io el posi. Non conservandosi, trapassò
l’obedienzia mia, e meritò morte etternale ne l'anima e nel corpo.
E corse, disúbbito
che ebbe peccato, uno fiume tempestoso che sempre ci percuote con fonde sue,
portando fadighe e molestie da sé, e molestie dal dimonio e dal mondo. Tutti
annegavate, perché veruno, con tutte le sue giustizie, non poteva giognere a
vita etterna. E però Io, volendo rimediare a tanti vostri mali, v'ho dato il
ponte del mio Figliuolo, acciò che passando ci fiume non annegaste. EI quale
fiume è il mare tempestoso di questa tenebrosa vita.
44
Vedi quanto è tenuta la creatura a me! e
quanto è ignorante a volersi pure annegare e non pigliare il remedio ch' Io
l'ho dato!
Alto del documento
— Apre l'occhio de
l'intellecto e vedrai gli acciecati e ignoranti. E vedrai gl' imperfecti e i
perfecti che in veritá seguitano me, acciò che tu ti doglia della dannazione
degl'ignoranti e rallegriti della perfeczione de' dilecti figliuoli miei.
Ancora vedrai che modo tengono quelli che vanno a lume e quelli che vanno a
tenebre. Ma innanzi voglio che raguardi el ponte de l'unigenito mio Figliuolo,
e vede la grandezza sua che tiene dal cielo a la terra, cioè raguarda che è
unita con la grandezza della Deitá la terra della vostra umanità. E però dico
che tiene dal cielo a la terra, cioè per l'unione che Io ho facta ne l'uomo.
Questo fu di
necessità a volere rifare la via che era rocta, si come lo ti dixi, acciò che
giogneste a vita e passaste l'amaritudine del mondo. Pure, di terra non si
poteva fare di tanta
grandezza che fusse sufficiente a passare il
fiume e darvi vita etterna, cioè che pure la terra della natura de l'uomo non
era sufficiente a satisfare la colpa e tollere via la marcia del peccato
d'Adam, la quale marcia corruppe tucta l'umana generazione e trasse puzza da
lei, si come di sopra ti dixi. Convennesi dunque unire con l'altezza della
natura mia, Deitá etterna, acciò che fusse sufficiente a satisfare a tucta
l'umana generazione: la natura umana sostenesse la pena, e la natura divina
unita con essa natura umana acceptasse il sacrifizio del mio Figliuolo, offerto
a me per voi per tòllarvi la morte e darvi la vita.
Si che l'altezza
s'aumiliò a la terra, e della vostra umanità unita l'una con l'altra se ne fece
ponte, e rifece la strada. Perché si fece via? acciò che in veritá veniste a
godere con (45) la natura angelica; e non bastarebbe a voi ad avere la vita
perché ‘l Figliuolo mio vi sia facto ponte, se voi non teneste per esso.
Alto del documento
Qui mostrava la
Verità etterna che elli ci aveva creati senza noi, ma non ci salvarà senza noi;
ma vuole che noi ci mettiamo la volontà libera, col libero arbitrio exercitando
ci tempo con le vere virtú. E però subgionse a mano a mano dicendo:
— Tucti vi conviene
tenere per questo ponte, cercando la gloria e loda del nome mio nella salute de
l'anime, con pena sostenendo le molte fadighe, seguitando le vestigie di questo
dolce ed amoroso Verbo. In altro modo non potreste venire a me.
Voi sète miei
lavoratori che v'ho messi a lavorare nella vigna della sancta Chiesa. Voi
lavorate nel corpo universale della religione cristiana; messi da me per
grazia, avendovi Io dato ci lume del sancto baptesmo. El quale baptesmo aveste
nel corpo mistico della sancta Chiesa per le mani de' ministri, e' quali lo ho messi
a lavorare con voi.
Voi sète nel corpo
universale, ed essi sonno nel corpo mistico, posti a pascere l'anime vostre,
ministrandovi ci Sangue ne' sacramenti che ricevete da .lei, traendone essi le
spine de' peccati mortali e piantandovi la grazia. Essi sonno miei lavoratori
nella vigna de l'anime vostre, legati nella vigna della sancta Chiesa.
Ogni creatura che
ha in sé ragione ha la vigna per se medesima, cioè la vigna de l'anima sua;
della quale la volontà col libero arbitrio nel tempo n'è facto lavoratore, cioè
mentre che elli vive. Ma poi che è passato ci tempo, neuno lavorio può fare, né
buono né gattivo; ma mentre che elli vive può lavorare la vigna sua, nella
quale Io l'ho messo. E ha ricevuta (46) tanta fortezza questo lavoratore de
l'anima che né dimonio né altra creatura gli ‘l può tollere se egli non
vuole; però che ricevendo el sancto baptesmo si fortificò e fugli dato un
coltello d'amore di virtú, e odio del peccato. El quale amore e odio truova nel
Sangue, però che per amore di voi e odio del peccato mori l'unigenito mio
Figliuolo, dandovi el Sangue, per lo quale Sangue aveste vita nel sancto
baptesmo.
Si che avete il
coltello, el quale dovete usare col libero arbitrio, mentre che avete il tempo,
per divellere le spine de' peccati mortali e piantare le virtú; però che in
altro modo da essi lavoratori che Io ho messi nella sancta Chiesa (de' quali ti
dixi che tollevano el peccato mortale della vigna de l'anima e davanvi la
grazia, ministrandovi el Sangue ne' sacramenti che ordinati sonno nella sancta
Chiesa) non ricevareste el frutto del Sangue.
Conviensi dunque
che prima vi leviate con la contrizione del cuore e dispiacimento del peccato e
amore della virtú; e alora ricevarete il frutto d'esso Sangue. Ma in altro modo
noi potreste ricevere, non disponendovi da la parte vostra come tralci uniti
nella vite de l'unigenito mio Figliuolo, el quale dixe: «Io so' vite vera; el
Padre mio è il lavoratore, e voi sète i tralci ». E cosí è la veritá: che lo
so' il lavoratore, però che ogni cosa che ha essere è uscito ed esce di me. La
potenzia mia è inextimabile, e con la mia potenzia e virtú governo tutto
l'universo mondo. Veruna cosa è fatta o governata senza me. Si che Io so' el
lavoratore che piantai la vite vera de l'unigenito mio Figliuolo nella terra della
vostra umanità, acciò che voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto.
E però chi non farà
frutto di sancte e buone operazioni sarà tagliato da questa vite, e seccarassi.
Però che separato da essa vite perde la vita della grazia ed è messo nel fuoco
etternale, sí come il tralcio che non fa frutto, che è tagliato subbito dalla
vite ed è messo nel fuoco perché non è buono ad altro. Or cosí questi cotali
tagliati per l'offese loro, morendo nella colpa del peccato mortale, la divina
giustizia (non essendo buoni ad altro) gli mette nel fuoco el quale dura
etternalmente.
47
Costoro non hanno
lavorata la vigna loro; anco l'hanno disfatta, e la loro e l'altrui. Non solo
che ci abbino messa alcuna pianta buona di virtú; ma essi n'hanno tratto il
seme della grazia, el quale avevano ricevuto nel lume del sancto baptesmo,
participando el sangue del mio Figliuolo, el quale fu el vino che vi porse
questa vite vera. Ma essi ne l'hanno tratto, questo seme, e datolo a mangiare
agli animali, cioè a diversi e molti peccati, e messolo sotto e' piei del
disordinato affetto, col quale affetto hanno offeso me e facto danno a loro e
al proximo.
Ma e' servi miei
non fanno cosí ; e cosí dovete fare voi, cioè essere uniti e innestati in
questa vite. E alora riportarete molto frutto, perché participarete de l'umore
della vite. E stando nel Verbo del mio Figliuolo state in me, perché lo so' una
cosa con lui ed egli con meco; stando in lui seguitarete la dottrina sua;
seguitando la sua dottrina participate della sustanzia di questo Verbo, cioè
participate della Deitá etterna unita ne l'umanità, traendone voi uno amore
divino dove l'anima s' inebbria. E però ti dixi che participate della sustanzia
della vite.
Alto del documento
— Sai che modo Io
tengo poi ch' e' servi miei sonno uniti in seguitare la dottrina del dolce ed
amoroso Verbo? Io gli poto, acciò che faccino molto frutto, e il frutto loro
sia provato e non insalvatichisca. Si come il tralcio che sta nella vite, che
il lavoratore il pota perché facci migliore vino e piú; e quello che non fa
frutto taglia e mette nel fuoco. E cosí fo lo lavoratore vero: e' servi miei
che stanno in me lo gli poto con le molte tribolazioni, acciò che faccino piú
frutto e migliore, (48) e sia provata in loro la virtú. E quegli che non fanno
fructo sono tagliati e messi al fuoco, come detto t'ho.
Questi cotali sonno
lavoratori veri, e lavorano bene l'anima loro, traendone ogni amore proprio,
rivoltando la terra de l’affecto loro in me. E nutricano e crescono ci seme
della grazia, ci quale ebbero nel sancto baptesmo. Lavorando la loro, lavorano
quella del proximo, e non possono lavorare l'una senza l'altra; e giá sai ch'
Io ti dixi che ogni male si faceva col mezzo del proximo e ogni bene. Si che
voi sète miei lavoratori, esciti di me, sommo ed etterno lavoratore, il quale
v'ho uniti e innestati nella vite per l'unione che lo ho fatta con voi.
Tiene a mente che
tutte le creature che hanno in loro ragione hanno la vigna loro di per sé. La
quale è unita senza veruno mezzo col proximo loro, cioè l'uno con l'altro. E
sonno tanto uniti che veruno può fare bene a sé che noi facci al proximo suo,
né male che non il faccia a lui. Di tutti quanti voi è fatta una vigna
universale, cioè di tutta la congregazione cristiana, e' quali sète uniti nella
vigna del corpo mistico della sancta Chiesa, unde traete la vita.
Nella quale vigna è
piantata questa vite de l'unigenito mio Figliuolo, in cui dovete essere
innestati. Non essendo voi innestati in lui, sète subito ribelli a la sancta
Chiesa e sète come membri tagliati dal corpo che subito imputridisce. È vero
che, mentre che avete il tempo, vi potete levare da la puzza del peccato col
vero dispiacimento e ricórrire a' miei ministri, e' quali sonno lavoratori che
tengono , te chiavi del vino, cioè del Sangue uscito di questa vite. El quale
Sangue è si facto e di tanta perfeczione che, per veruno difetto del ministro,
non vi può essere tolto ci fructo d'esso Sangue.
El legame della
caritá è quello che gli lega con vera umilità, acquistata nel vero
cognoscimento di sé e di me. Si che vedi che tutti v'ho messi per lavoratori. E
ora di nuovo v'invito, perché’l mondo giá viene meno, tanto sonno
multiplicate le spine che hanno affogato ci seme, in tanto che veruno fructo ai
grazia vogliono fare.
49
Voglio dunque che
siate lavoratori veri, che con molta sollicitudine aitiate a lavorare l'anime
nel corpo mistico della sancta Chiesa. A questo v'eleggo, perch' Io voglio fare
misericordia al Inondo, per lo quale tu tanto mi preghi.
Alto del documento
Alora l'anima con
ansietato amore diceva: — O inextimabile dolcissima carità, chi non s'accende a
tanto amore? Qual cuore si può difendere che non venga meno? Tu, abisso di
carità, pare che impazzi delle tue creature, come tu senza loro non potessi
vivere, con ciò sia cosa che tu sia lo Dio nostro che non hai bisogno di noi.
Del nostro bene a te non cresce grandezza, però che tu se' immobile; del nostro
male a te non è danno, però che tu se' somma ed etterna bontá. Chi ti muove a
fare tanta misericordia? L'amore; e non debito né bisogno che tu abbi di noi,
però che noi siamo rei e malvagi debitori.
Se io veggo bene,
somma, ed etterna Verità, io so' ci ladro e tu se' lo 'npiccato per me; perché
veggo ci Verbo tuo Figliuolo confitto e chiavellato in croce, del quale m'hai
facto ponte, secondo che hai manifestato a me, miserabile tua serva. Per la
quale cosa ci cuore scoppia, e non può scoppiare per la fame e desiderio che è
conceputo in te. Ricordomi che tu volevi mostrare chi sono coloro che vanno per
lo ponte, e chi non vi va. E però, se piacesse a la bontá tua di manifestarlo,
volontieri ci vedrei e l'udirei da te.
Alto del documento
50
Alora Dio etterno
per fare piú inamorare e inanimare quella anima verso la salute de l'anime, le
rispose e dixe: — Prima ch' Io ti mostri quel ch'Io ti voglio mostrare e di che
tu mi dimandi, ti voglio dire come il ponte sta.
Decto t'ho che egli
tiene dal cielo a la terra: cioè per l'unione che Io ho fatta ne l'uomo, el
quale Io formai del limo della terra. Questo ponte, unigenito mio Figliuolo, ha
in sé tre scaloni; delle quali le due furono fabricate in sul legno della
sanctissima croce, e la terza anco senti la grande amaritudine quando gli fu
dato bere fiele ed aceto.
In questi tre
scaloni cognoscerai tre stati de l'anima, e' quali Io ti dichiararò di sotto.
El primo scalone
sonno e' piei, e' qualì significano l'affetto; però che come i piei portano el
corpo, cosí l'affetto porta l'anima. E' piei confitti ti sonno scalone acciò
che tu possa giognere al costato, il quale ti manifesta el segreto del cuore.
Però che salito in su' piei de l'affetto, l'anima comincia a gustare l'affetto
del cuore, ponendo l'occhio de l'intelletto nel cuore aperto del mio Figliuolo,
dove truova consumato e ineffabile amore.
Consumato, dico,
ché non v'ama per propria utilitá, però che utilitá a lui non potete fare, però
che egli è una cosa con meco. Alora l'anima s'empie d'amore, vedendosi tanto
amare. Salito el secondo, giogne al terzo, cioè a la bocca, dove truova la pace
della grande guerra che prima aveva avuta per le colpe sue.
Per lo primo
scalone, levando e' piei de l'affetto dalla terra, si spoglia del vizio; nel
secondo s'empí d'amore con virtú, e nel terzo gustò la pace.
51
Si che il ponte ha
tre scaloni acciò che, salendo el primo e il secondo, potiate giognere a
l'ultimo. Ed è levato in alto si che, correndo l'acqua, non l'offende, però che
in lui non fu veleno di peccato.
Questo ponte è
levato in alto, e non è separato però dalla terra. Sai quando si levò in alto?
Quando fu levato in sul legno della sanctissima croce, non separandosi però la
natura divina dalla bassezza della terra della vostra umanità; e però ti dixi
che, essendo levato in alto, non era levato dalla terra, perché ella era unita
e impastata con essa. Non era veruno che sopra el ponte potesse andare infino
che egli non fu levato in alto; e però dixe egli: «Se Io sarò levato in alto,
ogni cosa tirarò a me ».
Vedendo la mia
bontá che in altro modo non potavate essere tratti, manda' lo perché fusse
levato in alto in sul legno della croce, facendone una ancudine dove si
fabricasse il figliuolo de l'umana generazione, per tollergli la morte e
rivestirlo a la vita della grazia.
E però trasse ogni cosa a sé per questo modo,
per dimostrare l'amore ineffabile che v'aveva, perché’l cuore de l'uomo è
sempre tratto per amore. Maggiore amore mostrare non vi poteva che dare la vita
per voi. Per forza dunque è tratto da l'amore, se giá l'uomo ignorante non fa
resistenzia in non lassarsi trare. Dixe dunque che, essendo levato in alto,
ogni cosa trarrebbe a sé; e cosí è la veritá.
E questo s'intende
in due modi. L'uno si è che, tratto il cuore de l'uomo per affetto d'amore,
come detto t'ho, è tratto con tutte le potenzie de l'anima, cioè la memoria, l’
intelletto e la volontà. Acordate queste tre potenzie e congregate nel nome
mio, tutte l'altre operazioni che egli fa, attuali e mentali, sonno traete
piacevoli e unite in me per affetto d'amore, perché s'è levato in alto seguitando
l'amore crociato. Si che ben dixe veritá la mia Verità dicendo: «Se Io sarò
levato in alto ogni cosa trarrò a me », cioè che, tratto il cuore e le potenzie
de l'anima, saranno tratte tutte le sue operazioni.
L'altro modo si è
perché ogni cosa è creata in servigio dell'uomo. Le cose create sonno fatte
perché servano e sovengano (52) a la necessità delle creature; e non la
creatura, che ha in sé ragione, è fatta per loro: anco per me, acciò che mi
serva con tutto el cuore e con tutto l'affetto suo. Si che vedi che, essendo
tratto l'uomo, ogni cosa è tratta, perché ogni cosa è fatta per lui.
Fu dunque di
bisogno che ‘l ponte fusse levato in alto, e abbi le scale, acciò che si
possa salire con piú agevolezza.
Alto del documento
— Questo ponte si
ha le pietre murate acciò che, venendo la piova, non impedisca l’andatore. Sai
quali pietre sonno queste? sonno le pietre delle vere e reali virtú. Le quali
pietre non erano murate innanzi alla passione di questo mio Figliuolo, e però
erano impediti che neuno poteva giognere al termine suo, quantunque essi
andassero per la via delle virtú. Non era ancora diserrato el cielo con la
chiave del Sangue, e la piova della giustizia non gli lassava passare.
Ma, poi che le pietre
furono fatte e fabricate sopra el Corpo del Verbo del dolce mio Figliuolo (di
cui Io t’ho detto che è ponte), egli le mura e intride la calcina, per murarle,
col Sangue suo; cioè che ‘l Sangue è intriso con la calcina della Deitá e
con la forza e fuoco della caritá.
Con la potenzia mia
murate sonno le pietre delle virtú sopra lui medesimo, però che neuna virtú è
che nonísia provata in lui, e da lui hanno vita tutte le virtú. E però veruno
può avere virtú, che dia vita di grazia, se non da lui, cioè seguitando le
vestigie e la dottrina sua. Egli ha maturate le virtú, ed egli l'ha piantate
come pietre vive, murate col Sangue suo, acciò che ogni fedele possa andare
expeditamente e senza veruno timore servile (53) piova della divina giustizia,
perché è ricoperto con misericordia. La quale misericordia discese di cielo
nella Incarnazione di questo mio Figliuolo. Con che s'aperse? con la chiave del
sangue suo.
Si che vedi che ‘l
ponte è murato, ed è ricoperto con la misericordia, e su v'è la bottiga
del giardino della sancta Chiesa, la quale tiene e ministra el Pane della vita,
e dá bere il Sangue, acciò ch'e' viandanti peregrini delle mie creature,
stanchi, non vengano meno nella via. E per questo ha ordinato la mia caritá che
vi sia ministrato el Sangue e ‘l Corpo de l'unigenito mio Figliuolo tutto
Dio e tutto uomo.
E passato el ponte,
si giogne a la porta, la quale porta è esso ponte, per la quale tutti vi
conviene intrare. E però disse Egli: « Io so' via, veritá e vita. Chi va per me
non va per la tenebre, ma per la luce ». E in uno altro luogo disse la mia
Verità: che neuno poteva venire a me, se non per lui; e cosí è la veritá.
E, se bene ti
ricorda, cosí ti dixi e mostrato te l'ho, volendoti fare vedere la via. Unde,
se Egli dice che è via, egli è la veritá. E giá te l'ho mostrato che Egli è via
in forma d'uno ponte. E dice che è veritá, e cosí è, perciò che Egli è unito
con meco che so' veritá, e chi el séguita va per la veritá. Ed è vita; e chi
séguita questa vita riceve la vita della grazia e non può perire di fame,
perché la Verità vi s'è facto cibo.
Né può cadere in
tenebre, perché Egli è luce, privato della bugia: anco con la veritá confuse e
destrusse la bugia del dimonio, la quale elli dixe ad Eva. La quale bugia ruppe
la strada del cielo; e la Verità l'ha racconcia e murata col Sangue. Quegli che
seguiranno questa via sonno figliuoli della Verità, perché seguitano la Verità,
e passano per la porta della Verità, e truovansi in me unito con la porta e via
del mio Figliuolo, Verità etterna, mare pacifico. Ma chi non tiene per questa
via, tiene di sotto per lo fiume, la quale è via non posta con pietre, ma con
acqua. E perché l'acqua non ha ritegno veruno, nessuno vi può andare che non
annieghi. Cosí sonno fatti e' dilecti e gli stati del mondo. E perché l'affetto
non è posto sopra (54) la pietra, ma è posto con disordinato amore nelle
creature e nelle cose create, amandole e tenendole fuore di me, ed elle sonno
fatte come l'acqua che continuamente corre; cosí corre l'uomo come elleno,
benché a lui pare che corrano le cose create che egli ama, ed egli è pur elli
che continuamente corre verso il termine della morte. Vorrebbe tenere sé, cioè
la vita sua e le cose che egli ama, che non corrissero venendoli meno o per la
morte che egli lassi loro, o per mia dispensazione che le cose create sieno
tolte dinanzi alle creature. Costoro seguitano la bugia tenendo per la via
della bugia, e sonno figliuoli del dimonio, el quale è padre delle bugie. E'
perché passano per la porta della bugia, ricevono etterna dannazione.
Si che vedi ch' Io
t'ho mostrata la veritá e mostrata la bugia: cioè la via mia che è veritá e
quella del dimonio che è bugia.
Alto del documento
— Queste sonno due
strade, e per ciascuna si passa con fadiga. Mira quanta è l’ignoranzia e
ciechità dell'uomo, che, essendoli fatta la via, vuole tenere per l'acqua. La
quale via è di tanto dilecto a coloro che vanno per essa, che ogni amaritudine
lo' diventa dolce e ogni grande peso lo' diventa leggero. Essendo nella tenebre
del corpo, truovano la luce; ed essendo mortali, truovano la vita immortale,
gustando per affetto d'amore, col lume della fede, la veritá etterna che
promette di dare refrigerio a chi s'affadiga per me, che so' grato e
cognoscenté, e so' giusto, che a ogniuno rendo giustamente secondo che merita;
unde ogni bene è remunerato e ogni colpa punita.
El dilecto che ha
colui che va per questa via non sarebbe la lingua tua sufficiente a poterlo
narrare, né l'orecchia a poterlo udire, né l'occhio a poterlo vedere; però che
in questa vita gusta e participa di quel bene che gli è apparecchiato nella
(55) vita durabile. Bene è dunque macto colui che schifa tanto bene, ed elegge
innanzi, di gustare in questa vita l'arra de l'inferno, tenendo per la via di
sotto, dove va con molte fadighe e senza neuno refrigerio e senza veruno bene;
però che per lo peccato loro sonno privati di me che so' sommo ed etterno Bene.
Bene hai dunque
ragione di dolerti, e voglio che tu e gli altri servi miei stiate in continua
amaritudine de l'offesa mia compassione de l' ignoranzia e danno loro, con la
quale e
ignoranzia m'offendono.
Or hai veduto e
udito del ponte come egli sta; e questo ho detto per dichiarare quello ch' Io
ti dissi, che era ponte l'unigenito mio Figliuolo (e cosí vedi che è la
veritá), facto per lo modo che Io t’ho detto, cioè unita l'altezza con la
bassezza.
Alto del documento
— Poi che
l'unigenito mio Figliuolo ritornò a me, doppo la resurrexione quaranta di,
questo ponte si levò da la terra, cioè dalla conversazione degli uomini, e
salse in cielo per la virtú della natura mia divina, e siede da la mano dricta
di me, Padre etterno. Si come disse l'angelo a' discepoli el di de
l'Ascensione, stando quasi come morti perché i cuori loro erano levati in alto
e saliti in celo con la sapienzia del mio Figliuolo. Disse: «Non state piú qui,
ché elli siede da la mano dricta del Padre ».
Levato in alto e
tornato a me Padre, lo mandai el Maestro, cioè lo Spirito sancto, el quale
venne con la potenzia mia e con la sapienzia del mio Figliuolo e con la
clemenzia sua, d'esso Spirito sancto. Egli è una cosa con meco Padre e col
Figliuolo mio, unde fortificò la via della dottrina che lassò la mia Verità nel
mondo; e però, partendosi la presenzia, non si parti (56) la doctrina né le
virtú, vere pietre fondate sopra questa doctrina, la quale è la via che v'ha
facto questo dolce e glorioso ponte. Prima adoparò Egli, e con le sue
operazioni fece la via, dando la doctrina a voi per exemplo piú che per parole:
anco prima fece che Egli dicesse.
Questa doctrina
certificò la clemenzia dello Spirito sancto, fortificando le menti de'
discepoli a confessare la veritá ed annunziare questa via, cioè la doctrina di
Cristo crocifixo, ripren. dendo per mezzo di loro el mondo delle ingiustizie e
de' falsi giudici. Delle quali ingiustizie e giudicio, di socto piú
distesamente ti narrarò.
Hocti decto questo
acciò che ne le menti di chi ode non potesse cadere veruna tenebre che
obfuscasse la mente; cioè che volessero dire che di questo Corpo di Cristo se
ne fece
ponte per l'unione della natura divina unita
con la natura umana. Questo veggo che egli è la veritá. Ma questo ponte si
parti da noi salendo in celo. Egli ci era una via che c'insegnava la veritá
vedendo l’exemplo e i costumi suoi. Ora che ci è rimaso? e dove truovo la via?
Dicotelo, cioè dico a coloro a cui cadesse questa ignoranzia.
La via della
doctrina sua, la quale Io t'ho decta, confermata dagli appostoli e dichiarata
nel sangue de' martiri, illuminata con lume de' doctori e confessata per li
confessori, e tractane
la carta per li evangelisti, e' quali stanno
tucti come testimoni a confessare la veritá nel corpo mistico della sancta
Chiesa. Egli sonno come lucerna posta in sul candelabro, per mostrare la via
della veritá, la quale conduce a vita con perfecto lume, come decto t'ho. E
come te la dicono? per pruova: perché l'hanno provata in loro medesimi. Si che
ogni persona è illuminata in conoscere la veritá, se egli vuole (cioè che egli
non si voglia tollere il lume della ragione col proprio disordinato amore). Si
che egli è veritá che la doctrina sua è vera, ed è rimasa come navicella a
trare l'anima fuore del mare tempestoso e conducerla ad porto di salute.
Si che in prima Io
vi feci el ponte del mio Figliuolo, actuale, come decto ho, conversando con gli
uomini; e levato el ponte (57) actuale, rimase il ponte e la via della
doctrina, come decto è, essendo la doctrina unita con la potenzia mia, con la sapienzia
del Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito
sancto. Questa potenzia dá virtú di fortezza a chi séguita questa via; la
sapienzia gli dá lume che in essa via cognosce la veritá; lo Spirito sancto gli
dá amore, el quale consuma e tolle ogni amore proprio sensitivo fuore de
l'anima, e solo gli rimane l'amore delle virtú.
Si che in ogni
modo, o actuale o per doctrina, Egli è via e veritá e vita. La quale via è il
ponte che vi conduce a l'altezza del cielo. Questo volse dire quando Egli dixe:
« Io venni dal Padre, e ritorno al Padre, e tornarò ad voi ». Cioè a dire: — El
Padre mio mi mandò a voi, e hammi facto vostro ponte, acciò che esciate del
fiume e potiate giognere a la vita. — Poi dice: « E tornarò a voi. Io non vi
lassarò orfani, ma mandarovi el Paraclito ». Quasi dicesse la mia Verità: — lo
n'andarò al Padre e tornarò; cioè che, venendo lo Spirito sancto, il quale è
decto Paraclito, vi mostrarà piú chiaramente e vi confermatà me, via di veritá,
cioè la doctrina che Io v'ho data. —
Dixe che tornarebbe,
e Egli tornò, perché lo Spirito sancto non venne solo, ma venne con la potenzia
di me Padre, con la sapienzia del Figliuolo e con essa clemenzia di Spirito
sancto. Vedi dunque che torna: non actuale ma con la virtú, come decto è,
fortificando la strada della doctrina; la quale via e strada non può venire
meno né essere tolta a colui che la vuole seguitare, perché ella è ferma e
stabile e procede da me che non mi muovo.
Adunque virilmente
dovete seguitare la via, e senza alcuna nuvila ma col lume della fede, la quale
v'è data per principale vestimento nel sancto baptesmo.
Ora t'ho mostrato
apieno e dichiarato el ponte actuale e la doctrina, la quale è una cosa insieme
col ponte. E ho mostrato a l'ignorante chi gli manifesta questa via che ella è
veritá, e dove stanno coloro che la 'nsegnano; e dixi che erano gli appostoli,
evangelisti, martiri e confessori e i sancti doctori, posti nel luogo della
sancta Chiesa come lucerna.
58
E hocti detto e
mostrato come, venendo a me, egli tornò a voi, non presenzialmente ma con la
virtú, come detto t'ho, cioè venendo lo Spirito sancto sopra e' discepoli. Però
che presenzialmente non tornarà se non ne l'ultimo di del giudicio, quando
verrà con la mia maiestà e potenzia divina a giudicare il mondo e a rendere
bene a' buoni e remunerarli delle loro fadighe, l'anima e il corpo insieme, e
rendere male di pena etternale a coloro che iniquamente sonno vissuti nel
mondo.
Ora ti voglio dire
quello che lo veritá ti promissi, cioè di mostrarti quegli che vanno
imperfettamente, e quegli che vanno perfettamente, e altri con la grande
perfeczione, e ili che modo vanno; e gli iniqui che con le iniquità loro
s'aniegano nel fiume, giognendo a' crociati tormenti.
Ora dico a voi,
carissimi figliuoli miei, che voi teniate sopra el ponte e non di sotto, però
che quella non è la via della veritá: anco è quella della bugia, dove vanno gl'
iniqui peccatori, de' quali Io ora ti dirò. Questi sonno quegli peccatori, per
li quali lo vi prego che voi mi preghiate e per li quali Io vi richieggio
lagrime e sudori acciò che da me ricevano misericordia.
Alto del documento
Alora quella anima,
quasi come ebbra, non si poteva tenere; ma quasi stando nel cospetto di Dio,
diceva: — O etterna misericordia, la quale ricuopri e' difetti delle tue
creature, non mi maraviglio che tu dica di coloro che escono del peccato
mortale e tornano a te: « lo non mi ricordarò che tu m'offendessi mai ». O
misericordia ineffabile, non mi maraviglio che tu dica questo a coloro che
escono del peccato, quando tu dici di coloro che ti perseguitano: « Io voglio
che mi preghiate per loro, acciò che Io lo' facci misericordia ».
59
O misericordia la
quale esce della Deitá tua, Padre etterno, la quale governa con la tua potenzia
tutto quanto el mondo! Nella misericordia tua fummo creati: nella misericordia
tua fummo ricreati nel sangue del tuo Figliuolo. La misericordia tua ci
conserva, la misericordia tua fece giocare in sul legno della croce el
Figliuolo tuo alle braccia, giocando la morte con la vita e la vita con la
morte. E alora la vita sconfisse la morte della colpa nostra, e la morte della
colpa tolse la vita corporale allo immaculato Agnello. Chi rimase vinto? la
morte. Chi ne fu cagione? la misericordia tua.
La tua misericordia
dá vita. Ella dá lume per lo quale si conosce la tua clemenzia in ogni
creatura: ne' giusti e ne' peccatori. Ne l'altezza del cielo riluce la tua
misericordia, cioè ne' sancai tuoi. Se io mi vollo a la terra, ella abonda
della tua misericordia. Nella tenebre de l'inferno riluce la tua misericordia,
non dando tanta pena a' dannati quanta meritano.
Con la misericordia tua mitighi la giustizia;
per misericordia ci hai lavati nel Sangue; per misericordia volesti conversare
con le tue creature. O pazzo d'amore! non ti bastò d'incarnare, che anco
volesti morire? Non bastò la morte, che anco discendesti a lo 'nferno traendone
i santi padri, per adempire la tua veritá e misericordia in loro? Però che la
tua bontá promette bene a coloro che ti servono in veritá. Imperò discendesti a
limbo, per trare di pena chi t'aveva servito e rendar lo' el frutto delle loro
fadighe.
La misericordia tua
vego che ti costrinse a dare anco piú a l'uomo, cioè lassandoti in cibo, acciò
che noi, debili, avessimo conforto, e gl'ignoranti smemorati non perdessero la
ricordanza de' benefizi tuoi. E però el dài ogni di a l'uomo, rapresentandoti
nel Sacramento de l'altare nel corpo mistico della sancta Chiesa. Questo chi
l'ha facto? la misericordia tua.
O misericordia, el
cuore ci s'affoga a pensare di te, ché dovunque io mi vollo a pensare, non truovo
altro che misericordia, O Padre etterno, perdona a l' ignoranzia mia che ho
presumpto di favellare innanzi a te; ma l'amore della tua misericordia me ne
scusi dinanzi alla benignità tua.
60
Poi che quella
anima col verbo della parola ebbe un poco dilatato el cuore nella misericordia
di Dio, umilemente aspectava che la promessa le fusse actenuta. E ripigliando
Dio le sue parole dicea: — Carissima figliuola, tu hai narrato dinanzi da me
della misericordia mia, perché Io te la déi a gustare e a vedere nella parola
ch' Io ti dissi, dicendo: « Costoro sonno coloro per li quali Io vi prego che
mi preghiate ». Ma sappi che, senza veruna comparazione, è piú la misericordia
mia verso di voi che tu non vedi, però che ‘l tuo vedere è imperfecto e
finito, e la misericordia mia è perfecta e infinita. Si che comparazione non ci
si può ponere se non quella che è da la cosa finita a la infinita.
Ho voluto che
l'abbi gustata questa misericordia, e anco la dignità de l'uomo (la quale di
sopra ti mostrai), acciò che tu meglio conosca la crudeltá e la indegnità degl'
iniqui uomini che tengono per la via di socto. Apre l'occhio de l'intelletto, e
mira costoro che volontariamente s'anniegano, e mira in quanta indegnità essi
sonno caduti per le colpe loro.
Prima è che essi
sonno diventati infermi: e questo si è quando conciepéro el peccato mortale
nelle menti loro, poi el parturiscono e perdono la vita della grazia. E come il
morto, che veruno sentimento può adoperare, né si muove da se medesimo se non
quanto egli è levato da altrui, cosí costoro, che sonno annegati nel fiume de
l'amore disordinato del mondo, sonno morti a grazia. E perché egli son morti,
la memoria non ritiene il ricordamento della mia misericordia; l'occhio de
l'intelletto non vede né cognosce la mia veritá, perché ‘l sentimento è
morto, cioè che lo 'ntellecto non s'ha posto dinanzi altro che sé, con (61)
hanlore morto della propria sensualità. E però la volontà ancora è morta a la
volontà mia, perché non ama altro che cose morte. Essendo morte queste tre
potenzie, tutte l'operazioni sue e actuali e mentali sonno morte quanto che a
grazia, e giá non si può difendere da' nemici suoi, né aitarsi per se medesimo
se non quanto è aitato da me.
Bene è vero che
ogni volta che questo morto, nel quale è rimaso solo el libero arbitrio, mentre
che egli è nel corpo mortale, dimanda l'aiutorio mio, el può avere; ma per sé
non potrà mai. Egli è facto incomportabile a se medesimo e, volendo
signoreggiare il mondo, egli è signoreggiato da quella cosa che non è, cioè dal
peccato. El peccato è non cavelle, ed essi sonno facti servi e schiavi del
peccato.
Io gli feci arbori
d'amore con vita di grazia, la quale ebbero nel sancto baptesmo; ed essi sonno
facti arbori di morte, perché sonno morti, come decto t'ho. Sai dove egli tiene
la radice questo arbore? ne l'altezza della superbia, la quale l'amore
sensitivo proprio di loro medesimi notrica; el suo merollo è la impazienzia, el
suo figliuolo è la indiscrezione. Questi sonno quattro principali vizi, che
uccidono l'anima di colui el quale ti dixi che era arbore di morte, perché non
hanno tracta la vita della grazia. Dentro da l'arbore si notrica uno vermine di
coscienzia; el quale, mentre che l'uomo vive in peccato mortale, è acciecato
dal proprio amore, e però poco el sente.
E' fructi di questo
arbore sonno mortali, perché hanno tracto l'umore dalla radice della superbia;
la tapinella anima è piena d'ingratitudine, unde le procede ogni male. E se
ella fusse grata de' benefizi ricevuti, cognoscerebbe me; e cognoscendo me,
cognoscerebbe sé; e cosí starebbe nella mia dileczione. Ma ella, come cieca, si
va attaccando pur per lo fiume, e non vede che l'acqua non l’aspecta.
Alto del documento
62
— Tanto sonno
diversi e' fructi di questo arbore che dànno morte, quanto sonno diversi e'
peccati. Alcuni ne vedi che sonno cibo da bestie, e questi sonno quegli che
immondamente vivono, facendo del corpo e della mente loro come il porco che s'
involle nel loto: cosí s' invollono nel loto della carnalità. O anima brucia,
dove hai lassata la tua dignità? Tu eri fatta sorella degli angeli, ora se'
fatta animale bruto, in tanta miseria che non tanto che sieno sostenuti da me,
che so' somma purità, ma le dimonia, di cui essi sonno fatti amici e servi, non
possono vedere commettere tanta immondizia.
Veruno peccato è
che tanto sia abominevole e tanto tolga el lume de l'intelletto, quanto questo.
Questo cognobbero e' filosofi, non per lume di grazia, perché non l'avevano; ma
la natura lo' porgeva quello lume: cioè che questo peccato obfuscava lo
'ntellecto; e però si conservavano nella continenzia per meglio studiare. E
anco le ricchezze le gictavano da loro, acciò che ‘l pensiere delle
ricchezze non l'occupasse il cuore. Non fa cosí lo ignorante falso cristiano,
el quale ha perduta la grazia per la colpa sua.
Alto del documento
— Alcuni altri el
frutto loro è di terra. Questi sonno e' cupidi avari, e' quali fanno come la
talpa che sempre si notrica della terra infino a la morte; e gionti a la morte
non hanno rimedio. Costoro con l'avarizia loro spregiano la mia larghezza,
vendendo el tempo al proximo loro. Questi sonno gli usurai che diventano
crudeli e robbatori del proximo, perché nella memoria loro non hanno el
ricordamento della mia misericordia. Ché se essi l' avesheroavuto, non
sarebbero crudeli né verso di loro né verso del o' anco usarebbero pietà e
misericordia a se medesimi, operando le virtú, 'e al proximo, sovenendolo
caritativamente. Oh quanti sonno e' mali che per questo maladecto peccato
vengono! Quanti omicidii e furti e rapine, con molti guadagni inliciti e
crudeltá di morte e ingiustizia del proximo 1 Uccide l'anima e falla diventare
schiava delle ricchezze, unde non si cura d'observare i comandamenti miei.
Costui non ama persona se non per propria utilitá.
Questo vizio
procede da la superbia e notrica la superbia. L'uno procede da l'altro, perché
porta sempre seco la propria reputazione, si che subbito giogne ne l'altro
vizio, e cosí va di male in peggio per la miserabile superbia, la quale è piena
di pareri, ed è uno fuoco che sempre germina fummo di vanagloria e di vanità.
di cuore, gloriandosi di quello che non è loro; ed è una radice che ha molti
rami. El principale è la propria reputazione, unde esce il volere essere
maggiore che 'l proximo suo, e parturisce il cuore fitto e none schietto né
liberale, ma doppio che mostra una in lingua e un'altra ha in cuore; e occulta
la veritá, e dice la bugia per utilitá sua propria; e germina una invidia, la
quale è uno vermine che sempre rode e non gli lassa avere bene del suo bene
proprio né de l' altrui.
Come daranno questi
iniqui, posti in tanta miseria, della sustanzia loro a' povarelli, quando essi
tolgono l'altrui? Come traranno la immonda anima della immondizia, quando essi
ve la mettono? che alcuna volta sonno tanto animali che le figliuole e i
congionti loro non riguardano, ma con essi caggiono in molta miseria. E
nondimeno la mia misericordia gli sostiene, e non comando a la terra che
gl'inghiottisca, acciò che si ravegano delle colpe loro. Come dunque daranno la
vita per la salute de l'anime, quando non dànno la substanzia? come daranno la
dileczione, quando essi si rodono per invidia?
Oh miserabili vizi,
e' quali aterrano il cielo de l'anima! «Cielo » la chiamo, perch' lo la feci
cielo, dove lo abitavo per (64) grazia celandomi dentro da lei, e facendo
mansione per affetto d'amore. Ora .s'è partita da me si come adultera, amando
sé e le creature e le cose create piú che me: anco di sé s'ha facto Dio, e me
perseguita con molti e diversi peccati. E tutto questo fa perché non ripensa el
benefizio del Sangue sparto con tanto fuoco d'amore.
Alto del documento
— Altri sonno e'
quali tengono el capo alto per signoria; nella quale signoria portano la
'nsegna della ingiustizia, ingiustizia adoperando verso di me, Dio, e del
proximo, e ingiustizia verso di loro. Verso di loro non si rendono el debito
della virtú, e inverso di me non mi rendono el debito de l'onore, rendendo loda
e gloria al nome mio, el quale sonno tenuti di rendere. Anco, come ladri,
furano quello che è mio e dannolo a la serva della propria sensualità, si che
commette ingiustizia verso di me e verso di sé, come aciecato e ignorante, non
cognoscendo me in sé. Tutto è per l'amore proprio, si come fecero e' giuderi e
ministri della Legge, che per la invidia e amore proprio s'accecarono, e però
non cognobbero la veritá de l'unigenito mio Figliuolo; e però non rendevano il
debito di cognoscere vita etterna che era fra loro, come dixe la mia Verità
dicendo: « El regno di Dio è tra voi ». Ma essi nol cognoscevano: perché? però
che, per lo modo detto, aveano perduto el lume della ragione, e per questo modo
non rendevano il debito di rendere onore e gloria a me e a lui che era una cosa
con meco; e però, come ciechi, commissero la ingiustizia, perseguitandolo con
molti obrobri infino a la morte della croce.
Cosí questi cotali
rendono ingiustizia a loro e a me, e anco al proximo loro, ingiustamente
rivendendo le carni de' subditi loro e di qualunque altra persona a mano lo'
viene.
Alto del documento
65
— E per questo e
altri difecti caggiono nel falso giudicio, si come di sotto ti distendarò.
Sempre si scandalizzano nelle mie operazioni, le quali tucte sonno giuste e in
veritá tucte facte per amore e misericordia.
Con questo falso
giudicio, col veleno della invidia e della superbia erano calunniate e
giudicate ingiustamente l'operazioni del mio Figliuolo, con false bugie
dicendo: « Costui el fa in virtú di Belzebub ». Cosí costoro, iniqui, posti ne
l'amore proprio, nella immondizia, nella superbia, ne l'avarizia, in una
invidia, fondati nella perversa indiscrezione, con una impazienzia e con molti
altri mali che si commettono, sempre si scandalizzano in me e ne' servi miei,
giudicando che fictivamente aduoparino la virtú. Perché ‘l cuore loro è
fracido e hanno guasto el gusto, però le cose buone lo' paiono gactive, e le
gactive, cioè el disordinato vivere, lo' pare buono.
O ciechità umana,
che non guardi la tua dignità! ché di grande se' facto piccolo, di signore se'
facto servo della piú vile signoria che possa avere, però che tu se' facto
servo e schiavo del peccato, e tale diventi quale è quella cosa che tu servi.
El peccato non è tavelle: adunque tu se' tornato non tavelle. Hassi tolta la
vita e data la morte.
Questa vita e
questa signoria vi fu data per lo Verbo unigenito mio Figliuolo e glorioso
ponte; essendo servi del dimonio, vi trasse della servitudine sua; feci lui
servo per tollervi la servitudine, e posili l'obbedienzia per consumare la
disobbedienzia d'Adam, umiliandosi esso a l'obbrobriosa morte della croce per
confondere la superbia. Tutti e' vizi destruxe con la morte sua acciò che neuno
potesse dire: — Il cotale vizio rimase che non fusse punito e fabricato con
pene, — si come ti (66) dixi di sopra, dicendo che del corpo suo aveva facto
ancudine. Tutti e' rimedi sonno posti per camparli della morte etternale, ed
essi spregiano il Sangue e hannolo conculcato co' piei del disordinato affecto.
E questa è la
ingiustizia e il falso giudicio de' quali è ripreso el mondo e sarà ripreso ne
l'ultimo di del giudicio. E questo volse dire la mia Verità quando dixe: « Io
mandarò el Paraclito che riprendarà el mondo della ingiustizia e del falso
giudicio ». Alora fu ripreso quando mandai lo Spirito sancto sopra gli
appostoli.
Alto del documento
— Tre riprensioni
sonno: l'una fu data quando lo Spirito sancto venne sopra e' discepoli, come
detto è; e' quali, fortificati dalla potenzia mia, illuminati dalla sapienzia
del Figliuolo mio diletto, tutto ricevettero nella plenitudine dello Spirito
sancto. Alora lo Spirito sancto, che è una cosa con meco e col Figliuolo mio,
riprendeste il mondo per la bocca de' discepoli con la doctrina della mia Verità.
Eglino e tutti gli altri che sonno discesi da loro seguitando la veritá, la
quale intesero per mezzo di loro, riprendono el mondo. Questa è quella continua
riprensione che Io fo al mondo col mezzo della sancta Scriptura e de' servi
miei, ponendosi lo Spirito sancto nelle lingue loro anunziando la mia veritá;
si come el dimonio si pone in su la lingua de' servi suoi, cioè di coloro che
passano per lo fiume iniquamente.
Questa è quella dolce reprensione posta
continua, per lo modo detto, per grandissimo affecto d'amore che Io ho a la
salute de l'anime. E non possono dire: — Io non ebbi chi mi riprendesse; — però
che giá l'è mostrata la veritá, mostrando lo' el vizio e la virtú, e facto lo'
vedere il frutto della virtú (67) e il danno del vizio, per dar lo' amore e
timore sancto con odio del vizio e amore della virtú. E giá non l'è stata
mostrata questa doctrina e veritá per angelo, acciò che non possano dire: —
L'angelo è spirito beato e non può offendere, e non sente le molestie della
carne come noi, né la gravezza del corpo nostro. — Questo l'è tolto, che nol
possono dire; perché ella è stata data dalla mia Verità, Verbo incarnato con la
carne vostra mortale.
Chi sonno stati gli
altri che hanno seguitato questo Verbo? Creature mortali e passibili come voi,
con la impugnazione della carne contra lo spirito, si come ebbe il glorioso
Pavolo mio banditore; e cosí di molti altri sancoi e' quali, chi da una cosa e
chi da un'altra, sonno stati passionati. Le quali passioni lo permettevo e
permetto per acrescimento di grazia e per aumentare la virtú ne l'anime loro: e
cosí nacquero di peccato come voi, e notricati d'uno medesimo cibo; e cosí so'
lo Dio ora come alora; non è infermata né può infermare la mia potenzia. Si che
Io posso sovenire e voglio, e so sovenire a chi vuole essere sovenuto da me.
Alora vuole essere sovenuto da me, quando esce del fiume e va per lo ponte
seguitando la doctrina della mia Verità.
Si che non hanno
scusa però che sonno ripresi, ed è llo' mostrata la verita continuamente. Unde,
se essi non si correggeranno mentre che essi hanno ci tempo, saranno condennati
nella seconda reprensione, la quale si farà ne l'ultima extremità della morte,
dove grida la mia giustizia dicendo: « Surgite, mortui; venite ad iudicium
»; cioè: tu che se' morto a grazia e morto giogni a la morte corporale, lévati
su, e viene dinanzi al sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudicio tuo e
col lume spento della fede. El quale lume traesti acceso del sancto baptesmo, e
tu lo spegnesti col vento della superbia e vanità del cuore, del quale facevi
vela a' venti che erano contrari a la salute tua; e’l vento della propria
reputazione notricavi con la vela de l'amore proprio. Unde corrivi per lo fiume
delle delizie e stati del mondo con la propria volontà, seguitando la fragile
carne e le molestie e temptazioni del dimonio. Il quale (68) dimonio con la
vela della tua propria volontà t'ha menato per la via di socto, la quale è uno
fiume corrente; unde t'ha condocto con lui insieme a l'etterna dannazione.
Alto del documento
— Questa seconda
reprensione, carissima figliuola, è in facto, perché è gionto a l'ultimo dove
non può avere rimedio, perché s'è condocto a la extremità della morte, dove il
vermine della coscienzia (del quale Io ti dixi che era aciecato per lo proprio
amore che egli aveva di sé), ora, nel tempo della morte, perché vede sé non potere
escire delle mie mani, questo vermine comincia a vedere, e però rode con
reprensione se medesimo, vedendo che per suo difecto è condocto in tanto male.
Se essa anima avesse lume che cognoscesse, e dolessesi della colpa sua non per
la pena de l'inferno che ne le séguita, ma per me che m'ha offeso che so' somma
ed etterna bontá, anco trovarebbe misericordia. Ma se passa el ponto della
morte senza lume, e solo col vermine della coscienzia, e senza la speranza del
Sangue; o con propria passione, dolendosi del danno suo piú che de l'offesa
mia; egli giogne a l’etterna dannazione.
E alora è ripreso crudelmente dalla mia
giustizia, ed è ripreso della ingiustizia e del falso giudicio. E non tanto
della ingiustizia e giudicio generale, il quale ha usato nel mondo generalmente
in tucte le sue operazioni; ma molto maggiormente sarà ripreso della
ingiustizia e giudicio particulare, il quale ha usato ne l'ultimo, cioè d'avere
posta, giudicando, maggiore la miseria sua che la misericordia mia. Questo è
quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché non ha voluto,
spregiando, la mia misericordia; però che piú m'è grave questo che tucti gli
altri peccati che egli ha commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque
piú e fu piú grave al moi (69) Figliuolo che non fu el tradimento che egli gli
fece. Si che sonno ripresi di questo falso giudicio: d'avere posto maggiore il
peccato loro che la misericordia mia, e però sonno puniti con le dimonia e
crociati etternalmente con loro.
E sonno ripresi
della ingiustizia: e questo è quando si dogliono piú del danno loro che de
l'offesa mia. Alora commectono ingiustizia, perché non rendono a me quello che
è mio ed a loro quello che è loro: a me debbono rendere amore e amaritudine con
la contrizione del cuore, e offerirla dinanzi a me per l'offesa che m'hanno
facta; ed egli fanno el contrario, ché dànno a loro amore compassionevole di
loro medesimi e dolore della pena che per la colpa loro aspectano. Si che vedi
che commectono ingiustizia, e però sonno puniti dell'uno e de l'altro insieme,
avendo essi dispregiata la misericordia mia. E lo, con giustizia, gli mando
insieme con la serva loro crudele della sensualità, col crudele tiranno del
dimonio, di cui si fecero servi col mezzo d'essa serva della propria sensualità
loro, ché insieme siano puniti e tormentati, come insieme m'hanno offeso.
Tormentati, dico, da' miei ministri dimoni, e' quali ha messi la mia giustizia
a rendere tormento a chi ha facto male.
Alto del documento
— Figliuola, la
lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste tapinelle anime. Come sono
tre principali vizi, cioè l'amore proprio di sé; unde esce il secondo, cioè la
propria reputazione; e da la reputazione procede il terzo, cioè la superbia,
con falsa ingiustizia e crudeltá e con altri immondi e iniqui peccati che doppo
questi seguitano: cosí ti dico che ne lo 'nferno egli hanno quattro tormenti
principali, a' quali seguitano tucti gli altri tormenti.
70
El primo si è che
si vegono privati della mia visione; el quale l'è tanta pena che, se possibile
lo' fusse, eleggerebbero piuttosto el fuoco e i crociati tormenti e vedere me
che stare fuore delle pene e non vedermi. Questa pena lo' rinfresca la seconda
del vermine della coscienzia, el quale sempre rode, vedendosi privato di me e
della conversazione degli angeli per loro difetto, e fattisi degni della
conversazione delle dimonia e visione loro. El quale vedere del dimonio (che è
la terza pena) gli raddoppia ogni sua fadiga.
Unde, come nella
visione di me e' sancti sempre exultano, rinfrescandosi con allegrezza il
frutto delle loro fadighe che essi hanno portate per me, con tanta abondanza
d'amore e dispiacimento di loro medesimi; cosí, in contrario, questi tapinelli
si rinfrescano ne' tormenti nella visione delle dimonia, però che nel vedere
loro cognoscono piú sé, cioè cognoscono che per loro difetto se ne sonno fatti
degni. E per questo modo il vermine piú rode, e non ristà mai el fuoco di
questa coscienzia d'ardere.
Ancora l'è piú
pena, perché’l vegono nella propria figura sua, la quale è tanto orribile
che non è cuore d'uomo che ‘l potesse imaginare. E, se ben ti ricorda,
sai che, mostrandolo a te nella forma sua in piccolo spazio di tempo (che sai
che quasi fu uno punto), tu eleggevi, poi che tornasti a te, prima di volere
andare per una strada di fuoco, se dovesse durare infino a l'ultimo di del
giudicio, e andare sopra esso, innanzi che vederlo piú. Con tutto questo che tu
vedesti, arco non sai bene quanto egli è orribile; però che si mostra, per
divina giustizia, piú orribile ne l'anima che è privata di me, e piú e meno
secondo la gravezza delle colpe loro.
El quarto tormento
si è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, però che l'anima non si può
consumare l'essere suo; e non è cosa materiale, la quale materia el fuoco la
consumasse, però che ella è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso
che’l fuoco gli arda aliggitivamente, che gli affligge e non gli consuma.
E afliiggeli e ardeli con grandissime pene, in diversi modi, secondo la
diversità de' peccati; chi piú e chi meno, secondo la gravezza della colpa.
71
Sopra questi
quattro tormenti escono tutti quanti gli altri: con freddo e caldo e stridore
di denti. Or cosí miserabilemente, doppo la riprensione che lo' fu fatta del
giudicio e della ingiustizia nella vita loro, e non si corressero in questa
prima riprensione, come detto è di sopra; e nella seconda, cioè nella morte,
non volsero sperare né dolersi de l'offesa mia ma si della pena loro; hanno
ricevuto morte etterna.
— Ora ti resto a
dire della terza riprensione, cioè de l'ultimo di del giudicio. Già t'ho detto
delle due: ora, acciò che tu vegga bene quanto l'uomo s'inganna, ti dirò della
terza, cioè del giudicio generale, nel quale a l'anima tapinella sarà
rinfrescata e cresciuta la pena, per l'unione che l'anima farà col corpo, con
una riprensione intollerabile, la quale le genererà confusione e vergogna.
Sappi che ne
l'ultimo di del giudicio, quando verrà il Verbo mio Figliuolo con la divina mia
Maiestà a riprendere il mondo con la potenzia divina, egli non verrà come
povarello, si come quando egli nacque venendo nel ventre della Vergine e
nascendo nella stalla fra gli animali, e poi morendo in mezzo fra due ladroni.
Alora lo nascosi la potenzia mia in lui, lassandolo sostenere pene e tormenti
come uomo: non che la natura mia divina fusse però separata da la natura umana;
ma lassa' lo patire come uomo per satisfare a le colpe vostre.
Non verrà cosí ora
in questo ultimo punto; ma verrà con potenzia a riprendere egli con la propria
persona. E non sarà alcuna creatura che non riceva tremore, e renderà a ogniuno
il debito suo.
A' dannati
miserabili lo' darà tanto tormento l’àspecto suo e tanto terrore che la lingua
non sarebbe sufficiente a narrarlo; (72) a' giusti darà timore di reverenzia
con grande giocondità. Non che egli si muti la faccia sua, però che egli è
immutabile, perché è una cosa con meco, secondo la natura divina. E secondo la
natura umana, la faccia sua anco è immutabile, poi che prese la gloria della
resurrexione. Ma a l'occhio del dannato se gli mostrarrà cotale, però che, con
quello occhio terribile e obscuro che egli ha in se medesimo, con quello el
vedrà. Si come l'occhio infermo che del sole, che è cosí lucido, non vede altro
che tenebre; e l'occhio sano vede la luce. E questo non è per difecto della
luce che si muti piú al cieco che a l'alluminato, ma è per difecto de l'occhio
che è infermo. Cosí e' dannati el veggono in tenebre, in confusione e in odio,
non per difecto della divina mia Maiestà con la quale egli verrà a giudicare il
mondo, ma per difecto loro.
Alto del documento
— Egli è tanto
l'odio che essi hanno, che non possono volere né desiderare veruno bene, ma
sempre mi bastemmiano. E sai perché eglino non possono desiderare il bene? però
che, finita la vita dell'uomo, è legato el libero arbitrio; per la qual cosa
non possono meritare, perduto che essi hanno el tempo.
Se eglino finiscono
in odio con la colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta
legata l'anima col legame de l'odio e sempre sta obstinata in quel male che
ella ha, rodendosi in se medesima, e accrescele sempre pene, e spezialmente
delle pene d'alcuni in particolare de' quali ella fosse stata cagione della dannazione
loro. Si come vi dimostrò quello ricco dannato quando chiedeva di grazia che
Lazzaro andasse a' suoi frategli, e' quali erano rimasi nel mondo, ad anunziare
le pene sue. Questo giá non faceva per caritá né per compassione de' frategli,
però che egli era privato della caritá e non poteva desiderare bene né in onore
di me né in salute loro; perché (73) giá t'ho decto che non possono fare alcuno
bene nel proximo e me bastemmiano, perché la vita loro fini ne l'odio di me e
della virtú. Ma perché dunque il faceva? però che egli era stato el maggiore e
avevali notricati nelle miserie nelle quali egli era vissuto, si che egli era
cagione della dannazione loro. Per la quale cagione se ne vedeva seguitare
pena, giognendo eglino al crociato tormento, con lui insieme, dove sempre in
odio si rodono, perché ne l'odio fini la vita loro.
Alto del documento
— Cosí l'anima
giusta, che finisce in affetto di caritá e legata in amore, non può crescere in
virtú venuto meno el tempo, ma può sempre amare con quella dileczione che egli
viene a me; e con quella misura gli è misurato. Sempre desidera me, e sempre
m'ha; unde il 'suo desiderio non è votio, ma avendo fame è saziato; e saziato si
ha fame; e dilonga è il fastidio dalla sazietà, e dilonga è la pena dalla fame.
Ne l'amore godono
ne l'etterna mia visione, participandó quel bene che lo ho in me medesimo,
ognuno secondo la misura sua; cioè con quella misura de l'amore che essi sono
venuti a me, con quella l'è misurato, perché sonno stati nella caritá mia e in
quella del proximo, e uniti insieme con la caritá comune e con la particolare
che esce pure d'una medesima caritá.
Godono ed exultano
participando l'uno el bene de l'altro con l'affetto della carità, oltre al bene
universale che essi hanno tutti insieme. E con la natura angelica godono ed
exultano, co' quali e' sancti sonno collocati, secondo le diverse e varie virtú
le quali principalmente ebbero nel mondo, essendo legati tutti nel legame della
caritá. Hanno una singulare participazione con coloro co' quali strettamente
d'amore singulare (74) s'amavano nel mondo. Col quale amore crescevano in
grazia aumentando la virtú. L'uno era cagione a l'altro di manifestare la
gloria e loda del nome mio in loro e nel proximo. Si che poi nella vita
durabile non l'hanno perduto; anco l'hanno, participando strettamente e con piú
abondanzia l'uno con l'altro, aggiontolo a l'universale bene.
E non vorrei però
che tu credessi che questo bene particulare, il quale Io t'ho detto che egli
hanno, l'avessero solo per loro, però che non è cosí; ma è participato da tueti
quanti e' gustatori cittadini e diletti miei figliuoli e da tutta la natura
angelica. Unde, quando l'anima giogne a vita etterna, tutti participano el bene
di quella anima, e l'anima del bene loro. Non che ‘l vasello suo né il
loro possa crescere, né che abbi bisogno d'empirsi, però che egli è pieno e
però non può crescere; ma hanno una exultazione, una giocundità, uno giubilo,
una allegrezza, la quale si rinfresca in loro per lo cognoscimento il quale
hanno trovato in quella anima. Vegono che per mia misericordia ella è levata
dalla terra con la plenitudine della grazia, e cosí exultano in me nel bene di
quella anima el quale ha ricevuto per la mia bontá.
E quella anima gode
in me e ne l'anime e negli spiriti beati, vedendo in loro e gustando la
bellezza e dolcezza della mia caritá. E' loro desidèri sempre gridano dinanzi a
me per la salvazione di tutto quanto el mondo. Perché la vita loro fini nella
caritá del proximo, non l'hanno lassata; anco con essa passarono per la porta
de l'unigenito mio Figliuolo per lo modo che lo di sotto ti contiarò. Si che
vedi che con quello legame de l'amore in che fini la vita loro, con quello
permangono; e dura sempre etternalmente.
Essi sonno tanto
conformati con la mia volontà che essi non possono volere se non quello ch' Io
voglio; perché l'arbitrio loro è legato nel legame della caritá per si facto
modo che, venendo meno el tempo a la creatura che ha in sé ragione, morendo in
stato di grazia, non può piú peccare. E in tanto è unita la sua volontà con la
mia che, vedendo il padre o la madre il figliuolo ne l'inferno, o il figliuolo
la madre, non se ne (75) curano; anco sonno contenti di vederli puniti come nemici
miei. In neuna cosa si scordano da me: e' desidèri loro sonno pieni.
El desiderio de'
beati è di vedere l’ onore mio in voi viandanti, e' quali sète peregrini che
sempre corrite verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore
desiderano la salute vostra, e però sempre mi pregano per voi. El quale
desiderio è adempito da me da la parte mia, colà dove voi ignoranti non
ricalcitraste a la mia misericordia. Hanno desiderio ancora di riavere la dota
del corpo loro; e questo desiderio non gli affligge non avendolo attualmente,
ma godono gustando per certezza che egli hanno d'avere il loro desiderio pieno;
non gli affligge però che non avendolo non lo' manca beatitudine, e però non
lo' dá pena.
E non ti pensare
che la beatitudine del corpo doppo la resurrexione dia piú beatitudine a
l'anima. Ché se questo fusse, seguitarebbe che infine che non avessero il corpo
avarebbero beatitudine imperfetta; la qual cosa non può essere, però che in
loro non manca alcuna perfeczione. Si che non è il corpo che dia beatitudine a
l'anima, ma l'anima darà beatitudine al corpo: darà de l' abondanzia sua,
rivestita ne l'ultimo di del giudicio del vestimento della propria carne la
quale lassò.
Come l'anima è
fatta immortale, fermata e stabilita in me; cosí el corpo in quella unione
diventa immortale, perduta la gravezza e facto sottile e leggiero. Unde sappi
che ‘l corpo glorificato passarebbe per lo mezzo del muro. Né il fuoco né
l'acqua non l’offendarebbe, non per virtú sua ma per virtú de l'anima. La quale
virtú è mia, data a lei per grazia e per amore ineffabile col quale lo la creai
a la imagine e similitudine mia. L'occhio de l'intelletto tuo non è sufficiente
a vedere, né l'orecchia a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare
il bene loro.
Oh quanto diletto hanno
in vedere me che so' ogni bene i oh quanto diletto avaranno essendo col corpo
glorificato! El quale bene ora non avendo, di qui al giudicio generale non
hanno pena, perché non lo' manca beatitudine, però che l'anima è piena in sé.
La quale beatitudine participarà col corpo, come detto (76) t'ho. Dicevoti del
bene che avarebbe il corpo glorificato ne l'umanità glorificata de l'unigenito
mio Figliuolo, la quale vi dá certezza della vostra resurrexione. Ine exultano
nelle piaghe sue, le quali sonno rimase fresche, riservate le cicatrici nel
corpo suo, le quali gridano continuamente misericordia per voi a me sommo ed
etterno Padre. Tutti si conformaranno con lui in gaudio e in giocundità; occhio
con occhio e mano con mano e con tutto quanto el corpo del dolce Verbo mio
Figliuolo tutti vi conformarete. Stando in me, starete in lui, perch'egli è una
cosa con meco. Ma l'occhio del corpo vostro, come detto t'ho, si dilectarà ne
l'umanità glorificata del Verbo unigenito mio Figliuolo. Questo perché? però
che la vita loro fini nella dileczione della mia carità, e però lo' dura
etternalmente.
Non che possano
adoperare alcuno bene, ma godonsi quel che essi hanno portato, cioè che non
possono fare veruno atto meritorio per lo quale essi possano meritare. Però che
solo in questa vita si merita e pecca, secondo che piace a la propria volontà
col libero arbitrio. Costoro none aspectano con timore il divino giudicio, ma
con allegrezza. E non lo' parrà, la faccia del Figliuolo mio, terribile né
piena d'odio, perché e' sonno finiti in caritá e in dileczione di me e
benivolenzia del proximo. Si che vedi che la mutazione della faccia non sarà in
lui quando verrà a giudicare con la Maiestà mia, ma in coloro che saranno
giudicati da lui. A' dannati aparrà con odio e con giustizia; ne' salvati con
amore e misericordia.
Alto del documento
— Hotti narrato
della dignità de' giusti, acciò che meglio cognosca la miseria de' dannati. E
questa è l'altra pena loro: vedere la beatitudine de' giusti. La quale visione
è a loro acrescimento di pena, come a' giusti la dannazione de' dannati è (77)
acrescimento d'exultazione della mia bontá, perché meglio si cognosce la luce
per la tenebre, e la tenebre per la luce. Si che lo' sarà pena la visione de'
beati e con pena aspectano l'ultimo di del giudicio, perché se ne vegono
seguitare acrescimento di pena.
E cosí sarà; però
che in quella voce terribile quando sarà detto a loro: « Surgite, mortui;
venite ad iudicium », tornarà l'anima col corpo. E ne' giusti sarà
glorificato, e ne' dannati sarà crociato etternalmente. E grande vergogna e
rimproverio ricevaranno ne l'aspetto della mia Verità e di tutti e' beati. El
vermine della coscienzia alora rodarà il mirollo de l'arbore, cioè l'anima, e
la corteccia di fuore, cioè il corpo.
Rimprovarato lo'
sarà el Sangue che per loro fu pagato, e l’uòpare della misericordia, le quali
lo feci a loro col mezzo del mio Figliuolo, spirituali e temporali, e quello
che essi dovevano fare nel proximo loro, si come si contiene nel sancto
Evangelio. Ripresi saranno della crudeltá che essi hanno avuta verso el
proximo, della superbia e de l'amore proprio, della immondizia e avarizia loro.
Vedendo la
misericordia che da me hanno ricevuta, rinfrescarà duramente la loro
riprensione. Nel ponto della morte la riceve solamente l'anima; ma nel giudicio
generale la riceverà insiememente l'anima e’l corpo, perché’l corpo
è stato compagno e strumento de l'anima a fare il bene e il male, secondo che è
piaciuto a la propria volontà.
Ogni operazione
buona e gactiva è (acta col mezzo del corpo; e però giustamente, figliuola mia,
è renduto a' miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorificato,
remunerandoli delle loro fadighe che per me insiememente con l'anima portò. E
cosí agl' iniqui sarà renduta pena etternale col mezzo del corpo loro, perché
fu strumento del male.
Rinfrescarasse lo'
la pena e cresciarà, riavendo el corpo loro, ne l'aspetto del mio Figliuolo. La
miserabile sensualità con la immondizia sua riceverà riprensione in vedere la
natura sua, cioè l'umanità di Cristo, unita cole la purità della Deitá mia;
vedendo levata questa massa d'Adam, natura vostra, sopra tucti (78) e'
cori degli angeli, ed essi per loro difecti si veggono profondati nel profondo
de l'inferno.
E vegono la
larghezza e la misericordia relucere ne' beati, ricevendo el fructo del sangue
de l'Agnello; e vegono le pene che essi hanno portate, che tucte stanno per
adornamento ne' corpi loro, si come la fregiatura sopra del panno, non per
virtú del corpo, ma solo per la plenitudine de l'anima; la quale representa al
corpo el fructo della fadiga, perché fu compagno con lei ad adoperare la virtú,
si che apparisce di fuore. Si come rapresenta lo specchio la faccia dell'uomo,
cosí nel corpo si rapresenta el fructo delle fadighe, per lo modo che decto
t'ho. Vedendo e' tenebrosi tanta dignità della quale essi sono privati, lo'
cresce la pena e la confusione, perché ne' corpi loro appa. risce il segno
delle iniquità, le quali commissero, con pena e crociato tormento. Unde in
quella parola che essi udiranno terribile: « Andate maladecti nel fuoco
etternale », egli andarà l'anima e ‘l corpo a conversare con le dimonia
senza alcuno rimedio di speranza, aviluppandosi con tucta la puzza della terra,
ogniuno per sé in diverso modo, si come diverse sonno state le loro male
operazioni: l'avaro con la puzza de l'avarizia, aviluppandosi insieme la
substanzia del mondo e ardendo nel fuoco (la quale egli disordinatamente amò);
el crudele con la crudeltá; lo immondo con la immondizia e miserabile
concupiscenzia; lo ingiusto con le sue ingiustizie; lo invidioso con la
invidia; e l'odio e rancore del proximo con l'odio. El disordinato amore
proprio di loro, unde nacquero tucti e' loro mali, ardarà e darà pena
intollerabile, si come capo e principio d'ogni male, acompagnato dalla
superbia. Sí che tucti in diversi modi saranno puniti, l'anima e’l corpo
insieme.
Or cosí
miserabilmente giongono al fine loro questi che vanno per la via di socto, giú
per lo fiume, non vollendosi a dietro a ricognoscere le colpe sue, né a
dimandare la misericordia, sí come Io di sopra ti dixi. E giongono a la porta
della bugia perché seguitano la doctrina del dimonio, el quale è padre delle
bugie. Ed esso dimonio è porta loro, e per questa porta giongono a l'etterna
dannazione, come detto è di sopra. Si come gli electi (79) figliuoli miei,
tenendo per la via di sopra, cioè del ponte, seguitano e tengono per la via
della veritá, ed essa veritá è porta.
E però disse la mia
Verità: «Neuno pub andare al Padre mio se non per me ». Egli è la porta e la
via, unde passano, a intrare in me, mare pacifico.
E cosí, in
contrario, costoro sonno tenuti per la bugia, la quale lo' dá acqua morta. E ad
questo vi chiama el dimonio, ciechi e macti che non se n'avegono perché hanno
perduto el lume della fede. Quasi lo' dica el dimonio: « Chi ha sete de l'acqua
morta venga a me, ché io ne gli darò ».
Alto del documento
— Egli è facto
giustiziere mio dalla mia giustizia per tormentare l'anime che miserabilmente
hanno offeso me. E in questa vita gli ho posti a temptare molestando le mie
creature; non perché le mie creature siano vente, ma perché esse vencano e
ricevano da me la gloria della victoria, provando in loro le virtú.
E neuno in questo
debba temere per veruna bactaglia né temptazione di dimonio che lo' venga, però
che lo gli ho facti forti, e dato lo' la fortezza della volontà, fortificata
nel sangue del mio Figliuolo. La quale volontà né dimonio né creatura ve la può
mutare, però che ella è vostra e data da me.
Voi dunque col
libero arbitrio la potete tenere e lassare, secondo che vi piace. Ella è Tarme
la quale voi ponete nelle mani del dimonio, e drictamente è uno coltello col
quale egli vi percuote e con esso v'ucide. Ma se l'uomo non dá questo coltello
della volontà sua nelle mani del dimonio, cioè che egli consenta a le
temptazioni e molestie sue, giamai non sarà offeso di colpa di peccato per
veruna temptazione. Anco el fortifica colà dove egli apra l'occhio de
l’intellecto a vedere la (80) carità mia. La quale caritá permecte che siate
temptati solo per farvi venire a virtú e a provare la virtú.
A virtú non si
viene se non per lo cognoscimento di se medesimo e per cognoscimento di me. El
quale cognoscimento piú perfettamente s'acquista nel tempo della temptazione:
Perché alora cognosce sé non essere, non potendosi levare le pene e le molestie
le quali vorrebbe fuggire; e me cognosce nella volontà (la quale è fortificata
per la bontá mia) che non consente a esse cogitazioni: e perché ha veduto che
la mia caritá le concede perché ‘l dimonio è infermo e per sé non può
tavelle se non quanto Io gli do; e Io el permetto per amore e non per odio,
perché vènciate e non siate venti, e perché veniate ad perfetto cognoscimento
di voi e di me, e acciò che la virtú sia provata, però che ella non si pruova
se non per lo suo contrario.
Dunque vedi che
sonno miei ministri a crociare i dannati ne l'inferno, e in questa vita ad
exercitare e provare la virtú ne l'anima. Non che la intenzione del dimonio sia
per farli
provare in virtú, perché egli non ha carità,
ma per privarli de la virtú, e questo non può fare se voi non volete.
Or vedi quanta è la
stoltizia de l'uomo, che si fa debile colà dove Io l'ho facto forte, ed esso
medesimo si mette nelle mani delle dimonia. Unde Io voglio che tu sappi che nel
punto della morte, essendo entrati nella vita loro sotto la signoria del
dimonio (none sforzati, però che non possono essere sforzati come detto t'ho,
ma volontariamente si sonno messi nelle mani loro), giognendo poi a l’extremità
della morte con questa perversa signoria, essi non aspettano altro giudicio, ma
essi medesimi ne sonno giudici con la coscienzia loro e come disperati giongono
a l’etterna dannazione. Con l'odio strengono l'inferno in su la extremità della
morte; e prima che egli l'abbino, essi medesimi co' loro signori dimoni
pigliano per prezzo loro l'inferno.
Si come e' giusti
vissuti in caritá morendo in dileczione, quando viene l’extremità della morte,
se egli è vissuto perfettamente in virtú illuminato del lume della fede, con
l'occhio della fede, con perfetta speranza del sangue de l'Agnello, vegono (81)
el bene il quale lo l'ho aparecchiato e con le braccia de l'amore l’abracciano,
stregnendo con estrecte d'amore me, sommo e etterno Bene, ne l'ultima extremità
della morte. E cosí gustano vita etterna prima che abbino lassato el corpo
mortale, cioè prima che sia separato dal corpo.
Altri che fussero
passati nella vita loro con una caritá comune, che non fussero in quella grande
perfeczione e giognessero a l'extremità, costoro abracciano la misericordia mia
con quello lume medesimo della fede e della speranza che ebbero quelli
perfetti; ma hannola imperfetta. Ma perché costoro erano imperfetti, strinsero
la misericordia mia, ponendo maggiore la misericordia mia che le colpe loro.
Gl' iniqui
peccatori fanno el contrario, vedendo con la disperazione el luogo loro, e con
l'odio l’abracciano, come detto t'ho. Si che non aspettano d'essere giudicati
né l'uno né l'altro; ma partonsi di questa vita, e riceve ogniuno el luogo suo,
come detto t'ho. Gustanlo e possegonlo prima che si partano dal corpo nella
extremità della morte: e' dannati co' l'odio e disperazione, e i perfetti con
l'amore e col lume della fede e con la speranza del Sangue. E gl'imperfetti con
la misericordia e con quella medesima fede giongono al luogo del purgatorio.
Alto del documento
— Hotti detto che'l
dimonio invita gli uomini a l'acqua morta, cioè a quella che egli ha per sé,
aciecando con . le delicie e stati del mondo. Co' l'amo del diletto gli piglia
sotto colore di bene, però che in altro modo non gli potrebbe pigliare, però
che non si lassarebbero pigliare se alcuno bene proprio o diletto non vi
trovassero, imperò che l'anima di sua natura sempre appetisce bene.
82
Ma è vero che
l'anima, aciecata da l'amore proprio, non cognosce né discerne quale sia vero
bene e che gli dia utilitá a l'anima e al corpo. E però ci dimonio, come
iniquo, vedendo ch'egli è aciecato dal proprio amore sensitivo, gli pone e'
diversi e vari difecti e' quali sonno colorati con colore d'alcuna utilitá e
d'alcuno bene; e ad ogniuno dá secondo lo stato suo e secondo quegli vizi
principali ne' quali ci vede piú disposto a ricevere. Altro dá al secolare,
altro dá al religioso; altro a' prelati, altro a' signori; e a ciascuno secondo
e' diversi stati che essi hanno.
Questo t'ho decto
perch' Io ora ti contio di costoro che s'anniegano giú per lo fiume, che neuno
rispecto hanno altro che a loro, cioè d'amare loro medesimi con offesa di me;
de' quali Io t'ho contiato ci fine loro. Ora ti voglio mostrare come essi
s'ingannano, che volendo fuggire le pene caggiono nelle pene. Perché lo' pare che
a seguitare me, cioè tenere per la via del ponte del Verbo del mio Figliuolo,
sia grande fadiga, e però si ritragono a dietro, temendo la spina. Questo è
perché sonno aciecati e non vegono né cognoscono la veritá, si come tu sai ch'
Io ti mostrai nel principio della vita tua, pregandomi tu che Io facesse
misericordia al mondo, traendoli della tenebre del peccato mortale.
Sai che Io alora ti
mostrai me in figura d'uno arbore, del quale non vedevi né il principio né il
fine, se non che vedevi che la radice era unita con la terra; e questa era la
natura divina unita con la terra della vostra umanità. A' piei de l’arbore, se
ben ti ricorda, era alcuna spina; dalla quale spina tucti coloro che amavano la
propria sensualità si dilongavano e corrivano a uno monte di lolla, nel quale.
ti figurai tucti e' difecti del mondo. Quella lolla pareva grano e non era; e
però, come vedevi, molte anime dentro vi si perivano di fame, e molte,
cognoscendo l'inganno del mondo, tornavano a l’arbore e passavano la spina,
cioè la deliberazione della volontà.
La quale
deliberazione, innanzi che ella sia facta, è una spina la quale gli pare
trovare in seguitare la via della veritá. Sempre combacte da l'uno lato la
coscienzia, da l'altro lato la (83) sensualità; ma subito che, con odio e
dispiacimento di sé, virilmente delibera dicendo: — Io voglio seguitare Cristo
crocifixo, — rompe subbito la spina e truova dolcezza inextimabile, sí come lo
alora ti mostrai, chi piú e chi meno, secondo la disposizione e sollicitudine
loro.
Sai che alora lo ti
dixi: — Io so' lo Idio vostro immobile, che non mi muovo; Io non mi ritrago da
veruna creatura che a me voglia venire; mostrato l'ho la veritá, facendomi
visibile a loro, essendo lo invisibile; mostrato l'ho che cosa è amare alcuna
cosa senza me. — Ma essi, come aciecati da la nuvila del disordinato amore, non
cognoscono né me né loro. Vedi come sonno ingannati: che prima vogliono morire
di fame che passare un poca di spina.
Non possono fuggire
che non sostengano pena, però che in questa vita neuno ci passa senza croce, se
non coloro che tengono per la via di sopra: non che essi passino senza pena, ma
la pena a loro è refrigerio. E perché per lo peccato, sí come di sopra ti dixi,
ci mondo germinò spine e triboli, e corse questo fiume, mare tempestoso, però
vi dici ci ponte, acciò che voi non annegaste.
Hotti mostrato come
costoro s'ingannano con uno disordinato timore, e come lo so' lo Idio vostro
che non mi muovo, e che lo non so' acceptatore delle persone ma del sancto
desiderio, E questo t'ho mostrato nella figura de l’arbore la quale Io t’ho
decta.
Alto del documento
— Ora ti voglio
mostrare a cui le spine e triboli, che germinò la terra per lo peccato, fanno
male e a cui no. E perché infine a ora t'ho mostrata la loro dannazione
insiememente (84) con la mia bontá, e hotti detto come essi sonno ingannati
dalla propria sensualità, ora ti voglio dire come solo costoro son quegli che
sonno offesi dalle spine.
Veruno che nasca in
questa vita passa senza fadiga o corporale o mentale. Corporale le portano e'
servi miei, ma la mente loro è libera; cioè che non sente fadiga della fadiga,
perché ha acordata la sua volontà con la mia, la quale volontà è quella cosa
che dá pena a l'uomo. Pena di mente e di corpo portano costoro e' quali Io t'ho
conciati che in questa vita gustano l'arra de l'inferno; si come i servi miei
gustano l'arra di vita etterna.
Sai tu quale è il
piú singulare bene che hanno e' beati? È d'avere la volontà loro piena di quel
che desiderano. Desiderano me, e desiderando me essi m'hanno e mi gustano senza
alcuna rebellione, però che hanno lassata la gravezza del corpo, el quale era
una legge che impugnava contra lo spirito. El corpo l'era uno mezzo che non
lassava perfettamente cognoscere la veritá; né potevano vedermi a faccia a
faccia, perché ‘l corpo non lassava.
Ma, poi che l'anima
ha lassato el peso del corpo, la volontà sua è piena, perché desiderando di
vedere me ella mi vede: nella quale visione sta la vostra beatitudine. Vedendo
cognosce, e cognoscendo ama, e amando gusta me sommo e etterno Bene; gustando
sazia e empie la volontà sua, cioè il desiderio che egli ha di vedere e
cognoscere me; desiderando ha, e avendo desidera, e, come Io ti dixi, di longa
è la pena dal desiderio; e ‘l fastidio dalla sazietà.
Si che vedi ch' e'
servi miei ricevono beatitudine principalmente in vedere e conoscere me. La
quale visione e cognoscimento lo' riempie la volontà d'avere ciò che essa
volontà desidera, e cosí è saziata. E però ti dixi che, singularmente, gustare
vita etterna era d'avere quello che la volontà desidera. Ma sappi che ella si sazia
nel vedere e cognoscere me, come detto t'ho.
In questa vita
gustano l'arra di vita etterna, gustando questo medesimo del quale Io t’ho
detto che essi sonno saziati. Come hanno questa arra in questa vita? Dicotelo:
in vedere la mia (85) bontá in sé e in cognoscere la mia veritá; el quale
cognoscimento ha l'intelletto illuminato in me, el quale è l'occhio de l'anima.
Questo occhio ha la pupilla della sanctissima fede, el quale lume della fede fa
discérnare e cognoscere e seguitare la via e dottrina della mia Verità, Verbo
incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe, se non come l'uomo che
ha la forma de l'occhio, ma el panno ha ricoperta la pupilla che fa vedere a
l'occhio. Cosí l'occhio de l'intelletto la pupilla sua è la fede; la quale, essendovi
posto dinanzi el panno della infidelità, tratto da l'amore proprio di sé, non
vede; ha la forma de l'occhio ma non el lume, perché esso se l'ha tolto.
Si che vedi che nel
vedere cognoscono, e cognoscendo amano, e amando anniegano e perdono la volontà
loro propria. Perduta la loro, si vestono della mia che non voglio altro che la
vostra sanctificazione. E subbito si dànno a vòllere il capo adietro da la via
di sotto, e cominciano a salire per lo ponte, e passano sopra le spine. E
perché sonno calzati e' piei de l'affetto loro con la mia volontà, non lo' fa
male. E però ti dixi che sostenevano corporalmente e non mentalmente, perché la
volontà sensitiva è morta, la quale dá pena e affligge la mente della creatura.
Tolta la volontà, è tolta la pena, e ogni cosa portano con reverenzia,
reputandosi grazia d'essere tribolati per me, e non desiderano se non quel ch'
Io voglio.
Se Io lo' do pena
da parte delle dimonia, permettendo lo' le molte temptazioni per provarli nella
virtú, si come lo ti dixi di sopra, essi resistono con la volontà, la quale
hanno fortificata in me, umiliandosi e reputandosi indegni della pace e quiete
della mente e reputandosi degni della pena. E cosí passano con allegrezza e
cognoscimento di loro senza pena affliggitiva.
Se ella è tribolazione
dagli uomini, o infermità, o povertà, o mutamento di stato nel mondo, o
privazione di figliuoli o de l’altre creature le quali molto amasse (le quali
tutte sonno spine che germinò la terra doppo el peccato), tutte le porta col
lume della ragione e della fede sancta, raguardando me che so' somma bontá e
non posso volere altro che bene; e per bene le concedo: per amore e non per
odio.
86
E cognosciuto che
hanno l'amore in me, ed essi raguardano loro, cognoscendo e' loro difecti. E
vegono col lume della fede che ‘l bene debba essere remunerato e la colpa
punita. Ogni piccola colpa vegono che meritarebbe pena infinita, perché è facta
contra me che so'infinito Bene; e recansi a grazia che lo in questa vita gli
voglia punire e in questo tempo finito. E cosí insiememente scontiano el
peccato con la contrizione del cuore, e con la perfecta pazienzia meritano, e
le fadighe loro sonno remunerate di bene infinito.
Poi cognoscono che
ogni fadiga di questa vita è piccola per la piccolezza del tempo. El tempo è
quanto una punta d'aco e non piú; ché passato el tempo è passata la fadiga.
Adunque
vedi che .è piccola. Essi portano con
pazienzia e passano le spine actuali e non lo' tocca el cuore, perché ‘l
cuore loro è tracto di loro per amore sensitivo e posto e unito in me per
affecto d'amore.
Bene è dunque la
veritá che costoro gustano vita etterna, ricevendo l'arra in questa vita. E
stando ne l'acqua non s'immollano, passando sopra le spine non si pongono (come
decto t'ho), perché hanno cognosciuto me, sommo Bene, e cercatolo colà dove
egli si truova, cioè nel Verbo de l'unigenito mio Figliuolo.
Alto del documento
— Questo t'ho decto
acciò che tu cognosca meglio e in che modo costoro gustano l'arra de l'inferno,
de' quali Io ti dixi lo inganno loro. Ora ti dirò unde procede lo inganno e
come ricevono l'arra de l'inferno. Questo è perché hanno aciecato l'occhio de
l'intellecto con la infedelità tracta da l'amore proprio. Com e ogni veritá
s'acquista col lume della fede, cosí la bugia (87) e lo inganno s'acquista con
la infidelità. Della infedelità, dico, di coloro che hanno ricevuto el sancto
baptesmo, nel quale baptesmo fu messa la pupilla della fede ne l'occhio de l'
intellecto. Venuto el tempo della discrezione, se essi s'exercitano in virtú,
costoro hanno conservato el lume della fede e parturiscono le virtú vive,
facendo fructo al proximo loro. Come la donna che fa el figliuolo vivo, e vivo
el dá allo sposo suo; cosí costoro dànno le virtú vive a me, che so' sposo de
l'anima.
El contrario fanno
questi miserabili che, venuto il tempo della discrezione, dove essi debbono
exercitare el lume della fede e parturire con vita di grazia la virtú, ed essi
le parturiscono morte. Morte sonno perché tucte l'operazioni loro sonno morte,
essendo fatte in peccato mortale, privati del lume della fede. Hanno bene la
forma del sancto baptesmo ma none il lume, però che ne sonno privati per la
nuvila della colpa commessa per amore proprio, la quale ha ricoperta la pupilla
unde vedevano.
A costoro è decto,
e' quali hanno fede senza opera, che è morta la fede loro. Unde, come il morto
non vede, cosí l'occhio, ricoperta la pupilla, come decto t'ho, non vede, né
cognosce se medesimo non essere né i difecti suoi che egli ha commessi. Né
cognosce la bontá mia in sé, donde ha avuto l'essere e ogni grazia che è posta
sopra l'essere.
Non cognoscendo me
né sé, non odia in sé la propria sensualità; anco l'ama, cercando di satisfare
a l'appetito suo: e cosí parturisce i figliuoli morti di molti peccati mortali.
Né me non ama; non amando me, non ama quel ch'Io amo, cioè il proximo suo, né si
dilecta d'adoperare quel che mi piace: ciò sonno le vere e reali virtú, le
quali mi piacciono di vedere in voi, non per mia utilitá, però che a me non
potete fare utilitá, però che Io so' colui che so', e veruna cosa è facta senza
me, se non el peccato, che non è cavelle, perché priva l'anima di tne che so'
ogni bene, privandola della grazia. Si che per vostra utilitá mi piacciono
perché Io abbi di che remunerarvi in me, vita durabile.
Si che vedi che la
fede di costoro è morta, perché è senza opera; e quelle operazioni, le quali
fanno, non vagliono a vita (88) etterna, perché non hanno vita di grazia.
Nondimeno il bene adoperare o con grazia o senza la grazia non si debba però
lassare, però che ogni bene è remunerato come ogni colpa punita. El bene che si
fa in grazia, senza peccato mortale, vale a vita etterna; ma quello che si fa
con la colpa del peccato mortale non vale a vita etterna: nondimeno è
remunerato in diversi modi, si come di sopra ti dixi.
Unde alcuna volta
Io lo' presto ci tempo. O Io li metto nel cuore de' servi miei per continua
orazione, per le quali orazioni escono della colpa e delle miserie loro. Alcuna
volta, non ricevendo ci tempo né l’orazioni per disposizione di grazia, a
questi cotali l'è remunerato in cose temporali, facendo di loro come de
l'animale che s'ingrassa per menarlo al macello. Cosí questi cotali che sempre
hanno ricalcitrato in ogni modo a la mia bontá, pure fanno alcuno bene; none in
stato di grazia, come detto t'ho, ma in peccato. Essi non hanno voluto ricevere
in questa loro operazione il tempo né l'orazioni né gli altri diversi modi co'
quali Io gli ho chiamati; unde, essendo riprovati da me per li loro difetti, e
la mia bontá vuole pure remunerare quella operazione, cioè quel poco del
servizio che hanno facto, unde li remunero nelle cose temporali e ine
s'ingrassano; e non correggendosi, giongono al supplicio etternale.
Si che vedi che
sonno ingannati. Chi gli ha ingannati? essi medesimi, perché s'hanno tolto ci
lume della fede viva, e vanno come aciecati palpando e attaccandosi a quel che
toccano. E perché non veggono se non con l'occhio cieco, posto l'affetto loro
nelle cose transitorie, però sonno ingannati e fanno come stolti che raguardano
solamente l'oro e non ci veleno. Unde sappi che le cose del mondo e tutti e'
diletti e piaceri suoi se sonno presi e acquistati e posseduti senza me o con
proprio e disordinato amore, essi portano drittamente la figura degli
scarpioni, e' quali al principio tuo, doppo la figura de l’arbore lo ti
mostrai, dicendoti che portavano l'oro dinanzi e ‘l veleno portavano
dietro; e non era il veleno senza l'oro né l'oro senza ci veleno, ma el primo
aspetto era l'oro. E neuno si difendeva dal veleno, se non coloro che erano
illuminati del lume della fede.
Alto del documento
89
— Costoro ti dixi
che col coltello di due tagli (cioè con l'odio del vizio e amore delle virtú)
per amore tagliavano ci veleno della propria sensualità, e col lume della
ragione tenevano e possedevano. E acquistavano l'oro in queste cose mondane,
chi le voleva tenere; ma chi voleva usare la grande perfeczione le spregiava
actualmente e mentalmente. Questi ti dixi che observavano ci consiglio
actualmente, il quale lo' fu dato e tassato da la mia Verità. Costoro che
possedevano sonno quelli che observano e' comandamenti e i consigli mentalmente
ma non actualmente. Ma però ch' e' consigli sonno legati co' comandamenti,
neuno può observare i comandamenti che non observi e' consigli: non actualmente
ma mentalmente. Cioè che, possedendo le 'ricchezze del mondo, egli le possegga
con ùmilità e non con superbia, possedendole come cosa prestata e non come cosa
sua, come elle sonno date a voi per uso da la mia bontá. Unde tanto l'avete
quanto lo ve le do, e tanto le tenete quanto lo ve le lasso, e tanto ve le
lasso e do quanto lo vego che faccino per la salute vostra. Per questo modo le
dovete usare.
Usandole l'uomo
cosí, observa ci comandamento, amando me sopra ogni cosa e ‘l proximo
come se medesimo. Vive col cuore spogliato e gictale da sé per desiderio, cioè
che non l'ama né tiene senza la mia volontà, poniamo che actualmente le
possega. Observa ci consiglio per desiderio, come detto t'ho, tagliandone il
veleno del disordinato amore.
Questi cotali
stanno nella caritá comune. Ma coloro, che observano e' comandamenti e i
consigli mentalmente e actualmente, sonno nella caritá perfetta. Con vera
simplicità observano ci consiglio che dixe la mia Verità, Verbo incarnato, a
quel (90) giovano quando dimandò dicendo: « Che potrei io fare, Maestro, per
avere vita etterna? » Egli disse: « Observa e' comandamenti della Legge ». Ed
egli rispondendo dixe: « Io gli observo ». Ed Egli dixe: « Bene, se tu vuogli
essere perfetto, va' e vende ciò che tu hai, e dallo a' povari ». El giovano
alora si contristò, perché le ricchezze che egli aveva le teneva ancora con
troppo amore, e però si contristò. Ma questi perfetti l’observano abandonando
ci mondo con tutte le delizie sue, macerando ci corpo con la penitenzia e
vigilia, umile e continua orazione.
Questi altri che
stanno nella caritá comune, non levandosi attualmente, non ne perdono però vita
etterna, perché non ne sonno tenuti; ma debbonle possedere, se eglino vogliono
le cose 'del mondo, per lo modo che detto t'ho. Tenendole, non offendono,
perché ogni cosa è buona e perfetta e creata da me, che so' somma bontá, e
fatte perché servano alle mie creature che hanno in loro ragione, e non perché
le creature si faccino servi e schiavi delle delizie del mondo; anco perché le
tengano (se lo' piace di tenere, non volendo andare alla grande perfeczione)
non come signori ma come servi. E ‘l desiderio loro debbono dare a me, e
ogni altra cosa amare e tenere non come cosa loro ma come cosa prestata, come
detto t'ho.
Io non so' acceptatore delle creature né degli
stati, ma de' sancti desidèri. In ogni stato che la persona vuole stare, abbi
buona e sancta volontà, ed è piacevole a me. Chi le terrà a questo modo? coloro
che n'hanno mozzato ci veleno con l'odio della propria sensualità e con amore
della virtú. Avendo mozzo ci veleno della disordinata volontà e ordinatala con
l'amore e sancto timore di me, egli può tenere ed eleggere ogni stato che egli
vuole: e in ognuno sarà atto ad avere vita etterna.
Poniamo che
maggiore perfeczione, e piú piacevole a me, sia di levarsi mentalmente e
attualmente da ogni cosa del mondo, chi non si sente di giognere ad questa
perfeczione, ché la fragilità sua non el patisse, può stare in questo stato
comune, ogniuno secondo lo stato suo. E questo ha ordinato la mia bontá acciò
che veruno abbi scusa di peccato in qualunque stato si sia.
91
E veramente non
hanno scusa, però che lo so' consceso alle passioni e debilezze loro per
sifacto modo che, volendo stare nel mondo, possono e possedere le ricchezze e
tenere stato di signoria e stare allo stato del matrimonio e notricare ed
affadigarsi per li figliuoli. E qualunque stato si vuole essere, possono
tenere, purché in veritá essi taglino ci veleno della propria sensualità, la
quale dá morte etternale.
E drittamente ella
è uno veleno che, come ci veleno dá pena nel corpo, e ne l'ultimo ne muore se
giá egli non s'argomenta di bomitarlo e di pigliare alcuna medicina, cosí
questo scarpione del diletto del mondo: non le cose temporali in loro, che giá
t'ho detto che elle sonno buone e fatte dame che so' somma bontá, e però le può
usare come gli piace con sancto amore e vero timore; ma dico del veleno della
perversa volontà de l'uomo. Dico che ella avelena l'anima e dalle la morte se
esso non ci vomita per la confessione sancta, traendone il cuore e l'affetto.
La quale è una medicina che’l guarisce di questo veleno, poniamo che paia
amara a la propria sensualità.
Vedi dunque quanto
sonno ingannati! ché possono possedere e avere me, e possono fuggire la
tristizia e avere letizia e consolazione, ed essi vogliono pure male, sotto
colore di bene, e dannosi a pigliare l'oro con disordinato amore. Ma perché
essi sonno aciecati con molta infedelità, non cognoscono ci veleno; veggonsi
avelenati e non pigliano ci rimedio. Costoro portano la croce del dimonio,
gustando l'arra de l'inferno.
Alto del documento
— Io si ti dixi di
sopra che solo la volontà dava pena a l'uomo. E perché i servi miei sonno
privati della loro e vestiti della mia, non sentono pena affíiggitiva, ma sonno
saziati sentendo me per grazia ne l'anime loro. Non avendo me, non possono (92)
essere saziati, se essi possedessero tucto quanto el mondo; perché le cose
create sonno minori che l'uomo, però che elle sonno facte per l'uomo e non
l'uomo per loro: e però non può essere saziato da loro. Solo Io el posso
saziare. E però questi miserabili, posti in tanta ciechità, sempre s'affannano
e mai non si saziano, e desiderano quel che non possono avere, perché non
I'adimandano a me che li posso saziare.
Vuogli ti dica come
essi stanno in pene? Tu sai che l'amore sempre dá pena, perdendo quella cosa
con cui essi si son conformati. Costoro hanno facta conformità per amore nella
terra in diversi modi, e però terra sonno diventati. Chi fa conformità con la
ricchezza, chi nello stato, chi ne' figliuoli, chi perde me per servire a le
creature, chi fa del corpo suo uno animale bruto con molta immondizia. E cosí
per diversi stati appetiscono e pasconsi di terra. Vorrebbero che fussero
stabili, ed essi non sonno; anco passano come il vento, però che o essi vengono
meno a loro col mezzo della morte, overo che di quello che essi amano ne sono
privati per mia dispensazione. Essendone privati, sostengono pena
intollerabile; e tanto la perdono con dolore quanto l'hanno posseduta con
disordinato amore. Avesserle tenute come cosa prestata e non come cosa loro,
lassavanle senza pena. Hanno pena perché non hanno quel che desiderano, però
che, come lo ti dixi, el mondo non gli può saziare. Non essendo saziati, hanno
pena.
Quante sonno le
pene dello stimolo della coscienzia ! quante sonno le pene di colui che
appetisce vendecta! Continuamente si rode e prima ha morto sé, cioè l'anima
sua, che egli ucida el nemico suo; el primo morto è egli, uccidendo sé col
coltello de l'odio. Quanta pena sostiene l'avaro, che per avarizia strema la
sua necessità! quanto tormento ha lo invidioso, che sempre nel suo cuore si
rode, e non gli lassa pigliare dilecto del bene del proximo suo! Di tucte
quante le cose, che esso ama sensitivamente, ne trae pena con molti disordinati
timori; hanno presa la croce del dimonio, gustando l'arra de l'inferno in
questa vita, ne vivono infermi con molti diversi modi se essi non si corregono,
e ricevnne poi morte etternale.
93
Or costoro sonno
quegli che sonno offesi dalle spine delle molte tribolazioni, crociandosi loro
medesimi con la propria disordinata volontà. Costoro hanno croce di cuore e di
corpo; cioè che con pena e tormento passa l'anima e'l corpo senza alcuno
merito, perché non portano le fadighe con pazienzia, anco con impazienzia,
perché hanno posseduto e acquistato l'oro e le delizie del mondo con
disordinato amore; privati della vita della grazia e de l'affecto della caritá.
Facti sonno arbori di morte, e però tucte le loro operazioni sonno morte, e con
pena vanno per lo fiume annegandosi, e giongono a l'acqua morta, passando con
odio per la porta del dimonio, e ricevono l’etterna dannazione.
Ora hai veduto come
essi s'ingannano e con quanta pena essi vanno a l'inferno, facendosi martiri
del dimonio; e quale è quella cosa che gli acieca, cioè la nuvila de l'amore
proprio, posta sopra la pupilla del lume della fede. E veduto hai come le
tribulazioni del mondo, da qualunque lato elle vengono, offendono e' servi miei
corporalmente, cioè che sonno perseguitati dal mondo, ma non mentalmente,
perché sonno conformati con la mia volontà: però sonno contenti di sostenere
pena per me.
Ma e' servi del
mondo sonno percossi dentro e di fuore : e singularmente dentro, dal timore che
essi hanno di non pèrdare quello che possegono, e da l'amore, desiderando quel
che non possono avere. Tucte l'altre fadighe, che seguitano doppo queste due
che sonno le principali, la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarle. Vedi
dunque che in questa vita medesima hanno migliore partito e' giusti ch' e'
peccatori.
Ora hai veduto a
pieno el loro andare e il termine loro.
Alto del documento
94
— Ora ti dico che
alquanti sonno che, sentendosi speronare dalle tribulazioni del mondo (le quali
Io do acciò che l'anima cognosca che ‘l suo fine non è questa vita e che
queste cose sonno imperfette e transitorie, e desideri me che so' suo fine, e
cosí le debba pigliare), questi cominciano a levarsi la nuvila con la propria
pena che essi sentono, e con quella che veggono che lo' debba seguitare doppo
la colpa. Con questo timore servile cominciano a escire del fiume, bomicando el
veleno el quale l'era stato gictato dallo scarpione in figura d'oro, e preso
l'avevano senza modo e non con modo, e però ricevettero el veleno da lui.
Cognoscendolo, el cominciano a levare e dirizzarsi verso la riva per attaccarsi
al ponte.
Ma non è
sufficiente d'andare solo col timore servile; però che spazzare la casa del
peccato mortale, senza empirla di virtú fondate in amore e non pure in timore,
non è sufficiente a dare vita etterna, se esso non pone amenduni e' piei nel
primo scalone del ponte, cioè l'affetto e il desiderio, e' quali sonno e' piei
che portano l'anima ne l'affetto della mia veritá, della quale Io v'ho facto
ponte.
Questo è il primo
scalone del quale Io ti dissi che vi conveniva salire, dicendoti come Egli
aveva fatta scala del corpo suo. Bene è vero che questo è quasi uno levare
generale che comunemente fanno e' servi del mondo, levandosi prima per timore
della pena. E perché le tribolazioni del mondo alcuna volta lo' fa venire a
tedio loro medesimi, però lo' comincia a dispiacere. Se essi exercitano questo
timore col lume della fede, passaranno a l'amore delle virtú.
Ma alquanti sonno
che vanno con tanta tepidezza che spesse volte vi ritornano dentro, però che
poi che sonno gionti a la (95) riva, giognendo e' venti contrari, sonno
percossi da fonde del mare tempestoso di questa tenebrosa vita. Se giogne il
vento della prosperità, non essendo salito, per sua negligenzia, el primo
scalone (cioè con l'affetto suo e con l'amore della virtú), egli vòlle il capo
indietro a le delizie con disordinato dilecto. E se viene il vento d'aversità,
si vòlle per impazienzia, perché non ha odiata la colpa sua per l'offesa che ha
fatta a me, ma per timore della propria pena la quale se ne vede seguitare, col
quale timore s'era levato dal vomito: perché ogni cosa di virtú vuole
perseveranzia; e non perseverando, non viene in effetto del suo desiderio, cioè
di giognere al fine per lo quale egli cominciò, al quale, non perseverando, non
giogne mai. E però è bisogno la perseveranzia a volere compire il suo
desiderio.
Hocti detto che
costoro si vòllono secondo e' diversi movimenti che lor vengono: o in loro
medesimi, impugnando la loro propria sensualità contra lo spirito; o dalle
creature, vollendosi a loro o con disordinato amore fuore di me, o per
impazienzia per ingiuria che ricevono da loro; o da le dimonia, con molte e
diverse battaglie. Alcuna volta con lo spregiare per farlo venire a confusione,
dicendo: — Questo bene che tu hai cominciato non ti vale per li peccati e
difetti tuoi. — E questo fa per farlo tornare indietro e farli lassare quello
poco de l’exercizio che egli ha preso. Alcuna volta col diletto, cioè con la
speranza che egli piglia della misericordia mia, dicendo: — A che ti vuogli
affadigare? Gòdeti questa vita, e nella extremità della vita, cognoscendo te,
riceverai misericordia. — E per questo modo el dimonio lo' fa perdere il timore
col quale avevano cominciato.
Per tutte queste e
molte altre cose vòllono el capo indietro e non sonno constanti né
perseveranti. E tutto l’adiviene perché la radice de l'amore proprio non è
punto divelta in loro, e però non sonno perseveranti; ma ricevono con grande
presumpzione la misericordia con la speranza, la quale pigliano ma non come la
debbono pigliare, ma ignorantemente; e come presumptuosi sperano nella
misericordia mia, la quale continuamente è offesa da loro.
96
Non ho data né do
la misericordia perché essi offendano con essa, ma perché con essa si difendano
dalla malizia del dimonio e disordinata confusione della mente. Ma essi fanno
tucto el contrario, ché col braccio della
misericordia offendono; e questo l'adiviene perché non hanno exercitata la
prima mutazione che essi fecero levandosi, con timore della pena e impugnati
dalla spina delle molte tribulazioni, dalla miseria del peccato mortale. Unde,
non mutandosi, non giongono a l'amore delle virtú; e però non hanno
perseverato. L'anima non può fare che non si muti; unde, se ella non va
innanzi, si torna indietro. Si che questi cotali, non andando innanzi con la
virtú (levandosi da la imperfeczione del timore e giognendo a l'amore), bisogno
è che tornino adietro.
Alto del documento
Alora quella anima
ansietata di desiderio, considerando la sua e ('altrui imperfeczione, adolorata
d'udire e vedere tanta ciechità delle creature, e avendo veduto che tanta era
la bontá di Dio che neuna cosa aveva posta in questa vita che fusse
impedimento, in qualunque stato si fusse, a la sua salute, ma tucte ad
exercitamento e a provazione della virtú, e nondimeno, con tucto questo, per lo
proprio amore e disordinato affecto, n'andavano giú per lo fiume non
correggendosi, vedevali giognere a l'etterna dannazione.
E molti di quelli
che v'erano, che cominciavano, tornavano a dietro per la cagione che udita
aveva da la dolce bontá di Dio, che aveva degnato di manifestare se medesimo a
lei. E per questo stava in amaritudine. E fermando essa l'occhio de l'
intellecto nel Padre etterno, diceva: — O amore inextimabile, grande è
l'inganno delle tue creature! Vorrei che, quando piacesse a la tua bontá, tu
piú distinctamente mi spianassi e' tre scaloni (97) figurati nel corpo de
l'unigenito tuo Figliuolo; e che modo essi debbono tenere per escire al tucto
del pelago e tenere la via della Verità tua, e chi sonno coloro che salgono la
scala.
Alto del documento
Alora, raguardando
la divina bontá con l'occhio della sua misericordia el desiderio e la fame di
quella anima, diceva: — Dilectissima figliuola mia, Io non so' spregiatore del
desiderio, anco so' adempitore de' sancti desidèri. E però Io ti voglio
dichiarare e mostrare di quel che tu mi dimandi.
Tu mi dimandi ch'
Io ti spiani la figura de' tre scaloni e che Io ti dica che modo hanno a tenere
a potere escire del fiume e salire il ponte. E poniamo che di sopra,
contiandoti lo 'nganno e ciechità de l'uomo e come in questa vita gustano
l'arra de l'inferno, si come martiri del dimonio, e ricevono l'etterna
dannazione (de' quali Io ti contiai el fructo loro che essi ricevono delle loro
male operazioni); e narrandoti queste cose, ti mostrai e' modi che dovevano
tenere: nondimeno ora piú a pieno tel dichiararò, satisfacendo al tuo
desiderio.
Tu sai che ogni male è fondato ne l'amore
proprio di sé, el quale amore è una nuvila che tolle el lume della ragione; la
quale ragione tiene in sé el lume della fede, e non si perde l'uno che non si
perda l'altro.
L'anima creai lo a
la imagine e similitudine mia, dandole la memoria, lo 'ntellecto
e la volontà. L' intellecto è la piú
nobile parte de l'anima: esso intellecto è mosso da l’affecto, e l’intellecto
notrica l'affecto. E la mano de l'amore, cioè l'affecto, empie la memoria del
ricordamento di me e de' benefizi che ha ricevuti. El quale ricordamento el fa
sollicito e non negligente; fallo grato e none scognoscente. Si che l'una
potenzia porge a l'altra, e cosí si notrica l'anima nella vita della grazia.
98
L'anima non può
vivere senza amore, ma sempre vuole amare alcuna cosa, perché ella è fatta
d'amore, però che per amore la creai. E però ti dixi che l'affetto moveva lo
'ntellecto, quasi dicendo: — Io voglio amare, però che ‘l cibo di che io
mi notrico si è l'amore. — Alora lo 'ntellecto, sentendosi svegliare da l’affecto,
si leva, quasi dica: — Se tu vuoli amare, io ti darò bene quello che tu possa
amare. — E subbito si leva, speculando la dignità de l'anima, e la indegnità
nella quale è venuta per la colpa sua. Nella dignità de l'essere gusta la
inextimabile mia bontá e caritá increata con la quale Io la creai, e in vedere
la sua miseria truova e gusta la misericordia mia, che per misericordia l'ho
prestato el tempo e tratta della tenebre.
Alora l'affetto si
notrica in amore, aprendo la bocca del sancto desiderio, con la quale mangia
odio e dispiacimento della propria sensualità, unta di vera umilità, con
perfetta pazienzia, la quale trasse de l'odio sancto. Concepute le virtú elle
si parturiscono perfettamente e imperfettamente, secondo che l'anima exercita
la perfeczione in sé, si come di sotto ti dirò.
Cosí per lo
contrario, se l'affetto sensitivo si muove a volere amare cose sensitive,
l'occhio de l'intelletto a quello si muove, e ponsi per obietto solo cose
transitorie, con amore proprio, con dispiacimento della virtú e amore del
vizio; unde traie superbia e impazienzia. La memoria non s'empie d'altro che di
quello che le porge l'affetto. Questo amore ha abbaccinato l'occhio, che non
discerne né vede se non cotali chiarori. Questo è il chiarore suo: che
lo'ntellecto ogni cosa vede e l'affetto ama con alcuna chiarezza di bene e di
diletto; e se questo chiarore non avesse, non offendarebbe, perché l'uomo di
sua natura non può desiderare altro che bene. Si che il vizio è colorato col
colore del proprio bene, e però offende l'anima. Ma perché l'occhio non
discerne per la ciechità sua, non cognosce la veritá; e però erra cercando el
bene e i diletti colà dove non sonno.
Già t'ho detto
ch'e' diletti del mondo senza me sonno tutti spine piene di veleno; si che è
ingannato l'intelletto nel suo vedere e la volontà ne l'amare (amando quel che
non die) e (99) la memoria nel ritenere. Lo 'ntellecto fa come il ladro che
imbola l'altrui; e cosí la memoria ritiene il ricordamento continuo di quelle
cose che sonno fuore di me: e per questo modo l'anima si priva della grazia.
Tanta è l'unità di
queste tre potenzie de l'anima, che Io non posso essere offeso da l'una che
tutte non m'offendano. Perché l'una porge a l'altra, si com' Io t'ho detto, el
bene e ‘l male, secondo che piace al libero arbitrio. Questo libero
arbitrio è legato con l'affetto, e però el muove secondo che gli piace, o con
lume di ragione o senza ragione. Voi avete la ragione legata in me, colà dove
el libero arbitrio con disordinato amore non vi tagli; e avete la legge perversa,
che sempre impugna contra lo spirito. Avete dunque due parti in voi, cioè la
sensualità e la ragione. La sensualità è serva, e però è posta perché ella
serva a l'anima, cioè che con lo strumento del corpo proviate ed exercitiate le
virtú.
L'anima è libera
(liberata da la colpa nel sangue del mio Figliuolo), e non può essere
signoreggiata se ella non vuole consentire con la volontà, la quale è legata
col libero arbitrio; e esso libero arbitrio si fa una cosa con la volontà,
acordandosi con lei. Egli è legato in mezzo fra la sensualità e la ragione; e a
qualunque egli si vuole voliere, si può. È vero che, quando l'anima si reca a
congregare con la mano del libero arbitrio le potenzie sue nel nome mio, si
come detto t'ho, alora sonno congregate tutte l'operazioni che fa la creatura,
temporali e spirituali. E il libero arbitrio alora si scioglie da la propria
sensualità e legasi con la ragione. Io alora, per grazia, mi riposo nel mezzo
di loro. E questo è quello che dixe la mia Verità, Verbo incarnato, dicendo: «
Quando saranno due o tre o piú congregati nel nome mio, lo sarò nel mezzo di
loro ». E cosí è la veritá. E giá ti dixi che neuno poteva venire a me se non
per lui, e però n'avevo facto ponte con tre scaloni; e' quali tre scaloni
figurano tre stati de l'anima, si come di sotto ti narrarò.
Alto del documento
100
— Hotti
spianata la figura de' tre scaloni in generale per le tre potenzie de l'anima,
le quali sonno tre scale, e non si può salire l'una senza l'altra, a volere
passare per la doctrina e ponte della mia Verità. Né non può l'anima, se non ha
unite queste tre potenzie insieme, avere perseveranzia. Della quale
perseveranzia Io ti dixi di sopra, quando tu mi dimandasti del modo che
dovessero tenere questi andatori a escire del fiume e che lo ti spianasse
meglio e' tre scaloni; e Io ti dixi che senza la perseveranzia neuno poteva
giognere al termine suo.
Due termini sonno, e ogniuno richiede
perseveranzia: cioè il vizio e la virtú. Se tu vuoli giognere a vita, ti
conviene perseverare nella virtú; e chi vuole giognere a morte etternale
persevera nel vizio. Si che con perseveranzia si viene a me che so' vita, e al
dimonio a gustare l'acqua morta.
Alto del documento
— Voi sète tucti
invitati generalmente e particularmente da la mia Verità, quando gridava nel
Tempio per ansietato desiderio dicendo: « Chi ha sete venga a me e beia, però
che Io so' fonte d'acqua viva ». Non dixe: « Vada al Padre e beia »; ma dixe: «
Venga a me ». Perché? però che in me, Padre, non può cadere pena; ma si nel mio
Figliuolo. E voi, mentre che sète peregrini e viandanti in questa vita mortale,
non potete andare senza pena; perché per lo peccato la terra germinò spine, si
come decto è.
101
E perché dixe: «
Venga a me e beia »? Perché, seguitando la doctrina sua, o per la via de'
comandamenti co' consigli mentali, o de' comandamenti co' consigli actuali
(cioè d'andare o per la caritá perfecta, o per la caritá comune, si come di
sopra ti dixi), per qualunque modo che voi passiate per andare a lui, cioè
seguitando la sua doctrina, voi trovate che bere, trovando e gustando el fructo
del Sangue per l'unione della natura divina unita nella natura umana. E
trovandovi in lui, vi trovate in me, che so' mare pacifico; perché so' una cosa
con lui, e egli è una cosa con meco. Si che voi sète invitati a la fonte de
l'acqua viva della grazia.
Convienvi tenere
per lui, che v'è facto ponte, con perseveranzia. Si che neuna spina né vento
contrario né prosperità né adversità né altra pena, che poteste sostenere, vi
debba fare vòllere il capo a dietro; ma dovete perseverare infino che troviate
me, che vi do acqua viva, che ve la do per mezzo di questo dolce e amoroso
Verbo unigenito mio Figliuolo.
Ma perché dixe: «
Io so' fonte d'acqua viva »? Però che egli fu la fonte la quale conteneva me,
che do acqua viva, unendosi la natura divina con la natura umana. Perché dixe:
« Venga a me e beia »? Però che non potete passare senza pena, e in me non
cadde pena, ma si in lui; e però che di lui lo vi feci ponte, neuno può venire
a me se non per lui. E cosí dixe egli: « Neuno può andare al Padre se non per
me ». Cosí disse veritá la mia Verità.
Ora hai veduto che
via elli vi conviene tenere e che modo: cioè con perseveranzia. E altrimenti
non bereste, però che ella è quella virtú che riceve gloria e corona di
victoria in me, Vita durab'ile.
Alto del documento
102
— Ora ti ritorno a'
tre scaloni per li quali vi conviene andare a volere uscire del fiume e non
annegare, e giognere a l'acqua viva a la quale sète invitati, e a volere che Io
sia in mezzo di voi. Però che alora, ne l'andare vostro, Io so' nel mezzo, che
per grazia mi riposo ne l'anime vostre.
Convienvi dunque, a
volere andare, avere sete; però che solo coloro che hanno sete sonno invitati,
dicendo: « Chi ha sete venga a me, e beia ». Chi non ha sete non persevera ne
l'andare: però che o egli si ristà per fadiga, o egli si ristà per dilecto, né
non si cura di portare el vaso con che egli possa actègnare. Né non si cura
d'avere la compagnia; e solo non può andare. E però vòlle il capo indietro
quando vede giognere alcuna puntura di persecuzioni, perché se n'è facto
nemico. Teme, perché egli è solo; ma, se egli fusse acompagnato, non temarebbe.
Se avesse saliti e' tre scaloni, sarebbe sicuro, perché non sarebbe solo.
Convienvi dunque avere
sete e congregarvi insieme, si come dixe: o due o tre o piú. Perché dixe « o
due o tre »? perché non sono due senza tre, né tre senza due, né tre né due
senza piú. Uno è schiuso che Io sia in mezzo di lui, perché non ha seco
compagno si che Io possa stare in mezzo, e non è cavelle; però che colui, che
sta ne l'amore proprio di sé, è solo perché è separato dalla grazia mia e dalla
caritá del proximo suo. Ed essendo privato di me per la colpa sua, torna a non
cavelle, perché solo Io so' Colui che so'. Si che colui che è uno, cioè sta
solo ne l'amore proprio di sé, non è conciato da la mia Verità né accepto a me.
Dice dunque: « Se
saranno due o tre o piú congregati nel nome mio, lo sarò nel mezzo di loro ».
Díxiti che due non (103) erano senza tre, né tre senza due; e cosí è. Tu sai
che i comandamenti della Legge stanno solamente in due, e senza questi due
neuno se ne observa: cioè d'amare me sopra ogni cosa, e il proximo come te
medesima. Questo è il principio e mezzo e fine de' comandamenti della Legge.
Questi due non
possono essere congregati nel nome mio senza tre, cioè senza la congregazione
delle tre potenzie de l'anima, cioè la memoria, lo 'ntellecto e la volontà; si
che la memoria ritenga i benefizi miei, e la mia bontá in sé; e l' intellecto
raguardi ne l'amore ineffabile, il quale Io ho mostrato a voi col mezzo de
l'unigenito mio Figliuolo, el quale ho posto per obiecto a l'occhio de
l'intellecto vostro, acciò che in lui raguardi el fuoco della mia carità; e la
volontà alora sia congregata in loro, amando e desiderando me, che so' suo
fine.
Come queste tre
virtú e potenzie de l'anima sonno congregate, Io so' nel mezzo di loro per
grazia. E perché alora l'uomo si truova pieno della caritá mia e del proximo
suo, subbito si truova la compagnia delle molte e reali virtú. Alora l’apetito
de l'anima si dispone ad avere sete. Sete, dico, della virtú, de l'onore di me
e salute de l'anime; e ogni altra sete è spenta e morta in loro; e va
sicuramente senza alcuno timore servile, salito lo scalone primo de l’affecto.
Perché l’affecto, spogliatosi del proprio amore, saglie sopra di sé e sopra le
cose transitorie, amandole e tenendole, se egli le vuole tenere, per me e non
senza me, cioè con sancto e vero timore, e amore della virtú.
Alora si truova
salito el secondo scalone, cioè al lume de l'intellecto, el quale si specula ne
l'amore cordiale di me, in Cristo crocifixo in cui, come mezzo, lo ve l'ho
mostrato. Alora truova la pace e la quiete, perché la memoria s'è impíta e non
è vòtia della mia caritá. Tu sai che la cosa vòtia toccandola bussa, ma
quando.ella è piena non fa cosí. Cosí, quando è piena la memoria col lume de
l'intellecto, e con l'affecto pieno d'amore, muovelo con tribulazioni o con
delizie del mondo, egli non bussa con disordinata allegrezza; e non bussa per
impazienzia, perché egli è pieno di me che so' ogni bene.
104
Poi che è salito,
egli si truova congregato; ché, possedendo la ragione e' tre scaloni delle tre
potenzie de l'anima, come decto t'ho, l'ha congregate nel nome mio. Congregati
e' due, cioè l'amore di me e del proximo, e congregata la memoria a ritenere e
lo 'ntellecto a vedere e la volontà ad amare, l'anima si truova acompagnata di
me che so' sua fortezza e sua securtà. Truova la compagnia delle virtú; e cosí
va e sta secura, perché so' nel mezzo di loro.
Alora si muove con
ansietato desiderio, avendo sete di seguitare la via della Verità, per la quale
via truova la fonte de l'acqua viva. Per la sete che egli ha de l'onore di me e
salute di sé e del proximo, ha desiderio della via, però che senza la via non
si potrebe giognere. Alora va e porta el vaso del cuore vòtio d'ogni affecto e
d'ogni amore disordinato del mondo. E subito che egli è vòtio, s'empie, perché
neuna cosa può stare vòtia; unde, se ella non è piena di cosa materiale, ed
ella s'empie d'aria. Cosí el cuore è uno vasello che non può stare vòtio; ma,
subito che n'ha tracte le cose transitorie per disordinato amore, è pieno
d'aria, cioè di celestiale e dolce amore divino, col quale giogne a l'acqua
della grazia: unde gionto che è, passa per la porta di Cristo crocifixo e gusta
l'acqua viva, trovandosi in me che so' mare pacifico.
Alto del documento
— Ora t'ho mostrato
che modo ha a tenere generalmente ogni creatura che ha in sé ragione, per
potere escire del pelago del mondo e per non annegare e giognere a l’etterna
dannazione. Anco t'ho mostrato e' tre scaloni generali, ciò sonno le tre
potenzie de l'anima, e che neuno ne può salire uno che non li salga tucti. E
hotti decto sopra quella parola che disse la mia Verità: « Quando saranno due o
tre o piú congregati nel nome mio », come questa è la congregazione di questi
tre scaloni, cioè (105) delle tre potenzie de l'anima. Le quali tre potenzie
acordate hanno seco e' due principali comandamenti della Legge: cioè la
carità mia e del proximo tuo, cioè d'amare me
sopra ogni cosa, e’l proximo come te medesima.
Alora, salita la
scala, cioè congregate nel nome mio, come decto t'ho, subito ha sete de l'acqua
viva. E allora si muove e passa su per lo ponte, seguitando la doctrina della
mia Verità, che è esso ponte. Alora voi corrite doppo la voce sua che vi
chiama, si come di sopra ti dixi; che, gridando, nel tempio v'invitava,
dicendo: « Chi ha sete venga a me e beia, che so' fonte d'acqua viva ». Hotti
spianato quel che egli voleva dire e come si debba intendere, acciò che tu
meglio abbi cognosciuta l’abondanzia della mia carità, e la confusione di-
coloro che a dilecto pare che corrano per la via del dimonio che gl'invita a
l'acqua morta.
Ora hai veduto e
udito di quello che mi dimandavi, cioè del modo che si debba tenere per non
annegare. E hotti decto che ‘l modo è questo: cioè di salire per lo
ponte. Nel quale salire sonno congregati e uniti insieme, stando nella
dileczione del proximo, portando el cuore e l’affecto suo come vasello a me,
che do bere a chi me l'adimanda, e tenendo per la via di Cristo crocifixo con
perseveranzia infino a la morte.
Questo è quel modo
che tucti dovete tenere in qualunque stato l'uomo si sia, però che neuno stato
lo scusa che egli nol possa fare e che non il debba fare; anco el può fare e
debbalo fare, ed ènne obligata ogni creatura che ha in sé ragione. E neuno si
può ritrare, dicendo: — Io ho lo stato, ho' figliuoli, ho altri impacci del
mondo; e per questo mi ritrago ch'io non séguito questa via. — O per
malagevolezza che vi truovino, non il possono dire; però che giá ti dixi che
ogni stato era piacevole e accepto a me, purché fusse tenuto con buona e sancta
volontà. Perché ogni cosa è buona e perfecta e facta da me, che so' somma
bontá: non sonno create né date da me perché con esse pigliate la.morte, ma
perché n'abbiate vita.
Agevole cosa è,
però che neuna cosa è di tanta agevolezza e di tanto dilecto quanto è l'amore.
E quello che Io vi richiego (106) non è altro che amore e dileczione di me e
del proximo. Questo si può fare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni stato
che l'uomo è, amando e tenendo ogni cosa ad laude e gloria del nome mio.
Sai che Io ti dixi
che per lo inganno loro, non andando eglino col lume ma vestendosi de l'amore
proprio di loro, amando e possedendo le creature e le cose create fuore di me,
passano costoro questa vita crociati, essendo facti incomportabili a loro
medesimi. E se essi non si levano per lo modo che decto è, giongono a l’ecterna
dannazione.
Ora t'ho decto che
modo debba tenere ogni uomo generalmente.
Alto del documento
— Perché di sopra
ti dixi come debbono andare e vanno coloro che sonno nella caritá comune, ciò
sonno quegli che observano i comandamenti e i consigli mentalmente; ora ti
voglio dire di coloro che hanno cominciato a salire la scala e cominciano a
volere andare per la via perfecta, cioè d'observare i comandamenti e i consigli
actualmente in tre stati, e' quali ti mostrarrò, spianandoti ora in particulare
i tre gradi e stati de l'anima e tre scaloni, e' quali ti posi in generale per
le tre potenzie de l'anima. De' quali l'uno è imperfecto, l'altro è piú
perfecto, l'altro è perfectissimo. L'uno m'è servo mercennaio, l'altro m'è
servo fedele, l'altro m'è figliuolo, cioè che ama me senza alcuno rispecto.
Questi sonno tre
stati che possono essere e sonno in molte creature, e sonno in una creatura
medesima. In una creatura sonno e possono essere quando con perfecta sollicitudine
corre per la via predecta exercitando il tempo suo, che da lo stato servile
giogne al liberale, e dal liberale al filiale.
107
Leva te sopra di te
e apre l'occhio de l' intellecto tuo, e mira questi perregrini viandanti come
passano. Alcuni imperfectamente, e alcuni perfectamente per la via de'
comandamenti, e alquanti perfectissimamente tenendo ed exercitando la via de'
consigli. Vedrai unde viene la imperfeczione e unde viene la perfeczione, e
quanto è l'inganno che l'anima riceve in se medesima perché la radice de
l'amore proprio non è dibarbicata. In ogni stato che l'uomo è, gli è bisogno
d'ucidere questo amore proprio in sé.
Alto del documento
Alora quella anima,
ansietata d'affocato desiderio, specolandosi nello specchio dolce divino,
vedeva le creature tenere in diversi modi e con diversi rispecti per giognere
al fine loro. Molti vedeva che cominciavano a salire sentendosi impugnati dal
timore servile, cioè temendo la propria pena. E molti, exercitando el primo
chiamare, giognevano al secondo; ma pochi si vedevano giognere a la grandissima
perfeczione.
Alto del documento
Alora la bontá di
Dio, volendo satisfare al desiderio de l'anima, diceva: — Vedi tu: costoro si
sonno levati con timore servile dal bòmico del peccato mortale; ma se essi non
si levano con amore della virtú, non è sufficiente il timore servile a dar lo'
vita durabile. Ma l'amore col sancto timore è sufficiente, perché la legge è
fondata in amore con timore sancto.
108
La legge del timore
era la legge vecchia che fu data da me a Moisé. La quale era fondata solamente
in timore, perché, commessa la colpa, pativano la pena.
La legge de l'amore
è la legge nuova, data dal Verbo de l'unigenito mio Figliuolo; la quale è
fondata in amore. E per la legge nuova non si ruppe però la vecchia: anco
s'adempí. E cosí dixe la mia Verità: « Io non venni a dissolvere la legge, ma
adempirla ». E uni la legge del timore con quella de l'amore. Fulle tolto per
l'amore la imperfeczione del timore della pena, e rimase la perfeczione del
timore sancto, cioè temere solo di non offendere, non per danno proprio, ma per
non offendere me che so' somma bontá.
Si che la legge
imperfecta fu facta perfecta con la legge de l'amore. Poi che venne il carro
del fuoco de l'unigenito mio Figliuolo, ci quale recò ci fuoco della mia caritá
ne l'umanità vostra, con l’abondanzia della misericordia, fu tolta via la pena
delle colpe che si commectono: cioè di non punirle in -questa vita di subbito
che offende, si come anticamente era dato e ordinato nella legge di Moisé di
dare la pena subbito che la colpa era commessa. Ora non è cosí : non bisogna
dunque timore servile. E non è però che la colpa non sia punita, ma è servata a
punire (se la persona non la punisce con perfecta contrizione) ne l'altra vita,
separata l'anima dal corpo. Mentre che vive egli, gli è tempo di misericordia;
ma, morto, gli sarà tempo di giustizia.
Debbasi dunque
levare dal timore servile e giognere a l'amore e sancto timore di me. Altro
rimedio non ci sarebbe che elli non ricadesse nel fiume, giognendoli fonde
delle tribolazioni e le spine delle consolazioni. Le quali sonno tucte spine
che pongono l'anima che disordinatamente l'ama e possiede.
109
Alto del documento
— Perché lo ti dixi
che neuno poteva andare per lo ponte né escire del fiume che non salisse i tre
scaloni, e cosí è la veritá: che salgono chi imperfectamente e chi
perfectamente e chi con grande perfeczione.
Costoro e' quali
sonno mossi dal timore servile hanno salito e congregatisi insieme
imperfectamente. Cioè che l'anima, avendo veduta la pena che séguita doppo la
colpa, saglie e congrega insieme la memoria a trarne ci ricordamento del vizio,
lo intellecto a vedere la pena sua che per essa colpa aspecta d'avere; e però
la volontà si muove ad odiarla.
E poniamo che
questa sia la prima salita e la prima congregazione, conviensi exercitarla col
lume de l'intelletto dentro nella pupilla della sanctissima fede, raguardando
non, solamente la pena ma ci frutto delle virtú e l'amore che Io lo' porto;
acciò che salgano con amore co' piei de l’affecto, spogliati del timore
servile. E facendo cosí, diventaranno servi fedeli e non infedeli, servendomi
per amore e non per timore. E se con odio s' ingegnaranno di dibarbicare la
radice de l'amore proprio di loro, se sonno prudenti costanti e perseveranti,
vi giongono.
Ma molti sonno che
pigliano ci loro cominciare e salire si lentamente, e tanto per spizzicone
rendono ci debito loro a me, e con tanta negligenzia e ignoranzia, che subbito
vengono meno. Ogni piccolo vento gli fa andare a vela e voltare il capo a
dietro, perché imperfectamente hanno salito e preso ci primo scalone di Cristo
crocifixo; e però non giongono al secondo del cuore.
110
Alto del documento
Alquanti sonno che
sonno fatti servi fedeli, cioè che fedelmente mi servono, senza timore servile
(servendo solo per timore della pena), ma servono con amore. Questo amore, cioè
di servire per propria utilitá o per diletto o piacere che truovino in me, è
imperfetto. Sai chi lo' ‘l dimostra che l'amore loro è imperfetto? quando
sonno privati della consolazione che trovavano in me. E con questo medesimo
amore imperfetto amano el proximo loro: E però non basta né dura l'amore: anco
allenta, e spesse volte viene meno. Allenta inverso di me quando alcuna volta
Io, per exercitargli nella virtú e per levarli dalla imperfeczione, ritrago a
me la consolazione della mente e permetto lo' battaglie e molestie. E questo fo
perché vengano ad perfetto cognoscimento di loro, e conoscano loro non essere,
e neuna grazia avere da loro. E nel tempo delle battaglie rifuggano a me,
cercandomi e cognoscendomi come loro benefattore, cercando solo me con vera
umilità. E per questo lo' 1 do e ritrago da loro la consolazione, ma non la
grazia.
Questi cotali alora
allentano, voltandosi con impazienzia di mente. Alcuna volta lassano per molti
modi e' loro exercizi, e spesse volte sotto colore di virtú, dicendo in loro
medesimi : — Questa operazione non ti vale, — sentendosi privati della propria
consolazione della mente. Questi fa come imperfetto che anco non ha bene levato
el panno de l'amore proprio spirituale della pupilla de l'occhio della
sanctissima fede. Però che, se egli l'avesse levato in veritá, vedrebbe che
ogni cosa procede da me e che una foglia d'arbore non cade senza la mia
providenzia; e che ciò che Io do e permetto, do per loro sanctificazione, cioè
perché abbino el bene e il fine per lo quale lo vi creai.
111
Questo debbono
vedere e cognoscere, che Io non voglio altro che il loro bene, nel sangue de
l'unigenito mio Figliuolo, nel quale sangue sonno lavati dalle iniquità loro.
In esso sangue possono cognoscere la mia veritá, che, per dar lo' vita etterna,
lo gli creai a la imagine e similitudine mia, e ricreai a grazia, col sangue
del Figliuolo proprio, loro, figliuoli adoptivi. Ma perché essi sonno
imperfetti, servono per propria utilitá e allentano l'amore del proximo.
E' primi vi vengono
meno per timore che hanno di non sostenere pena. Costoro, che sonno e' secondi,
allentano, privandosi de l'utilitá che facevano al proximo, e ritragono a
dietro da la caritá loro, se si vegono privati della propria utilitá o d'alcuna
consolazione che avessero trovata in loro. E questo l’adiviene perché l'amore
loro non era schietto; ma, con quella imperfeczione che amano me (cioè d'amarmi
per propria utilitá), di quello umore amano loro.
Se essi non
ricognoscono la loro imperfeczione col desiderio della perfeczione, impossibile
sarebbe che non voltassero el capo indietro. Di bisogno l'è, a volere vita
etterna, che essi amino senza rispetto: non basta fuggire il peccato per timore
della pena né abracciare le virtú per rispetto della propria utilitá, però che
non è sufficiente a dare vita etterna; ma conviensi ché si levi del peccato
perché esso dispiace a me, e ami la virtú per amore di me.
È vero che quasi el primo chiamare generale
d'ogni persona è questo; però che prima è imperfetta l'anima che perfetta. E da
la imperfeczione debba giognere a la perfeczione: o nella vita mentre che vive,
vivendo in virtú col cuore schietto e liberale d'amare me senza alcuno
rispetto; o nella morte, riconoscendo la sua imperfeczione con proponimento
che, se egli avesse tempo, servirebbe me 'senza rispetto di sé.
Di questo amore
imperfetto amava sancto Pietro el dolce e buono Iesú, unigenito mio Figliuolo,
molto dolcemente sentendo la dolcezza della conversazione sua. Ma, venendo el
tempo della tribolazione, venne meno; tornando a tanto inconveniente che, non
tanto che egli sostenesse pena in sé, ma, cadendo nel primo (112) timore della
pena, el negò, dicendo che mai non l'aveva cognosciuto.
In molti
inconvenienti cade l'anima che ha salita questa scala solo col timore servile e
con l'amore mercennaio. Debbansi adunque levare ed essere figliuoli, e servire
a me senza rispetto di loro. Benché Io, che so' remuneratore d'ogni fadiga,
rendo a ciascuno secondo lo stato ed exercizio suo. E se costoro non lassano
l’exercizio de l'orazione sancta e de l'altre buone operazioni, ma con
perseveranzia vadano aumentando la virtú, giogneranno a l'amore del figliuolo.
E Io amarò loro
d'amore filiale, però che con quello amore che so' amato lo, con quello vi
rispondo: cioè che, amando me si come fa el servo el signore, Io come signore
ti rendo el debito tuo, secondo che tu hai meritato. Ma non manifesto me
medesimo a te, perché le cose secrete si manifestano a l'amico che è facto una
cosa con l'amico suo.
È vero che ‘l
servo può crescere per la virtú sua e amore che porta al signore, si che
diventarà amico carissimo: cosí è e adiviene di questi cotali. Mentre che
stanno nel mercennaio amore, Io non. manifesto me medesimo a loro; ma se essi
con dispiacimento della loro imperfeczione e amore delle virtú, con odio
dibarbicando la radice de l'amore spirituale proprio di se medesimo, salendo
sopra la sedia della coscienzia sua, tenendosi ragione, si che non passino e'
movimenti, nel cuore, del timore servile e de l'amore mercennaio che non sieno
corretti col lume della sanctissima fede; facendo cosí, sarà tanto piacevole a
me, che per questo giognaranno a l'amore de l'amico.
E cosí manifestarò
me medesimo a loro, si come dixe la mia Verità quando disse: « Chi m'amará sarà
una cosa con meco e Io con loro, e manifestarò me medesimo, e faremo mansione
insieme ». Questa è la condiczione del carissimo amico, che sonno due corpi e
una anima per affecto d'amore, perché l'amore si transforma nella cosa amata.
Se elli è facto una anima, neuna cosa gli può essere segreta. E però dixe la
mia Verità: « Io verrò e faremo mansione insieme ». E cosí è la veritá.
Alto del documento
113
— Sai in che modo
manifesto me ne l'anima che m'ama in veritá, seguitando la dottrina di questo
dolce ed amoroso Verbo? In molti modi manifesto la virtú mia ne l'anima,
secondo el desiderio che ella ha.
Tre principali
manifestazioni Io fo. La prima è che Io manifesto l'affetto e la caritá mia col
mezzo del Verbo del mio Figliuolo; el quale affecto e la quale caritá si
manifesta nel Sangue sparto con tanto fuoco d'amore. Questa caritá si manifesta
in due modi: l'uno è generale comunemente a la gente comune, cioè a coloro che
stanno nella caritá comune. Manifestasi, dico, in loro vedendo e provando la
mia caritá in molti e diversi benefizi che ricevono da me. L'altro modo è
particulare a quegli che sonno fatti amici, aggionto alla manifestazione della
comune caritá che egli gustano e cognoscono e pruovano e sentono per sentimento
ne l'anime loro.
La seconda
manifestazione della caritá è pure in loro medesimi, manifestandomi per affecto
d'amore. None che Io sia acceptatore delle creature, ma del sancto desiderio; ,
manifestandomi ne l'anima in quella perfeczíone che ella mi cerca. Alcuna volta
mi manifesto (e questa è pure la seconda) dando lo' spirito di profezia,
mostrando lo' le cose future. E questo è in molti e in diversi modi, secondo el
bisogno che lo vego ne l'anima propria e ne l'altre creature.
Alcuna volta (e
questa è la terza) formarò nella mente loro la presenzia della mia Verità,
unigenito mio Figliuolo, in molti modi, secondo che l'anima appetisce e vuole.
Alcuna volta mi cerca ne l'orazione, volendo cognoscere la potenzia mia; e lo
le satisfo facendole gustare e sentire la mia virtú. Alcuna volta mi cerca
nella sapienzia del mio Figliuolo, e Io le satisfo ponendolo per obietto a
l'occhio de l'intelletto suo. Alcuna volta
114
mi cerca nella clemenzia dello Spirito sancto;
e alora la mia bontá le fa gustare il fuoco della divina carità, concipendo le
vere e reali virtú, fondate nella caritá pura del proximo suo.
Alto del documento
— Adunque vedi che
la Verità mia disse veritá, dicendo: « Chi m'amará sarà una cosa con meco »; però
che, seguitando la doctrina sua, per affecto d'amore sète uniti in lui. Ed
essendo uniti in lui, sète uniti in me, perché siamo una cosa insieme; e cosí
manifesto me medesimo a voi, perché siamo una medesima cosa. Unde, se la mia
Verità dixe: « Io manifestarò me a voi », dixe veritá; però che manifestando sé
manifestava me, e manifestando me manifestava sé.
Ma perché non
disse: « Io manifestarò el Padre mio a voi »? Per tre cose singulari. Una,
perché egli volse manifestare che Io non so' separato da lui, né egli da me; e
però a sancto Filippo, quando gli dixe: « Mostraci el Padre e basta a noi »,
dixe: « Chi vede me vede il Padre, e chi vede el Padre vede me ». Questo disse,
però che era una cosa con meco, e quello che egli aveva l'aveva da me, e none Io
da lui. E però dixe a' giuderi: « La doctrina mia non è mia, ma è del Padre mio
che mi mandò ». Perché il Figliuolo mio procede da me, e non Io da lui. Ma ben
so' una cosa con lui ed egli con meco. Però adunque non dixe: « Io manifestarò
el Padre », ma dixe: « Io manifestarò me », cioè: « però che so' una cosa col
Padre ».
La seconda fu però
che, manifestando sé a voi, non porgeva altro che quel che aveva avuto da me,
Padre, quasi volesse elli dire: « El Padre ha manifestato sé a me, perch' Io
so' una cosa con lui. E Io, me e lui, per mezzo di me, manifestarò a voi ».
La terza fu perché
Io, invisibile, non posso essere veduto da voi, visibili, se non quando sarete
separati da' corpi vostri. Alora (115) vedrete me, Dio, a faccia a faccia, e il
Verbo del mio Figliuolo intellectualmente di qui al tempo della resurreczione
generale,
quando l'umanità vostra si conformarà e
dilectarà ne l'umanità del Verbo, si come di sopra nel Traciato della
resurreczione ti contiai.
Si che me, come Io
so', non mi potete vedere. E però velai Io la divina natura col velame della
vostra umanità, acciò che mi poteste vedere. lo, invisibile, mi feci quasi
visibile, dandovi el Verbo del mio Figliuolo, velato del velame della vostra
umanità. Egli manifesta me a voi; e però adunque non disse: « Io manifestarò el
Padre », ma disse: « Io manifestarò me a voi », quasi dica: « secondo che m'ha
dato el Padre mio, manifestarò me a voi ».
Si che vedi che in
questa manifestazione, manifestando sé, manifesta me. Ed anco hai udito perché
egli non disse: « lo manifestarò el Padre a voi », cioè perché a voi nel corpo
mortale non è possibile di vedere me, come decto è, e perché egli è una cosa
con meco.
Alto del documento
— Ora hai veduto in
quanta excellenzia sta colui che è gionto a l'amore de l'amico. Questo ha
salito el piè de l'affecto ed è gionto al secreto del cuore, cioè al secondo
de' tre scaloni e' quali sonno figurati nel corpo del mio Figliuolo. Díxiti che
significati erano nelle tre potenzie de l'anima, e ora tel pongo significare e'
tre stati de l'anima. Ora, innanzi ch' Io ti gionga al terzo, ti voglio
mostrare in che modo gionse ad essere amico (ed essendo facto amico, è facto
figliuolo, giognendo a l'amore filiale), e quello che fa essendo facto amico, e
in quello che si vede che egli è facto amico.
116
El primo, cioè come
egli è venuto ad essere amico, dicotelo. In prima era imperfecto, essendo nel
timore servile: exercitandosi e perseverando, venne a l'amore del dilecto e
della propria utilitá, trovando dilecto e utilitá in me. Questa è la via, e per
questa passa colui che desidera di giognere a l'amore perfecto, cioè ad amore
d'amico e di figliuolo.
Dico che l'amore
filiale è perfecto, però che ne l'amore del figliuolo riceve la eredità di me,
Padre etterno. E perché amore di figliuolo non è senza l'amore de l'amico, però
ti dixi che d'amico era facto figliuolo.
Ma che modo tiene a
giógnarvi? Dicotelo. Ogni perfeczione ed ogni virtú procede da la carità, e la
caritá è notricata da l’umilità, e l'umilità esce del cognoscimento e odio
sancto di se medesimo, cioè della propria sensualità. Chi ci giogne, conviene
che sia perseverante e atia nella cella del cognoscimento di sé; nel quale
cognoscimento di sé cognoscerà la misericordia mia nel sangue de l'unigenito
mio Figliuolo, tirando a sé con l'affetto suo la divina mia carità,
exercitandosi in extirpare ogni perversa volontà spirituale e temporale,
nascondendosi nella casa sua. Si come fece Pietro e gli altri discepoli, che,
doppo la colpa della negazione che fece del mio Figliuolo, pianse. El suo
pianto era ancora imperfetto: e imperfetto fu infino a doppo e' quaranta di,
cioè doppo l'Ascensione, poi che la mia Verità ritornò a me secondo l'umanità
sua. Alora si nascosero Pietro e gli altri nella casa aspettando l'a'venimento
dello Spirito sancto, si come la mia Verità aveva promesso a loro.
Essi stavano
inserrati per paura, però che sempre l'anima, infino che non giogne al vero
amore, teme: ma perseverando in vigilia, in umile e continua orazione infino
che ebbero l’abondanzia dello Spirito sancto, alora, perduto el timore,
seguitavano e predicavano Cristo crocifixo.
Cosí l'anima che ha
voluto o vuole giognere a questa perfeczione, poi che doppo la colpa del
peccato mortale s'è levata e ricognosciuta sé, comincia a piagnere per timore
della pena. Poi si leva a la considerazione della misericordia mia, dove truova
dilecto e sua utilitá. E questo è imperfetto. E però Io, per farla (117) venire
ad perfeczione, doppo e' quaranta di (cioè doppo questi due stati), a ora a ora
mi sottraggo da l'anima: non per grazia ma per sentimento.
Questo vi manifestò
la mia Verità, quando dixe a' discepoli: « Io andarò e tornarò a voi ». Ogni
cosa che egli diceva era detta in particolare a' discepoli, ed era detta in
generale e comunemente a tutti e' presenti e a' futuri, cioè di quelli che
dovevano venire. Disse: «lo andarò e tornarò a voi »; e cosí fu: ché, tornando
lo Spirito sancto sopra e' discepoli, tornò Egli, perché, come di sopra ti
dixi, lo Spirito sancto non tornò solo, ma venne con la potenzia mia e con la
sapienzia del Figliuolo (che è una cosa con meco), e con la clemenzia sua
d'esso Spirito sancto, el quale procede da me, Padre, e dal Figliuolo.
Or cosí ti dico:
che, per fare levare l'anima dalla imperfeczione, lo mi sottraggo, per
sentimento, privandola della consolazione di prima. Quando ella era nella colpa
del peccato mortale, ella si parti da me, ed Io sottraxi la grazia per la colpa
sua, perché essa aveva serrata la porta del desiderio; unde il sole della
grazia n'esci fuore, non per difetto del sole, ma per dilecto della creatura,
che serrò la porta del desiderio. Ricognoscendo sé e la tenebre sua, apre la
finestra, vomitando el fracidume per la sancta confessione. Io alora per grazia
so' tornato ne l'anima, e ritraggomi da lei non per grazia ma per sentimento,
come detto è. Questo fo per farla umiliare e per farla exercitare in cercare me
in veritá, e per provarla nel lume della fede, perché ella venga a prudenzia.
Alora, se ella ama senza rispetto, con viva fede e con odio di sé, gode nel
tempo della fadiga, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E questa
è la seconda cosa delle tre, delle quali Io ti dicevo, cioè di mostrare in che
modo viene ad perfeczione, e che fa quando ella è gionta.
Questo è quel che
fa: che, perché ella senta ch' Io sia ritratto a me, non volta el capo a
dietro; anco persevera con umilità ne l’exercizio suo, e sta serrata nella casa
del cognoscimento di sé. E ine con fede viva aspetta l’avenimento dello Spirito
sancto, cioè me, che so' esso fuoco di caritá. Come aspetta? non oziosa, ma in
vigilia e continua e sancta orazione. E non (118) solamente la vigilia
corporale, ma la vigilia intellectuale, cioè che l'occhio de l' intellecto non
si serra, ma col lume della fede veghia-, extirpando con odio le cogitazioni
del cuore; veghiando ne l'affecto della mia carità, cognoscendo che Io non
voglio altro che la sua sanctificazione. E questo n'è certificato nel sangue
del mio Figliuolo.
Poi che l'occhio
vegghia nel cognoscimento di me e di sé, òra continuamente con orazione di
sancta e buona volontà: questa è orazione continua. E anco con l'orazione
actuale, cioè, dico, facta ne l'actuale tempo ordinatamente, secondo l'ordine
della sancta Chiesa.
Questo è quello che
fa l'anima che s'è partita dalla imperfeczione e gionta alla perfeczione. E
acciò che ella vi giognesse, mi partii da lei, non per grazia ma per
sentimento.
Partiimi ancora
perché ella vedesse e cognoscesse il difecto suo: però che, sentendosi privata
della consolazione, se sente pena afiiiggitiva e sentesi debile e non stare
ferma né perseverante, in questo truova la radice de l'amore spirituale proprio
di sé. E però l'è materia di cognoscersi e di levarsi sé sopra di sé, salendo
sopra la sedia della coscienzia sua; e non lassare passare quel sentimento che
non sia correcto con rimproverio, dibarbicando la radice de l'amore proprio col
coltello de l'odio d'esso amore e con l'amore della virtú.
Alto del documento
— E voglio che tu
sappi che ogni inperfeczione e perfeczione si manifesta e s'acquista in me; e
cosí s'acquista e manifesta nel mezzo del proximo. Bene il sanno e' semplici,
che spesse volte amano le creature di spirituale amore. Se l'amore di me
ha ricevuto schiectamente senza alcuno rispecto, schiectamente beie l'amore del
proximo suo, si come il vasello che s'empie nella fonte: che, se nel traie
fuore, beiendo, el vasello rimane vòtio; ma se egli el beie stando el vasello
nella fonte, non rimane vòtO, ma sempre sta pieno. Cosí l'amore del proximo,
spirituale e temporale, vuole essere beiuto in me, senza alcuno rispecto.
Io vi richiegio che
voi m'amiate di quello amore che Io amo voi. Questo non potete fare a me, però
che Io v'amai senza essere amato. Ogni amore, che voi avete a me, m'avete di
debito e non di grazia, però che ‘l dovete fare. E Io amo voi di grazia e
non di debito. Adunque a me non potete rendere questo amore che lo vi richiego;
e però v'ho posto el mezzo del proximo vostro, acciò che faciate a lui quello
che non potete fare a me, cioè d'amarlo senza veruno respecto, di grazia e
senza aspectarne alcuna utilitá. E io reputo che faciate a me quello che fate
allui.
Questo mostrò la mia
Verità dicendo a Pavolo, quando mi perseguitava: « Saulo, Saulo, perché mi
perseguiti? ». Questo diceva, reputando che Pavolo perseguitasse me
perseguitando e' miei fedeli.
Si che vuole essere
schiecto questo amore. E con quello amore, che voi amate me, dovete amare loro.
Sai a che se n'avede che egli non è perfecto colui che ama di spirituale amore?
Se si sente pena afìiiggitiva quando non gli pare che la creatura, che egli
ama, satisfaccia a l'amore suo, non parendogli essere amato quanto gli pare amare.
Ovvero che egli si vega sottrare la conversazione, o privare della
consolazione, o vedendo amare un altro piú di lui.
A questo e a molte
altre cose se ne potrà avedere che questo amore in me e nel proximo è ancora
imperfecto, e che questo vasello è beiuto fuore della fonte: poniamo che
l'amore abbi tracto da me. Ma perché in me l'aveva ancora imperfecto, però
imperfecto el mostra in colui che ama di spirituale amore. Tucto procede perché
la radice de l'amore proprio spirituale non era bene dibarbicata.
E però Io permecto
spesse volte che ponga questo amore, perché cognosca sé e la sua imperfeczione
per lo modo decto. (120) E sottragomi, per sentimento, da lei, perché
essa si rinchiuda nella casa del cognoscimento di sé, dove acquistarà ogni
perfeczione. E poi Io torno in lei con piú lume e cognoscimento della mia
veritá, in tanto che si reputa a grazia di potere uccidere la propria volontà
per me. E non si ristà mai di potare la vigna de l'anima sua, e di divellere le
spine delle cogitazioni, e ponere le pietre delle virtú fondate nel sangue di
Cristo crocifixo, le quali ha trovate ne l'andare per lo ponte di Cristo
crocifixo, unigenito mio Figliuolo. Si com' Io ti dixi, se bene ti ricorda, che
sopra del ponte, cioè della doctrina della mia Verità, erano le pietre fondate
in virtú del sangue suo, perché le virtú hanno dato vita a voi in virtú del
Sangue.
Alto del documento
— Poi che l'anima è
intrata dentro passando perla doctrina di Cristo crocifixo, con vero amore
della virtú e odio del vizio, con perfecta perseveranzia, gionta a la casa del
cognoscimento di sé, sta serrata in vigilia e continua orazione, separata al
tucto da la conversazione del secolo.
Perché si
rinchiuse? Per timore, cognoscendo la sua imperfeczione, e per desiderio che ha
di giognere a l'amore schiecto e liberale. E perché vede bene e cognosce che
per altro modo non vi può giognere, però aspecta con fede viva l'avenimento di
me per acrescimento di grazia in sé.
In che si cognosce
la fede viva? Nella perseveranzia della virtú, non vollendo el capo a dietro
per veruna cosa che sia, né levarsi da l'orazione sancta per veruna cosa che
sia: guarda giá che non fusse per obbedienzia o per carità; altrimenti non
debba partirsi da l'orazione. Però che spesse volte, nel tempo ordinato de
l'orazione, el dimonio giogne con le molte battaglie e molestie piú che quando si
truova fuore de l'orazione. Questo fa per farle venire a tedio l'orazione
sancta, dicendo spesse volte: — Questa orazione non ti vale, però che tu non
debbi pensare altro né actendere ad altro che a quel che tu dici. — Questo le
fa vedere il dimonio perché ella venga a tedio e a confusione di mente, e lassi
l'exercizio de l'orazione. La quale è una arme con che l'anima si difende da
ogni adversario, tenuta con la mano de l'amore e col braccio del libero
arbitrio, difendendosi con essa arme col lume della sanctissima fede.
Alto del documento
124
— Sappi, figliuola
carissima, che ne l'orazione umile e con. tinua e fedele, con vera
perseveranzia acquista l'anima ogni virtú. E però debba perseverare e non
lassarla mai, né per illusione di dimonio né per propria fragilità (cioè per
pensiero o movimento che venisse nella propria carne sua) né per detto di
creatura, ché spesse volte si pone il dimonio sopra le lingue loro, facendo lo'
favellare parole che hanno a impedire la sua orazione. Tutte le debba passare
con la virtú della perseveranzia. Oh! quanto è dolce a quella anima, e a me è
piacevole la sancta orazione fatta nella casa del cognoscimento di sé e nel
cognoscimento di me, aprendo l'occhio de l'intelletto col lume della fede e con
l'affetto ne l’abbondanzia della mia caritá !
La quale caritá v'è
fatta visibile per lo visibile unigenito mio Figliuolo, avendovela mostrata col
sangue suo. El quale sangue inebbria l'anima e vestela del fuoco della divina
carità, e dalle il cibo del sacramento (el quale v'ho posto nella bottiga del
corpo mistico della sancta Chiesa) del Corpo e del Sangue del mio Figliuolo
tutto Dio e tutto uomo, dandolo a ministrare per le mani del mio vicario, el
quale tiene la chiave di questo sangue.
Questa è quella
bottiga, della quale ti feci menzione, che stava in sul ponte per dare il cibo
e confortare e' viandanti e perregrini che passano per la dottrina della mia
Verità, acciò che per debilezza non vengano meno. Questo cibo conforta poco e
assai, secondo el desiderio di colui che ‘l piglia, in qualunque modo el
piglia, o sacramentalmente o virtualmente. Sacramentalmente è quando si
comunica del sancto Sacramento; (125) virtualmente è comunicandosi per sancto
desiderio: si per desiderio della comunione, e si per considerazione del sangue
di Cristo crocifixo, cioè comunicandosi sacramentalmente de l’affecto della
carità, la quale ha gustata e trovata nel Sangue, ci quale vede che per amore
fu sparto. E però vi s'inebria e'vi s'accende per sancto desiderio, e vi si
sazia trovandosi piena solo della caritá mia e del proximo suo.
Questo dove
l'acquistò? Nella casa del cognoscimento di sé, con sancta orazione, dove perdé
la imperfeczione. Si come i discepoli e Pietro perdéro (stando dentro in
vigilia e orazione) la imperfeczione loro e acquistàro la perfeczione. Con che?
con la perseveranzia condita con la sanctissima fede.
Ma non pensare che
riceva tanto ardore e nutrimento da questa orazione solamente con orazione
vocale, si come fanno molte anime, che la loro orazione è di parole piú che
d'affetto. Le quali non pare che attendano ad altro se none in compire e' molti
salmi e dire i molti paternostri. E compito el numero che si sonno proposti di
dire, non pare che pensino piú oltre. Pare che pongano affetto e attenzione a
l'orazione solo nel dire vocalmente: ed egli non si vuole fare cosí ; però che,
non facendo altro, poco frutto ne tragono, e poco è piacevole a me.
Ma se tu mi dici: —
Debbasi lassare stare questa, ché tutti non pare che siano tratti a l'orazione
mentale? — No, ma debba andare col modo, ché Io so bene che, come l'anima è
prima imperfetta che perfetta, cosí è imperfetta la sua orazione. Debba bene,
per non cadere ne l'ozio, quando è ancora imperfetta, andare con l'orazione
vocale; ma non debba fare l'orazione vocale senza la mentale: cioè che, mentre
che dice, s'ingegni di levare e dirizzare la mente sua ne l'affetto mio, con la
considerazione comunemente de' difetti suoi e del sangue de l'unigenito mio
Figliuolo, dove truova la larghezza della mia caritá e la remissione de'
peccati suoi.
E questo debba fare
acciò che ‘l cognoscimento di sé e la considerazione de' difetti suoi le
faccia cognoscere la mia bontá in sé e continuare l'exercizio suo con vera
umilità.
126
Non voglio che
siano considerati e' difecti in particulare, ma in comune, acciò che la mente
non sia contaminata per lo ricordamento de' particulari e ladi peccati. Dicevo
che lo non voglio; e non debba avere solo la considerazione de' peccati in
comune né in particulare senza la considerazione e memoria del Sangue e larghezza
della misericordia, acciò che non venga a confusione. Ché se ‘l
cognoscimento di sé e considerazione del peccato non fusse condito con la
memoria del Sangue e speranza della misericordia, starebbe in essa confusione:
e con essa, insieme col dimonio che l'ha guidato sotto colore di contrizione e
dispiacimento del peccato, giognerebbe a l’etterna dannazione; non solamente
per questo, ma perché da questo, non pigliando el braccio della misericordia
mia, verrebbe a disperazione.
Questo è uno de'
sottili inganni che ‘l dimonio faccia a' servi miei. E però conviene, per
vostra utilitá e per campare l'inganno del dimonio e per essere piacevoli a me,
che sempre vi dilarghiate il cuore e l'affetto nella smisurata misericordia mia
con vera umilità. Ché sai che la superbia del dimonio non può sostenere la
mente umile; né la sua confusione la larghezza della mia bontá e misericordia,
dove l'anima in veritá speri.
E però, se ben ti
ricorda, quando el dimonio ti voleva aterrare per confusione, volendoti
mostrare che la vita tua fusse stata inganno e non avere seguitata né fatta la
volontà mia, tu allora facesti quel che tu dovevi fare e che la mia bontá ti
die' di potere fare (la quale bontá non è nascosa a chi la vuole ricevere),
cioè che t'innalzasti nella misericordia mia con umilità, dicendo: — Io
confesso al mio Creatore che la vita mia non è passata altro che in tenebre; ma
io mi nascondarò nelle piaghe di Cristo crocifixo e bagnarommi nel sangue suo;
e cosí avarò consumate le iniquità mie e godarommi, per desiderio, nel mio
Creatore.
Sai che alora el
dimonio fuggi. E tornando poi con l'altra, cioè di volerti levare in alto per
superbia, dicendo: — Tu se' perfetta e piacevole a Dio; non bisogna piú che
t'affliga né che pianga e' difetti tuoi; — donandoti Io alora el lume, vedesti
la via che ti conveniva fare, cioè d'umiliarti; e rispondesti al (127) dimonio,
dicendo: — Miserabile a me! Giovanni Baptista non fece mai peccato e fu
sanctificato nel ventre della madre, e non dimeno fece tanta penitenzia! E io
ho commessi cotanti difecti, e non cominciai mai a cognoscerlo con pianto e
vera contrizione, vedendo chi è Dio che è offeso da me, e chi so' io che
l'offendo! —
Allora el dimonio
non potendo sostenere l’umilità della mente né la speranza della mia bontá,
disse a te: — Maladecta sia tu, ché modo non posso trovare con teco! Se io ti
pongo abasso per confusione, e tu ti levi in alto a la misericordia. E se io ti
pongo in alto, e tu ti poni abasso, venendo ne l'inferno per umilità, e intro
lo 'nferno mi perseguiti. Si che io non tornarò piú a te, però che tu mi
percuoti col bastone della caritá. —
Debba dunque
l'anima condire col cognoscimento della mia bontá el cognoscimento di sé, e il
cognoscimento di me col cognoscimento di sé. A questo modo l'orazione vocale
sarà utile a l'anima che la farà, e a me sarà piacevole. E da l'orazione vocale
imperfetta giognarà, perseverando con l’exercizio, a l'orazione mentale
perfetta. Ma se semplicemente mira di compire el numero suo, o se per la
orazione vocale lassasse l'orazione mentale, non vi giogne mai.
Alcuna volta sarà
l'anima si ignorante che, fattosi el suo proponimento di dire cotana orazione
con la lingua (e io alcuna volta visitarò la mente sua, quando in uno modo e
quando in uno altro: alcuna volta in uno lume di cognoscimento di sé con una
contrizione del difetto suo; alcuna volta nella larghezza della mia carità;
alcuna volta ponendole dinanzi a la mente sua in diversi modi, secondo che
piace a me, la presenzia della mia Verità, e secondo che essa anima avesse desiderato),
ed ella, per compire il suo numero, lassa la visitazione di me che sente nella
mente, quasi per coscienzia che si farà di lassare quello che ha cominciato.
Non debba fare
cosí, però che, facendolo, sarebbe inganno di dimonio; ma subbito che sente disponere
la mente per mia visitazione (per molti modi, come detto è), debba abandonare
l'orazione vocale. Poi, passata la mentale, se ha tempo, può (128) ripigliare
quello che proposto s'aveva di dire; non avendo tenpo non se ne debba curare,
né venirne a tedio né confusione di mente. Cosí debba fare. Guarda giá che non
fusse l’offlzio divino, el quale i cherici e religiosi sonno tenuti e obligati
di dire; e non dicendolo, offendono. Essi debbono infino a la morte dire
l’offizio suo. E se essi si sentissero, all'ora debita che si debba dire, la
mente tracta e levata per desiderio, si debbano provedere di dirlo innanzi o
dirlo poi, sí che non trapassi che il debito de l'offizio non sia renduto.
D'ogni altra cosa
che l'anima cominciasse, la debba cominciare vocalmente per giognere a la
mentale. E sentendosi la mente disposta, la debba lassare per la cagione decta.
Questa orazione vocale, facta nel modo che decto t'ho, giognerà ad perfeczione;
e però non debba lassare l'orazione vocale, per qualunque modo ella è facta, ma
debba andare col modo che decto t'ho. E cosí con l’essercizio e perseveranzia
gustarà l'orazione in veritá e il cibo del sangue de l'unigenito mio Figliuolo.
E però ti dixi che alcuno si comunicava virtualmente del Corpo e del sangue di
Cristo, benché non sacramentalmente, cioè comunicandosi de l’affecto della
carità, la quale gusta col mezzo della sancta orazione, poco e assai, secondo
l’affecto di colui che òra.
Chi va con poca
prudenzia, e non con modo, poco truova; chi con assai, assai truova; perché
quanto l'anima piú s'ingegna di sciogliere l’affecto suo e legarlo in me col
lume de l’ intellecto, piú cognosce: chi piú cognosce piú ama; piú amando, piú
gusta.
Adunque vedi che
l'orazione perfecta non s'acquista con molte parole, ma con affecto di
desiderio, levandosi in me con cognoscimento di sé, condito insieme l'uno con
l'altro. Cosí insiememente avara la vocale e la mentale, perché elle stanno
insieme si come la vita activa e la vita contemplativa.
Benché in molti e
in diversi modi s'intenda orazione vocale o vuoli mentale: perché posto t'ho
che ‘l desiderio sancto è continua orazione, cioè d'avere buona e sancta
volontà. La quale volontà e desiderio si leva al luogo e al tempo ordinato
(129) actualmente, agionto a quella continua orazione del sancto desiderio. E
cosí l'orazione vocale, stando l'anima nella sancta volontà, la farà al tempo
ordinato; o alcuna volta fuore del tempo ordinato la fa continua, secondo che
gli richiede la caritá in salute del proximo (si come vede il bisogno e la necessità)
e secondo lo stato che Io l'ho posto.
Ogniuno, secondo lo
stato suo, debba adoperare in salute de l'anime secondo el principio della
sancta volontà. Ciò che aduopera vocalmente e actualmente nella salute del
proximo è uno orare virtuale: poniamo che actualmente, a luogo debito, la facci
per sé. E fuore della debita orazione sua, ciò che egli fa nella caritá del
proximo suo, o in sé per exercizio che egli facesse actualmente di qualunque
cosa si fusse, è uno orare. Si come disse il glorioso mio banditore di Pavolo,
cioè che « non cessa d'orare chi non cessa di bene adoperare ». E però ti dixi
che l'orazione si faceva in molti modi se si vede l’actuale unita con la
mentale, perché l’actuale orazione facta per lo modo decto è facta con
l'affecto della caritá. El quale affecto di caritá è la continua orazione.
Ora t'ho decto in
che modo si giogne a l'orazione mentale, cioè con l'essercizio e perseveranzia
e lassando la vocale per la mentale quando lo visito l'anima. E hotti decto
quale è l'orazione comune e la vocale comunemente fuore del tempo ordinato, e
l'orazione della buona e sancta volontà; e come ogni exercizio in sé e nel
proximo, che fa con buona volontà, fuore de l'ordinato tempo, è orazione.
Adunque virilmente l'anima debba speronare se medesima con questa madre de
l'orazione. Questo è quello che fa l'anima che è rinchiusa in casa del
cognoscimento di sé, gionta a l'amore de l'amico e filiale. E se essa anima non
tiene i modi decai, sempre rimarrebbe nella tiepidezza e imperfeczione sua. E
tanto amarebbe, quanto sentisse dilecto o utilitá in me o nel proximo suo.
130
Alto del documento
LXVII. De lo inganno che ricevono gli uomini mondani, e' quali amano e servono
Dio per propria consolazione e dilecto.
— Del quale amore
imperfecto ti voglio dire. E non ti voglio tacere uno inganno che in esso amore
possono ricevere, nella parte d'amare me per propria consolazione. Unde voglio
che tu sappi che il servo mio, che imperfectamente m'ama, cerca piú la
consolazione, per la quale egli m'ama, che me. E a questo se ne può avedere:
che, mancandoli la consolazione o spirituale, cioè di mente, o consolazione
temporale, si turba.
Nelle temporali
tocca agli uomini del mondo, che vivono con alcuno acto di virtú, mentre che
hanno la prosperità; e sopravenendo la tribulazione, la quale Io do per loro
bene, si conturbano in quel poco del bene che adoperavano. E chi gli
dimandasse: — Perché ti conturbi? — rispondarebbero: — Perché aviamo ricevuta tribolazione,
e quel poco del bene ch'io facevo mel pare quasi perdere, perché non el fo con
quel cuore e con quello animo che io facevo, mi pare a me. Questo è per la
tribolazione che io ho ricevuta, però che mi pareva piú adoperare, e piú
pacificamente col cuore riposato, innanzi che ora. —
Costoro sonno
ingannati nel proprio dilecto. E non è la veritá che ne sia cagione la
tribolazione: né che essi amino meno né aduoparino meno, cioè che l'operazione,
che fanno nel tempo della tribolazione, tanto vale in sé quanto di prima, nel
tempo della consolazione; anco lo' potrebbe valere piú, se essi avessero
pazienzia. Ma questo l’adiviene perché essi si dilectavano nella prosperità:
ine con un poco d'acto di virtú amavano me; ine pacificavano la mente loro con
quella poca operazione. Essendo privati di quello dove si posavano, lo' pare
che lo' sia tolto el riposo nel loro adoperare: ed egli non è cosí.
Ma a loro adiviene
come de l'uomo che è in uno giardino: che in esso giardino, perché v'ha
dilecto, si riposa con la sua operazione. Parli riposare ne l'operazione, ed
egli si riposa nel
(131) dilecto che egli ha preso nel giardino.
E a questo se n'avede che egli è la veritá che egli si dilecta piú nel giardino
che ne l'operazione: però che, toltoli el giardino, si sente privato del
dilecto. Però che, se ‘l principale dilecto avesse posto nella sua
operazione, non l’avarebbe perduto, anco l'avarebbe seco; perché l'exercizio
del bene adoperare non si può perdere (se egli non vuole) perché gli sia tolto
el dilecto della prosperità, si come a colui el giardino.
Adunque s'ingannano
nel loro adoperare per la propria passione. Unde hanno per uso di dire questi
cotali: — Io so che io facevo meglio, e piú consolazione avevo innanzi che io
fusse tribulato che ora, e giovavami di fare bene; ma ora non me ne giova né
dilecto punto. — El loro vedere e il loro dire è falso, però che, se essi si
fussero dilectati del bene per amore del bene della virtú, non l'avarebbero
perduto né mancato in loro, anco cresciuto. Ma perché el loro bene adoperare
era fondato nel proprio loro bene sensitivo, però lo' manca e vien lo' meno.
Questo è lo inganno
che riceve la comune gente in alcuno loro bene adoperare. Questi sonno
ingannati da loro medesimi, dal proprio dilecto sensitivo.
Alto del documento
— Ma e' servi miei
che anco sonno ne l'amore imperfecto, cercando e amando me con affecto d'amore
verso la consolazione e dilecto che truovano in me, qualche volta sono
ingannati. Perch'Io so' remuneratore d'ogni bene che si fa, poco e assai,
secondo la misura de l'amore di colui che riceve; per questo do consolazione
mentale, quando in uno modo e quando in un altro, nel tempo de l'orazione.
Questo non fo perché ella ignorantemente riceva la consolazione, cioè che ella
raguardi piú el presente della consolazione che è data da me che me, ma perché
(132) ella raguardi piú l’affecto della mia caritá con che Io lel do e la
indegnità sua che riceve, che el dilecto della propria consolazione. Ma se
ella, ignorante, piglia solo el dilecto senza la considerazione de l'affecto
mio verso di lei, ne riceve il danno e lo inganno che lo ti dirò.
L'uno si è che, ingannata
da la propria consolazione, cerca essa consolazione e ine si dilecta. E piú
che, alcuna volta, sentendo in alcuno modo la consolazione e visitazione mia in
sé, e poi partendosi, andarà dietro per la via che tenne quando la trovò, per
trovare quella medesima. E Io non le do a uno modo (ché cosí parrebbe ch'Io non
avesse che dare); anco le do in diversi modi, secondo che piace a la mia bontá
e secondo la necessità e il bisogno suo. Essendo ella ignorante, cercarà pure
in quello modo come se ella volesse ponere legge allo Spirito sancto. Non debba
fare cosí ; ma debba passare virilmente per lo ponte della dottrina di Cristo
crocifixo, e ine ricevere in quel modo, in quello luogo e in quel tempo che
piace a la mia bontá di dare. E se Io non do, anco quel non dare Io el fo per
amore e non per odio, perché essa mi cerchi in veritá e non m'ami solamente per
lo dilecto, ma riceva con umilità piú la caritá mia che il dilecto che truova.
Però che, se ella non fa cosí, e che ella vada solo al dilecto a suo modo e non
a mio, riceverà pena e confusione intollerabile quando si vedrà tolto l’obiecto
del dilecto, el quale si pose dinanzi a l'occhio de l’intellecto suo.
Questi sonno quegli
che eleggono le consolazioni a loro modo, cioè che, trovando dilecto, in alcuno
modo, di me nella mente loro, vorranno passare con quel medesimo. E alcuna
volta sonno tanto ignoranti che, visitandogli Io in altro modo che in quello,
faranno resistenzia e non riceveranno, anco vorranno pur quello che s'hanno
imaginato. Questo è difecto della propria passione e dilecto spirituale il
quale trovò in me: ella è ingannata, però che impossibile sarebbe di stare
continuamente in uno modo. Perché, come l'anima non può stare ferma, ché o e'
si conviene che ella vada innanzi à le virtú, o ella torni a dietro; cosí la
mente in me non può stare ferma solo in uno dilecto, che la mia bontá non ne
dia piú. Molto differenti gli do: alcuna volta (133) do dilecto d'una
allegrezza mentale; alcuna volta una contrizione e uno dispiacimento, che parrà
che la mente sia conturbata in sé; alcuna volta sarò ne l'anima e non mi
sentirà; alcuna volta formarò la mia Verità, Verbo incarnato, in diversi modi
dinanzi a l'occhio de l'intelletto suo, e nondimeno non parrà che essa, nel
sentimento de l'anima, el senta con quello calore e dilecto che a quello vedere
le pare che dovesse seguitare; e alcuna volta sentirà e non vedrà grandissimo
dilecto.
Tucto questo fo per
amore e per conservarla e acrescerla nella virtú de l’umilità e nella
perseveranzia, e per insegnarle che essa non voglia poner regola a me, né il
fine suo nella consolazione, ma solo nella virtú fondata in me; ma con umilità
riceva l'uno tempo e l'altro, e con affecto d'amore l’affecto mio con che Io
do; e con viva fede creda ch'Io do a necessità o della salute sua, o a
necessità di farla venire a la grande perfeczione.
Debba dunque stare
umile, facendo el principio e il fine ne l’affecto della mia carità, e ricevere
in essa caritá dilecto e non dilecto, secondo la mia volontà e non secondo la
sua. Questo è il modo a non volere ricevere inganno, anco ogni cosa ricevere
per amore da me che so' loro fine, fondati nella dolce mia volontà.
Alto del documento
— Hotti decto de
l'inganno che ricevono coloro che a loro modo vogliono gustare e ricevare me
nella mente loro.
Ora ti voglio dire
il secondo inganno di coloro che tucto el loro dilecto è posto in ricevere la
consolazione della mente loro; intanto che spesse volte vedranno el proximo
loro in necessità o spirituale o temporale e non li soverranno, socto colore di
virtú dicendo: — Io ne perdo la pace e la quiete della mente, e non dico l'ore
mie a l'ora né al tempo. — Unde, non (134) avendo la consolazione, ne lo' pare
offendere me: ed essi sonno ingannati dal proprio dilecto spirituale della
mente loro; e offendonmi piú non sovenendo a la necessità del proximo che
Tassando tucte le loro consolazioni. Perché ogni exercizio vocale e mentale è
ordinato da me, che l'anima el facci per giognere a la caritá perfecta di me e
del proximo, e di conservarla in essa caritá. Si che egli m'offende piú
Tassando la caritá del proximo per lo suo exercizio actuale e quiete di mente,
che lassando l'exercizio per lo proximo.
Perché nella caritá
del proximo truovano me, e nel dilecto loro, dove cercano me, ne sarebbero
privati. Però che, non sovenendo, ipso facto diminuiscono la caritá del
proximo; diminuita la caritá del proximo, diminuisce l’affecto mio verso di
loro; diminuito l'affecto, diminuita la consolazione. Si che, volendo
guadagnare, essi perdono; e volendo perdere, guadagnano; cioè che, volendo
perdere le proprie consolazioni in salute del proximo, riceve e guadagna me e
il proximo suo, sovenendolo e servendolo caritativamente.
E cosí gustarebbero
in ogni tempo la dolcezza della caritá mia. E, non facendolo, stanno in pena:
perché alcuna volta si converrà pur che ‘l sovenga, o per forza o per
amore, o per infermità corporale o per infermità spirituale che egli s'abbi;
sovenendolo, el soviene con pena, con tedio di mente e stimolo di coscienzia, e
diventa incomportabile a sé e ad altrui. E chi el dimandasse: — Perché senti
questa pena? — rispondarebbe: — Perché mi pare avere perduta la pace e la
quiete della mente, e molte cose, di quelle che io solevo fare, ho lassate, e
credone offendere Dio. — Ed egli non è cosí; ma perché ‘l suo vedere è
posto nel proprio dilecto, però non sa discernere né cognoscere in veritá dove
sta la sua offesa. Però che vedrebbe che l'offesa non sta in non avere la
consolazione mentale, né in Tassare l’essercizio de l'orazione nel tempo della
necessità del proximo suo; anco sta in essere trovato senza la caritá del
proximo, el quale egli debba amare e servire per amore di me.
Si che vedi come
s'inganna solo col proprio amore spirituale verso di sé.
Alto del documento
135
— E alcuna volta
per questo cosí facto amore ne riceve anco piú danno. Ché se l’affecto suo solo
si pone e cerca nella consolazione e visioni le quali spesse volte dono e do a'
servi miei, quando ella se ne vede privata cade in amaritudine e in tedio di
mente, perché le pare essere privata della grazia quando alcuna volta mi
sottrago della mente sua; si come ti dixi che Io andavo e tornavo ne l'anima,
partendomi non per grazia ma per sentimento, per fare venire l'anima ad
perfeczione. Si che ne cade in amaritudine, e parle essere intro lo 'nferno,
sentendosi levata dal dilecto e sentendo le molestie delle molte temptazioni.
Non debba essere
ignorante né lassarsi tanto ingannare al proprio amore spirituale che non
cognosca la veritá; e cognoscere me in sé, che so' Io colui, sommo Bene, che le
conservo la buona volontà, nel tempo delle bactaglie, che non corre per dilecto
dietro a loro. Debbasi dunque umiliare, reputandosi indegna della pace e quiete
della mente. E però mi sottrago da lei, per questa cagione: per farla umiliare
e per farle cognoscere la caritá mia in sé, trovandola nella buona volontà che
lo le conservo nel tempo delle bactaglie; e perché essa non riceva solamente il
lacte della dolcezza sprizzato da me nella faccia de l'anima sua, ma perché
essa s'atacchi al pecto della mia Verità, si che riceva el lacte insieme con la
carne, cioè di trare a sé il lacte della mia caritá col mezzo della Carne di
Cristo crocifixo, cioè della doctrina sua, della quale v'ho facto ponte acciò
che per lui giongano a me. Per questo mi ritrago da loro.
Andando elleno con prudenzia, e non con
ignoranzia ricevendo solamente il lacte, ritorno a loro con piú dilecto e
fortezza e lume e ardore di caritá. Ma se esse ricevono con (136) tedio e con
tristizia e confusione di mente ci partire del sentimento della dolcezza
mentale, poco guadagnano e permangono nella tiepidezza loro.
Alto del documento
— E doppo questo,
ricevono spesse volte un altro inganno dal dimonio, cioè di trasformarsi in
forma di luce. Perché ‘l dimonio in quello che vede la mente disposta a
ricevere e desiderare, in quello gli dà. Perché vede la mente inghiottornita e posto
ci suo desiderio solo nelle consolazioni e visioni mentali (a le quali l'anima
non debba ponere il suo desiderio, ma solamente nelle virtú, e di quelle per
umilità reputarsene indegna ed in esse consolazioni ricevere l’affecto mio),
dico che ‘l dimonio alora si trasforma in quella mente in forma di luce,
in diversi modi: quando in forma d'angelo, e quando in forma della mia Verità,
o in altra forma de' sancti miei. E questo fa per pigliarla co' l'amo del
proprio dilecto spirituale che ha posto nelle visioni e dilecto della mente. E
se essa anima non si leva con la vera umilità, spregiando ogni dilecto, rimane
presa con questo lamo nelle mani del dimonio. Ma se essa con umilità,
spregiando ci dilecto, e con amore stregne l'affecto di me, che so' donatore, e
non del dono, ci dimonio non la può sostenere, per la sua superbia, la mente
umile.
E se tu mi
dimandassi: — A che si può cognoscere che sia piú dal dimonio che da te? — io
ti rispondo che questo è il segno: che se ella è dal dimonio, che egli sia venuto
nella mente a visitare in forma di luce, come decto è, l'anima riceve subbito
nel suo venire allegrezza; e quanto piú sta, piú perde l'allegrezza e rimane
tedio e tenebre e stimolo nella mente, (137) obfuscandovisi dentro. Ma se in
veritá è visitata da me, Verità etterna, l'anima riceve timore sancto nel primo
aspecto; e con esso timore riceve allegrezza e sicurtà con una dolce prudenzia,
che, dubbitando, non dubbita; ma, per cognoscimento di sé reputandosi indegna,
dirà: — Io non so' degna di ricevere la tua visitazione; non essendone degna,
come può essere? — Alora si vòlle a la larghezza della mia carità, cognoscendo
e vedendo che a me è possibile di dare; e non raguardo alla indegnità sua, ma a
la dignità mia che la fo degna di ricevere me, per grazia e per sentimento, in
sé, perché non dispregio il desiderio col quale ella mi chiama. E però riceve
umilmente, dicendo: — Ecco l'ancilla tua: facta sia in me la tua volontà. — E
alora esce del camino de l'orazione e visitazione mia con allegrezza e gaudio
di mente, e con umilità reputandosi indegna, e con caritá ricognoscendola da
me.
Or questo è il
segno che l'anima è visitata da me o dalle dimonia: trovando quando è da me,
nel primo aspecto, ci timore e, al fine e al mezzo, l'allegrezza e la fame
delle virtú. E quando è dal dimonio, ci primo aspecto è l'allegrezza, e poi
rimane in confusione e in tenebre di mente. Si che lo ho proveduto in darvi el
segno, acciò che l'anima, se ella vuole andare umile e con prudenzia, non possa
essere ingannata. El quale inganno riceve l'anima che vorrà navicare solo con
l'amore imperfecto delle proprie consolazioni piú che de l'affecto mio, come
decto t'ho.
Alto del documento
— Non t'ho voluto
tacere l'inganno che ricevono e' comuni, ne l'amore sensitivo, nel loro poco
bene adoperare, cioè di quella poca virtú che essi adoperavano nel tempo della
consolazione; né de l'amore proprio spirituale delle proprie consolazioni de'
servi miei, come essi col proprio amore del dilecto s'ingannano (138) che non
lo' lassa cognoscere la veritá de l’affecto mio né discernere la colpa dove
ella sta, e l'inganno che ‘l dimonio usa con loro per loro colpa, se essi
non tengono el modo che decto t' ho.
Hottelo decto,
acciò che tu e gli altri servì miei andiate dietro a la virtú per amore di me,
e none a veruna altra cosa. Tucti questi inganni e pericoli può ricevare e
spesse volte ricevono coloro che sonno ne l'amore imperfecto, cioè d'amare me
per rispecto del dono e non di me che do. Ma l'anima, che in veritá è intrata
nella casa del cognoscimento di sé, exercitando l'orazione perfecta e levandosi
da la imperfeczione de l'amore de l'orazione inperfecta (per quel modo che nel Tractato
de l'orazione Io ti contiai), riceve me per affecto d'amore, cercando di
trare a sé el lacte della dolcezza mia col pecto della doctrina di Cristo
crocifixo.
Gionti al terzo
stato, cioè de l'amore de l'amico e filiale, non hanno amore mercennaio, anco
fanno come carissimi amici. . Si come farà l'uno amico con l'altro, che,
essendo presentato da l'amico suo, l'occhio non si vòlle solamente al presente,
anco nel cuore e ne l'affecto di colui che dà, e riceve e tiene caro el
presente solo per amore de l’affecto de l'amico suo. Così l'anima, gionta al
terzo stato de l'amore perfecto, quando riceve i doni e le grazie mie non
raguarda solamente il dono, ma raguarda con l'occhio de l’intellecto l'affecto
della caritá di me donatore.
E acciò che l'anima
non abbi scusa di fare così, cioè di raguardare l'affecto mio, lo providi
d'unire il dono e ‘l donatore, cioè unendo la natura divina con la natura
umana quando vi donai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo, el quale è una
cosa con meco, e -Io con lui. Si che per questa unione non potete raguardare il
dono che non raguardiate me donatore. Vedi dunque con quanto affecto d'amore
dovete amare e desiderare il dono e il donatore! Facendo così, sarete in amore
puro e schiecto e non mercennaio, si come fanno questi che sempre stanno
serrati nella casa del cognoscimento di loro.
Alto del documento
139
— In fino a ora Io
t'ho mostrato per molti modi come l'anima si leva da la imperfeczione e giogne
a l'amore perfecto, e quello che fa poi che ella è gionta a l'amore de l'amico
e filiale.
Dixiti
e dico che ella vi giogne con perseveranzia, serrandosi nella casa del
cognoscimento di sé. El quale cognoscimento di sé vuole essere condito col
cognoscimento di me, acciò che non venga a confusione. Perché del cognoscimento
di sé acquistarà l'odio della propria passione sensitiva e del dilecto delle
proprie consolazioni. E da l'odio fondato in umilità trarrà la pazienzia, nella
quale pazienzia diventarà forte contra le bactaglie del dimonio, contra le
persecuzioni degli uomini e verso di me, quando per suo bene sottrago el
dilecto da la mente sua. Tucte le portarà con questa virtú.
E se la sensualità
propria, per malagevolezza, volesse alzare el capo contra la ragione, el
giudice della coscienzia debba salire sopra di sé, e con odio tenersi ragione,
e non lassare passare i movimenti che non sieno correcti. Benché l'anima che
starà ne l'odio sempre si corregge e riprende, d'ogni tempo: non tanto che
quegli che sonno contra la ragione, ma quegli che, spesse volte, saranno da me.
Questo volse dire
il dolce servo mio sancto Gregorio, quando disse che « la sancta e pura
coscienzia faceva peccato dove non era peccato »: cioè che vedeva, per la
purità della coscienzia, la colpa dove non era la colpa.
Or cosí debba fare
e fa l'anima che si vuole levare dalla imperfeczione, aspectando, nella casa
del cognoscimento di sé, la providenzia mia col lume della fede, si come fecero
e' discepoli che stectero in casa e non si mossero mai, ma con (140)
perseveranzia in vigilia e umile e continua orazione perseveràro infino a
l’avenimento dello.Spirito sancto.
Questo è quello (si
come Io ti dixi) che l'anima fa, quando s'è levata dalla imperfeczione e
rinchiusasi in casa per giognere a perfeczione. Ella sta in vigilia, vegghiando
con l'occhio de l’ intellecto nella doctrina della mia Verità, umiliata perché
ha cognosciuta sé in continua orazione, cioè. di sancto e vero desiderio,
perché in sé cognobbe l'affecto della mia caritá.
Alto del documento
— Ora ti resto a
dire in che si vede che essi sieno gionti a l'amore perfecto: per quello segno
medesimo che fu dato a' discepoli sancti poi che ebbero ricevuto lo Spirito
sancto, che esciro fuore di casa e, perduto el timore, anunziavano la parola
mia, predicando la doctrina del Verbo de l'unigenito mio Figliuolo. E non
temevano pene, anco si gloriavano nelle pene; non curavano d'andare dinanzi a'
tiranni dei mondo ad anunziar lo' e dir lo' la veritá per gloria e loda del
nome mio.
Cosí l'anima che ha
aspectato per cognoscimento di sé, nel modo che decto t'ho, lo so' tornato a
lei col fuoco de la caritá mia. Nella quale carità, mentre che stette in casa
con perseveranzia, concepé le virtú per affecto d'amore, participando della potenzia
mia, con la quale potenzia e virtú signoreggiò e vinse la propria passione
sensitiva.
E in essa caritá
participai in lei la sapienzia del Figliuolo mio, nella quale sapienzia vide
e.cognobbe con l'occhio de l’ intellecto la mia Verità e gl'inganni de l'amore
sensitivo spirituale, cioè l'amore imperfecto della propria consolazione, come
decto è. E cognobbe la malizia e l'inganno del dimonio, che dá a l'anima che è
legata in quello amore imperfecto. E però si levò con odio d'essa imperfeczione
e amore della perfeczione.
141
In questa carità,
che è esso Spirito sancto, el participai nella volontà sua, fortificando la
volontà a volere sostenere pena, ed escire fuore di casa per lo nome mio, e
parturire le virtú sopra el proximo suo. Non che esca fuore della casa del
cognoscimento di sé, ma escono della casa de l'anima le virtú concepute per
affecto d'amore, e parturiscele, al tempo del bisogno del proximo suo, in molti
e diversi modi; perché ‘l tintore è perduto, el quale teneva, che non
manifestava per timore di non perdere le proprie consolazioni, si come di sopra
ti dixi. Ma poi che sonno venuti a l'amore perfecto e liberale, escono fuore
per lo modo decto.
E questo gli unisce
col quarto stato, cioè che dal terzo stato, el quale è stato perfecto (nel
quale terzo stato gusta e parturisce la caritá nel proximo suo), riceve uno
stato ultimo di perfecta unione in me. E' quali due stati sonno uniti insieme,
che non è l'uno senza l'altro, se non come la caritá mia senza la caritá del
proximo, e quella del proximo senza la mia non può essere separata l'una da
l'altra.
Cosí di questi due
stati non è l'uno senza l'altro, si come ti verrò dichiarando e mostrando per
questo terzo.
Alto del documento
142
— Hotti decto che
sonno esciti fuore. El quale è il segno che so' levati da la imperfeczione e
gionti a la perfeczione. Apre l'occhio de l' intellecto e miragli córrire per
lo ponte della doctrina di Cristo crocifixo, el quale fu regola e via e
doctrina vostra. Dinanzi a l'occhio de l'intellecto loro essi non si pongono
altro che Cristo crocifixo; non si pongono me, Padre, si come fa colui che sta
ne l'amore imperfecto, el quale non vuole sostenere pena. E perché in me non
può cadere pena, (142) vuole seguitare solo el dilecto che truova in me, e però
dico che séguita me: non me, ma el dilecto che truova in me.
Non fanno cosí
costoro; ma, come ebbri e affocati d'amore, hanno congregati e saliti tre
scaloni generali, e' quali ti figurai nelle tre potenzie de l'anima, e i tre
scaloni attuali che attualmente ti figurai nel Corpo di Cristo crocifixo,
unigenito mio Figliuolo. Salito e' piei, co' piei de l'affetto de l'anima,
gionse al costato, dove trovò il secreto del cuore; e cognobbe il baptesmo de
l'acqua (el quale ha virtú nel Sangue) dove l'anima trovò la grazia nel sancto
baptesmo, disposto el vasello de l'anima a ricevere la grazia unita e impastata
nel Sangue. Dove cognobbe questa dignità di vedersi unita e impastata nel
sangue de l'Agnello, ricevendo el sancto baptesmo in virtú del Sangue? Nel costato,
dove cognobbe il fuoco della divina caritá. E cosí manifestoe, se bene ti
ricorda, la mia Verità, essendo dimandato da te, quando dicevi: — Doh ! dolce
ed immaculato Agnello, tu eri morto quando el costato ti fu aperto, perché
volesti essere percosso e partito el cuore? — Ed egli rispose, se ben ti
ricorda, che assai cagioni ci aveva; ma alcuna principale te ne dirò.
— Perché il
desiderio mio verso l'umana generazione era infinito, e l'operazione attuale di
sostenere pena e tormenti era finita: e per la cosa finita non potevo mostrare
tanto amore quanto piú amavo, perché l'amore mio era infinito. E però volsi che
vedeste il secreto del cuore, mostrandovelo aperto, acciò che vedeste che piú
amavo che mostrare non vi potevo per la pena finita. Gictando sangue e acqua,
vi mostrai el sancto baptesmo de l'acqua, el quale riceveste in virtú del
Sangue: e però versava sangue e acqua. E anco mostravo el baptesmo del Sangue
in due modi: l'uno è in coloro che sonno baptezzati nel sangue loro sparto per
me; il quale ha virtú per lo sangue mio, non potendo essi avere il sancto
baptesmo. Alcuni altri si baptezzano nel fuoco, desiderando el baptesmo con
affecto d'amore e non poterlo avere: e non è baptesmo di fuoco senza Sangue,
però che ‘l Sangue è intriso e impastato col fuoco della divina carità,
perché per amore fu sparto.
143
In un altro modo
riceve l'anima questo baptesmo del Sangue, parlando per figura. E questo
providde la divina carità, perché, cognoscendo la infermità e fragilità de
l'uomo, per la quale fragilità offendendo (non che egli sia costretto da
fragilità né da altro a commettere la colpa, se egli non vuole; ma, come
fragile, cade in colpa di peccato mortale, per la quale colpa perde la grazia
che trasse nel sancto baptesmo in virtú del Sangue), e però fu bisogno che la
divina caritá provedesse a lassare il continuo baptesmo del Sangue, el quale si
riceve con la contrizione del cuore e con la sancta confessione, confessando,
quando può, a' ministri miei, che tengono la chiave del Sangue. El quale Sangue
gitta, ne l'absoluzione, sopra la faccia de l'anima.
E non potendo avere
la confessione, basta la contrizione del cuore. Alora la mano della mia
clemenzia vi dona el frutto di questo prezioso sangue; ma, potendo avere la
confessione, voglio che l'abbiate; e chi la potrà avere e non la vorrà, sarà
privato del frutto del Sangue. È vero che ne l'ultima extremità, volendola e
non potendola avere, anco el riceverà. Ma non sia alcuno si matto che si voglia
però con questa speranza conducersi ad aconciare i fatti suoi ne l'ultima
extremità della morte, perché non è sicuro che, per la sua obstinazione, Io con
la divina mia giustizia non dicesse: — Tu non ti ricordasti di me nella vita,
nel tempo che tu potesti: Io non mi ricordasò di te nella morte. — Si che neuno
debba pigliare lo indugio; e se pure per lo difetto suo l'ha preso, non debba
lassare infino a l'ultimo di baptezzarsi per speranza nel Sangue.
Si che vedi che
questo baptesmo è continuo, dove l'anima si debba baptezzare infino a l'ultimo,
per lo modo detto. In questo baptesmo cognosci che l'operazione mia (cioè de la
pena della croce) fu finita; ma el frutto della pena, che avete ricevuto per
me, è infinito. Questo è in virtú della natura divina infinita, unita con la
natura umana finita, la quale natura umana sostenne pena in me, Verbo, vestito
della vostra umanità. Ma perché è intrisa e impastata l'una natura con l'altra,
trasse a sé, la Deitá etterna, la pena ch' Io sostenni con tanto fuoco d'amore.
E però si può chiamare infinita questa operazione; non (144) che infinita sia
la pena, né l'attuale del corpo né la pena del desiderio che Io avevo di
compire la vostra redempzione, però che ella terminò e fini in croce quando
l'anima si parti dal corpo. Ma el fructo, che esci della pena e desiderio della
vostra salute, è infinito: e però el ricevete infinitamente. Però che, se egli
non fusse stato infinito, non sarebbe restituita tucta l'umana generazione, né
' passati né i presenti né gli avenire. Neanco l'uomo che offende, doppo
l'offesa, non si potrebbe rilevare, se questo baptesmo del Sangue non vi fusse
dato infinito, cioè che ‘l fructo del Sangue fusse infinito.
Questo vi
manifestai ne l’apritura del lato mio, dove truovi el segreto del cuore:
mostrando che Io v'amo piú che mostrare non posso con questa pena finita.
Mòstrotelo infinito. Con che? col baptesmo del Sangue, unito col fuoco della
mia carità, che per amore fu sparto; e nel baptesmo generale (dato a' cristiani
e a chiunque il vuole ricèvare) de l'acqua unita col Sangue e col fuoco, dove
l'anima s' inpasta nel sangue mio. E per mostrarvelo volsi che del costato
escisse sangue e acqua.
Ora ho risposto a quello che tu mi dimandavi.
Alto del documento
— Ora ti dico che
tutto questo ch' Io t'ho narrato, sai che narroe la mia Verità. Hottelo narrato
da capo, favellandoti lo in persona sua, acciò che tu cognosca l'excellenzia
dove è l'anima ch'è salita questo secondo scalone, dove cognosce e acquista
tanto fuoco d'amore. Dove subbito corrono al terzo, cioè a la bocca, dove
manifesta essere venuto ad perfetto stato.
Unde passoe? per lo mezzo del cuore, cioè con
la memoria del Sangue dove si ribaptezzò lassando l'amore imperfetto, per (145)
lo cognoscimento che trasse del cordiale amore, vedendo, gustando e provando el
fuoco della mia caritá. Gionti sonno costoro a la bocca, e però el dimostrano
facendo l'officio della bocca. La bocca parla con la lingua che è ne la bocca;
el gusto gusta. La bocca ritiene porgendolo a lo stomaco. I denti schiacciano,
però che in altro modo noi potrebbe inghioctire.
Or cosí l'anima:
prima parla a me con la lingua che sta nella bocca del sancto desiderio, cioè
la lingua della sancta e continua orazione. Questa lingua parla actuale e
mentale: mentale, offerendo a me dolci e amorosi desidèri in salute de l'anime;
e parla actuale, anunziando la doctrina della mia Verità, amonendo,
consigliando e confessando senza alcuno timore di propria pena che ‘l
mondo le volesse dare, ma arditamente confessa innanzi a ogni creatura,
in diversi modi, e a ciascuno secondo lo stato suo.
Dico che mangia
prendendo el cibo de l'anime, per onore di me, in su la mensa della sanctissima
croce, però che in altro modo né in altra mensa noi potrebbe mangiare in veritá
perfettamente. Dico che lo schiaccia co' denti, però che in altro modo noi
potrebbe inghiottire: cioè con l'odio e con l'amore, e' quali sonno due filaia
di denti nella bocca del sancto desiderio, che riceve il cibo schiacciando con
odio di sé e con amore della virtú. In sé e nel proximo suo schiaccia ogni
ingiuria, scherni, villanie, strazi e rimprovèri con le molte persecuzioni;
sostenendo fame e sete, freddo e caldo e penosi desidèri, lagrime e sudori per
salute de l'anime. Tutti gli schiaccia per onore di me, portando e sopportando
el proximo suo. E poi che l'ha schiacciato, el gusto el gusta, asaporando el
fructo della fadiga e il diletto del cibo de l'anime, gustandolo nel fuoco
della caritá mia e del proximo suo. E cosí giogne questo cibo nello stomaco,
che per lo desiderio e fame de l'anime s'era disposto a volere ricevere (cioè
lo stomaco del cuore), col cordiale amore, diletto e dileczione di caritá col
proximo suo; dilettandosene e rugumando per si facto modo, che perde la
tenarezza della vita corporale, per potere mangiare questo cibo (preso in su la
mensa della croce) della dottrina di Cristo crocifixo.
146
Alora ingrassa
l'anima nelle vere e reali virtú, e tanto rigonfia per l’abbondanzia del cibo,
che ‘l vestimento della propria sensualità (cioè del corpo, che ricuopre
l'anima), criepa quanto a l'appetito sensitivo. Colui che criepa, muore. Cosí
la volontà sensitiva rimane morta. Questo è perché la volontà ordinata de
l'anima è viva in me, vestita de l’etterna volontà mia, e però è morta la sensitiva.
Or questo fa
l'anima che in veritá è gionta al terzo scalone della bocca, e il segno che
ella v'è gionta è questo: che ella ha morta la propria volontà quando gustò
l’affecto della caritá mia.
E però trovò pace e
quiete ne l'anima sua nella bocca. Sai che nella bocca si dá la pace. Cosí in
questo terzo stato truova la pace per si facto modo che neuno è che la possa
turbare, perché ha perduta e annegata la sua propria volontà, la quale volontà
dá pace e quiete quando ella è morta.
Questi parturiscono
le virtú senza pena sopra del proximo loro: non che le pene non siano pene in
loro, ma non è pena a la volontà morta, però che volontariamente sostiene pena
per lo nome mio. Questi corrono, senza negligenzia, per la doctrina di Cristo
crocifixo, e non allentano l'andare per ingiuria che lo' sia facta né per
alcuna persecuzione né per dilecto che trovassero; cioè dilecto che il mondo
lo' volesse dare. Ma tucte queste cose trapassano con vera fortezza e
perseveranzia, vestito l’affecto loro de l’affecto della carità, gustando el
cibo della salute de l'anime con vera e perfecta pazienzia. La quale pazienzia
è uno segno demostrativo, che mostra che l'anima ami perfectissimamente e senza
alcuno rispecto. Però che, se ella amasse me e il proximo per propria utilitá,
sarebbe impaziente e allentarebbe ne l'andare. Ma perché essi amano me per me,
in quanto Io so' somma bontá e degno d'essere amato, e loro amano per me e ‘l
proximo per me, per rendere loda e gloria al nome mio, però sonno
pazienti e forti a sostenere e perseveranti.
Alto del documento
147
— Queste sonno
quelle tre gloriose virtú fondate nella vera carità, le quali stanno in cima de
l'arbore d'essa carità: cioè la pazienzia, la fortezza e la perseveranzia, che
è coronata col lume della sanctissima fede, col quale lume corrono, senza
tenebre, per la via della veritá. Ed è levata in alto per sancto desiderio, e
però non è alcuno che la possa offendere: né il dimonio con le sue temptazioni
(perché egli teme l'anima che arde nella fornace della carità), né le
detraczioni né le ingiurie degli uomini; anco, con tucto ciò che ‘l mondo
gli perseguiti, el mondo ha timore di loro.
Questo permette la
mia bontá: di fortificarli e farli grandi dinanzi a me e nel mondo, perché essi
si sonno facti piccoli per umilità. Bene lo vedi tu nei sanai miei, e' quali
per me si fecero piccoli, e Io gli ho facti grandi in me, Vita durabile, e nel
corpo mistico della sancta Chiesa, dove si fa sempre menzione di loro perché i
nomi loro sonno scripti in me, libro di vita; si che ‘l mondo gli ha in
reverenzia perché essi hanno spregiato el mondo. Questi non nascondono la virtú
per timore ma per umilità; e se egli è bisogno del servizio suo nel proximo,
egli non la nasconde per timore della pena né per timore di perdere la propria
consolazione, ma virilmente il serve perdendo se medesimo e non curando di sé.
E in qualunque modo egli exercita la vita e’l
tempo suo in onore di me, si gode e truovasi pace e quiete nella mente.
Perché? perché non elegge di servire a me a suo modo ma a modo mio; e però gli
pesa tanto el tempo della consolazione quanto quello della tribolazione, e
tanto la prosperità quanto l’aversità. Tanto gli pesa l'una quanto l'altra,
perché in ogni cosa truova la volontà mia, ed egli non pensa di fare altro se
non di conformarsi, dovunque egli la truova, con essa volontà.
148
Egli ha veduto che
veruna cosa è fatta senza me, e con misterio e con divina providenzia, se non
il peccato che non è: e però odiano el peccato, e ogni altra cosa hanno in
reverenzia; e però sonno tanto fermi e stabili nel loro volere andare per la
via della veritá, e non allentano, ma fedelmente servono el proximo loro, non
raguardando a l' ignoranzia e ingratitudine sua. Né perché alcuna volta el
vizioso gli dica ingiuria e riprenda el suo bene adoperare, che egli non gridi,
nel cospetto mio, per orazione per lui, dolendosi piú de l'offesa che egli fa a
me 'e danno de l'anima sua che della ingiuria propria.
Costoro dicono col
glorioso di Pavolo mio banditore: « El mondo ci maladice, e noi benediciamo;
egli ci perseguita, e noi ringraziamo; cacciaci come immondizia e spazzatura
del mondo, e noi pazientemente portiamo ». Si che vedi, figliuola dilettissima,
e' dolci segni; e singularmente, sopra ogni segno, la virtú della pazienzia,
dove l'anima dimostra in veritá d'essere levata da l'amore imperfetto e venuta
al perfetto, seguitando el dolce e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo,
el quale, stando in su la croce tenuto da' chiovi de l'amore, non ritrae
adietro per detto dei giuderi che dicevano: « Discende della croce e credarenti
». Né per ingratitudine vostra non ritrasse adietro che non perseverasse ne
l'obbedienzia, che Io gli avevo posta, con tanta pazienzia che il grido suo non
fu udito per alcuna mormorazione.
Cosí questi cotali
dilettissimi figliuoli e fedeli servi miei seguitano la dottrina e l’exemplo
della mia Verità. E perché con lusinghe e minacce il mondo gli voglia ritrare,
non vòllono però el capo adietro a mirare l'aratro, ma guardano solo ne
l'obietto della mia Verità. Questi non si vogliono partire del campo della
battaglia per tornare a casa per la gonnella, cioè per la gonnella propria, che
egli lassò, del piacere piú a le creature e temere piú loro che me Creatore
suo; anco con dilecto sta nella battaglia, pieno e inebriato del sangue di
Cristo crocifixo. El quale Sangue v'è posto dinanzi nella bottiga del corpo
mistico della sancta Chiesa da la mia carità, per fare (149) inanimare coloro
che vogliono essere veri cavalieri, e combattere con la propria sensualità e
carne fragile, col mondo e col dimonio, col coltello de l'odio d'essi nemici
suoi, con cui egli ha a combàctare, e con amore delle virtú. El quale amore è
una arme che ripara da' colpi che noi possono accanare se esso non si trae
Tarme di dosso e ‘l coltello di mano e dialo nelle mani de' nemici suoi,
cioè dando Tarme con la mano del libero arbitrio, arrendendosi volontariamente
a' nemici suoi. Non fanno cosí questi che sonno inebriati nel Sangue, anco
virilmente perseverano infino a la morte, dove rimangono sconfitti tutti e'
nemici suoi.
O gloriosa virtú,
quanto se' piacevole a me e riluci nel mondo negli occhi tenebrosi
degl'ignoranti, che non possono fare che non participino della luce de' servi
miei! Ne l'odio loro riluce la clemenzia ch'e' servi miei hanno a la loro
salute; nella invidia loro riluce la larghezza della carità; nella crudeltá la
pietà, però che essi sonno crudeli verso di loro, ed essi sonno pietosi; nella
ingiuria riluce la pazienzia, rema che signoreggia e tiene la signoria di tutte
le virtú, perché ella è il mirollo della caritá. Ella dimostra e rasegna le
virtú ne l'anima; dimostra se elle sonno fondate in me in veritá, o no. Ella
vince e non è mai vinta; ella è compagna della fortezza e perseveranzia, come
detto è; ella torna a casa con la vittoria, escita del campo della battaglia,
tornata a me, Padre etterno, remuneratore d'ogni loro fadiga, e ricevono da me
la corona della gloria.
Alto del documento
— Ora t'ho detto
come dimostrano d'essere gionti a la perfeczione de l'amore de l'amico e
filiale.
Ora non ti voglio
tacere in quanto diletto gustano me, essendo ancora nel corpo mortale. Perché,
gionti al terzo stato, (150) in esso stato, si com' Io ti dixi, acquistano el
quarto stato. Note che sia stato separato dal terzo, ma unito insieme con esso,
e l'uno non può essere senza l'altro se non come la caritá mia e quella del
proximo, si com' Io ti dixi. Ma è uno fructo che esce di questo terzo stato
d'una perfecta unione che l'anima fa in me, dove riceve fortezza sopra
fortezza, intanto che non che porti con pazienzia, ma esso desidera, con
ansietato desiderio, di potere sostenere pene per gloria e loda del nome mio.
Questi si gloriano
negli obrobri de l'unigenito mio Figliuolo, si come diceva el glorioso di
Pavolo mio banditore: « Io mi glorio nelle tribulazioni e negli obrobri di
Cristo crocifixo ». E in un altro luogo: « Io non reputo di dovere gloriarmi
altro che in Cristo crocifixo ». Unde in un altro luogo dice: « Io porto le
stimate di Cristo crocifixo nel corpo mio ». Cosí questi cotali, come inamorati
de l'onore mio e come affamati del cibo de l'anime, corrono a la mensa della
sanctissima croce, volendo, con pena e con molto sostenere, fare utilitá al
proximo, conservare e acquistare le virtú, portando le stimate di Cristo ne'
corpi loro. Cioè che ‘l crociato amore, il quale hanno, riluce nel corpo,
mostrandolo con dispregiare se medesimi e con dilectarsi d'obrobri, sostenendo
molestie e pene da qualunque lato e in qualunque modo Io le concedo.
A questi cotali
carissimi figliuoli la pena l'è dilecto, el dilecto l'è fadiga e ogni
consolazione e dilecto che ‘l mondo alcuna volta lo' volesse dare. E non
solamente quelle che ‘l mondo lo' dá per mia dispensazione (cioè ch'e'
servi del mondo alcuna volta sonno costrecti da la mia bontá ad averli in
reverenzia e sovenirli ne' loro bisogni e necessità corporali), ma la consolazione
che ricevono da me, Padre etterno, nella mente loro, la spregiano per umilità e
odio di loro medesimi. Non che spregino la consolazione e’l dono e la
grazia mia, ma el dilecto che truova el desiderio de l'anima in essa
consolazione. Questo è per la virtú della vera umilità acquistata da l'odio
sancto, la quale umilità è baglia e nutrice della caritá acquistata con vero
cognoscimento di sé e di me.
151
Si che vedi che la
virtú riluce, e le stímate di Cristo crocifixO, ne' corpi e nelle menti loro. A
questi cotali l’ è tolto di non separarmi da loro per sentimento, si come degli
altri ti dixi che lo andavo e tornavo a loro, partendomi non per grazia ma per
sentimento. Non fo cosí a questi perfectissimi che sonno gionti alla grande
perfeczione, in tucto morti a ogni loro volontà, ma continuamente mi riposo per
grazia e per sentimento ne l'anima loro; cioè che ogni otta che vogliono unirsi
in me la mente per affecto d'amore, possono, perché ‘l desiderio loro è
venuto a tanta unione per affecto d'amore che per veruna cosa se ne può
separare, ma ogni luogo l'è luogo e ogni tempo l'è tempo d'orazione; perché la
loro conversazione è levata da la terra e salita in cèlo, cioè che ogni affecto
terreno e amore proprio sensitivo di loro medesimi hanno tolto da sé. Levati si
sonno sopra di loro ne l'altezza del cielo con la scala delle virtú, saliti e'
tre scaloni che lo ti figurai nel corpo del mio Figliuolo.
Nel primo spogliàro
e' piei de l'affecto de l'amore del vizio; nel secondo gustàro el secreto e
l’affecto del cuore, unde concepettero amore nelle virtú; nel terzo (cioè della
pace e quiete della mente) provarono in sé le virtú e, levandosi da l'amore
imperfecto, gionsero a la grande perfeczione. Unde hanno trovato el riposo
nella doctrina della mia Verità; hanno trovata la mensa, el cibo e il
servidore. El quale cibo gustano col mezzo della doctrina di Cristo crocifixo,
unigenito mio Figliuolo; Io lo' so' letto e mensa. Questo dolce e amoroso Verbo
l'è cibo, si perché gustano el cibo de l'anime in questo glorioso Verbo, e si
perché egli è cibo dato da me a voi: la carne e ‘l sangue suo, tucto Dio
e tucto uomo, el quale ricevete nel Sacramento de l'altare, posto e dato a voi
da la mia bontá, mentre che sète peregrini e viandanti, acciò che non veniate meno,
ne l'andare, per debilezza, e perché non perdiate la memoria del benefizio del
Sangue sparto per voi con tanto fuoco d'amore, ma perché sempre vi confortiate
e dilectiate nel vostro andare. Lo Spirito sancto gli serve, cioè l'affecto
della mia carità, la quale caritá lo' ministra e' doni e le grazie. Questo
dolce (152) servidore porta e arreca: arreca a me i penosi e dolci ed ateo.
rosi desidèri, e porta a loro el fructo della divina caritá delle loro fadighe
ne l'anime loro, gustando e notricandosi della dolcezza della mia caritá. Si
che vedi che Io lo' so' mensa, el Figliuolo mio l'è cibo, e lo Spirito sancto
gli serve, che procede da me Padre e dal Figliuolo.
Vedi dunque che
sempre, per sentimento, mi sentono nella loro mente. E quanto piú hanno
spregiato el dilecto e voluta la pena, piú hanno perduta la pena e acquistato
el dilecto. Perché? perché sonno arsi e affocati nella mia carità, dove è
consumata la volontà loro. Unde el dimonio teme il bastone della caritá loro, e
però gicta le saecte sue da longa e non s'ardisce d'acostare. EI mondo percuote
nella corteccia de' corpi loro credendo offendere, ed egli è offeso, perché la
saecta, che non truova dove intrare, ritorna a colui che la gitta. Cosí el
mondo con le saecte delle ingiurie e persecuzioni e mormorazioni sue,
gictandole ne' perfectissimi servi miei, non v'è luogo da veruna parte dove
possa intrare, perché l'orto de l'anima loro è chiuso; e però ritorna la saecta
a colui che la gicta, avelenata col veleno della colpa.
Vedi che da veruno
lato la può percuotere, però che, percotendo el corpo, non percuote l'anima. Ma
sta beata e dolorosa: dolorosa sta de l'offesa del proximo suo, e beata per
l'unione e affecto della caritá che ha ricevuta in sé.
Questi seguitano lo
immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, el quale stando in croce era beato
e doloroso: doloroso era, portando la croce del corpo, sostenendo pena, e 1a
croce del desiderio per satisfare la colpa de l'umana generazione; e beato era,
perché la natura divina, unita con la natura umana, non poteva sostenere pena,
e sempre faceva l'anima sua beata mostrandosi a lei senza velame. E però era
beato e doloroso, perché la carne sosteneva, e la Deitá pena non poteva patire;
neanco l'anima quanto a la parte di sopra de l'intellecto.
Cosí questi dilecti figliuoli, gionti al terzo
e al quarto stato, sonno dolorosi portando la croce actuale e mentale: cioè
(153) actualmente, sostenendo pene ne' corpi loro, secondo che Io permecto, e
la croce del desiderio del crociato dolore de l'offesa mia e danno del proximo.
Dico che sonno beati, però che ‘l dilecto della carità, la quale gli fa
beati, non lo' può essere tolto, unde eglino ricevono allegrezza e beatitudine.
Unde si chiama questo dolore, non « dolore afffiggitivo » che disecca l'anima,
ma « ingrassativo », che ingrassa l'anima ne l’affecto della carità, perché le
pene aumentano la virtú e fortificano e crescono e pruovano la virtú.
Si che è pena
ingrassativa e non affliggitiva, perché veruno dolore né pena la può trare del
fuoco, se non come il tizzone, che è tucto consumato nella fornace, che veruno
è che ‘l possa pigliare per spegnere, perché gli è facto fuoco. Cosí
queste anime, gictate nella fornace della mia carità, non rimanendo veruna cosa
fuore di me, cioè veruna loro volontà, ma tucti affocati in me, veruno è che le
possa pigliare né trarle fuore di me per grazia, perché sonno facte una cosa
con meco ed lo con loro. E mai da loro non mi sottraggo per sentimento che la
mente loro non mi senta in sé, si come degli altri ti dixi che lo andavo e tornavo,
partendomi per sentimento e non per grazia; e questo facevo per farli venire a
la perfeczione. Gionti a la perfeczione, lo' tolgo el giuoco de l'amore
d'andare e di tornare, el quale si chiama « giuoco d'amore », ché per amore mi
parto e per amore torno: non propriamente Io (ché lo so' lo Idio vostro
immobile che non mi muovo), ma el sentimento che dá la mia caritá ne l'anima è
quello che va e torna.
Alto del documento
— Dicevo che a
costoro l'è tolto che ‘l sentimento non perdono mai. Ma in un altro modo
mi parto: perché l'anima che è legata nel corpo non è sufficiente a ricevere
continuamente (154) l'unione ch'Io fo ne l'anima; e perché non è sufficiente,
mi sottrago non per sentimento né per grazia, ma per unione. Perché, levandosi
l'anime con ansietato desiderio, corsero con virtú per lo ponte della doctrina
di Cristo crocifixo; giongono a la porta levando la mente loro in me, bagnate,
inebriate di Sangue, arse di fuoco d'amore; gustano in me la Deitá etterna, el
quale è a loro uno mare pacifico, dove l'anima ha facta tanta unione che veruno
movimento quella mente non ha altro che in me.
Ed essendo mortale,
gusta el bene degl'inmortali; ed essendo col peso del corpo, riceve la
leggerezza dello spirito. Unde spesse volte il corpo è levato da la terra per
la perfecta unione che l'anima ha facta in me, quasi come il corpo grave
diventasse leggiero. Non è però che gli sia tolta la gravezza sua, ma perché
l'unione che l'anima ha facta in me è piú perfecta che non è l'unione fra
l'anima e ‘l corpo; e però la fortezza dello spirito unita in me leva da
tera la gravezza del corpo. El corpo sta come immobile, tucto stracciato da
l’affecto de l'anima, intanto che (si come ti ricorda d'avere udito da alcune
creature) non sarebbe possibile di vivere se la mia bontá non el cerchiasse di
fortezza.
Unde Io voglio che
tu sappi che maggiore miracolo è a vedere che l'anima non si parte dal corpo in
questa unione, che vedere molti corpi resuscitati. E però Io, per alcuno
spazio, sottrago l'unione, facendola tornare al vasello del corpo suo: cioè che
‘l sentimento del corpo, che era tucto alienato per l’affecto de l'anima,
torna al sentimento suo. Però che, non è che l'anima si parta dal corpo, ché
ella non si parte se non col mezzo della morte, ma partonsi le potenzie e
l'affecto de l'anima per amore unito in me. Unde la memoria non si truova piena
d'altro che di me; lo intellecto è levato speculando ne l’obiecto della mia
Verità; I'affecto, che va dietro a l' intellecto, ama e uniscesi in quello che
l'occhio de l' intellecto vide.
Congregate e unite
tucte insieme queste potenzie, e immerse e affogate in me, perde il corpo el
sentimento: ché l'occhio vedendo non vede, l'orecchia udendo non ode, la lingua
parlando non parla (se non come alcuna volta, per l’abondanzia (155) del cuore,
permectarò che’l membro della lingua parli per sfogamento del cuore e per
gloria e loda del nome mio; si che
parlando non parla, la mano toccando non
tocca, e' piei andando non vanno; tucte le membra sonno legate e occupate dal
legame e sentimento de l'amore. Per lo quale legame sonnosi soctoposte a la
ragione e uniti con l’affecto de l'anima, ché, quasi contra sua natura, a una
voce tucte gridano a me, Padre etterno, di volere essere separate da l'anima, e
l'anima dal corpo. E però grida, dinanzi da me, col glorioso di Pavolo: « O
disaventurato a me, chi mi dissolverebbe dal corpo mio? Perch' io ho una legge
perversa che impugna contra lo spirito ».
Non tanto diceva
Pavolo della impugnazione che fa el sentimento sensitivo contra lo spirito, ché
per la parola mia era quasi certificato quando gli fu decto: u Pavolo, bastiti
la grazia mia ». Ma perché il diceva? perché, sentendosi Pavolo legato nel
vasello del corpo, el quale gl'impediva per spazio di tempo la visione mia
(cioè infino a l'ora de la morte), l'occhio era legato a non potere vedere me,
Trinitá etterna, nella visione de' beati immortali che sempre rendono gloria e
loda al nome mio, ma trovavasi fra' mortali che sempre offendono me, privato
della mia visione, cioè di vedermi ne l’essenzia mia.
None che esso e gli
altri servi miei non mi veggano e gustino, non in essenzia, ma in affecto di caritá
in diversi modi, secondo che piace a la bontá mia di manifestare me medesimo a
voi; ma ogni vedere, che l'anima riceve mentre che è nel corpo mortale, è una
tenebre a rispecto del vedere che ha l'anima separata dal corpo. Si che pareva
a Pavolo che’l sentimento del vedere impugnasse il vedere dello spirito,
cioè che ‘l sentimento umano della grossezza del corpo impedisse l'occhio
de l' intellecto, che non lassava vedere me a faccia a faccia. La volontà gli
pareva che fusse legata a non potere tanto amare quanto desiderava d'amare,
perché ogni amore in questa vita è imperfecto infino che non giogne a la sua
perfeczione.
None che l'amore di
Pavolo o degli altri veri servi miei fusse imperfecto a grazia e a perfeczione
di caritá (ché egli era perfecto), ma era imperfecto ché non aveva sazietà nel
suo amore; (156) unde era con pena. Ché se fusse stato pieno el desiderio di
quello che egli amava, non avarebbe avuta pena; ma perché l'amore perfectamente,
mentre che egli è nel corpo mortale, non ha quel che egli ama, però ha pena.
Ma, separata l'anima dal corpo, ha pieno il desiderio suo, e però ama senza
pena. È saziata, e di longa è il fastidio da la sazietà; essendo saziata, ha
fame, ma di longa è la pena da la fame, perché, separata l'anima dal corpo, è
ripieno el vasello suo in me in veritá, fermato e stabilito che non può
desiderare cosa che non abbi. Desiderando di vedere me, egli mi vede a faccia a
faccia; desiderando di vedere la gloria e loda del nome mio ne' sancti miei,
egli la vede si nella natura angelica e si nella natura umana.
Alto del documento
— E tanto è
perfecto el suo vedere che non tanto ne' cittadini che sonno a vita etterna ma
nelle creature mortali vede la gloria e loda del nome mio; ché, o voglia el
mondo o no, egli mi rende gloria. Vero è che non me la rende per lo modo che
debba, amando me sopra ogni cosa. Ma da la parte mia Io trago di loro gloria e
loda al nome mio, cioè che in loro riluce la misericordia mia e l'abbondanzia
della mia carità, prestando el tempo, non comandando a la terra che gl'
inghioctisca per li difecti loro. Anco gli aspecto, e a la terra comando che
lo' doni de' fructi suoi, al sole che gli scaldi e dia lo' la luce e ‘l
caldo suo, al cielo che si muova; e in tucte quante le cose create facte
per loro Io uso la mia misericordia e carità, non sottraendole per li difecti
loro. Anco le do al peccatore come al giusto, e spesse volte piú al peccatore
che al giusto, perché il giusto, che è apto a portare, il privarò del bene
della terra per darli piú abondantemente del bene del cielo. Si che la
misericordia mia e caritá riluce sopra di loro.
157
Alcuna volta, nelle
persecuzioni ch'e' servi del mondo faranno a' servi miei, provando in loro la
virtú della pazienzia e della carità, offerendo il servo mio, che sostiene,
umili e continue orazioni, me ne torna gloria e loda al nome mio. Si che, o voglia
quello iniquo o no, me ne torna gloria; poniamo che ‘l suo rispecto non
fusse per ciò, ma per farmi vituperio.
Alto del documento
— Questi stanno in
questa vita ad aumentare la virtú ne' servi miei, si come le dimonia stanno ne
l'inferno come miei giustizieri e aumentatori: cioè facendo giustizia de'
dannati, e aumentatori a le creature mie che sonno viandanti e peregrine in
questa vita, facte per giognere a me termine loro. Essi gli aumentano
exercitandóli in virtú con molte molestie e temptazioni in diversi modi:
facendo fare ingiuria l'uno a l'altro, e tòllare le cose l'uno dell'altro non
solamente per le cose o per la ingiuria, ma per privarli della caritá. Credendo
privare i servi miei, ed essi gli fortificano, provando in loro la virtú della
pazienzia, fortezza e perseveranzia.
Per questo modo
rendono gloria e loda al nome mio, e cosi s'adempie la mia veritá in loro, che
gli avevo creati per gloria e loda di me Padre etterno e perché participassero
la bellezza mia; ma, ribellando a me per la superbia sua, cadde e fu privato
della mia visione: onde non mi rendono gloria in dileczione d'amore. Ma Io,
Verità etterna, gli ho messi.per strumento ad exercitare e' servi miei nella
virtú, e come giustizieri di coloro che per li loro difecti vanno a l’ecterna
dannazione, e cosí di coloro che vanno a le pene del purgatorio. Si che vedi
che egli è la veritá che la veritá mia è adempita in loro, cioè che mi rendono
gloria non come cittadini di vita etterna (ché ne sonno privati per li loro
difecti) ma come miei giustizieri, manifestando per loro la giustizia mia sopra
e' dannati e sopra quegli del purgatorio.
Alto del documento
158
— Questo chi el
vede e gusta: che in ogni cosa creata, e nelle creature che hanno in loro
ragione, e nelle dimonia si vega la gloria e loda del nome mio? L'anima che è
denudata dal corpo e gionta a me, fine suo, vede schiectamente, e nel suo
vedere cognosce la veritá. Vedendo me, Padre etterno, ama; amando, è saziato;
saziato, cognosce la veritá; cognoscendo la veritá, è fermatà la volontà sua
nella volontà mia e legata e stabilita per modo che in veruna cosa può
sostenere pena, perché egli ha quello che desiderava d'avere prima di vedere
me, e di vedere la gloria e loda del nome mio.
Egli la vede a
pieno in veritá ne' sancti miei e negli spiriti beati e in tucte l'altre
creature e nelle dimonia, come decto t'ho. E poniamo che anco vega l'offesa che
è facta a me, della quale in prima aveva dolore: ora non ne può avere dolore,
ma compassione senza pena, amandoli e sempre pregando me con affecto di caritá
ch' Io facci misericordia al mondo.
È terminata in loro
la pena ma non la carità: si come al Verbo del mio Figliuolo in su la croce,
nella penosa morte, terminò la pena del crociato desiderio che egli aveva
portato dal principio che Io el mandai nel mondo infino a l'ultimo della morte
per la salute vostra; ma non terminò l’affecto della vostra salute, ma si la pena.
Ché se l’affecto della mia carità, la quale per mezzo di lui vi mostrai, fusse
alora terminata e finita in voi, voi non sareste, perché sète facti per amore:
se l'amore fusse ritracto a me, che Io non amasse l'essere vostro, voi non
sareste. Ma l'amore mio vi creò, e l'amore mio vi conserva. E perché Io so' una
cosa con la mia Verità, ed egli, Verbo incarnato, con meco, fini la pena del
desiderio e non l'amore del desiderio.
159
Vedi dunque che i santi e ogni anima che è ad
vita ecterna hanno desiderio della salute dell'anime senza pena, però che la
pena terminò nella morte loro, ma none l’affecto della caritá. Anche, come
ebbri nel sangue dello inmaculato Agnello, vestiti della caritá del proximo,
passarono per la porta strecta, bagnati nel sangue di Cristo crucifixo, e
trovaronsi in me, mare pacifico, levati dalla imperfeczione, cioè dalla
insazietà, e giunti alla perfeczione saziati d'ogni bene.
Alto del documento
— Paulo dunque
aveva veduto e gustato questo bene quando lo el trassi al terzo cielo, cioè
nell'altezza della Trinitá, gustando e cognoscendo la veritá mia, dove egli
ricevette ad pieno lo Spirito santo e imparò la doctrina della mia Verità,
Verbo incarnato. Vestitasi l'anima di Paulo, per sentimento e unione, di me
Padre ecterno, come i beati della vita durabile, excepto che l'anima non era
separata dal corpo, ma per sentimento e unione; e piacendo alla mia bontá di
farlo vasello d'elleczione nell'abisso di me Trinitá ecterna, lo spogliai di
me, perché in me non cade pena, e Io volevo che sostenesse per lo nome mio; e
però gli posi per obiecto Cristo crucifixo dinanzi ad l'occhio dell' intellecto
suo, vestendoli el vestimento della doctrina sua, legato e incatenato con la
clemenzia dello Spirito santo, fuoco di caritá. Egli, come vasello disposto e
reformato dalla bontá mia, perché non fece resistenzia quando fu percosso,
anche dixe: «Signore mio, che vuogli tu che io faccia? Dimi quello che tue
vuogli che io faccia, e io el farò »; lo gliel'insegnai, quando gli posi Cristo
crucifixo dinanzi ad l'occhio suo, vestendolo della doctrina della mia Verità.
Illuminato perfectiximamente col lume della vera contrizione (colla quale
spense el difecto suo), fondato (160) nella mia carità, si vesti della dottrina
di Cristo crucifixo. E strinselo per si facto modo, siccome esso ti manifestò,
che giamai no gli fu tracto di dosso: né per tentazione di demonia, né per lo
stimolo della carne che spesse volte lo impugnava (lassato ad lui dalla mia
bontá per crescerlo in grazia e in merito, e per umiliazione, però che egli
avea gustata l'altezza della Trinitá); neanche per tribolazioni, né per veruna
cosa che gli avenisse, allentava el vestimento di Cristo crucifixo, cioè la
perserveranzia della doctrina sua, anche, piú strettamente se lo incarnava. E
tanto sello strinse, che egli ne die' la vita, e con esso vestimento ritornò ad
me, Dio ecterno.
Sicché Paulo avea provato che cosa era gustare
me senza la gravezza del corpo, facendogliele Io gustare per sentimento
d'unione, ma non per separazione.
Adunque, poi che fu
ritornato ad sé, vestito del vestimento di Cristo crocifixo, alla perfeczione
dell'amore che in me aveva gustata e veduta e che i santi gustano separati dal
corpo, gli pareva, el suo, impertecto. E però gli pareva che la gravezza del
corpo gli ribellasse, cioè che gl'impedisse la grande perfeczione della sazietà
del desiderio, che riceve l'anima doppo la morte. Onde la memoria gli pareva
imperfecta e debole, come ella è, per la quale debilezza e imperfeczione
gl'impediva di potere ritenere ed essere capace e ricevere e gustare me in
veritá con quella perfeczione che mi ricevono i santi. E però gli pareva che
ogni cosa, mentre che stava nel corpo suo, gli fuxe una legge perversa che
impugnasse e ribellasse contro allo spirito. Non di impugnazione di peccato,
però che giá ti dixi che lo el certificai dicendo: « Paulo, bastiti la grazia
mia »; ma di impugnazione che faceva di impedire la perfeczione dello spirito,
cioè di vedere me nell'essenzia mia, el quale vedere era impedito dalla legge e
gravezza del corpo. E però gridava: « Disaventurato uomo, chi mi dissolverebbe
dal corpo mio? ché io ho una legge perversa, legata nelle menbra mie, che
impugna contro allo spirito ». E cosí è la veritá: però che la memoria è
impugnata dalla imperfeczione corporale; lo intelletto è impedito e legato, per
questa grossezza del corpo, di non vedere me come (161 ) Io sono nell'essenzia
mia; e la volontà è legata, cioè che non può giugnere col peso del corpo a
gustare me, senza pena, Dio ecterno, per lo modo che decto t'ho. Sicché Paulo
diceva la veritá: che egli aveva una legge perversa legata nel corpo che
impugnava contro allo spirito. E così. questi miei servi, de' quali io ti
dicevo che erano giunti al terzo e al quarto stato della perfecta unione che
fanno in me, gridano con lui volendo essere sciolti dal corpo e separati.
Alto del documento
— Questi non
sentono malagevolezza della morte, però che n'hanno desiderio, e con odio
perfecto hanno facto guerra col corpo loro; onde hanno perduta la tenerezza che
naturalmente è fra l'anima e ‘l corpo: sicché, dato el botto all'amore
naturale, con odio della vita del corpo suo e con amore di me, desidera la
morte. E però dice: « Chi mi dissolverebbe dal corpo mio? Io desidero d'essere
sciolta dal corpo ed essere con Cristo ». E dicono ancora questi cotali col
medeximo Paulo: « La morte m'è in dexiderio e la vita impazienzia ». Però che
l'anima levata in questa perfetta unione desidera di vedere me e di vedermi
rendere gloria e loda. Onde, tornando poi alla nuvila del corpo suo, tornando,
dico, el sentimento nel corpo (el quale sentimento era tratto in me per affetto
d'amore, siccome lo ti dixi, cioè che tutti e' sentimenti del corpo erano
tratti per la forza dell'affetto dell'anima, unita in me piú perfettamente che
non è l'unione tra l'anima e ‘l corpo); traendo dunque ad me questa
unione (però che giá ti dixi che il corpo non era sufficiente a portare la
continua unione), lo mi parto per unione, ma non per grazia né per sentimento,
come nel secondo e terzo stato ti feci menzione, e sempre torno con piú
acrescimento di grazia e (162) con piú perfetta unione. Onde, sempre di
nuovo e con piú altezza e cognoscimento della mia veritá, torno, manifestando
me medeximo a loro. E quando Io mi parto, per lo modo detto, perché il corpo
torni un poco al sentimento suo, dico che per l'unione che Io avevo fatta
nell'anima, e l'anima in me, tornando ad sé, cioè al sentimento del corpo, è
impaziente nel vivere, vedendosi levata da l'unione di me, levandosi da la
conversazione degl' inmortali e trovandosi con la conversazione de' mortali,
vedendo offendere me tanto miserabilemente.
Questo è il
crociato desiderio che eglino portano vedendomi offendere da le mie creature.
Per questo e per lo desiderio di vedermi, l'è incomportabile la vita loro; e
nondimeno, perché la volontà loro non è loro, anco è fatta una cosa con meco
per amore, non possono volere né desiderare altro che quello ch' Io voglio.
Desiderando el venire, sonno contenti di rimanere, se Io voglio che rimangano
con loro pena, per piú gloria e loda del nome mio e salute de l'anime. Si che
in veruna cosa si scordano da la mia volontà, ma corrono con espasimato
desiderio, vestiti di Cristo crocifixo, tenendo per lo ponte della dottrina sua,
gloriandosi degli obrobri e pene sue. Tanto si dilettano quanto si veggono
sostenere; anco, nel sostenere de le molte tribulazioni, a loro è uno
refrigerio nel desiderio della morte, che, spesse volte, per lo desiderio e
volontà del sostenere mitiga la pena che essi hanno d'essere sciolti dal corpo.
Costoro non tanto
che portino con pazienzia, come nel terzo stato ti dixi, ma essi si gloriano,
per lo nome mio, portare molte tribolazioni. Portando, hanno diletto; non
portando, hanno pena temendo che el loro bene adoperare non el voglia
remunerare in questa vita, o che non sia piacevole a me il sacrificio de' loro
desidèri: ma sostenendo, permettendo lo' le molte tribolazioni, essi si
rallegrano, vedendosi vestire delle pene e obrobri di Cristo crocifixo. Unde,
se lo' fusse possibile d'avere virtú senza fadiga, non la vorrebbero, ché piú
tosto si vogliono dilectare in croce con Cristo e con pena acquistare le virtú,
che per altro modo avere vita etterna.
163
Perché? perché
sonno affogati e annegati nel Sangue, dove truovano l'affocata mia carità; la
quale caritá è uno fuoco, che procede da me, che rapisce il cuore e la mente
loro, acceptando el sacrificio de' loro desidèri. Unde si leva l'occhio de
l'intelletto specolandosi nella mia Deitá, dove l'affetto si notrica e si
unisce, tenendo dietro a l'intelletto. Questo è uno vedere per grazia infusa
che Io fo ne l'anima che in veritá ama e serve me.
Alto del documento
— Con questo lume,
il quale è posto ne l'occhio de l' intellecto, mi vidde Tomaso, unde acquistò
el lume della molta scienzia. Agustino, Ieronimo e gli altri dottori e sancai
miei, illuminati dalla mia veritá, intendevano e cognoscevano nelle tenebre la
mia veritá; cioè che la sancta Scriptura, che pareva tenebrosa perché non era
intesa, non per difetto della Scriptura ma dello intenditore che non intendeva.
E però Io mandai queste lucerne ad illuminare gli accecati e grossi
intendimenti. Levavano l'occhio de l'intelletto per cognoscere la veritá nella
tenebre, come detto è. E Io, fuoco acceptatore del sacrificio loro, gli rapivo,
dando lo' lume non per natura ma sopra ogni natura, e nella tenebre ricevevano
el lume cognoscendo la veritá per questo modo.
Unde, quella che
alora appareva tenebrosa, appare ora con perfectissimo lume a' grossi e a'
sottili di qualunque maniera gente si sia. Ogniuno riceve secondo la sua
capacità e secondo che esso si vuole disponere a cognoscere me, perch'Io none
spregio le loro disposizioni. Si che vedi che l'occhio de l'intellecto ha
ricevuto lume infuso per grazia sopra del lume naturale, nel quale i dottori e
gli altri sancai cognobbero la luce (164) nella tenebre, e di tenebre si
fece luce, però che lo 'ntellecto fu prima che fusse formata la Scriptura; unde
da l' intellecto venne la scienzia, perché nel vedere discerse.
Per questo modo
discersero e intesero e' sancti padri e profeti che profetavano de l’avenimento
e morte del mio Figliuolo. Per questo modo ebbero gli apostoli doppo
l’avenimento dello Spirito sancto, che lo' donòe questo lume sopra el lume
naturale. Questo ebbero evangelisti, doctori, confessori, vergini e martiri; e
tutti sono stati illuminati da questo perfetto lume; e ogniuno avutolo in
diversi modi, secondo la necessità della salute sua e della salute de le
creature, e a dichiarazione della sancta Scriptura. Si come fecero e' sancti
doctori, nella scienzia dichiarando la dottrina della mia Verità, la
predicazione degli appostoli, le sposizioni sopra e' vangeli de' vangelisti; e'
martiri, dichiarando nel sangue loro el lume della sanctissima fede, el frutto
e il tesoro del sangue de l'Agnello; le vergini, ne l’affecto della caritá e
purità; negli obedienti è dichiarata l’obedienzia del Verbo, cioè mostrando la
perfeczione de l'obedienzia, la quale riluce nella mia Verità, che, per
l’obedienzia ch' Io gl'imposi, corse a l’obrobriosa morte della croce.
Tutto questo lume
e' si vede nel vecchio e nel nuovo Testamento. Nel vecchio, le profezie de'
sancti profeti, fu veduto e cognosciuto da l'occhio de l'intelletto col lume
infuso per grazia da me sopra el lume naturale, come detto t'ho. Nel nuovo
Testamento della vita evangelica, con che è dichiarata a' fedeli cristiani? con
questo lume medesimo. E perché ella procedeva da uno medesimo lume, non ruppe
la legge nuova la legge vechia, anco si legò insieme; ma tolsele la
imperfeczione, perché ella era fondata solo in timore. Venendo el Verbo de
l'unigenito mio Figliuolo, con la legge de l'amore la compí, dandole l'amore,
levando el timore della pena e rimanendo el timore sancto. E però dixe la mia
Verità a' discepoli per dimostrare che Egli non era rompitore della legge: « lo
non so' venuto a dissolvere la legge, ma adempirla ». Quasi dicesse la mia
Verità a loro: — La legge è ora imperfetta, ma col sangue mio la farò perfetta,
e cosí la riempirò di quello che (165) ora le manca, tollendo via el timore
della pena e fondandola in amore e in timore sancto.
Chi la dichiarò che
questa fusse la veritá? El lume che fu dato ed è dato a chi el vuole ricevere
per grazia sopra el lume naturale, come detto è. Si che ogni lume che esce
della sancta Scriptura è uscito ed esce da questo lume. E però gl'ignoranti
superbi scienziati aciecano nel lume, perché la superbia e la nuvila de l'amore
proprio ha ricoperta e tolta questa luce: però intendono piú la Scriptura
licteralmente che con intendimento; e però ne gustano la lettera rivollendo
molti libri, e non gustano il merollo della Scriptura, perché s'hanno tolto el
lume con che è formata e dichiarata la Scriptura. Unde questi cotali si
maravigliano e cadranno nella mormorazione vedendo molti grossi e idioti nel
sapere la Scriptura sancta, e nondimeno sonno tanto illuminati nel cognoscere
la veritá come se longo tempo l'avessero studiata. Questa non è maraviglia
neuna, perché egli hanno la principale cagione del lume unde venne la scienzia.
Ma perché essi superbi hanno perduto el lume, non veggono né cognoscono la
bontá mia, né el lume della grazia infusa sopra de' servi miei.
Unde Io ti dico che
molto è meglio andare per consiglio della salute de l'anima a uno umile con
sancta e dritta coscienzia, che a uno superbo letterato studiante nella molta
scienzia, perché colui non porge se non di quello che elli ha in sé, unde, per
la tenebrosa vita, spesse volte el lume della sancta Scriptura porgerà in
tenebre. El contrario trovarà ne' servi miei, ché el lume che hanno in loro,
quello porgono con fame e desiderio de la salute sua.
Questo t'ho detto,
dolcissima figliuola mia, per farti cognoscere la perfeczione di questo unitivo
stato, dove l'occhio de l' intellecto è rapito dal fuoco della caritá mia,
nella quale caritá ricevono el lume sopranaturale. Con esso lume amano me,
perché l'amore va dietro a l' intellecto, e quanto piú cognosce, piú ama, e
quanto piú ama, piú cognosce. Cosí l'uno nutrica l'altro.
Con questo lume
giongono a l'etterna mia visione, dove veggono e gustano me in veritá, separata
l'anima dal corpo, si (166) come Io ti dixi quando ti contiai della beatitudine
che l'anima riceveva in me. Questo è quello stato excellentissimo che, essendo
anco mortale, gusta tra gl' inmortali. Unde spesse volte viene a tanta unione,
che a pena che egli sappi se egli è nel corpo o fuore del corpo, e gusta l'arra
di vita etterna si per l'unione che ha fatta in me e si perché la volontà è
morta in sé, per la quale morte fece unione in me, che in altro modo
perfettamente non la poteva fare. Adunque gustano vita etterna, privati de lo
'nferno della propria volontà, la quale dá una arra d'inferno a l'uomo che vive
a la volontà sensitiva, si come Io ti dixi.
Alto del documento
— Ora hai veduto
con l'occhio de l'intelletto tuo ed hai udito con l'orecchia del sentimento da
me, Verità etterna, che modo ti conviene tenere a fare utilitá, a te e al
proximo tuo, di dot trina e di cognoscere la mia veritá, si come nel principio
ti dixi che a cognoscimento della veritá si viene per lo cognoscimento di te:
non puro cognoscimento di te, ma condito e unito col cognoscimento di me in te.
Unde hai trovato umilità, odio e dispiacimento di te, e il fuoco della mia
caritá per lo cognoscimento che trovasti di me in te; unde venisti ad amore e
dileczione del proximo, facendo a lui utilitá di dottrina e di sancta e onesta
vita.
Anco t'ho mostrato
el ponte come egli sta, ed hotti mostrato e' tre scaloni generali posti per le
tre potenzie de l'anima; e come veruno può avere la vita della grazia se non
gli saglie tutti e tre, cioè che sieno congregati nel nome mio. E anco te gli
ho manifestati in particolare per li tre stati de l'anima figurati nel Corpo de
l'unigenito mio Figliuolo, del quale ti dixi che egli aveva facto scala del
Corpo suo, mostrandolo ne' (167) piei confitti, e ne l’apritura del lato, e
nella bocca dove gusta l'anima la pace e la quiete, per lo modo che detto è.
E botti mostrata la
imperfeczione del timore servile e la imperfeczione de l'amore, amando me per
dolcezza; e la perfeczione del terzo stato di coloro che sonno gionti a la pace
della bocca, essendo corsi con ansietato desiderio per lo ponte di Cristo
crocifixo, salendo e' tre scaloni generali, cioè d'avere congregate le tre potenzie
de l'anima, dove congrega tutte le sue operazioni nel nome mio, si come di
sopra ti spianai piú chiaramente; e de' tre scaloni particolari e' quali ha
saliti, passato dallo stato imperfetto al perfetto. E tosi gli hai veduti
córrire in veritá, e fattati gustare la perfeczione de l'anima con
l'adornamento delle virtú, e gl'inganni che riceve prima che gionga a la sua
perfeczione, se essa non essercita el tempo suo nel cognoscimento di sé e di
me.
Anco t'ho
dichiarata la miseria di coloro che vanno annegandosi per lo fiume, non tenendo
per lo ponte della dottrina della mia Verità, el quale Io vi posi perché voi
none annegaste; ma eglino, come matti, sono voluti annegare nella miseria e
puzza del mondo.
Tutto questo t'ho
dichiarato per farti crescere il fuoco del sancto desiderio e la compassione e
dolore della dannazione de l'anime, acciò che ‘l dolore e l'amore ti
costringa a strignere me con lagrime e sudori: con lagrime de l'umile e
continua orazione offerta a me con fuoco d'ardentissimo desiderio. E non
solamente per te, ma per molte altre creature e servi miei che l'udiranno.
Saranno costretti da la mia caritá (cosí insiememente tu e gli altri servi
miei) di pregare e strignere me a fare misericordia al mondo e al corpo mistico
della sancta Chiesa per cui tu tanto mi preghi.
Perché giá ti dixi,
se ben ti ricorda, che Io adempirei e' desidèri vostri dandovi refrigerio nelle
vostre fadighe, cioè satisfacendo a' penosi vostri desidèri, donando la
reformazione della sancta Chiesa di buoni e sancti pastori: non con guerra,
come Io ti dixi, né con coltello né crudeltá, ma con pace e quiete, lagrime e
sudori de' servi miei, e' quali v'ho messi (168) come lavoratori de ('anime
vostre e di quelle del proximo, e nel corpo mistico della sancta Chiesa. In
voi, lavorare in virtú: nel proximo e nella sancta Chiesa, in exemplo e in
doctrina, e continua orazione offerire a me per lei e per ogni creatura;
parturendo le virtú sopra del proximo vostro per lo modo che decto t'ho. Perché
giá ti dixi che ogni virtú e difecto si faceva e aumentavasi sopra del proximo.
E però voglio che
facciate utilitá al proximo vostro; e per questo modo darete de' fructi della
vigna vostra. Non vi ristate di gittarmi oncenso d'odorifere orazioni per
salute de l'anime e perch' Io voglio fare misericordia al mondo, e con esse
orazioni e sudori e lagrime lavare la faccia della sposa mia, cioè della sancta
Chiesa, perché giá te la mostrai in forma d'una donzella lordata tucta la
faccia sua, quasi come lebbrosa. Questo era per lo difecto de' ministri, e di
tucta la religione cristiana, che al pecto di questa sposa si notricano. De'
quali difecoi lo in un altro luogo ti narrarò.
Alto del documento
Alora quella anima,
ansietata di grandissimo desiderio, levandosi come ebbra si per l'unione che
era facta in Dio e sí per quello che aveva udito e gustato da la prima dolce
Verità, e ansietata di dolore della ignoranzia delle creature di non cognoscere
il loro benefactore e l'affecto della caritá di Dio (e nondimeno aveva una
allegrezza d'una speranza della promessa che la veritá di Dio aveva (acta a
lei, insegnandole el modo che ella dovesse tenere, ed ella e gli altri servi di
Dio, per volere che egli faccia misericordia al mondo); levando l'occhio de l’
intellecto nella dolce Verità dove stava unita, volendo alcuna cosa sapere
sopra de' decti stati de l'anima che Dio aveva a lei narrati, vedendo che l'anima
passa agli stati con lagrime; (169) e però voleva sapere da la Verità la
differenzia delle lagrime, e come erano facte, e unde procedevano, e il fructo
che seguitava doppo el pianto.
Volendo adunque
saperlo da la prima dolce Verità únde procedevano le decte lagrime, e di quante
fussero ragioni lagrime, perché la veritá non si può cognoscere altro che da
essa Verità, però dimanda la Verità. E nulla cosa si cognosce nella Verità che
non si vegga con l'occhio de l' intellecto, unde è bisogno, a chi vuole cognoscere,
che si levi con desiderio di volere cognoscere col lume della fede nella
Verità, aprendo l'occhio de ('intellecto con la pupilla della fede ne
l'obbiecto della Verità.
Poi che ebbe
cognosciuto, perché non l'era escito di mente la doctrina che le die' la
Verità, cioè Dio, che per altra via non poteva sapere quello che desiderava di
sapere degli stati e fructi delle lagrime, levò sé sopra di sé con grandissimo
desiderio oltre a ogni modo, e col lume della fede viva upriva l'occhio de l'
intellecto suo nella Verità etterna, nella quale vide e cognobbe la veritá di
quello che dimandava. Manifestandole Dio se medesimo, cioè la benignità sua,
conscendendo a l’affocato desiderio, adempiva la sua petizione.
Alto del documento
Alora diceva la
Verità prima dolce di Dio: — O dilectissima e carissima figliuola, tu
m'adimandi di volere sapere delle ragioni delle lagrime e de' fructi loro; e Io
non ho spregiato el desiderio tuo. Apre bene l'occhio de l'intellecto, e
mostrarocti, per li decti stati de l'anima che contiati t'ho, le lagrime
imperfecte fondate nel timore.
Ma prima, delle
lagrime degl' iniqui uomini del mondo. Queste sonno lagrime di dannazione.
Le seconde sonno
quelle del timore, di coloro che si levano dal peccato per timore della pena, e
per timore piangono.
170
El terzo è di
coloro che, levati dal peccato, cominciano a gustare me, e con dolcezza
piangono, e comincianmi a servire; ma, perché è imperfecto l'amore, è
imperfecto el pianto, si come Io ti narrarò.
El quarto è di
coloro che gionti sonno a perfeczione nella caritá del proximo, amando me senza
rispecto veruno di sé. Costoro piangono, e il pianto loro è perfecto.
El quinto è unito
col quarto: sonno lagrime di dolcezza gictate con grande suavità, si come di
socto distesamente ti dirò. Anco ti narrarò delle lagrime del fuoco, senza
lagrima d'occhio, per satisfare a coloro che spesse volte desiderano el pianto
e non el possono avere. E voglio che tu sappi che tucti questi diversi stati
possono essere in una anima levandosi dal timore e da l'amore imperfecto e
giognendo a la caritá perfecta e a l'unitivo stato.
Ora ti comincio a narrare delle dette lagrime
per questo modo.
Alto del documento
LXXXIX. De la
differenzia d'esse lagrime, discorrendo per li predecti stati dell'anima.
— Io voglio che tu
sappi che ogni 1agrima procede dal cuore, perché neuno membro è nel corpo che
voglia tanto satisfare al cuore quanto l'occhio. Se egli ha dolore, l'occhio el
manifesta; e se egli è dolore sensitivo, gitta lagrime cordiali che generano
morte, perché procedevano dal cuore, perché l'amore era disordinato fuore di
me; e perché egli è disordinato, però è con offesa di me e riceve mortale
dolore e lagrime. È vero che la gravezza della colpa e pianto è piú grave e
meno, secondo la misura del disordinato amore. Questi sonno quelli primi che
hanno lagrime di morte, de' quali Io t'ho decto e dirò. Ora comincia a vedere
le lagrime che cominciano a dare vita, cioè di coloro che, cognoscendo le colpe
loro, per timore della pena cominciano a piangere. Queste sonno lagrime
cordiali e (171) sensitive, cioè che, non essendo ancora al perfectissimo odio
della colpa commessa per l'offesa facta a me, levansi con uno cordiale dolore
per la pena che lo' séguita doppo el peccato commesso; e però l'occhio piagne
perché vuole satisfare al dolore del cuore.
Ed exercitandosi
l'anima a la virtú, comincia a perdere il timore, perché cognosce che solo el
timore non è sufficiente a darli vita etterna, si come nel secondo stato
dell'anima Io ti narrai. E però si leva con amore a cognoscere se medesima e la
mia bontá in sé, e comincia a pigliare speranza della misericordia mia, nella quale
il cuore sente allegrezza. Mescolato el dolore della colpa con allegrezza della
speranza della divina mia misericordia, l'occhio alora comincia a piangere: la
quale lagrima esce della fontana del cuore. Ma perché ancora non è gionta a la
grande perfeczione, spesse volte gitta lagrime sensuali. Se tu mi dimandi: —
Per che modo? — rispondoti: Perché la radice de l'amore proprio di sé non è
d'amore sensitivo (che giá v'è levato per lo modo decto), ma è uno amore
spirituale quando l'anima appetisce le spirituali consolazioni, delle quali
distesamente ti dixi la imperfeczione loro, o mentali o con mezzo d'alcuna
creatura amata di spirituale amore. Quando è privata di quella cosa che ama,
cioè delle consolazioni o dentro o di fuore (dentro, per consolazione che abbi
tracta da me; o di fuore, della consolazione che aveva dalla creatura), e
sopravenendo le temptazioni o persecuzioni dagli uomini, el cuore ha dolore: e
subbito l'occhio, che sente il dolore e la pena del cuore, comincia a piangere
d'uno pianto tenero e compassionevole a se medesima, d'una compassione
spirituale di proprio amore, perché non è ancora conculcata e annegata la
propria volontà in tucto. Per questo modo gitta lagrime sensuali, cioè di
spirituale passione.
Ma, crescendo ed
exercitandosi nel lume del cognoscimento di sé, concipe uno dispiacimento in se
medesima e odio perfecto di se medesima, unde traie uno cognoscimento vero
della mia bontá con uno fuoco d'amore, e comincia a unirsi e conformare la
volontà sua con la mia. E cosí comincia a sentire (172) gaudio e compassione:
gaudio in sé per l'affetto de l'amore, e compassione al proximo, si come nel
terzo stato Io ti narrai. Subbito l'occhio, che vuole satisfare al cuore, geme
nella caritá mia e del proximo suo con cordiale amore, dolendosi solo de
l'offesa mia e del dapno del proximo e non di pena né danno proprio di sé,
perché non pensa di sé, ma solo pensa di potere rendere gloria e loda al nome
mio; e con espasimato desiderio si diletta di prendere il cibo in su la mensa
della sanctissima croce, cioè conformandosi con l'umile, paziente e inmaculato
Agnello, unigenito mio Figliuolo, del quale feci ponte, come detto è.
Poi che cosí
dolcemente è ita per lo ponte, seguitando la doctrina della dolce mia Verità, e
passata per questo Verbo, sostenendo con vera e dolce pazienzia ogni pena e
molestia, secondo che Io ho permesso per la salute sua, ella virilmente l'ha
ricevute, none eleggendole a suo modo ma a mio; e non tanto che porti con
pazienzia, come Io ti dixi, ma con allegrezza sostiene. E recasi in una gloria
d'essere perseguitata per lo nome mio, pure che abbia di che patire. Alora
viene l'anima a tanto diletto e tranquillità di mente, che non è lingua
sufficiente a poterlo narrare.
Passata col mezzo
di questo Verbo (cioè per la doctrina de l'unigenito mio Figliuolo), fermato
l'occhio de l'intelletto in me, dolce prima Verità, veduta la cognosce, e
cognoscendo l'ama. Tratto l'affetto dietro a l' intelletto, gusta la Deitá mia
etterna, la quale cognosce, e vede essa natura divina unita con la vostra
umanità. Riposasi alora in me, mare pacifico. EI cuore è unito per affetto
d'amore in me, si come nel quarto unitivo stato ti dixi. Nel sentimento di me,
Deitá etterna, l'occhio comincia a versare lagrime di dolcezza, che drittamente
sonno uno latte che nutrica l'anima in vera pazienzia. Queste lagrime sonno uno
unguento odorifero che gicta odore di grande soavità.
O dilettissima
figliuola mia, quanto è gloriosa quella anima che cosí realmente ha saputo
trapassare dal mare tempestoso a me, mare pacifico, e impíto el vaso del cuore
suo nel mare di me, somma ed etterna Deitá ! E però l'occhio, ch'è uno (173)
condotto, s'ingegna, come egli ha tracto del cuore, di satisfarli; e cosí versa
lagrime.
Questo è quello
ultimo stato dove l'anima sta beata e dolorosa: beata sta per l'unione che ha
fatta meco per sentimento, gustando l'amore divino; dolorosa sta per l'offesa
che vede fare a me, bontá e grandezza mia, la quale ha veduta e gustata nel
cognoscimento di sé e di me, per lo quale cognoscimento di sé e di me gionse a
l'ultimo stato. E non è però impedito lo stato unitivo (che dá lagrime di
grande dolcezza), per lo conoscimento di sé, nella caritá del proximo, nella
quale trovò pianto d'amore della divina mia misericordia e dolore de l'offesa
del proximo: piangendo con coloro che piangono e godendo con coloro che godono
(ciò sonno coloro che vivono in carità, de' quali l'anima gode vedendo rendere
gloria e loda a me da' servi miei). Si che ‘l pianto secondo (cioè il
terzo) non impedisce l'ultimo, (cioè il quarto), Punitivo secondo; anco
condisce l'uno l'altro. Ché se l'ultimo pianto, dove l'anima ha trovata tanta
unione, non avesse tracto dal secondo (cioè dal terzo stato della caritá del
proximo), non sarebbe perfetto. Si che è di bisogno che si condisca l'uno con
l'altro, altrementi verrebbe a presumpzione, nella quale intrarrebbe uno vento
sottile d'una propria reputazione, e cadrebbe da l'altezza infino a la bassezza
del primo vomito. E però è bisogno di portare e tenere continuo la caritá del
proximo suo con vero cognoscimento di sé.
Per questo modo
nutricarà el fuoco della mia caritá in sé, perché la caritá del proximo è
tratta da la caritá mia, cioè da quello cognoscimento che l'anima ebbe
conoscendo sé e la bontá mia in sé, unde ella si vidde amare da me
ineffabilemente. E però con questo medesimo amore che vide in sé essere amata,
ama ogni creatura che ha in sé ragione; e questa è la ragione che l'anima si
distende, subbito che conosce me, ad amare il proximo suo. Unde, perché vidde,
l'ama ineffabilemente, si che ama quella cosa che vidde che lo piú amavo.
Poi cognobbe che a
me non poteva fare utilitá né rendermi quel puro amore con che si sente essere
amata da me; e però si pone a rendermi amore con quello mezzo che Io v'ho
posto, (174) cioè il proximo suo, che è quel mezzo a cui dovete fare utilitá
(si come Io ti dixi che ogni virtú si faceva col mezzo del proximo a ogni
creatura in comune e in particulare), secondo le diverse grazie ricevute da me,
dandovele a ministrare. Amare dovete di quel puro amore che Io ho amati voi:
questo non si può fare verso di me, perch' Io v'amai senza essere amato e senza
veruno rispecto. E però che v'ho amati senza essere amato da voi, prima che voi
fuste (anco l'amore mi mosse a crearvi a la imagine e similitudine mia), non el
potete rendere a me, ma dovetelo rendere alla creatura che ha in sé ragione,
amandoli senza essere amato da loro; e amare senza alcuno rispecto di propria
utilitá o spirituale o temporale, ma solo amare a gloria e loda del nome mio,
perché è amata da me. Cosí adempirete il comandamento della legge: d'amare me
sopra ogni cosa e il proximo come voi medesimi.
Bene è dunque vero
che a quella altezza non si può giognere senza questo secondo stato, cioè che
viene el terzo stato e il secondo a l'unione. Né, poi che è gionto, si può
conservare se si partisse da quello affecto unde pervenne a le seconde lagrime
decte; si come non si può adempire la legge di me, Dio etterno, senza quella
del proximo vostro, perché sonno due piei de l'affecto per cui s'observano e'
comandamenti e i consigli (si com'Io ti dixi) che vi die' la mia Verità, Cristo
crocifixo.
Cosí questi due
stati, de' quali è facto uno, notricano l'anima nelle virtú, crescendola nella
perfeczione delle virtú e de l'unitivo stato. Non che muti altro stato, poi che
è gionto a questo; ma questo medesimo cresce la ricchezza della grazia in nuovi
e in diversi doni e amirabili elevazioni di mente, si come Io ti dixi, con uno
cognoscimento di veritá che quasi, essendo mortale, pare immortale: perché’l sentimento
della propria sensualità è mortificato, e la volontà è morta per l'unione che
ha facta in me.
Oh, quanto è dolce
questa unione a l'anima che la gusta! che, gustandola, vede le segrete cose
mie, onde spesse volte riceverà spirito di profezia in sapere le cose future.
Questo fa la mia bontá, benché l'anima umile sempre le debba spregiare: (175)
none l'affecto della mia caritá che do, ma l'appetito delle proprie
consolazioni, reputandosi indegna della pace e quiete della mente, per
notricare la virtú dentro ne l'anima sua. E none sta nel secondo stato, ma
torna a la valle del conoscimento di sé. Questo le permecto, per grazia, di
darle questo lume acciò che sempre cresca, perché l'anima non è tanto perfecta
in questa vita che non possa crescere a maggiore perfeczione, cioè a
perfeczione d'amore. Solo el dilecto unigenito mio Figliuolo, capo vostro, fue
quello a cui non poté crescere alcuna perfeczione perché Egli era una cosa con
meco e Io con lui; l'anima sua era beata per l'unione della natura mia divina.
Ma voi, perregrini membri, sempre sète apti a crescere in maggiore perfeczione.
Non però ad altro stato, come decto è, poi che sète gionti a l'ultimo; ma
potete crescere quello ultimo medesimo con quella perfeczione che sarà di
vostro piacere, mediante la grazia mia.
Alto del documento
XC. Repetizione breve
del precedente capitolo. E come el demonio fugge da quelli che sono gionti a le
quinte lagrime. E come le molestie del dimonio sono verace via da giognere a
questo stato.
— Ora hai veduto
gli stati delle lagrime e la differenzia loro, secondo che è piaciuto a la mia
veritá di satisfare al desiderio tuo. Delle prime, di coloro che sonno in stato
di morte (di colpa di peccato mortale), vedesti che ‘l pianto loro
procede dal cuore generalmente, perché ‘l principio de l’affecto, unde
venne la lagrima, era corrocto, e però n'esce corrocto e miserabile pianto e
ogni loro operazione.
El secondo stato è
di coloro che cominciano a conoscere i loro mali per la propria pena che lo'
séguita doppo la colpa. Questo è uno comincio generale buonamente dato da me a'
fragili, che, come ignoranti, s'anniegano giú per lo fiume, schifando la
doctrina della mia veritá; ma molti e molti sonno quegli che conoscono loro senza
timore servile, cioè di propria pena, e vannosene chi, di subbito, con uno
grande odio di sé, per lo quale (176) odio si reputa degno della pena; alcuni
con una buona simplicità si dànno servire me, loro Creatore, dolendosi de
l'offesa che hanno facta a me. È vero che egli è piú apto a giognere a lo stato
perfecto colui che va con grandissimo odio che gli altri, bene che,
exercitandosi, l'uno e l'altro giogne; ma questo giogne prima. Debba guardare
l'uno di non rimanere nel timore servile, e l'altro nella tiepidezza sua, cioè
che in quella simplicità, non exercitandola, non vi s'intepidisse dentro. Si
che questo è uno chiamare comune.
El terzo e il
quarto è di coloro che, levati dal timore, sono gionti a l'amore e a speranza,
gustando la divina mia misericordia, ricevendo molti doni e consolazioni da me,
per le quali l'occhio, che satisfa al sentimento del cuore, piagne; ma perché
ancora è imperfecto, mescolato col pianto sensitivo spirituale, come decto è,
giogne, exercitandosi in virtú, al quarto, dove l'anima, cresciuta in
desiderio, uniscesi e conformasi con la mia volontà, in tanto che non può
volere né desiderare se non quel ch'Io voglio, vestito della caritá del
proximo, unde traie uno pianto d'amore in sé e dolore de l'offesa mia e danno
del proximo suo. Questo è unito con la quinta e ultima perfeczione, dove egli
si unisce in veritá, dove è cresciuto ci fuoco del sancto desiderio, dal quale
desiderio ci dimonio fugge e non può percuotere l'anima, né per ingiuria che le
fusse facta, perché ella è facta paziente nella caritá del proximo, non per
consolazione né spirituale né temporale, però che per odio e vera umilità le
spregia.
Egli è ben vero che
‘l dimonio da la parte sua non dorme mai, ma insegna a voi negligenti che
nel tempo del guadagno state a dormire. Ma la sua vigilia a questi cotali non
può nuocere, perché non può sostenere il calore della caritá loro né l'odore de
l'unione che ha facta in me, mare pacifico, dove l'anima non può essere
ingannata mentre che starà unita in me. Si che fugge come fa la mosca da la
pignacta che bolle, per paura che ha del fuoco: se fusse tiepida, non
temarebbe, ma andarebbevi dentro, benché spesse volte egli vi perisce,
trovandovi piú caldo che non si imaginava. E cosí diviene de l'anima prima
(177) che venga a lo stato perfecto: ci dimonio, perché gli pare tiepida,
v'entra dentro con molte diverse temptazioni; ma, essendovi ponto di
cognoscimento e di calore e dispiacimento della colpa, resiste, legando la
volontà, che non consenta, col legame de l'odio del peccato e amore della
virtú.
Rallegrisi ogni
anima che sente le molte molestie, perché quella è la via da giognere a questo
dolce e glorioso stato. Perché giá ti dixi che per lo conoscimento e odio di
voi e per conoscimento della mia bontá voi venivate a perfeczione. Veruno tempo
è che si conosca tanto bene l'anima se lo so' in lei, quanto nel tempo delle
molte bactaglie. In che modo? Dicotelo: sé conosce bene, vedendosi nelle
bactaglie e non si può liberare né resistere che non l'abbia; può belle
resistere a la volontà a non consentire, ma in altro no. Alora può conoscere sé
non essere: ché se ella fusse alcuna cosa per se medesima, si levarebbe quelle
che ella non vuole. Cosí per questo modo s'aumilia con vero conoscimento di sé,
e col lume della sanctissima fede corre a me, Dio etterno, per la cui bontá si
truova conservare la buona e sancta volontà che non consente, al tempo delle
molte bactaglie, ad andare dietro a le miserie nelle quali si sente molestare.
Bene avete dunque
ragione di confortarvi con la doctrina del dolce e amoroso Verbo, unigenito mio
Figliuolo, nel tempo delle molte molestie e pene, adversità e temptazioni dagli
uomini e dal demonio, poi che aumentano la virtú e fanvi giognere a la grande
perfeczione.
Alto del documento
— Decto t'ho delle
lagrime perfecte e imperfecte, e come tucte escono del cuore. Di questo vasello
esce ogni lagrima di qualunque ragione si sia, e però tucte si possono chiamare
«lagrime (178) cordiali »: solo la differenzia sta ne l'ordinato o disordinato
amore e ne l'amore perfetto o imperfetto, secondo che detto è di sopra.
Restoti ora a dire,
a satisfaczione del desiderio tuo che m'hai domandato, d'alcuni che vorrebbero
la perfeczione delle lagrime e non pare che le possino avere. Hacci altro modo
che lagrima d'occhio? Sì: ècci un pianto di fuoco, cioè di vero e sancto desiderio,
el quale si consuma per affecto d'amore: vorrebbe dissolvere la vita sua in
pianto per odio di sé e salute de l'anime, e non pare che possa. Dico che
costoro hanno lagrima di fuoco, in cui piagne lo Spirito sancto dinanzi a me
per loro e per lo proximo loro. Cioè dico che la divina mia caritá accende con
la sua fiamma l'anima che offera ansietati desidèri dinanzi da me, senza
lagrima d'occhio. Dico che queste sono lagrime di fuoco: per questo modo dicevo
che lo Spirito sancto piagneva. Questo non potendo fare con lagrime, offera
desidèri di volontà che ha di pianto, per amore di me. Benché, se aprono
l'occhio de l'intelletto, vedranno che ogni servo mio che gitta odore di sancto
desiderio ed umili e continue orazioni dinanzi da me, piagne lo Spirito sancto
per mezzo di lui. A questo modo parbe che volesse dire il glorioso apostolo
Pavolo, quando dixe che lo Spirito sancto piagneva dinanzi a me, Padre, con
gemito inenarrabile per voi.
Adunque vedi che
non è di meno el frutto della lagrima del fuoco che di quella de l'acqua: anco
spesse volte è di maggiore, secondo la misura de l'amore. E però non debba
venire a confusione di mente, né debbale parere essere privata di me quella
anima che desidera lagrime e non le può avere per lo modo che desidera; ma debbale
desiderare con la volontà acordata con la mia e umiliata al si e al no, secondo
che piace a la divina mia bontá. Alcuna volta Io permetto di non dare lagrime
corporalmente, per fare l'anima continuamente stare dinanzi da me umiliata e
con continua orazione e desiderio gustando me; ché avere da me quello che essa
dimanda non le sarebbe di quella utilitá che essa si crede, ma starebbesi
contenta ad avere quello che ha desiderato, e allentarebbe l'affetto e il
desiderio con che ella me l’adimandava. Si che lo per acrescimento, e non
perché diminuisca, sottrago a me (179) di non darle attuali lagrime d'occhio,
ma dolle le mentali solamente di cuore, piene di fuoco della divina mia caritá.
Si che in ogni stato e in ogni tempo saranno piacevoli a me, pure che l'occhio
de l'intelletto non si serri mai col lume della fede da l'obietto della mia
veritá etterna con affecto d'amore. Però ch' Io so' medico, e voi infermi; e do
a tutti quello che è di necessità e di bisogno a la vostra salute e a crescere
la perfeczione ne l'anima vostra.
Questa è la veritá,
e la dichiarazione degli stati delle dette lagrime dichiarate da me, Verità
etterna, a te dolcissima mia figliuola. Anniègati dunque nel sangue di Cristo
crocifixo, umile, crociato, inmaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo,
crescendo in continua virtú, acciò che si nutrichi el fuoco della divina mia
caritá in te.
Alto del documento
— Questi cinque
stati predetti sonno come cinque principali canali de' quali e' quattro dànno
abondanzia e infinite varietà di lagrime, che tutte dànno vita, se sonno
exercitate in virtú, come detto t'ho. Come infinite? Non dico che in questa
vita siate infiniti in pianto, ma «infinite » le chiamo per lo infinito
desiderio de l'anima.
Ora t'ho detto come
la lagrima procede dal cuore, e il cuore la porge a l'occhio, avendola ricolta
ne l’affocato desiderio: sí come el legno verde che sta nel fuoco, che per lo
caldo geme l'acqua, perché egli è verde (ché, se fusse secco, giá non
gemarebbe); cosí el cuore, rinverdito per la rinnovazione della grazia,
trattane la secchezza de l'amore proprio che disecca l'anima. Si che sonno
unite fuoco e lagrime, cioè desiderio affocato. E perché il desiderio non
finisce mai, non si sazia (180) in questa vita, ma quanto piú ama meno gli pare
amare; e cosi exercita el desiderio sancto che è fondato in carità, col quale
desiderio l'occhio piagne.
Ma, separata che
l'anima è dal corpo e gionta a me, fine suo, non abandona però el desiderio che
non desideri me e la caritá del proximo suo; inperò che la caritá è intrata
dentro come donna, portandosene il fructo di tucte l'altre virtú. È vero che
termina e finisce la pena, si com' Io ti dissi; però che, se egli desidera me,
esso m'ha in veritá senza alcuno timore di potere perdere quello che ha tanto
tempo desiderato. E in questo modo si notrica la fame: cioè che avendo fame
sonno saziati, e saziati hanno fame, e di longa è il fastidio dalla sazietà, e
di longa è la pena da la fame, perché ine non manca alcuna perfeczione.
Si che il desiderio
vostro è infinito: ché altrementi non varrebbe né avarebbe vita alcuna virtú se
fussi solamente servito con cosa finita, perché Io, che so' Dio infinito,
voglio essere servito da voi con cosa infinita; e infinito altro non avete se
non l'affecto e il desiderio vostro de l'anima. E per questo modo dicevo che
erano infinite varietà di lagrime, e cosí è la veritá per lo modo che decto ho:
per lo infinito desiderio che era unito con la lagrima. La lagrima, partita che
l'anima è dal corpo, rimane di fuore; ma l'affecto della caritá ha tracto a sé
el fructo della lagrima e consumatala, si come l'acqua nella fornace: non è che
l'acqua sia fuore della fornace, ma el calore del fuoco l'ha consumata e tracta
in sé. Cosí l'anima, gionta a gustare il fuoco de la divina mia carità, è
passata di questa vita con l’affecto della caritá di me e del prossimo suo, e
con l'amore unitivo col quale gictava la lagrima. E non restano mai di
continuamente offerire loro desidèri beati e lagrimosi senza pena: non con
lagrima d'occhio, ché ella è diseccata nella fornace, come decto è; ma lagrima
di fuoco di Spirito sancto.
Veduto hai dunque
come sonno infinite, che pure in questa vita medesima non è lingua sufficiente
a narrare quanti diversi pianti si fanno in questo stato decto. Ma hocti decta
la differenzia de' quattro stati delle lagrime.
Alto del documento
181
— Restoti a dire
del fructo che dá la lagrima gictata con desiderio, e quello che adopera ne
l'anima. Ma prima ti cominciarò della quinta, della quale al principio ti feci
menzione, cioè di coloro che miserabilmente vivono nel mondo, facendosi Dio
delle creature e delle cose create e della loro propria sensualità, unde vi
viene ogni danno de l'anima e del corpo. Io ti dixi che ogni lagrima procedeva
dal cuore, e cosí è la veritá, perché tanto si duole il cuore quanto egli ama.
Gli uomini dei mondo piangono quando el cuore sente dolore, cioè quando è
privato di quella cosa che egli amava. Ma molto sonno diversi e' pianti loro:
sai quanto? quanto è differente e diverso l'amore. E perché la radice è
corrocta del proprio amore sensitivo, ogni cosa n'esce corrocta. Egli è uno
arbore che non germina altro che fructi di morte, fiori putridi, foglie
macchiate, rami inchinati infino a terra, percossi da diversi venti: questo è
l'arbore de l'anima. Perché tucti sète arbori d'amore, e però senza amore non
potete vivere, perché sète facti da me per amore. L'anima che virtuosamente
vive pone la radice de l’arbore suo nella valle della vera umilità: ma questi
che miserabilmente vivono l'hanno posta nel monte della superbia; unde, perché
egli è mal piantato, non produce fructo di vita, ma di morte. E' fructi sonno
le loro operazioni, e' quali sonno tucti avelenati di molti e diversi peccati:
e se veruno fructo di buona operazione essi fanno, perché è corrotta la radice,
ogni cosa n'esce guasto; cioè che l'anima che è in peccato mortale, neuna buona
operazione che faccia, 1e vale a vita etterna, perché non sonno facte in
grazia. Benché non debba lassare però la buona operazione, perché ogni bene è
remunerato e ogni colpa punita. El bene che è facto fuore della grazia non è
sufficiente né gli vale a vita etterna, come decto (182) è; ma la divina bontá
e mia giustizia da remunerazione imperfecta, come ella è data a me l'operazione
imperfecta: alcuna volta l'è remunerato in cose temporali, alcuna volta ne gli
presto el tempo, si come in un altro luogo, sopra questa materia, di sopra ti
narrai, dandoli spazio pure perché egli si possa correggere. Questo anco alcuna
volta gli farò: che gli darò vita di grazia con alcuno mezzo de' servi miei e'
quali sono piacevoli e accepti a me; si come feci al glorioso apostolo Pavolo,
che, per l’orazioni di sancto Stefano, si levò da la sua infidelità e
persecuzioni che faceva a' cristiani. Si che vedi bene che, in qualunque stato
l'uomo si sia, non debba mai lassare di b ,n fare.
Dicevoti che i
fiori erano putridi; e cosí è la veritá. E' fiori sonno le puzzolenti
cogitazioni del cuore (le quali sonno spiacevoli a me), e odio e dispiacimento
verso el proximo suo. Si come ladro, l'onore ha furato di me, suo Creatore, e
datolo a sé. Questo fiore mena puzza di falso e miserabile giudicio, el quale
giudicio è in due modi: l'uno verso di me, giudicando gli occulti miei giudici
e ogni mio misterio iniquamente, e in odio quello che Io gli ho facto per
amore, e in bugia quello che lo gli ho facto per veritá, e in morte quello che
Io do per vita. Ogni cosa condannano e giudicano secondo el loro infermo
parere, perché si sonno aciecati, col proprio amore sensitivo, l'occhio de
l'intelletto e ricoperta la pupilla della sanctissima fede che non lo' lassa
vedere né cognoscere la veritá.
L'altro giudicio
ultimo è inverso del proximo suo, unde spesse volte n'esce molto male; ché il
misero uomo non cognosce sé, e vuolsi ponere a cognoscere il cuore e l’affecto
della creatura che ha in sé ragione, e, per una operazione che vedrà o parola
che oda, vorrà giudicare l'affecto del cuore. Ma e' servi miei sempre giudicano
in bene, perché sonno fondati in me, sommo Bene. Ma questi cotali sempre
giudicano in male, perché sonno fondati nel miserabile male. De' quali giudici
molte volte ne viene odio, omicidii e dispiacimento verso del proximo suo, e
dilungamento da l'amore della virtú de' servi miei.
183
Cosí a mano a mano
seguitano le foglie, le quali sonno le parole che escono della bocca in
vitoperio di me e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo e in danno del
proximo suo. E non si curano d'altro che di maledire e condepnare l'operazione
mie, o di bastemmiare e dire male d'ogni creatura che ha in sé ragione, come
facto lo' viene, secondo che il loro giudicio porta. E non tengono a mente
(disaventurati a loro!) che la lingua è facta solo per rendere onore a me e per
confessare i difecti loro, e adoperare per amore della virtú e in salute del
proximo. Queste sonno le foglie macchiate della miserabile colpa, perché ‘l
cuore, unde sonno procedute, non era schiecto, ma molto maculato di
doppiezza e di molta miseria. Quanto pericolo (oltre al danpno spirituale della
privazione della grazia che ha facta ne l'anima) esce in danno temporale! Ché
per le parole avete udito e veduto venire mutazioni di Stati, disfacimento di
città e molti omicidii e altri mali: perché la parola intrò nel mezzo del cuore
a colui a cui ella fu decta; introe dove non sarebbe passato el coltello colà
dove passò e introe la parola.
Dico che l’arbore
ha sette rami che chinano infino a terra, de' quali escono e' fiori e le foglie
per lo modo che decto t'ho. Questi sonno e' septe peccati mortali, e' quali
sono pieni di diversi e molti peccati, legati nella radice e gambone de l'amore
proprio di sé e della superbia. La quale ha facto prima e' rami e i fiori delle
molte cogitazioni; poi procede la foglia delle parole e il fructo di gattive
operazioni. Stanno chinati infino a terra, cioè che i rami de' peccati mortali
non si voltano altro che a la terra d'ogni fragile e disordinata sustanz'a de
mondo, e in altro modo non mira se none in che modo si possa nutricare della
terra insaziabilmente, che mai non si sazia. Insaziabili sonno e incomportabili
a loro medesimi; e cosa convenevole è che egli sieno sempre inquieti, ponendosi
a desiderare e volere quella cosa che lo' dá sempre insazietà, si come Io ti
dixi. Questa è la cagione perché essi non si possono saziare: Perché sempre
apetiscono cosa finita, ed eglino sonno infiniti quanto ad essere, ché l'essere
loro non finisce mai (perché finisca a (184) grazia per la colpa del peccato
mortale) e perché l'uomo è posto sopra tucte le cose create, e non le cose
create sopra lui; e però non si può saziare né stare quieto se none in cosa
maggiore di sé. Maggiore di sé non ci è altro che lo, Dio etterno; e però solo
lo gli posso saziare. E perché egli n'è privato per la colpa commessa, sta in
continuo tormento e pena. Dipo' la pena gli séguita el pianto; e giognendoli e'
venti, percuotono l’arbore de l'amore della propria sensualità dove egli ha
facto ogni suo principio.
Alto del documento
— O egli è vento di prosperità, o egli è vento
d'aversità, o di timore, o di coscienzia, che sonno quattro venti.
El vento della
prosperità notrica la superbia con molta presumpzione, con grandezza di sé e
avilimento del proximo suo. Se egli è signore, va con molta ingiustizia e con
vanità di cuore, e con immondizia di corpo e di mente, e con propria
reputazione e con molte altre cose che seguitano doppo queste, le quali la
lingua tua non potrebbe narrare. Questo vento della prosperità è egli corrocto
in sé? No; né questo né veruno; ma è corrocta la principale radice de l’arbore,
unde ogni cosa corrompe. Perché Io, che mando e dono ogni cosa che ha essere,
so' somamente buono; e però è buono ciò che è in questo vento prospero. Unde ne
gli séguita pianto, perché ‘l suo cuore non è saziato, ché desidera
quello che non può avere; e non potendolo avere, ha pena, e nella pena piagne.
Già ti dixi che l'occhio vuole satisfare al cuore.
Dipo' questo viene
uno vento di timore servile, nel quale gli fa paura l'ombra sua, temendo di
perdere la cosa che egli ama. O egli teme di perdere la vita sua medesima, o
quella de' figliuoli o d'altre creature; o teme di perdere lo stato suo o
d'altre per amore proprio di sé, o onore o ricchezza. Questo (185) timore non
gli lassa possedere il dilecto suo in pace, perché ordinatamente, secondo la
mia volontà, non le possiede; e però gli séguita timore servile e pauroso,
facto servo miserabile del peccato, e tale si può reputare quale è quella cosa
a cui egli serve. El peccato è non cavelle: adunque egli è venuto a non
cavelle.
Mentre che il vento
del timore l'ha percosso, ed eili giogne quello della tribulazione e aversità
della quale egli temeva, e privalo di quello che egli aveva, alcuna volta in
particulare e alcuna volta in generale. Generale è quando è privato della vita,
che per forza della morte è privato d'ogni cosa. Alcuna volta è particulare,
ché quando levo una cosa e quando un'altra: o della sanità, o de' figliuoli, o
ricchezze, o stati, o onori, secondo che lo, dolce medico, vego che è di
necessità a la vostra salute, e però ve l'ho date. Ma, perché la fragilità
vostra è tucta corrocta, e senza veruno cognoscimento guasta el fructo della
pazienzia; e però germina impazienzia, scandalo e mormorazione, odio e
dispiacimento verso di me e delle mie creature, e quello che lo ho dato per
vita l'ha ricevuto in morte con quella misura del dolore che egli aveva
l'amore.
Ora è condocto a
pianto aliggitivo d'impazienzia che disecca l'anima e ucidela tollendole la
vita della grazia; e disecca e consuma el corpo, e acciecalo spiritualmente e
corporalmente, e privalo d'ogni dilecto e tollegli la speranza, perché è
privato di quella cosa nella quale aveva dilecto, dove aveva posto l’affecto e
la speranza 'e la fede sua: si che piagne. E non solamente la lagrima fa venire
tanti inconvenienti, ma el disordinato affecto e dolore del cuore, unde è
proceduta la lagrima. Ché non la lagrima de l'occhio in sé dá morte e pena, ma
la radice unde ella procede, cioè l'amore proprio disordinato del cuore. Ché,
se’l cuore fusse ordinato e avesse vita di grazia, la lagrima sarebbe
ordinata e costrignerebbe me, Dio etterno, a farli misericordia. Ma perché
dicevo che questa lagrima dá morte? perché ella è il messo che vi manifesta. la
vita o morte che fusse nel cuore.
Dicevo che veniva
uno vento di coscienzia; e questo fa la divina mia Bontà, che, avendo provato
con la prosperità per (186) trarli per amore e col timore, ché per importunità
dirizzassero el cuore ad amare con virtú e non senza virtú; provato con la
tribolazione, data perché cognoscano la fragilità e poca fermezza del mondo; ad
alcuni altri, poi che questo non giova, perché v'amo ineffabilemente, do uno
stimolo di coscienzia, perché si levino ad aprire la bocca bomicando el
fracidume de' peccati per la sancta confessione. Ma essi, come obstinati, e
drictamente riprovati da me per le iniquità loro (che non hanno voluto ricevere
la grazia mia in veruno modo), fugono lo stimolo della coscienzia, e vannolo
spassando con miserabili dilecti e dispiacere mio e del proximo loro. Tucto
l’adiviene perché è corrocta la radice con tucto l’arbore, e ogni cosa l'è in
morte, e stanno in continue pene, pianti e amaritudine, come decto è. E se non
si correggono mentre che hanno el tempo di potere usare el libero arbitrio,
passano da questo pianto dato in tempo finito, e con esso giongono al pianto
infinito. Sí che il finito lo' torna ad infinito, perché la lagrima fu gittata
con infinito odio della virtú, cioè col desiderio de l'anima, fondato in odio,
che è infinito.
Vero è che, se
avessero voluto, ne sarebbero esciti mediante la mia divina grazia nel tempo
che essi erano liberi, non obstante ch'Io dicesse essere infinito: infinito è
in quanto l’affecto è essere de l'anima, ma none l'odio e l'amore che fusse ne
l'anima; ché, mentre che sète in questa vita, potete amare e odiare, secondo
che è di vostro piacere. Ma se finisce in amore di virtú, riceve infinito bene,
e se finisce in odio, sta in infinito odio ricevendo l'ecterna dannazione, si
come Io ti dixi quando ti contiai che s'annegavano per lo fiume; intanto che
non possono desiderare bene, privati della misericordia mia e della caritá
fraterna, la quale gustano e' sancti l'uno con l'altro, cioè della caritá di
voi, perregrini viandanti in questa vita, posti qui da me per giognere al
termine vostro, di me, vita etterna.
Né orazioni né
limosine né verun'aitra operazione lor vale: essi sono membri tagliati dal
corpo della divina mia carità, perché, mentre che vissero, non volsero essere
uniti a l'obbedienzia de' sanai miei comandamenti nel corpo mistico della (187)
sancta Chiesa e nella dolce sua obbedienzia, unde traete il sangue dello
immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. E però ricevono el fructo de
l’ecterna dannazione con pianto e stridore di denti.
Questi sonno quelli martiri del dimonio, de'
quali lo ti dixi; si che ‘l dimonio lo' dá quello fructo che ha per sé.
Adunque vedi che questo pianto dá fructo di pene in questo tempo finito, e ne
l'ultimo lo' dá la infinita conversazione delle dimonia.
Alto del documento
— Ora ti resto a
dire de' fructi che ricevono coloro che si cominciano a levare da la colpa per
timore della pena, ad acquistare la grazia. Alquanti sonno che escono della
morte del peccato mortale per timore della pena. Questo è il generale chiamare,
come detto è.
Che fructo riceve
questo? che egli comincia a votiare la casa de l'anima sua della immondizia,
mandando el libero arbitrio el messo del timore della pena. Poi che egli ha
purificata l'anima da la colpa, riceve pace di coscienzia, comincia a disponere
l’affecto de l'anima e aprire l'occhio de l'intelletto a vedere il luogo suo,
che, prima che fusse vòto, non il vedeva né vedeva altro che puzza di molti e
diversi peccati. Comincia a ricevere consolazioni, perché ‘l vermine
della coscienzia sta in pace, quasi aspectando di prendere il cibo della virtú.
Si come fa l'uomo, che, poi che ha sanato lo stomaco e tractone fuore gli
umori, dirizza l'appetito a prendere il cibo; cosí questi cotali aspectano pure
che la mano del libero arbitrio con l'amore del cibo delle virtú gli
apparecchi, ché doppo l'apparecchiare aspecta di mangiare. E cosí è veramente:
che, exercitando l'anima el primo timore, votiato de' peccati l’affecto suo, ne
riceve il secondo fructo, cioè il secondo stato delle lagrime, dove l'anima,
per affecto d'amore, comincia a fornire la casa di virtú. Benché (188) imperfecta
sia ancora, poniamo che sia levata dal timore, riceve consolazione e dilecto
perché l'amore de l'anima sua ha ricevuto dilecto da la mia veritá che so' esso
amore; e, per lo dilecto e consolazione che truova in me, comincia ad amare
molto dolcemente, sentendo la dolcezza della consolazione mia o dalle creature
per me.
Exercitando l'amore
nella casa de l'anima sua, che è intrato dentro poi che ‘l timore l'ebbe
purificata, comincia a ricevere i fructi della divina mia bontá, unde ebbe la
casa de l'anima sua. Poi che egli è intrato l'amore a possedere, comincia a
gustare ricevendo molti vari e diversi fructi di consolazione; e ne l'ultimo,
perseverando, riceve fructo di ponere la mensa: cioè, poi che l'anima è
trapassata dal timore a l'amore delle virtú, si pone la mensa sua. Gionto a le
terze lagrime, egli pone la mensa della sanctissima croce nel cuore e ne
l'anima sua; poi che l'ha posta, trovandovi el cibo del dolce e amoroso Verbo
(el quale dimostra l'onore di me Padre e la salute vostra per la quale fu
aperto el Corpo de l'unigenito mio Figliuolo dandosi a voi in cibo), alora
comincia a mangiare l'onore di me e la salute de l'anime con odio e
dispiacimento del peccato.
Che fructo riceve
l'anima di questo terzo stato delle lagrime? Dicotelo: riceve una fortezza
fondata in odio sancto della propria sensualità, con uno fructo piacevole di
vera umilità, con una pazienzia che tolle ogni scandalo, e priva l'anima d'ogni
pena, perché col coltello de l'odio ucise la propria volontà, dove sta ogni
perìa: ché solo la volontà sensitiva si scandalizza delle ingiurie, delle
persecuzioni e delle consolazioni temporali o spirituali, come di sopra ti
dixi, e cosí viene ad impazienzia. Ma, perché la volontà è morta, con lagrimoso
e dolce desiderio comincia a gustare il fructo della lagrima della dolce
pazienzia.
O fructo di grande
soavità, quanto se' dolce a chi ti gusta, e piacevole a me, che stando ne
l'amaritudine gusta la dolcezza! Nel tempo de l'ingiuria ricevi la pace; nel
tempo che se' nel mare tempestoso che i venti pericolosi percuotono con le
grandi onde la navicella de l'anima, tu se' pacifica e tranquilla senza veruno
male, ricoperta la navicella con la dolce, etterna mia (189) volontà divina.
Unde hai ricevuto vestimento di vera e ardentissima carità, perché acqua non vi
possa intrare. O dilectissima figliuola, questa pazienzia è reina, posta nella
ròcca della fortezza: ella vince e non e mai vinta; essa non è sola, ma è
acompagnata con la perseveranzia; ella è il mirollo della carità; ella è colei
che manifesta il vestimento d'essa caritá se egli è vestimento nupziale o no;
se egli è rocto d' imperfeczione, ella el manifesta, sentendo subbito el
contrario della inpazienzia. Tucte le virtú si possono alcuna volta occultare,
mostrandosi .perfecte essendo imperfecte, excepto che a te non si possono
nascondere: ché, se ella è ne l'anima questa dolce pazienzia, mirollo di
carità, ella dimostra che tucte le virtú sonno vive e perfecte; e se ella non
v'è, manifesta che tucte le virtú sonno imperfecte e non sonno gionte ancora
alla mensa della sanctissima croce, dove essa pazienzia fu conceputa nel
cognoscimento di sé e nel cognoscimento della mia bontá in sé, e parturita da
l'odio sancto e unta di vera umilità. A questa pazienzia non è denegato el cibo
de l'onore di me e salute de l'anime: anco essa è quella che ‘l mangia
continuamente, e cosí è la veritá.
Raguarda, carissima
figliuola, ne' dolci e gloriosi martiri, che col sostenere mangiavano el cibo
de l'anime. La morte loro dava vita: resuscitavano e' morti e cacciavano le
tenebre de' peccati mortali. El mondo con tucte le sue grandezze e i signori
con la loro potenzia non si potevano difendere da loro, per la virtú di questa
reina, dolce pazienzia. Questa virtú sta come lucerna in sul candelabro. Questo
è il glorioso fructo che die' la lagrima gionta nella caritá del proximo suo,
mangiando con lo svenato e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, con
crociato e ansietato desiderio e con pena intollerabile de l’of--. fesa di me,
Creatore suo: non pena afliggitiva, ché l'amore con la vera pazienzia ucise
ogni timore e amore proprio che dá pena; ma pena consolativa, solo de l'offesa
mia e danno del proximo, fondata in carità, la quale pena ingrassa l'anima.
Godene in sé, perché ella è uno segno dimostrativo che dimostra me essere per
grazia ne l'anima.
Alto del documento
190
— Decto t'ho del
tructo delle terze lagrime. Séguita el quarto e ultimo stato della lagrima
unitiva, lo quale non è separato dal terzo, come decto è, ma uniti insieme, si
come la caritá mia con quella del proximo l'una condisce l'altra. Ma è in tanto
cresciuto, gionto al quarto, che, non tanto che porti con pazienzia (si come di
sopra ti dissi), ma con allegrezza le desidera; in tanto che spregia ogni
recreazione, da qualunque lato le viene, pure che si possa conformare con la
mia Verità, Cristo crocifixo.
Questa riceve uno
fructo di quiete di mente, una unione, facta per sentimento, nella natura mia
dolce divina, dove gusta el lacte. Si come il fanciullo, che pacificato si
riposa al pecto della madre, traie a sé il lacte col mezzo della carne; cosí
l'anima, gionta a questo ultimo stato, si riposa al pecto della divina mia carità,
tenendo nella bocca del sancto desiderio la carne di Cristo crocifixo, cioè
seguitando le vestigie e la doctrina sua, perché cognobbe bene nel terzo stato
che non gli conveniva andare per me, Padre, perché in me, Padre etterno, non
può cader%+iena: ma si nel dilecto mio Figliuolo, dolce e amoroso Verbo. E voi
non potete andare senza pena, ma con molto sostenere giognerete a le virtú
provate. Si che si pose al pecto di Cristo crocifixo, che è essa veritá; e cosí
trasse a sé il lacte della virtú, nella quale virtú ebbe vita di grazia,
gustando in sé la natura mia divina che dava dolcezza a le virtú. E cosí è la
veritá: che le virtú in loro non erano dolci, ma perché furono facte e unite in
me, amore divino: cioè che l'anima non ebbe alcuno rispecto a sua propria
utilitá, altro che a l'onore di me e salute de l'anime.
Or raguarda, dolce
figliuola, quanto è dolce e glorioso questo stato, nel quale l'anima ha facta
tanta unione al pecto della (191) caritá che non si truova la bocca senza el
pecto, né il pecto senza el lacte. Cosí questa anima non si truova senza Cristo
crociato, né senza me, Padre etterno, el quale truova gustando la somma e
etterna Deitá. Oh! chi vedesse come s'empiono le potenzie di quella anima! La
memoria s'empie di continuo ricordamento di me, tracto a sé, per amore, i
benefizi miei: non tanto facto de' benefizi, ma l’affecto della caritá mia con
che Io gli l'ho donati; e singularmente il benefizio della creazione, vedendosi
creato a la imagine e similitudine mia. Nel quale benefizio, nel primo stato
decto, cognobbe la pena della ingratitudine che ne gli seguitava; e però si
levò da le miserie nel benefizio del sangue di Cristo, dove Io el ricreai a
grazia, lavandovi la faccia de l'anime vostre da la lebra del peccato, dove
l'anima trovò nel secondo stato una dolcezza, gustando la dolcezza de l'amore e
dispiacere della colpa, nella quale egli vidde che tanto era spiaciuta a me,
che lo l'avevo punita sopra el corpo de l'unigenito mio Figliuolo.
Dipo' questo ha
trovato l’avenimento dello Spirito sancto, el quale dichiarò e dichiara l'anima
della veritá. Quando riceve l'anima questo lume? poi che ha cognosciuto, per lo
primo e secondo stato, el benefizio mio in sé. Riceve alora lume perfecto,
cognoscendo la veritá di me, Padre etterno, cioè che per amore l'avevo creata
per darle vita etterna. Questa era la veritá: hovelo manifestato col sangue di
Cristo crocifixo. Poi che l'ha cognosciuta l'ama: amandola, el dimostra amando
schiectamente quello ch' Io amo e odiando quel ch' Io, odio.
Cosi si truova nel terzo stato della caritá
del prossimo. Si che la memoria a questo pecto s'empie, passata ogni
imperfeczione, perché s'è ricordata e ha tenuto in sé i benefizi miei. Lo
intellecto ha ricevuto el lume: mirando dentro nella memoria, cognobbe la veritá;
perdendo la ciechità de l'amore proprio, rimase nel sole de l’obiecto di Cristo
crocifixo, dove cognobbe Dio e uomo. Oltre a questo cognoscimento, per l'unione
che ha facta, si leva ad uno lume acquistato non per natura, si come Io ti
dixi, né per sua propria virtú adoperata, ma per grazia data da la mia dolce
Verità, la quale none spregia gli (192) ansietati desidèri né fadighe le quali
ha offerte dinanzi da me. Alora l’affecto, che va dietro a lo 'ntellecto,
s'unisce con perfectts. simo e ardentissimo amore. E chi mi dimandasse: — Chi è
questa anima? — direi: — È uno altro me, facta per unione d'amore. —
Quale sarebbe
quella lingua che potesse narrare l’excellenzia di questo ultimo stato unitivo,
e i fructi diversi e divariati che riceve essendo piene le tre potenzie de
l'anima? Questa è quella dolce congregazione della quale, ne' tre scaloni
generali, ti feci menzione, dichiarandoti, di sopra, la parola della mia
Verità. Non è sufficiente la lingua a poterlo narrare, ma ben vel dimostrano e'
sancti doctori illuminati da questo glorioso lume che con esso spianavano la
sancta Scriptura. Unde avete del glorioso Tomaso d'Aquino (che la scienzia sua
egli ebbe piú per studio d'orazione ed elevazione di mente e lume d'
intellecto, che per studio umano), el quale fu uno lume che Io ho messo nel
corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l'errore. E se ti
vòlli al glorioso Giovanni evangelista, quanto lume egli acquistò sopra el
prezioso pecto di Cristo, mia Verità, col quale lume acquistato evangelizzò me,
ha cotanto tempo.
E, cosí
discorrendo, tucti ve l'hanno manifestata, chi per uno modo e chi per un altro.
Ma lo intrinseco sentimento, ineffabile dolcezza e perfecta unione, non el
potresti narrare con la lingua tua, perché è cosa finita. Questo parbe che
volesse dire Pavolo, dicendo: « Occhio non può vedere, né orecchia udire, né
cuore pensare quanto è il dilecto e ‘l bene che riceve, e ne l'ultimo è
apparecchiato a quelli che in veritá m'amano ». Oh quanto è dolce la mansione,
dolce sopra ogni dolcezza, con perfecta unione che l'anima ha facta in me, che
non ci è in mezzo la volontà de l'anima medesima, perché ella è facta una cosa
con meco ! Ella gicta odore per tucto quanto el mondo, fructo di continue e
umili orazioni: l'odore del desiderio, grido della salute de l'anime con voce
senza voce umana, gridando nel conspecto della mia divina maiestà.
Questi sonno e'
fructi unitivi che mangia l'anima in questa vita ne l'ultimo stato, acquistato
con molte fadighe, lagrime e sudori. E cosí passa con vera perseveranzia dalla
vita della (193) grazia, da questa unione che è anco imperfecta, ed è perfecta
in grazia. Ma mentre che è legata nel corpo, perché in questa vita non si può
saziare di quello che desidera, e anco perché è legata con la legge perversa
(che s'è adormentata per l’affecto della virtú, ma non è morta, e però si può
destare se levassi lo istrumento della virtú che la fa dormire), e però è decta
« imperfecta unione ». Ma questa imperfecta unione el conduce a ricevere la
perfeczione durabile, la quale non gli può essere tolta per veruna cosa che
sia, si come Io ti dixi narrandoti de' beati. Ine gusta co' gustatori veri in
me vita etterna, sommo ed etterno Bene, che mai non finisco. Costoro hanno
ricevuto vita etterna incontrario di coloro che ricevettero el fructo del
pianto loro, morte etternale. Costoro dal pianto son gionti a l'allegrezza,
ricevendo vita sempiterna. Col fructo della lagrima e con l’affocata caritá
gridano e offerano lagrima di fuoco, per lo modo decto di sopra, dinanzi a me per
voi.
Compito ho di
narrarti e' gradi delle lagrime e la loro perfeczione, e il fructo che riceve
l'anima d'esse lagrime: che i perfecti ricevono me vita etterna, e gl' iniqui
l’etterna dannazione.
Alto del documento
Alora quella anima,
ansietata di grandissimo desiderio per la dolce dichiarazione e satisfaczione
che ebbe da la Verità sopra e' decti stati, diceva come inamorata:
— Grazia, grazia
sia a te, sommo ed etterno Padre, satisfacitore de' sancti desidèri e amatore
della salute nostra, che per amore ci hai dato l'amore nel tempo che eravamo in
guerra con teco, col mezzo de l'unigenito tuo Figliuolo. Per questo abisso de
l'affocata tua caritá t'adimando, di grazia e di misericordia, che, acciò che
schiectamente possa venire a te e con lume e non con tenebre corra per la
doctrina della tua Verità, della (194) quale tu chiaramente m'hai dimostrata la
veritá, e acciò eh, io possa vedere due altri inganni de' quali io temo che non
ci sieno o possano essere, vorrei, Padre etterno, che, prima che io escisse di
questi stati, tu mel dichiarassi.
L'uno si è che, se
alcuna volta o a me o ad alcuno altro servo tuo fusse venuto per consiglio di
volere servire a te, che doctrina io gli debbo dare. Benché di sopra so, dolce
Dio etterno, che tu me ne dichiarasti sopra quella parola che tu dicesti: — Io
so' colui che mi dilecto di poche parole e di molte operazioni; — nondimeno, se
piace a la tua bontá toccarne alcuna parola ancora, sarammi di grande piacere.
E anco, se alcuna
volta, pregando io per le tue creature e singularmente per li servi tuoi, io
trovasse, ne l'orazione, ne l'uno la mente disposta, parendomelo vedere che
esso si goda di te; e ne l'altro mi paresse che fusse la mente tenebrosa, debbo
io, Padre etterno, o posso giudicare l'uno in luce e l'altro in tenebre? O che
io vedesse l'uno andare con grande penitenzia e l'altro no: debbo io giudicare
che maggiore perfeczione abbi colui che fa penitenzia maggiore, che colui che
non la fa? Pregoti che acciò ch'io non sia ingannata dal mio poco vedere, che
tu mi dichiari in particulare quello che tu m'hai decto in generale.
La seconda cosa
della quale io ti dimando, si è che tu mi dichiari meglio, sopra del segno che
tu mi dicesti che riceve l'anima quando è visitata da te, se egli è da te, Dio
etterno, o no. Se bene mi ricorda tu mi dicesti, Verità etterna, che la mente
rimaneva in allegrezza e inanimata a la virtú. Vorrei sapere se questa
allegrezza può essere con inganno della propria passione spirituale; ché, se ci
fusse, io m'aterrei solamente al segno della virtú.
Queste sonno quelle
cose le quali io t'adimando, acciò che in veritá io possa servire a te e al
proximo mio e non cadere in neuno falso giudicio verso le tue creature e de'
servi tuoi, perché mi pare che ‘l giudicio, cioè il giudicare, dilonghi
l'anima da te: e però non vorrei cadere in questo inconveniente.
Alto del documento
195
Alora Dio etterno,
dilectandosi della sete e fame di quella anima e della schiectezza del cuore e
del desiderio suo con che ella dimandava di volerli servire, volse l'occhio
della pietà e misericordia sua verso di lei, dicendo:
— O dilectissima, o
carissima, o dolce figliuola e sposa mia, leva te sopra di te e apre l'occhio
de l'intellecto a vedere me, bontá infinita, e l'amore ineffabile che Io ho a
te e agli altri servi miei. Ed apre l'orecchia del sentimento del desiderio
tuo, però che altrementi, se tu non vedessi, non potresti udire: cioè che
l'anima, che non vede con l'occhio de l’intellecto suo ne l’obiecto della mia
Verità, non può udire né cognoscere la mia veritá. E però voglio, acciò che
meglio la cognosca, che ti levi sopra el sentimento tuo, cioè sopra el
sentimento sensitivo; ed Io, che mi dilecto della tua domanda e desiderio, ti
satisfarò. Non che dilecto possa crescere a me di voi, però che Io so' colui
che so' e che fo crescere voi, e non voi me; ma dilectomi nel mio dilecto
medesimo della factura mia. —
Alora quella anima
obbedí, levando sé sopra di sé per cognoscere la veritá di quello che
dimandava. Alora Dio etterno disse a lei: — Acciò che tu meglio possa intendere
quello ch'io ti dirò, lo mi farò al principio di quello che mi dimandi, sopra
tre lumi che escono di me, vero lume.
L'uno è uno lume
generale in coloro che sonno nella caritá comune: bene che decto te l'abbi de
l'uno e de l'altro, e molte cose di quelle che Io t'ho decte ti dirò, perché ‘l
tuo basso intendimento meglio intenda quello che tu vuoli sapere. E due
altri lumi sonno di coloro che sono levati dal mondo e vogliono la perfeczione.
Sopra di questo ti dichiararò di quello che m'hai adimandato, dicendoti piú in
particulare quello che ti toccai in comune.
196
Tu sai, si come Io
ti dixi, che senza ci lume neuno può andare per la via della veritá, cioè senza
ci lume della ragione. El quale lume di ragione traete da me, vero lume, con
l'occhio de l'intelletto e col lume della fede che Io v'ho dato nel sancto
baptesmo, se voi non vel tollete per li vostri difecti. Nel quale baptesmo,
mediante e in virtú del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, riceveste la forma
della fede. La quale fede, exercitata in virtú col lume della ragione (la quale
ragione è illuminata da questo lume), vi dá vita e favi andare per la via della
veritá, e con esso giognete a me, vero lume; e senza esso giognereste a la
tenebre.
Due lumi, tracti da
questo lume, vi sonno necessari d'avere, ed anco a' due ti porrò ci terzo. El
primo è che voi tucti siate illuminati in cognoscere le cose transitorie del
mondo, le quali passano tucte come il vento. Ma non le potete bene cognoscere
se prima non cognoscete la propria vostra fragilità quanto ella è inchinevole,
con una legge perversa che è legata nelle membra vostre, a ribellare a me,
vostro Creatore. Non che per questa legge neuno possa essere costrecto a
commectere uno minimo peccato, se egli non vuole; ma bene impugna contra lo
spirito. E non dici questa legge perché la mia creatura, che ha in sé ragione,
fusse venta, ma perché ella aumentasse e provasse la virtú ne l'anima, però che
la virtú non si pruova se non per lo suo contrario. La sensualità è contraria a
lo spirito, e però in essa sensualità pruova l'anima l'amore che ha in me,
Creatore suo. Quando si pruova? quando con odio e dispiacimento si leva contra
di lei.
E anco le dici
questa legge per conservarla nella vera umilità. Unde tu vedi che, creando
l'anima a la imagine e similitudine mia posta in tanta dignità e bellezza, Io
l’acompagnai con la piú vile cosa che sia, dandole la legge perversa, cioè
legandola col corpo formato dei piú vile della terra, acciò che, vedendo la
bellezza sua, non levasse il capo per superbia contra di me. Unde il fragile
corpo, a chi ha questo lume, è cagione di fare umiliare l'anima, e non ha
alcuna materia d'insuperbire: anco di vera e perfecta umilità. Si che questa
legge non costrigne ad (199) alcuna colpa di peccato per alcuna sua
impugnazione, ma è cagione di farvi cognoscere voi medesimi e cognoscere la
poca fermezza del mondo.
Questo debba vedere
l'occhio de l’intellecto col lume della sanctissima fede, della quale ti dixi
che era la pupilla de l'occhio. Questo è quello lume necessario, che
generalmente è di bisogno a ogni creatura che ha in sé ragione, a volere
participare la vita della grazia in qualunque stato si sia, se vuole participare
il fructo del sangue dello inmaculato Agnello. Questo è il lume comune, cioè
che comunemente ogni persona ci debba avere, come decto è; e chi non l'avesse,
starebbe in stato di dannazione. E questa è la ragione che essi non sonno in
stato di grazia non avendo ci lume: però che chi non ha ci lume, non cognosce
il male della colpa e chi n'è cagione, e però non può schifare né odiare la
cagione sua. E cosí chi non cognosce il bene e la cagione del bene, cioè la
virtú, non può amare né desiderare me, che so' esso Bene, e la virtú che lo
v'ho data come strumento e mezzo a darvi la grazia mia, me, vero Bene.
Si che vedi di
quanto bisogno v'è questo lume, ché in altro none stanno le colpe vostre se
none in amare quel che Io odio o in odiare quel che Io amo. lo amo la virtú e
odio ci vizio; chi ama ci vizio e odia la virtú offende me ed è privato della
grazia mia. Questi va come cieco che, non cognoscendo la cagione del vizio,
cioè il proprio amore sensitivo, non odia se medesimo né cognosce il vizio né
il male che gli séguita dipo' ci vizio. Né cognosce la virtú, né me che so'
cagione di darli la virtú che gli dá vita, né la dignità nella quale egli si
conserva e viene a grazia col mezzo della virtú.
Si che vedi che ‘l
non cognoscere gli è cagione del suo male. Évi dunque di bisogno d'avere
questo lume, come decto è.
Alto del documento
198
— E poi che l'anima
è venuta ed ha acquistato el lume generale, del quale Io t'ho decto, non debba
stare contenta; perché, mentre che sète perregrini in questa vita, sète apti a
crescere e dovete crescere: e chi non cresce, ipso facto torna adietro.
O debba crescere nel comune lume che egli ha acquistato mediante la grazia mia,
o egli debba con sollicitudine ingegnarsi d'andare al secondo lume perfecto, e
da l'imperfetto giognere al perfecto, però che con lume si vuole andare alla
perfeczione.
In questo secondo
lume perfecto sonno due maniere di perfecti: perfecti sonno che si sonno levati
dal comune vivere del mondo. In questa perfeczione ci sonno due. L'uno che
sonno alcuni che perfectamente si dànno a gastigare il corpo loro, facendo
aspra e grandissima penitenzia: e acciò che la sensualità loro non ribelli a la
ragione, tucto hanno posto il desiderio loro piú in mortificare il corpo che in
ucidere la loro propria volontà, si come in un altro luogo ti dixi. Costoro si
pascono a la mensa della penitenzia, e sonno buoni e perfecti se ella è fondata
in me col lume di discrezione, cioè con vero cognoscimento di loro e di me, e
con grande umilità, tucti conformati ad essere giudici della volontà mia e non
di quella degli uomini.
Ma se non fussero
cosí, cioè con vera umilità vestiti della volontà mia, spesse volte
offendarebbero la loro perfeczione, facendosi giudicatori di coloro che non
vanno per quella medesima via che vanno eglino. Sai tu perché a questi cotali
l'adiverrebbe? Perché hanno posto piú studio e desiderio in mortificare il
corpo che in ucidere la propria volontà. Questi cotali sempre vogliono eleggere
i tempi e i luoghi e le consolazioni della mente a loro modo, e anco le
tribulazioni del mondo e (199) le bactaglie del dimonio, si come nel secondo
stato imperfecto lo ti narrai. Costoro dicono, per inganno di loro medesimi,
ingannati da la propria volontà, la quale ti chiamai « volontà
spirituale » : — Io vorrei questa consolazione e non queste bactaglie né
molestie del dimonio; e giá non el dico per me, ma per piú piacere a Dio e
averlo piú per grazia ne l'anima mia, perché meglio mel pare avere e servirlo in
questo modo che in quello. —
E cosí per questo
modo spesse volte cade in pena ,e in tedio, e diventane incomportabile a se
medesimo; e cosí offende il suo stato perfecto e non se n'avvede, né che vi
caggia dentro la puzza della superbia; ed ella vi giace, però che, se ella non
vi fusse, ma fusse veramente umile e non presumptuoso, vedrebbe col lume che
Io, dolce e prima Verità, do stato e tempo e luogo e consolazioni e
tribulazioni secondo che è necessità a la salute vostra ed a compire la
perfeczione ne l'anima a la quale lo l'ho electe. E vedrebbe che ogni cosa do
per amore; e però con amore e riverenzia debba ricevere ogni cosa. Si come
fanno e' secondi (cioè che viene il terzo), de' quali Io ti dirò, che sonno
questi due stati che stanno in questo perfectissimo lume.
Alto del documento
— Questi cotali
(ciò sonno e' terzi, che viene secondo a questo), gionti a questo glorioso
lume, sonno perfecti in ogni stato che essi sonno. E ciò che lo permecto a
loro, ogni cosa hanno in debita reverenzia, si come nel terzo stato de l'anima
e unitivo Io ti feci menzione. Questi si reputano degni delle pene e scandali
del mondo, e d'essere privati delle loro consolazioni proprie di qualunque cosa
si sia. E come si reputano degni delle pene, cosí si reputano indegni del
frutto che séguita a loro doppo (200) la pena. Costoro nel lume hanno
cognosciuta e gustata l’etterna volontà mia, la quale non vuole altro che ‘l
vostro bene; e perché siate sanctificati in me, però ve lo do e permetto.
Poi che l'anima
l'ha cognosciuta, si se ne è vestita e non attende ad altro se none a vedere in
che modo possa conservare e crescere lo stato suo perfecto per gloria e loda
del nome mio, aprendo l'occhio de l'intelletto col lume della fede ne l'obietto
di Cristo crocifixo, unigenito mio Figliuolo, amando e seguitando la doctrina
sua, la quale è regola e via a' perfetti e agl'imperfetti. E vede che lo
inamorato Agnello, mia Verità, gli dá doctrina di perfeczione, e vedendola se
ne inamora. La perfeczione è questa che cognobbe vedendo questo dolce e amoroso
Verbo, unigenito mio Figliuolo, che si notricò a la mensa del sancto desiderio,
cercando l'onore di me, Padre etterno e salute vostra; e con questo desiderio
corse, con grande sollicitudine, a Pobrobriosa morte della croce e compi
l’obbedienzia che gli fu imposta da me Padre, none schifando fadiga né
obbrobri, non ritraendosi per vostra ingratitudine o ignoranzia di non
cognoscere tanto benefizio dato a voi, né per persecuzione de' giudei, né per
scherni, villania e mormorazioni e grida del popolo. Ma tutte le trapassò come
vero capitano e vero cavaliere, il quale Io avevo posto in sul campo della
battaglia a combattere per trarvi delle mani delle dimonia e perché fuste liberi
e tratti della piú perversa servitudine che voi poteste avere, e perché esso
v'insegnasse la via, la doctrina e regola sua e poteste giognere a la porta di
me, vita etterna, con la chiave del suo prezioso Sangue sparto con tanto fuoco
d'amore, con odio e dispiacimento delle colpe vostre. Quasi vi dica questo
dolce e amoroso Verbo mio Figliuolo: — Ecco che Io v'ho fatta la via e aperta
la porta col Sangue mio: non siate dunque voi negligenti a seguitarla,
ponendovi a sedere con amore proprio di voi e con ignoranzia di non cognoscere
la via, e con presumpzione di volere eleggere il servire a me' a vostro modo e
non di me, che ho fatta a voi la via dritta col mezzo della mia Verità, Verbo
incarnato, e battuta col Sangue. — Levatevi dunque suso e seguitatelo, però che
neuno può venire (201) a me Padre se non per lui. Egli è la via e la porta unde
vi conviene intrare in me, mare pacifico.
Alora quando
l'anima è gionta a gustare questo lume, perché dolcemente l'ha veduto e
cognosciuto, però el gustoe, e corre come inamorata e ansietata d'amore a la
mensa del sancto desiderio. E non vede sé per sé, cercando la propria
consolazione né spirituale né temporale, ma come persona che al tutto in questo
lume e cognoscimento ha annegata la propria volontà; non schifa alcuna fadiga
da qualunque lato ella si viene: anco, con pena sostenendo obrobrio e molestie
dal dimonio e mormorazioni dagli uomini, mangia in su la mensa della
sanctissima croce il cibo de l'onore di me, Dio etterno, e della salute de
l'anime. E none cerca alcuna remunerazione né da me né dalle creature, perché
elli è spogliato de l'amore mercennaio, cioè d'amare me per rispetto di sé, ed
è vestito del lume perfecto, amando me schiettamente e senza alcuno rispetto,
altro che a gloria e loda del nome mio, non servendo me per proprio. diletto né
al proximo per propria utilitá, ma per puro amore.
Costoro hanno
perduti loro medesimi, e spogliatisi de l'uomo vecchio, cioè della propria
sensualità, e vestitisi de l'uomo nuovo, Cristo dolce Iesú, mia Verità, seguitandolo
virilmente. Questi sonno quelli che si pongono a la mensa del sancto desiderio:
che hanno posta piú la sollicitudine loro in ucidere la propria volontà che in
ucidere e mortificare il corpo. Essi hanno bene mortificato el corpo, ma non
per principale affetto, ma come strumento che egli è ad aitare ad ucidere la
propria volontà, si come lo ti dixi dichiarandoti sopra quella parola « ch'Io
volevo poche parole e molte operazioni ». E cosí dovete fare, però che ‘l
principale affetto debba essere d'ucidere la volontà, che non cerchi né
voglia altro che seguitare la mia dolce Verità, Cristo crocifixo, cercando
l'onore e gloria del nome mio e salute de l'anime.
Questi che sonno in
questo dolce lume il fanno; e però stanno sempre in pace e in quiete, e non
hanno chi gli scandalizzi, perché hanno tolta via quella cosa che lo' dá
scandalo, cioè la propria volontà. E tutte le persecuzioni che’l mondo
(202) può dare e il dimonio, tucte corrono sotto e' piedi loro. Stanno ne
l'acqua delle molte tribolazioni e temptazioni, e non lo' nuoce perché stanno
staccati al tralcio de l'affocato desiderio. Questo gode d'ogni cosa, e non è
facto giudice de' servi miei né di veruna creatura che abbi in sé ragione; anco
gode d'ogni stato e d'ogni modo che vede, dicendo: -Grazia sia a te Padre
etterno, che nella Casa tua ha molte mansioni. — E piú gode de' diversi modi
che vede, che se gli vedesse andare tucti per una via, perché vede manifestare
piú la grandezza della mia bontá. D'ogni cosa gode e traie l'odore della rosa.
E non tanto che del bene, ma di quella cosa che vede che expressamente è
peccato, non piglia giudicio, ma piú tosto una vera e sancta compassione,
pregando me per loro; e con umilità perfecta dicono: — Oggi tocca a te, e
domane a me se non fusse la divina grazia che mi conserva.—
O carissima
figliuola, inamórati di questo dolce ed excellente stato, e raguarda costoro
che corrono in questo glorioso lume e la excellenzia loro, però che hanno menti
sancte e mangiano a la mensa del sancto desiderio; e con lume sonno gionti a
notricarsi del cibo de l'anime per onore di me, Padre etterno, vestiti del
vestimento dolce de l'Agnello, unigenito mio Figliuolo, cioè della doctrina
sua, con affocata caritá. Questi non perdono el tempo a dare i falsi giudici né
verso de' servi miei né verso de' servi del mondo, e non si scandalizzano per
veruna mormorazione né per loro né per altrui: cioè che verso di loro sono
contenti di sostenere per lo nome mio; e quando ella è facta in altrui, la
portano con compassione del proximo e non con mormorazione verso colui che dá e
verso colui che riceve, perché l'amore loro è ordinato in me, Dio etterno, e
nel proximo, e non disordinato. E perché egli è ordinato, questi cotali,
carissima figliuola, non pigliano mai scandalo verso coloro che essi amano né
in alcuna creatura che ha in sé ragione, perché il loro parere è morto e non
vivo, e però non pigliano giudicio di giudicare la volontà degli uomini, ma
solo la volontà della clemenzia mia.
Questi observano la
doctrina, la quale tu sai che al principio della vita tua ti fu data da la
Verità mia, dimandando tu con (203) grande desiderio di volere venire a
perfecta purità. Pensando tu in che modo vi potessi venire, sai che ti fu
risposto, es sendo tu adormentata, sopra questo desiderio: non tanto che nella
mente, ma nel suono de l'orecchia tua rinsonò la voce, in tanto che, se bene ti
ricorda, tu ritornasti al sentimento del corpo tuo, dicendoti la mia Verità: —
Vuoli tu venire a perfecta purità ed essere privata degli scandali, e che la
mente tua non sarà scandalizzata per veruna cosa? Or fa' che tu sempre ti
unisca in me per affecto d'amore, però che Io so' somma ed etterna purità, e
so' quel fuoco che purifico l'anima: e però quanto piú s'acosta a me, tanto
diventa piú pura; e quanto piú se ne parte, tanto piú è immonda. E però
caggiono in,tante nequizie gli uomini del mondo, perché sonno separati da me;
ma l'anima, che senza mezzo si unisce in me, participa della mia purità.
Un'altra cosa ti
conviene fare a giognere a questa unione e purità: che tu non giudichi mai, in
alcuna cosa che tu vedessi fare o dire, da qualunque creatura si fusse, o verso
di te o verso d'altrui, la volontà de l'uomo, ma la volontà mia in loro e in
te. E se tu vedessi peccato o difecto expresso, trae di quella spina la rosa,
cioè che tu gli offeri dinanzi a me per sancta compassione. E nelle ingiurie
che fussero facte a te, giudica che la volontà mia el permecte per provare in
te e negli altri servi miei la virtú, giudicando che colui come strumento messo
da me faccia quello; vedendo che spesse volte avaranno buona intenzione, però
che neuno è che possa giudicare l'occulto cuore de l'uomo. Quello che tu non
vedi che sia expresso e palese peccato mortale non il debbi giudicare nella
mente tua altro che la volontà mia in loro; e vedendolo, non el pigliare per
giudicio, ma per sancta compassione, come decto è. A questo modo verrai a
perfecta purità, però che, facendo cosí, la mente tua non sarà scandalizzata né
in me né nel proximo tuo; però che lo sdegno cade verso del proximo quando
giudicaste la mala volontà loro verso di voi, e non la mia in loro. El quale
sdegno e scandalo discosta l'anima da me e impedisce la perfeczione, e in
alcuno tolle la grazia, piú e meno secondo la gravezza dello sdegno e de l'odio
conceputo nel proximo per lo suo giudicio.
204
In contrario riceve
l'anima che giudicarà la volontà mia, come decto t'ho. La quale non vuole altro
che ‘l vostro bene, e ciò ch' Io do e permecto, do perché aviate il fine
vostro per lo quale lo vi creai. E perché sta sempre nella dileczione del
proximo, sta sempre nella mia; e stando nella mia, sta unita in me. E però t'è
di necessità, a volere venire a la purità che tu m'adimandi, di fare queste tre
cose principali, cioè: di unirti in me per affetto d'amore, portando nella
memoria tua e' benefizi ricevuti da me; e con l'occhio de l'intelletto vedere
l'affetto della mia caritá che v'amò inestimabilemente; e nella volontà de
l'uomo giudicare la volontà mia e non la mala volontà loro, però che Io ne so'
giudice, Io e non voi. E da questo ti verrà ogni perfeczione. —
Questa fu la
doctrina data a te da la mia Verità, se ben ti ricorda. Ora ti dico, carissima
figliuola, che questi cotali, de' quali Io ti dixi che pareva che avessero
imparata questa doctrina,
gustano l'arra di vita etterna in questa vita.
Se tu avarai tenuta a mente questa doctrina, non cadrai negl'inganni del
dimonio perché gli cognoscerai, né in quello del quale tu m'hai adimandato. Ma
nondimeno, per satisfare al desiderio tuo, piú distinctamente tel dirò e manifestarocti
che neuno giudicio voi potete dare per giudicio, ma per sancta compassione.
Alto del documento
— E perché ti dixi
che ricevevano l'arra di vita etterna? Dico che ricevono l'arra, ma none il
pagamento perché aspettano di riceverlo in me, vita durabile, dove ha vita
senza morte, e sazietà senza fastidio, e fame senza pena; perché di lunga è la
pena da la fame, però che essi hanno quel che desiderano, e di longa è il
fastidio dalla sazietà, perché Io lo' so' cibo di vita senza alcuno difetto.
205
É vero che in
questa vita ricevono l'arra e gustanla in questo . modo, cioè che l'anima
comincia a essere afamata de l'onore di me, Dio etterno, e del cibo della
salute de l'anime; e come ella ha fame, cosí se ne pasce, cioè che l'anima si
notrica della caritá del proximo, del quale ha fame e desiderio (che gli è uno
cibo che, notricandosene, non se ne sazia mai), però che è insaziabile, e però
rimane la continua fame. E si come l'arra è uno comincio di sicurtà che si dá a
l'uomo, per la quale aspecta di ricevere il pagamento (non che l'arra sia
perfecta in sé, ma per fede dá certezza di giognere al compimento di ricevere
il pagamento suo), cosí questa anima inamorata e vestita della doctrina della
mia Verità, che giá ha ricevuta l'arra, in questa vita, della caritá mia e del
proximo suo in se medesima, rion è perfecta; ma aspecta la perfeczione della
vita mmortale.
Dico che non è
perfecta questa arra: cioè che l'anima che la gusta non ha ancora la
perfeczione che non senta le pene in sé e in altrui. In sé, per l'offesa che fa
a me per la legge perversa che è legata nelle membra sue quando vuole impugnare
contra lo spirito: in altrui, per l'offesa del proximo. È ben perfetto a
grazia; ma none a questa perfeczione de' sancti miei, che sonno gionti a me,
vita durabile, si come detto è; ché i desidèri loro sonno senza pena, e i
vostri sonno con pena. Stanno questi servi miei (si come Io ti dixi in un altro
luogo, che si notricano a la mensa di questo sancto desiderio) che stanno beati
e dolorosi, si come stava l'unigenito mio Figliuolo in sul legno della croce
sanctissima. Però che la carne sua era dolorosa e tormentata, e l'anima era
beata per l'unione della natura divina. Cosi questi cotali sonno beati per
l'unione del sancto desiderio loro in me, si come detto è, vestiti della dolce
mia volontà; e dolorosi sonno per la compassione del proximo e per tollersi
delizie e consolazioni sensuali, affliggendo la propria sensualità.
Alto del documento
206
— Ora attende,
carissima figliuola; ed acciò che tu meglio sia dichiarata di quello che
m'adimandasti, t'ho detto del lume comune il quale tutti dovete avere in
qualunque stato voi sète: ciò dico di coloro che stanno nella caritá comune.
E hocti detto di coloro
che sonno nel lume perfetto, el quale lume ti distinsi in due, cioè di coloro
che erano levati dal mondo e studiavano di mortificare il corpo loro, e degli
altri che in tutto ucidevano la propria volontà, e questi erano quegli perfetti
che si notricavano a la mensa del sancto desiderio. Ora ti favellarò in
particulare a te: e, parlando a te, parlarò ed agli altri e satisfarò al tuo
desiderio. Io voglio che tre cose singulari tu faccia, acciò che l' ignoranzia
non impedisca la tua perfeczione a la quale Io ti chiamo, e acciò che ‘l
dimonio, col mantello della virtú della caritá del proximo, non
notricasse dentro ne l'anima la radice della presumpzione. Però che da questo
cadresti ne' falsi giudici, e' quali Io t'ho vetati, parendoti giudicare a
dritto e tu giudicaresti a torto andando dietro al tuo vedere. E spesse volte
il dimonio ti farebbe vedere molte veritá per conducerti nella bugia. E questo
farebbe per farti essere giudice delle menti e delle intenzioni delle creature
che hanno in loro ragione, la quale cosa, si come lo ti dixi, solo lo ho a
giudicare.
Questa è una di
quelle tre cose che Io voglio che tu abbi e servi in te: cioè che tu giudicio
non dia alcuno senza modo, ma voglio che il dia col modo. El modo suo è questo:
che, se giá Io expressamente, non pure una volta né due ma piú, non
manifestasse el difetto del proximo tuo nella mente tua, non il debbi mai dire
in particulare, cioè a colui in cui ti paresse vedere il difetto; ma debbi in
comune correggere i vizi di chi ti venisse a visitare, e piantare la virtú
caritativamente (207) e con benignità, e nella benignità l'asprezza, quando
vedi che bisogni E se ti paresse che lo ti manifestasse spesse volte i difecti
altrui, se tu non vedi che ella sia expressa revelazione, come detto t' ho, none
il dire in particulare, ma actienti a la parte piú sicura, acciò che fuga lo
inganno e la malizia del dimonio. Però che con questo lamo del desiderio ti
pigliarebbe, facendoti spesse volte giudicare nel prossimo tuo quello che non.
sarebbe, e spesse volte lo scandalizzaresti.
Unde nella bocca
tua stia el silenzio o uno sancto ragionamento della virtú, spregiando el
vizio. E il vizio, che ti paresse cognoscere in altrui, ponlo insiememente a
loro ed a te, usando sempre una vera umilità. E se in veritá quello vizio sarà
in quella cotale persona, egli si correggerà meglio vedendosi compreso cosí
dolcemente, e costretto sarà da quella piacevole reprensione di correggersi, e
dirà a te quello che tu volevi dire a lui; e tu ne starai sicura, e avarai
tagliata la via al dimonio, che non ti potrà ingannare né impedire la
perfeczione de l'anima tua.
E voglio che tu
sappi che d'ogni vedere tu non ti debbi fidare, ma debbiteli ponere doppo le
spalle e non volere vederlo; ma solo debbi rimanere nel vedere e nel cognoscimento
di te medesima, e in te cognoscere la larghezza e bontá mia. Cosí fanno coloro
che sonno gionti a l'ultimo stato, di cui lo ti dixi che sempre tornavano a la
valle del cognoscimento di loro, e non impediva però l'altezza e l'unione che
avevano fatta in me. E questa è l'una delle tre cose le quali lo ti dissi ch'Io
volevo che tu facessi, acciò che in veritá servissi me.
Alto del documento
— Che se alcuna
volta ti venisse caso, si come tu mi dimandasti la dichiarazione, che tu
pregassi particularmente per alcune creature, e nel pregare tu vedessi in colui
per cui tu preghi (208) alcuno lume di grazia e in un altro no (e ambedue sonno
pure servi miei), ma paressetelo vedere con la mente aviluppata e tenebrosa,
none il debbi né puoi pigliare però in giudicio di difecto di grave colpa in
lui, però che spesse volte il tuo giudicio sarebbe falso. E voglio che tu sappi
che alcuna volta, pregandomi per una medesima persona, adiviene che l'una volta
el trovarai con uno lume e con uno desiderio sancto dinanzi a me, in tanto che
del suo bene parrà che l'anima tua ingrassi, si come vuole l’affecto della
caritá che participiate il bene l'uno de l'altro; e un'altra volta el trovarai
che parrà che la mente sua sia di longa da me e tucta piena di tenebre e di
molestie, che parrà che a te medesima sia fadiga a pregare per lui tenendolo
dinanzi a me.
Questo adiviene
alcuna solta che potrà essere per difecto che sarà in colui per cui tu hai
pregato; ma el piú delle volte non sarà per difecto, ma avrà per sottraimento
che Io, Dio etterno, avarò facto di me in quella anima, si come spesse volte Io
fo, per fare venire l'anima a perfeczione, secondo che negli stati de l'anima
Io ti narrai. Sarommi ritracto per sentimento, ma non per grazia; ma per
sentimento di dolcezza e di consolazione. E però rimane la mente sterile,
asciucta e penosa. La quale pena Io fo sentire a quella anima che per lui
prega. E questo fo per grazia e per amore che Io ho a quella anima che riceve
l'orazione, acciò che chi prega insiememente con lui aiti a dissolvere la
nuvila che è nella mente sua.
Si che vedi,
carissima e dolcissima figliuola, quanto sarebbe ignorante e degno di grande
reprensione questo giudicio, che tu o alcuno altro per questo semplice vedere
giudicassi che vizio fusse in quella anima, perché Io te la manifestasse cosí
tenebrosa; dove giá hai veduto che egli non è privato della grazia, ma del
sentimento della dolcezza che Io, per sentimento, gli davo di me.
Voglio dunque, e
debbi volere tu e gli altri servi miei, che vi diate a cognoscere perfectamente
voi, acciò che piú perfettamente cognosciate la bontá mia in voi. E questo e
ogni altro giudicio lassate a me, però che egli è mio e non vostro; (209) ma
abandonate il giudicio, che è mio, e pigliate la compassione con fame de
l'onore mio e salute de l'anime; e con ansietato desiderio anunziate la virtú e
riprendete il vizio in voi e in loro per lo modo che decto t' ho di sopra. Per
questo modo verrai a me in veritá e mostrarrai d'avere tenuto a mente e
observata la doctrina che ti fu data dalla mia Verità, cioè di giudicare la
volontà mia e non quella degli uomini; e cosí debbi fare se vuoli avere la
virtú schiectamente e stare ne l'ultimo perfectissimo e glorioso lume,
pascendoti a la mensa del sancto desiderio del cibo de l'anime, per gloria e
loda del nome mio.
Alto del documento
— Decto t'ho,
carissima figliuola, delle due: ora ti dirò della terza, a la quale lo voglio
che tu abbi avertenzia, e riprenda te medesima se alcuna volta el dimonio o el
tuo basso vedere ti molestasse di volere mandare e vedere andare tucti e' servi
miei per quella via che tu andassi tu; però che questo sarebbe contra la
doctrina data a te da la mia Verità.
Perché spesse volte
adiviene che, vedendo andare molte creature per la via della molta penitenzia,
tucti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi
vadano, ne piglia dispiacimento e scandalo in se medesimo, parendoli che non faccian
bene. Or vedi quanto è ingannato, però che spesse volte adiverrà che farà
meglio colui di cui gli pare male perché fa meno penitenzia, e piú virtuoso
sarà (poniamo che non facci tanta penitenzia) che colui che ne mormora. E però
ti dixi di sopra che coloro che si pascono ala mensa della penitenzia, se non
vanno con vera umilità e che la ni- . tenzia loro non
sia posta per principale affecto ma per strumento di virtú, spesse volte per
questa mormorazione offendaranno la perfeczione loro. E però non debbono essere
ignoranti, ma (210) debbono vedere che la perfeczione non sta solamente in
macerare né in ucidere il corpo, ma in ucidere la propria e perversa volontà. E
per questa via della volontà, annegata e sottoposta a la dolce volontà mia,
dovete desiderare, e voglio che tu desideri, che tucti vadano.
Questa è la
doctrina della luce di quello glorioso lume, dove l'anima corre inamorata e
vestita della mia Verità. E non dispregio però la penitenzia: perché la
penitenzia è buona a macerare il corpo quando vuole impugnare contra lo
spirito. Ma non voglio però, carissima figliuola, che tu mel ponga per regola a
ogniuno. Però che tucti e' corpi non sonno aguagliati né d'una medesima forte
complessione, però che ha piú forte natura uno che un altro; e anco perché
spesse volte, si com' Io ti dixi, adiviene che la penitenzia che si comincia,
per molti accidenti che possono adivenire, si conviene lassare. E se ‘l
fondamento dunque fusse in te, o che tu ci dessi altrui, facessi o
facessi fare sopra la penitenzia, verrebbe meno e sarebbe imperfecto; e
mancarebbevi la consolazione e la virtú ne l'anima. Essendo poi privati di
quella cosa che amavate e dove avavate facto ci vostro principio, vi parrebbe
essere privati di me, e, parendovi essere privati della mia bontá, verreste a
tedio e a grandissima tristizia, amaritudine e confusione. Per questo modo
perdareste l'exercizio e la fervente orazione, la quale solevate fare quando
faciavate la vostra penitenzia. La quale lassata per molti accidenti che
vengono, non vi sa l'orazione di ` quello sapore
che vi sapeva prima. Questo adiverrebbe, perché il fondamento sarebbe facto ne
l’affecto della penitenzia e non ne l’ansietato desiderio: desiderio, dico,
delle vere e reali virtú.
Si che vedi quanto
male ne seguitarebbe per fare solo ci principio nella penitenzia. E però
sareste ignoranti e cadreste nella mormorazione verso de' servi miei, come
decto è, e verrestene a tedio e a molta amaritudine, e studiareste di fare solo
operazioni finite a me che so' Bene infinito, e però Io vi richiego infinito
desiderio.
Convienvi dunque
fare il fondamento in uccidere e annegare la propria volontà, e con essa
volontà, sottoposta a la volontà mia, mi darete dolce e afamato e infinito
desiderio, cercando (211) l'onore di me e la salute de l'anime. E cosí vi
pascerete a la mensa del sancto desiderio; ci quale desiderio non è mai
scandalizzato né in sé né nel proximo suo, ma d'ogni cosa gode e trae fructo di
tanti diversi e variati modi che Io do ne l'anima. Non fanno cosí e' miserabili
che non seguitano questa doctrina, dolce e dricta via data da la mia Verità:
anco fanno ci contrario, giudicando secondo la cechità e infermo vedere loro; e
però vanno come farnetichi, e privansi del bene della terra e del bene del
cielo. E in questa vita, si come Io ti dixi in un altro luogo, gustano l'arra
de l'inferno.
Alto del documento
— Ora t'ho decto,
carissima figliuola, satisfacendo al desiderio tuo e dichiaratati di quello che
mi dimandasti, cioè in che modo tu debbi riprendere il proximo tuo, acciò che
tu non sia ingannata dal dimonio né dal tuo basso vedere. Cioè che tu debbi
riprendere in generale e non in particulare (se giá per expressa revelazione tu
non l'avessi da me), ma con umilità, per lo modo che decto t'ho, riprendere te
e loro.
Anco t'ho decto e
dico che in veruno modo del mondo t'è licito ci giudicare in alcuna creatura,
né in comune né in particulare, ne le menti dei servi miei, né trovandola
disposta né non disposta. E decta t'ho la cagione per la quale tu non puoi
giudicare, e giudicando rimarresti ingannata nel tuo giudicio; ma compassione
debbi avere tu e gli altri, e il giudicio lassare a me.
E anco t'ho decta
la doctrina e il principale fondamento che tu debbi dare a coloro che venissero
a te per consiglio e che volessero escire delle tenebre del peccato mortale e
seguitare la via delle virtú: cioè che tu lo' dia per principio e fondamento l’affecto
e l'amore delle virtú nel cognoscimento di loro e della (212) mia bontá in
loro; e ucidano e annieghino la loro propria volontà, acciò che in neuna cosa
ribellino a me. E la penitenzia lo' dá come strumento e non per principale
affecto, come decto è non a ogniuno equalmente, ma secondo che sonno apti a
portare e secondo la loro possibilità e stato suo, chi poco e chi assai,
secondo che può di questi strumenti di fuore.
E perch' Io ti dixi
che la riprensione non t'era licito di farla altro che in generale per lo modo
che decto t'ho (e cosí è la veritá), non vorrei però che tu credessi che,
vedendo tu
actualmente uno expresso difecto, tu noi possa
correggere fra te e lui: anco puoi, e anco, se egli fusse obstinato che non si
correggesse, el puoi fare manifesto a due o a tre; e se questo non giuova,
farlo manifesto al corpo mistico della sancta Chiesa. Ma hotti decto che licito
non è per tuo vedere o sentire dentro nella mente tua: né anco, per ogni vedere
di fuore, non ti debbi cosí tosto mutare: se tu non vedessi expressamente la
veritá o che nella mente tua l'avessi per expressa mia revelazione, non debbi
usare la reprensione se non per lo modo che Io ti dissi. Quella è piú sicura
per te, da non potere il dimonio ingannarti col mantello della caritá del
proximo.
Compíto t'ho ora,
carissima figliuola, di dichiararti sopra questa parte quello che bisogna a
conservare e crescere la perfeczione ne l'anima tua.
Alto del documento
CVI.
De' segni da cognoscere quando le visitazioni e visioni mentali sono da Dio o
dal demonio.
— Ora ti dichiararò
di quello che tu mi dimandasti sopra el segno che Io ti dixi che Io davo ne
l'anima a cognoscere la visitazione che riceve l'anima o per visioni o altre
consolazioni che le paia ricevere. E dissiti el segno per lo quale ella si
potesse cognoscere quando fusse da me o no. El suo segno era l'allegrezza che
rimaneva ne l'anima doppo la visitazione, (213), e la fame delle virtú, e
spezialmente unta della virtú della vera umilità, e arsa nel fuoco della divina
caritá.
Ma perché tu
m'adimandi se ne l'allegrezza si potesse ricevere inganno alcuno (però che,
cognoscendolo, ti vorresti attenere a la parte piú sicura, cioè al segno della
virtú che non può essere ingannata), lo ti dirò lo inganno che si può ricevere,
e a quello che tu cognoscerai che l'allegrezza sia in veritá o no. Lo inganno
si può ricevere in questo modo: lo voglio che tu sappi che di ciò che la
creatura, che ha in sé ragione, ama o desidera d'avere, avendola n'ha
allegrezza. E tanto quanto piú ama quella cosa che egli ha, tanto meno . vede e
si dá a cognoscere con prudenzia unde ella viene, per lo dilecto che ha preso
in essa consolazione; però che l'allegrezza nel ricevere la cosa che ama non
gli li lassa vedere, né si cura di discernerla. Cosi coloro, che molto si
dilectano e amano la consolazione mentale, cercano le visioni, e piú hanno
posto el principale affecto nel dilecto della consolazione che propriamente in
me; sí come lo ti dixi di coloro che anco erano nello stato imperfecto, che
raguardavano piú al dono delle consolazioni che ricevevano da me donatore, che
a l'affecto della mia caritá con che lo lo' do.
Qui possono
ricevere inganno questi cotali, cioè ne l'allegrezza loro, oltre agli altri
inganni ch' Io ti contai distinctamente in un altro luogo. In che modo el
ricevono? Dicotelo: che poi che essi hanno conceputo l'amore grande a la
consolazione, come decto è, ricevendo poi la consolazione o visione, in
qualunque modo l'avesse, sente allegrezza perché si vede quello che ama e
desiderava d'avere; e spesse volte potrebbe essere dal dimonio, e sentirebbe
pure questa allegrezza: della quale allegrezza lo ti dixi che, quando ella era
dal dimonio, questa visitazione della mente veniva con allegrezza e rimaneva
con pena e stimolo di coscienzia e vòtia del desiderio della virtú. Ora ti dico
che alcuna volta potrà avere questa allegrezza, e con essa allegrezza si levarà
da l'orazione: se questa allegrezza si trova senza l'affocato desiderio della
virtú, unta d'umilità e arsa nella fornace della divina mia carità, quella
visitazione e consolazione e visione, che ella ha ricevuta, è dal demonio e non
(214) da me, non obstante che si senta el segno de l'allegrezza. Ma perché
l'allegrezza non è unita con l'affetto della virtú per lo modo che detto t'ho,
puoi vedere manifestamente che quella è allegrezza tratta da l'amore che aveva
a la propria consolazione mentale, e però gode ed ha allegrezza perché si vede
avere quello che desiderava; perché gli è condiczione de l'amore di qualunque
cosa si sia, sentire allegrezza quando riceve quella cosa che egli ama.
Si che per pura
allegrezza non te ne potresti fidare: poniamo che l'allegrezza ti durasse
mentre che tu hai la consolazione, e anco piú. L'amore ignorante in essa
allegrezza non cognosciarebbe l'inganno del dimonio, non andando con altra
prudenzia; ma, se con prudenzia andarà, vederà se l'allegrezza andarà con
l'affetto della virtú, o si o no, e cognoscerà in questo modo se ella sarà da
me o dal dimonio la visitazione che riceve nella mente sua.
Questo è quello
segno che lo ti dixi in che modo tu potessi cognoscere che l'allegrezza ti
fusse segno quando fusse visitata da me, se ella fusse unita con la virtú, sí
com' Io t'ho detto. Veramente questo è segno dimostrativo, che ti dimostra
quello che è inganno e quello che non è inganno: cioè de l'allegrezza che
ricevi nella mente tua da me in veritá, da l'allegrezza che ricevessi per
proprio amore spirituale, cioè da l'amore ed affetto che avessi posto a la
propria consolazione: quella che è da me è unita l'allegrezza con l'affetto
della virtú, e quella che è dal dimonio sente solamente allegrezza, e, quando
viene a vedere, tanta virtú si truova quanto prima. Questa allegrezza lo'
procede da l'amore della propria consolazione, come detto è.
E voglio che tu
sappi che ogniuno non riceve però inganno da questa allegrezza, se non
solamente questi imperfetti che pigliano diletto e consolazione, e piú
raguardano al dono che a me donatore. Ma quegli, che, schiettamente e senza
rispetto alcuno di loro, raguardano come affocati a l’ affetto solamente di me
che dono e non al dono, e il dono amano per me che dono e non per propria loro
consolazione, non possono essere ingannati da questa allegrezza.
215
E però l’ è a loro
subito questo el segno, quando el dimonio alcuna volta volesse per suo inganno
trasformarsi in forma di luce e mostrarsi nella mente loro, giognendo subito
con grande allegrezza. Ma essi, che non sono passionati da l'amore della
consolazione nella mente loro, con prudenzia in veritá cognoscono lo inganno
suo: passando tosto l'allegrezza, vegonsi rimanere in tenebre. E però
s'aumiliano con vero cognoscimento di loro, e spregiano ogni consolazione e
abracciano e stringono la dottrina della mia Verità. El dimonio, come confuso,
rade volte o non mai in questa forma vi torna.
Ma quelli, che
sonno amatori della propria consolazione, spesse volte ne riceveranno; ma
conosceranno l'inganno loro per lo modo che detto t'ho, cioè trovando
l'allegrezza senza la virtú, cioè che non si vega escire di quello camino con
umilità e vera carità, fame de l'onore di me, Dio etterno, e della salute de
l'anime.
Questo ha facto la
mia bontá: d'avere proveduto verso di voi, a' perfetti e agl'imperfetti, in
qualunque stato voi sète, perché neuno inganno voi potiate ricevere, se vorrete
conservarvi el lume de l'intelletto che lo v'ho dato con la pupilla della
sanctissima fede, che voi non vel Tassiate obumbrare dal dimonio e nol veliate
con l'amore proprio di voi. Perché, se non vel tollete voi, non è alcuno che
vel possa tollere.
Alto del documento
— Ora t'ho detto,
carissima figliuola, e in tutto dichiarato e illuminatone l'occhio de
l'intelletto tuo verso gl'inganni che ‘l dimonio ti potesse fare. E ho
satisfacto al desiderio tuo in quello che tu mi dimandasti, perché lo non so'
spregiatore del desiderio de' servi miei. Anco do a chimi dimanda, e invitovi a
dimandare; e molto mi spiace colui che in veritá non bussa a (216) la porta
della sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo, seguitando la doctrina sua; la
quale doctrina, seguitandola, è uno bussare chiamando a me, Padre etterno, con
la voce del sancto desiderio, con umili e continue orazioni. E Io so' quel
Padre che vi do el pane della grazia col mezzo di questa porta, dolce mia
Verità. E alcuna volta,, per provare i desidèri vostri e la vostra
perseveranzia, fo vista di non intendervi; ma Io v'intendo, e dòvi, mentre,
quello che bisogna, perché vi do la fame e la voce con che chiamate a me; e Io,
vedendo la sostanzia vostra, compio e' vostri desidèri, quando sonno ordinati e
dirizzati in me.
A questo chiamare
v' invitoe la mia Verità quando dixe: «Chiamate e saravi risposto; bussate e
saravi aperto; chiedete e saravi dato ». E cosí ti dico che Io voglio che tu
facci: che tu non allenti mai el desiderio tuo di chiedere l'aiutorio mio; né
abbassi la voce tua di chiamare a me, ch' Io facci misericordia al mondo; né ti
ristare di bussare a la porta della mia Verità, seguitando le vestigie sue; e
dilèctati in croce con Lui, mangiando el cibo de l'anime per gloria e loda del
nome mio. E con ansietà di cuore mughiare sopra el morto de l'umana
generazione, el quale vedi condotto a tanta miseria che la lingua non sarebbe
sufficiente a narrarlo. Con questo mughio e grido vorrò fare misericordia al
mondo. E questo è quello che lo richiego da' servi miei, e questo mi sarà segno
che in veritá m'amino. E Io non sarò spregiatore de' loro desidèri, si come Io
t'ho decto.
Alto del documento
Alora quella anima,
come ebbra veramente, pareva fuore di sé, e, alienati e' sentimenti del corpo
suo, per l'unione de l'amore che fasta aveva nel Creatore suo, levata la mente
e specolando (217) nella Verità etterna con l'occhio de l'intelletto suo,
avendo cognosciuta la veritá, s'era innamorata della veritá, e diceva: O somma
ed etterna bontá di Dio, e chi so' io, miserabile, che tu, sommo ed etterno
Padre, hai manifestata a me la veritá tua e gli occulti inganni del dimonio; e
lo 'nganno del proprio sentimento, che io e gli altri potiamo ricevere in
questa vita della perregrinazione, acciò che io non sia ingannata né dal
dimonio né da me medesima? Chi t'ha mosso? L'amore. Però che tu m'amasti senza
essere amato da me. O fuoco d'amore, grazia, grazia sia a te, Padre etterno.
lo, imperfetta, piena di tenebre; e tu, perfetto e luce, hai mostrato a me la
perfeczione e la via lucida della dottrina de l'unigenito tuo Figliuolo. Io ero
morta, e tu m'hai risuscitata; io ero inferma, e tu m'hai data la medicina: e
non tanto la medicina del Sangue che tu desti allo Infermo de l'umana
generazione col mezzo del tuo Figliuolo, ma tu m'hai data una medicina contra
una infermità occulta, la quale io non cognoscevo, dandomi tu la dottrina che
in neuno modo io posso giudicare alcuna creatura che abbi in sé ragione, e
singularmente verso de' servi tuoi, de' quali spesse volte, come cieca e
inferma di questa infermità, sotto spezie e colore de l'onore tuo e salute de
l'anime, davo giudicio. E però io ti ringrazio, somma ed etterna bontá, che,
nel manifestare la tua veritá e lo inganno del dimonio e la propria passione,
m'hai facto conoscere la infermità mia. Unde io t'adimando per grazia e
misericordia che oggi sia posto termine e fine che io mai non esca della
dottrina tua, data a me da la tua bontá e a chiunque la vorrà seguitare, però
che senza te neuna cosa è fasta.
A te dunque ricorro
e rifugo, Padre etterno, e non te l’adimando per me sola, Padre, ma per tutto
quanto el mondo, e singularmente per lo corpo mistico della sancta Chiesa: che
questa veritá e dottrina riluca ne' ministri tuoi, data da te. Verità etterna,
a me miserabile. Ed anso t'adimando spezialmente per tutti coloro e' quali
m'hai dati che io ami di singulare amore, e' quali hai fasti una cosa con meco;
però che essi saranno el mio refrigerio per gloria e loda del nome tuo,
vedendoli còrrire per questa dolce e dritta via schietti e morti ad ogni loro
(218) volontà e pareri, e senza alcuno giudicio o scandalo o mormorazione del
proximo loro. E pregoti, dolcissimo amore, che neuno me ne sia tolto delle mani
dal dimonio infernale, si che ne l'ultimo giongano a te, Padre etterno, fine
loro.
Anco ti fo un'altra
petizione per le due colonne de' padri che m'hai posti in terra a guardia e
doctrina di me, inferma, miserabile, dal principio della mia conversione infino
a ora: che tu gli unisca e di due corpi facci una anima, e che neuno actenda ad
altro che a compire in loro, e nei misterii che tu l'hai posti nelle mani, la
gloria e loda del nome tuo in salute de l'anime. E io, indegna e miserabile,
schiava e non figliuola, tenga quel modo, con debita reverenzia e sancto timore
verso di loro, per amore di te, che sia tuo onore, pace e quiete loro ed
edificazione del proximo.
So' certa, Verità
etterna, che tu non dispregiarai el desiderio mio né le petizioni che Io t'ho
adimandate, però che io cognosco per veduta, secondo che t'è piaciuto di
manifestare, e molto maggiormente per pruova, che tu se' acceptatore de' sancti
desidèri. Io, indegna tua serva, m' ingegnarò, secondo che mi darai la grazia,
d'observare il comandamento e la doctrina tua.
O Padre etterno,
ricordato m'è d'una parola che tu dicesti quando mi narravi alcuna cosa de'
ministri della sancta Chiesa, dicendo tu che piú distinctamente in un altro
luogo me ne parlaresti: de' difecti che al di d'oggi essi commectono. Unde, se
piacesse a la tua bontá di dirne alcuna cosa, acciò che io avesse materia di
crescere il dolore e la compassione e l’ansietato desiderio per la salute loro
(ché mi ricordo che giá tu dicesti che, col sostenere e lagrime, dolori, sudori
e orazioni de' servi tuoi, ci daresti refrigerio, riformandola di sancti e
buoni pastori); si che, acciò che questo cresca in me, però te l’adimando.
Alto del documento
219
Alora Dio etterno,
vollendo l'occhio della sua misericordia e non spregiando el suo desiderio, ma
acceptando le sue petizioni, volendo satisfare a l'ultima petizione che ella
aveva facta sopra la promessa sua, diceva: — O dilectissima e carissima
figliuola, lo adempirò in quello che m'hai adimandato el desiderio tuo, purché
da la tua parte non commecta ignoranzia né negligenzia. Però che molto ti
sarebbe piú grave e degna di maggiore reprensione ora che prima, perché piú hai
cognosciuto della mia veritá: E però sia dunque sollicita di dare orazioni per
tucte le creature che hanno in loro ragione, e per lo corpo mistico della
sancta Chiesa, e per quegli che Io t’ho dati che tu ami di singulare amore. E
non commectere negligenzia in dare orazioni ed exemplo di vita e la doctrina
della parola, riprendendo il vizio e commendando la virtú giusta ‘l tuo
potere. Delle colonne le quali lo ho date a te, delle quali tu mi dicesti, e
cosí è la veritá, fa' che tu sia uno mezzo di dare a ciascuno quello che gli
bisogna, secondo l’aptitudine loro e come Io, tuo Creatore, ti ministrarò, però
che senza me neuna cosa potresti fare; ed Io adempiroe i desidèri tuoi. Ma non
mancare tu né eglino nello sperare in me, però che la providenzia mia non
mancarà in voi; e ogniuno umilemente riceva quello che esso è apto a ricevere,
e ogniuno ministri quello che lo gli darò a ministrare, ogniuno nel modo suo,
secondo che hanno ricevuto e riceveranno da la mia bontá.
Alto del documento
220
— Ora ti rispondo
di quello che m'hai adimandato sopra e' ministri della sancta Chiesa. E acciò
che tu meglio possa cognoscer la veritá, apre l'occhio de l'intellecto tuo e
raguarda l’excellenzia loro, in quanta dignità lo gli ho posti. E perché meglio
si cognosce l'uno contrario per l'altro, voglioti mostrare la dignità di coloro
che exercitano in virtú el tesoro che lo lo' missi fra le mani; e per questo,
meglio vedrai la miseria di coloro che oggi si pascono al pecto di questa
sposa. —
Alora quella anima,
per obbedire, si specolava nella veritá, dove vedeva rilucere le virtú ne' veri
gustatori. Alora Dio etterno diceva: — Carissima figliuola, prima ti voglio
dire la dignità loro dove lo gli ho posti per la mia bontá; oltre a l'amore
generale che Io ho avuto a le mie creature creandovi a la imagine e
similitudine mia, e ricreativi tucti a grazia nel sangue de l'unigenito mio
Figliuolo; unde veniste in tanta excellenzia, per l'unione ch' Io feci della
Deitá mia nella natura umana, che in questo avete maggiore excellenzia e
dignità voi che l'angelo, perch' Io presi la natura vostra e non quella de
l'angelo. Unde, si come Io dixi, Io Dio so' facto uomo e l'uomo è facto Dio per
l'unione della natura mia divina nella natura vostra umana.
Questa grandezza è
data in generale ad ogni creatura che ha in sé ragione; ma tra questi ho electi
e' miei ministri per 1p salute vostra, acciò che per loro vi sia ministrato el
sangue de l'umile e immaculato Agnello unigenito mio Figliuolo. A costoro ho
dato a ministrare il Sole, dando lo' el lume della scienzia e il caldo della
divina caritá e il colore unito col caldo e col lume, cioè il Sangue e il Corpo
del mio Figliuolo. El quale Corpo è uno sole, perché è una cosa con meco, vero
Sole. E tanto è unito, che l'uno non si può separare da l'altro né tagliare, se
non come il sole, che non si può dividere né il caldo suo (221) da la luce né
la luce dal suo colore, per la sua perfeczione de l'unione.
Questo sole, non
partendosi da la ruota sua, cioè che non si divide, dá lume a tucto quanto el
mondo e scalda a chiunque da lui vuole essere scaldato; e per alcuna immondizia
questo sole non si lorda, e il lume suo è unito, come detto t'ho. Cosí questo
Verbo mio Figliuolo, con el sangue dolcissimo suo, è uno sole, tucto Dio e
tucto uomo, perché egli è una medesima cosa con meco e lo con lui. La potenzia
mia non è separata da la sapienzia sua, né il calore, fuoco di Spirito sancto,
non è separato da me Padre, né da lui Figliuolo, però che egli è una medesima
cosa con Noi, perché lo Spirito sancto procede da me Padre e dal Figliuolo, e
siamo uno medesimo Sole.
Io so' quel Sole,
Dio etterno, unde è proceduto el Figliuolo e lo Spirito sancto. Allo Spirito
sancto è appropriato el fuoco; al Figliuolo la sapienzia, nella quale sapienzia
e' ministri miei ricevono uno lume di grazia, perché hanno ministrato questo
lume con lume e con gratitudine del benefizio ricevuto da me Padre etterno,
seguitando la doctrina di questa sapienzia, unigenito mio Figliuolo.
Questo è quello
lume che ha in sé il colore della vostra umanità, unito l'uno con l'altro. Unde
il lume della Deitá mia fu quello lume unito col colore de l'umanità vostra. El
quale colore diventò lucido, quando fu inpassibile in virtú della Deitá, natura
divina. E per questo mezzo, cioè de l’obiecto di questo Verbo incarnato,
intriso e impastato col lume della mia Deitá, natura divina, e col caldo e
fuoco dello Spirto sancto, avete ricevuto el lume. A cui l'ho dato a
ministrare? A' ministri miei nel corpo mistico della sancta Chiesa, acciò che
aviate vita, dandovi el Corpo suo in cibo e il Sangue in beveraggio.
Decto t'ho che
questo Corpo è sole. Unde non vi può essere dato el Corpo che non vi sia dato
el Sangue, né il Sangue né il Corpo senza l'anima di questo Verbo, né l'anima
né il Corpo senza la Deitá di me Dio etterno, perché l'una non si può separare
da l'altra; si come in un altro luogo ti dixi che la natura divina non si parti
mai da la natura umana, né per morte (222) né per verun'altra cosa non si
poteva né può separare. Si che tutta l’essenzia divina ricevete in quello
dolcissimo sacramento sotto quella bianchezza del pane. E si come il sole non
si può dividere, cosí non si divide tutto Dio ed uomo in questa bianchezza
dell'ostia. Poniamo che l'ostia si dividesse: se mille migliaia di minuzzoli
fusse possibile di farne, in ciascuno so' tutto Dio e tutto uomo, come detto
ho. Si come lo specchio che si divide, e non si divide però la imagine che si
vede dentro nello specchio; cosí, dividendo questa ostia, non si divide tutto
Dio e tutto uomo, ma in ciascuna parte è tutto. Né non dimi. nuisce però in se
medesimo se non come il fuoco, cioè in questo exemplo.
Se tu avessi uno
lume, e tutto ci mondo venisse per questo lume; per quello tollere, ci lume non
diminuisce, e nondimeno ciascuno l'ha tutto. É vero che chi piú o meno
participa di questo lume: secondo la materia che colui, che riceve, porta, cosí
riceve il fuoco. E acciò che meglio m'intenda, pongoti questo exemplo. Se
fussero molti che portassero candele, e l'una avesse materia d'una oncia e
l'altra di due o di sei, o chi di libra e chi piú, e andassero al lume e
accendessero le candele loro; poniamo che in ciascuno, ne l'assai e nel poco,
vede tutto ci lume, cioè il caldo e il colore ed esso lume; nondimeno tu giudicarai
che meno n'abbi colui che la porta d'una oncia che quelli di libra. Or cosí
adiviene di quegli che ricevono questo sacramento: chi porta la candela sua,
cioè il sancto desiderio con che si riceve e piglia questo Sacramento; la quale
candela in sé è spenta, e accendesi ricevendo questo Sacramento. a Spenta »
dico, perché da voi non sète alcuna cosa. È vero che Io v'ho data la materia
con che voi potiate notricare in voi questo lume e riceverlo. La materia vostra
è l'amore, perch' Io vi creai per amore, e però non potete vivere senza amore.
Questo essere dato
a voi per amore ha ricevuta la disposizione nel sancto baptesmo, che ricevete
in virtú del sangue di questo Verbo; ché in altro modo non potreste participare
di questo lume, anco sareste come candela senza ci papeio dentrovi, che non può
ardere né ricevere in sé questo lume. Cosí (223) voi, se ne l'anima vostra non
aveste ricevuto ci papeio che riceve questo lume, cioè la sanctissima fede, ed
unita la grazia che ricevete nel baptesmo con l'affetto de l'anima vostra
creata da Ine, apta ad amare; si come detto t'ho che tanto è apta ad amare che
senza amore non può vivere, anco ci suo cibo è l'amore.
Dove s'accende
questa anima unita per lo modo che detto t'ho? Al fuoco della divina mia
carità, amando e temendo me e seguitando la dottrina della mia Verità. È vero
che s'accende piú e meno, si com' Io ti dixi, secondo che portarà e darà
materia a questo fuoco; però che, bene che tutti abbiate una medesima materia,
cioè che tutti siate creati a la imagine e similitudine mia e abbiate ci lume
del sancto baptesmo voi cristiani, nondimeno ogniuno può crescere in amore e in
virtú, secondo che piace a voi, mediante la grazia mia. Non che voi mutiate
altra forma che quella che lo v'ho data, ma crescete e aumentate ne l'amore le
virtú, usando in virtú e in affetto di caritá ci libero arbitrio, mentre che
avete il tempo; però che, passato ci tempo, non il potreste fare. Si che potete
crescere in amore, come detto t'ho. El quale amore, venendo con esso a ricevere
questo dolce e glorioso lume (del quale Io v'ho dato a ministrare col mezzo dei
ministri miei, e dato ve l' hoe in cibo, e tanto ricevete di questo lume quanto
portarete de l'amore e affocato desiderio), poniamo che tutto ci ricevete (si
com' Io dixi ponendoti l'exemplo di coloro che portavano candele, e' quali
secondo la quantità del peso cosí ricevevano), poniamo che in ogniuno ci
vedessi tutto intero e non diviso, però che dividere non si può, come detto è,
per veruna vostra imperfeczione, né di voi che ‘l ricevete né di chi ci
ministra; ma tanto participate in voi di questo lume, cioè della grazia che
ricevete in questo sacramento, quanto vi disponete a ricevere con sancto
desiderio. E chi andasse a questo dolce sacramento con colpa di peccato mortale,
da questo sacramento non riceve grazia, poniamo che egli riceva attualmente
tutto Dio ed uomo, si come detto t'ho.
Ma sai come sta
questa anima che ‘l riceve indegnamente? Sta si come la candela che v'è
caduta l'acqua, che non fa altro (224) che strídare quando è acostata al fuoco:
che, subbito che ‘l fuoco v'è intrato, è spento in quella candela, e non
vi rimane altro che ‘l fummo. Cosí questa anima porta sé, candela, la
quale ricevette il sancto baptesmo e poi gittoe l'acqua della colpa dentro ne
l'anima sua, la quale fue una acqua che inacquoe il papeio del lume della
grazia del baptesmo. Non essendosi scaldata al fuoco della vera contrizione,
confessandosi della colpa sua, andò alla mensa de l'altare a ricevere questo
lume attualmente. Questo vero lume, non essendo disposta quella anima come si
debba disponere a tanto misterio, non rimane per grazia in quella anima, ma
partesi, e ne l'anima rimane maggiore confusione, spenta con tenebre e
aggravata la colpa sua. Di questo sacramento non sente altro che strido di
rimorso della coscienzia, non per difecto del lume, però che non può ricevere
alcuna lesione, ma per difecto de l'acqua che trovò ne l'anima; la quale acqua
impedí l'affetto de l'anima, che non poté ricevere questo lume.
Si che vedi che in
neuno modo questo lume, unito el caldo e il colore a esso lume, si può
dividere: né per piccolo desiderio che porti l'anima ricevendo questo
Sacramento, né per difecto che fusse ne l'anima che ‘l riceve né di colui
che ‘l ministra; si come Io ti dixi del sole, el quale, stando in su la
cosa immonda, non si lorda però. Cosí questo dolce lume in questo sacramento
per neuna cosa si lorda, né si divide, né diminuisce il lume suo, né non si
stacca da la ruota: poniamo che tutto el mondo si comunichi del lume e del caldo
di questo sole. Cosí non si stacca questo Verbo Sole, unigenito mio Figliuolo,
da me Sole, Padre etterno, perché nel corpo mistico della sancta Chiesa sia
ministrato a chiunque il vuole ricevere; ma tutto rimane, e tucto l'avete, Dio
e uomo, si come ti diei exemplo del lume: che se tutto el mondo mandasse per
esso lume, tutti l'hanno tutto, e tutto si rimane.
Alto del documento
225
— O carissima
figliuola, apre bene l'occhio dell' intéllecto a raguardare l'abisso della mia
carità, ché non è alcuna creatura che abbi in sé ragione che non si dovesse
dissolvere il cuore suo per affetto d'amore a raguardare fra gli altri benefizi
che avete ricevuti da me, vedere il benefizio che ricevete di questo
sacramento. E con che occhio, carissima figliuola, debbi tu e gli altri vederlo
e raguardare questo misterio e toccarlo? Non solamente con toccamento e vedere
di corpo, però che tutti e' sentimenti del corpo ci vengono meno. Tu vedi che
l'occhio non vede altro che quella bianchezza di quel pane, la mano altro non
tocca, el gusto altro non gusta che il sapore del pane; si che i grossi
sentimenti del corpo sonno ingannati: ma el sentimento de l'anima non può
essere ingannato, se ella vorrà, cioè che ella non si voglia tollere il lume
della sanctissima fede con la infidelità.
Chi gusta e vede e
tocca questo sacramento? el sentimento de l'anima. Con che occhio el vede? con
l'occhio de l' intellecto, se dentro ne l'occhio è la pupilla della sanctissima
fede. Questo occhio vede in quella bianchezza tutto Dio e tutto uomo, la natura
divina unita con la natura umana. El corpo, l'anima e il sangue di Cristo;
l'anima unita nel corpo. El corpo e l'anima uniti con la natura mia divina, non
staccandosi da me. Si come ben ti ricorda che, quasi nel principio della vita
tua, lo ti manifestai. E non tanto con l'occhio de l'intelletto, ma con
l'occhio del corpo, bene che, per lo lume grande, l'occhio del corpo tuo perdé
il vedere e rimase solo il vedere a l'occhio de l'intelletto.
Mostra'telo a tua
dichiarazione contra la battaglia che ‘l dimonio in esso sacramento
t'aveva data, e per farti crescere in (226)amore e nel lume della sanctissima
fede. Unde tu sai che andando tu la mattina, a l'aurora, a la chiesa per udire
la messa, essendo stata dinanzi passionata dal dimonio, tu ti ponesti ritta a
l'altare del Crocifixo. El sacerdote era venuto a l'altare di Maria; e stando
ine a considerare il difetto tuo, temendo di non avere offeso me per la
molestia che ‘l dimonio t'aveva data, e a considerare l'affetto della mia
caritá che t'avevo (acta degna d'udire la messa (conciosiacosaché tu ti
reputavi indegna d'entrare nel sancto tempio mio), venendo el ministro a
consdgrare, a la consacrazione tu alzasti gli occhi sopra del ministro; e nel
dire le parole della consacrazione, Io manifestai me a te, vedendo tu escire
del petto mio uno lume come il raggio del sole che esce della ruota del sole,
non partendosi da essa ruota. Nel quale lume veniva una colomba, uniti insieme
l'uno con l'altro, e percoteva sopra de l'ostia in virtú delle parole della
consacrazione che ‘l ministro diceva; perché l'occhio tuo corporale non
fu sufficiente a sostenere il lume, ma rimaseti ci vedere solo ne l'occhio
intellettuale, e ine vedesti e gustasti l'abisso della Trinitá, tutto Dio e
uomo, nascoso e velato sotto quella bianchezza. Né il lume né la presenzia del
Verbo, che tu in essa bianchezza vedesti intellectualmente, non tolleva però la
bianchezza del pane: l'uno non impediva l'altro, né il vedere Dio e uomo in
quello pane, né quel pane era impedito da me, cioè che non gli era tolto né la
bianchezza né il toccare né il sapore.
Questo fu mostrato
a te da la mia bontá, come detto t'ho. A cui rimase il vedere? A l'occhio de
('intellecto con la pupilla della sanctissima fede; si che nell'occhio de l'intelletto
debba essere il principale vedere, però che egli non può essere ingannato.
Adunque con esso dovete raguardare questo sacramento. Chi el tocca? la mano de
l'amore. Con questa mano si tocca quello che l'occhio ha veduto e cognosciuto
in questo sacramento. Per fede il tocca con la mano de l'amore, quasi
certificandosi di quello che per fede vide e cognobbe intellectualmente. Chi ci
gusta? el gusto del sancto desiderio. El gusto del corpo gusta ci sapore del
pane; ed il gusto de l'anima, cioè il sancto desiderio, gusta Dio e uomo. Si
che vedi che ' sentimenti del (227) corpo sonno ingannati, ma none il
sentimento de l'anima: anco n'è chiarificata e certificata in se medesima,
perché l'occhio de l’ intellecto l'ha veduto con la pupilla del lume della sanctissima
fede. Perché ‘l vidde e il cognobbe, però ci tocca con la mano de
l'amore, però che quello che vide il tocca per amore con fede. E col gusto de
l'anima, con l’affocato desiderio ci gusta, cioè l’affocata mia carità, amore
ineffabile. Col quale amore l'ho fatta degna di ricevere tanto misterio di
questo sacramento, e la grazia che in esso sacramento si vede ricevere. Si che
vedi che non solamente col sentimento corporale dovete ricevere e vedere questo
sacramento, ma col sentimento spirituale, disponendo e' sentimenti de l'anima
con affetto d'amore a vedere, ricevere e gustare questo sacramento, come detto
t'ho.
Alto del documento
228
— Raguarda,
carissima figliuola, in quanta excellenzia sta l'anima ricevendo, come debba
ricevere, questo pane della vita, cibo degli angeli. Ricevendo questo
sacramento, sta in me e Io in lei; si come il pesce sta nel mare e il mare nel
pesce, cosí lo sto ne l'anima e l'anima in me, mare pacifico. In essa anima
riniane la grazia, perché, avendo ricevuto questo pane della vita in grazia,
rimane la grazia, consumato quello accidente del pane. Io vi lasso la imprompta
della grazia mia si come il suggello che si pone sopra la cera calda:
partendosi e levando el suggello, vi rimane la imprompta d'esso suggello. Cosí
la virtú di questo sacramento vi rimane ne l'anima, cioè che vi rimane il caldo
della divina carità, clemenzia di Spirito sancto. Rimanvi ci lume della
sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo, illuminato l'occhio de l'intelletto in
essa sapienzia a cognoscere e a vedere la dottrina della mia Verità ed essa
sapienzia. Rimane forte, participando della fortezza mia e potenzia, facendola
forte e potente (228) contra la propria passione sua sensitiva, contra le
dimonia e contra’l mondo. Si che vedi che le rimane la imprompta, levato
che ‘l suggello s'è; cioè che, consumata quella materia, cioè gli
accidenti del pane, questo vero Sole si ritorna a la ruota sua; non che fusse
staccato, come decto t'ho, ma unito insieme con meco. Ma l'abisso della mia
carità, per vostra salute e per darvi cibo in questa vita, dove sète perregrini
e viandanti, acciò che aviate refrigerio e non perdiate la memoria del
benefizio del Sangue, ve l'ha dato in cibo per mia dispensazione e divina
providenzia, sovenendo a' vostri bisogni dandovelo in cibo questa mia dolce
Verità, come decto t'ho.
Si che mira quanto
sète tenuti e obligati a me a rendarmi amore, poi che lo tanto v'amo, e perché
Io so' somma ed etterna bontá, degno d'essere amato da voi.
Alto del documento
— O carissima
figliuola, tucto questo t'ho decto acciò che tu meglio cognosca la dignità dove
Io ho posti e' miei ministri, acciò che piú ti doglia delle miserie loro. Se
essi medesimi raguardassero la loro dignità, non giacerebbero nella tenebre del
peccato mortale né lordarebbero la faccia de l'anima loro. E non tanto che essi
offendessero me e la loro dignità, ma, se dessero el corpo loro ad ardere, non
lo' parrebbe potere satisfare a tanta grazia e a tanto benefizio quanto hanno
ricevuto, però che a maggiore dignità in questa vita non possono venire.
Essi sonno e' miei
unti, e chiàmoli e' miei « cristi », perché l'ho dato a ministrare me a voi.
Questa dignità non ha l'angelo, ed holla data agli uomini: a quelli che Io ho
electi per miei ministri, e' quali ho posti come angeli, e debbono essere
angeli terrestri in questa vita, però che debbono essere come angeli. In ogni
(229) anima richieggio purità e carità, amando me e il proximo suo, e sovenendo
il proximo di quello che può, ministrandoli l'orazione e stando nella
dileczione della carità, si come in un altro luogo sopra questa materia lo ti
narrai. Ma molto maggiormente Io richieggio purità ne' miei ministri e amore
verso di me e del proximo loro, ministrando lo' el Corpo e’l Sangue de
l'unigenito mio Figliuolo con fuoco di caritá e fame della salute de l'anime,
per gloria e loda del nome mio.
Si come essi
ministri vogliono la nectezza del calice dove si fa questo sacrifizio, cosí
richeggio Io la purità e nectezza del cuore, de l'anima e della mente loro. E
il corpo, si come strumento de l'anima, voglio che si conservi in perfecta
purità; e non voglio che si notrichino né involgano nel loto della immondizia,
né siano infiati per superbia cercando le grandi prelazioni, né crudeli verso
di loro e del proximo, però che la crudeltá loro non possono usarla senza el
proximo loro. Perché, se essi sonno crudeli a loro di colpa, sonno crudeli a
l’anime de' proximi loro, perché non lo' dànno exemplo di vita né si curano di
trare l'anime delle mani del dimonio, né di ministrar lo' el Corpo e’l
Sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e me vera luce, come decto t'ho,
negli altri sacramenti della sancta Chiesa. Si che, se essi sonno crudeli a
loro, sonno crudeli in altrui.
Alto del documento
— Voglio che siano
larghi e non avari, cioè che per cupidità e avarizia vendano la grazia mia
dello Spirito sancto. Non debbono fare, né Io voglio che faccino cosf : anco,
come di dono e larghezza di caritá hanno ricevuto da la bontá mia, cosi in dono
e in cuore largo, per affecto d'amore verso l'onore mio e salute de l'anime,
debbono donare caritativamente a ogni creatura che ha in sé ragione, che
umilemente l’adimandi. E non (230) debbono tollere alcuna cosa per prezzo, però
che non l'hanno comprata, ma ricevuta per grazia da me perché ministrino a voi;
ma ben possono e debbono tollere per limosina. E cosí debba fare il subdito che
riceve: che debba da la parte sua, quando egli può, dare per limosina; però che
essi debbono essere pasciuti da voi delle cose temporali, sovenendo alla
necessità loro. E voi dovete essere pasciuti e notricati da loro della grazia e
doni spirituali, cioè de' sancti sacramenti che lo ho posti nella sancta
Chiesa, perché ve li ministrino in vostra salute.
E fovi a sapere
che, senza veruna comparazione, donano piú a voi che voi a loro; però che
comparazione non si può ponere da le cose finite e transitorie, delle quali
sovenite loro, a me, Dio, che so' infinito, el quale per mia providenzia e
divina caritá ho posti loro che il ministrino a voi. E non tanto di questo
misterio, ma di qualunque cosa si sia, e da qualunque creatura vi fusse
ministrato grazie spirituali, o per orazione o per alcuna altra cosa; con tutte
le vostre substanzie temporali non agiongono né potrebbero agiognere a quello
che ricevete spiritualmente, senza veruna comparazione.
Ora ti dico che la
substanzia, che essi ricevono da voi, essi sonno tenuti di distribuirla in tre
modi, cioè farne tre parti l'una per la vita loro, l'altra a' poveri e l'altra
mettere nella Chiesa nelle cose che sonno necessarie; e per altro modo no.
Facendone altrementi, offenderebbero me.
Alto del documento
— Questo facevano
e' dolci e gloriosi ministri, de' quali Io ti dixi ché volevo che vedessi
l’excellenzia loro, oltre a la dignità che Io l'avevo data avendoli facci miei
cristi, si come Io ti dixi. Exercitando in virtú questa dignità, sonno vestiti
di questo dolce e glorioso Sole el quale Io lo' diei a ministrare. Raguarda
(231) Gregorio dolce, Silvestro e gli altri antecessori e subcessori che sonno
seguitati doppo el principale pontefice Pietro, a cui furono
date le chiavi del regno del cielo da la mia
Verità, dicendo: «Pietro, Io ti do le chiavi del regno del cielo; e cui tu
scioglierai ín terra sarà sciolto in cielo, e cui tu legarai in terra sarà
legato in cielo ».
Attende, carissima
figliuola, che, manifestandoti l’excellenzia delle virtú di costoro, lo piú
pienamente ti mostrarrò la dignità nella quale Io ho posti questi miei
ministri. Questa è la chiave del sangue de l'unigenito mio Figliuolo. La quale
chiave diserrò vita etterna, che grande tempo era stata serrata per lo peccato
d'Adam; ma poi che Io vi donai la Verità mia, cioè il Verbo de l'unigenito mio
Figliuolo, sostenendo morte e passione, con la morte sua destrusse la morte
vostra, facendovi bagno del sangue suo. Sí che ‘l sangue e morte sua, ed
in virtú della natura mia divina unita con la natura umana, diserroe vita
etterna. A cui ne lassoe le chiavi di questo Sangue? Al glorioso apostolo
Pietro e a tutti gli altri, che so' venuti o verranno di qui a l'ultimo di del
giudicio; si che tutti hanno e avaranno quella medesima auctorità che ebbe
Pietro. E per neuno loro difetto non diminuisce questa auctorità, né tolle la
perfeczione al Sangue né ad alcuno sacramento, perché giá ti dixi che questo
Sole per neuna immondizia si lordava, e non perde la luce sua per tenebre di
peccato mortale che fusse in colui che ‘l ministra o in colui che ‘l
riceve: però che la colpa sua neuna lesione a' sacramenti della sancta
Chiesa può fare, né diminuire la virtú in loro; ma ben diminuisce la grazia, e
cresce la colpa in colui che ‘l ministra e in colui che ‘l riceve
indegnamente.
Si che Cristo in
terra tiene le chiavi del Sangue, si come, se ben ti ricorda, lo tel manifestai
in questa figura, volendoti mostrare quanta reverenzia e' secolari debbono
avere a questi ministri, o buoni o gattivi che siano, e quanto mi spiaceva la
inreverenzia. Sai che lo ti posi el corpo mistico della sancta Chiesa quasi in
forma d'uno cellaio, nel quale cellaio era il sangue de l'unigenito mio
Figliuolo; nel quale sangue vagliono tutti e' sacramenti, e hanno vita in virtú
di questo sangue. A la (232) porta di questo cellaio era Cristo in terra, a cui
era commesso a ministrare el Sangue, e a lui stava di mectere i ministratori
che l’aitassero a ministrare per tucto l'universale corpo della religione
cristiana. Chi era acceptato e unto da lui n'era facto ministro, e altri no. Da
costui esce tucto l'ordine chericato, e messili, ciascuno ne l'offizio suo, a
ministrare questo glorioso Sangue. E come egli gli ha messi per suoi aitatori,
cosí a lui tocca el correggerli de' difecti loro; e cosí voglio che sia, che,
per l’excellenzia ed auctorità che Io l'ho data, Io gli ho tracti della
servitudine, cioè subieczione della signoria de' signori temporali. La legge
civile non ha a fare cavelle con la legge loro in punizione; ma solo in colui
che è posto a signoreggiare e a ministrare nella legge divina. Questi sono e'
miei unti, e però dixi per la Scriptura: « Non vogliate toccare e' cristi miei
». Unde a maggiore ruina non può venire l'uomo che se ne fa punitore.
Alto del documento
CXVI. Come la persecuzione,
che si fa a la sancta Chiesa o vero a' ministri, Dio la reputa facta a sé, e
come questa colpa piú è grave che neuna altra.
— E se tu mi
dimandassi per che cagione Io ti mostrai che piú era grave la colpa di coloro
che perseguitavano la sancta Chiesa che tucte l'altre colpe commesse, e perché
per li loro difecti Io non volevo che la reverenzia verso di loro diminuisse,
Io ti rispondarei e rispondo: perché ogni reverenzia che si fa a loro, non si
fa a loro, ma a me, per la virtú del Sangue che Io l'ho dato a ministrare.
Unde, se non fusse questo, tanta reverenzia avareste a loro quanta agli altri
uomini del mondo, e non piú. E per questo ministerio sète costrecti a far lo'
reverenzia; e a le loro mani vi conviene venire, non a loro per loro, ma per la
virtú che Io ho data a loro, se volete ricevere i sancti sacramenti della
Chiesa; però che, potendoli avere e non volendogli, sareste e morreste in stato
di dannazione.
Si che la
reverenzia è mia e di questo glorioso Sangue (che siamo una medesima cosa per
l'unione della natura divina con (233) la natura umana, come decto è), e non
loro. E si come la reverenzia è mia, cosí la inreverenzia: ché giá t'ho decto
che la reverenzia non dovete fare a loro per loro, ma per l’auctorità che lo ho
data a loro. E cosí non debbono essere offesi, però che, offendendo loro,
offendono me e non loro. E giá l'ho vetato, e decto che i miei cristi — non
voglio che sieno toccati per le loro mani; e per questo neuno si può scusare
dicendo: — Io non fo ingiuria né so' ribello a la sancta Chiesa, ma follo a'
difecti de' gactivi pastori. — Questi mente sopra el capo suo e, come aciecato
dal proprio amore, non vede; ma elli vede bene, ma fa vista di non vedere per
ricoprire lo stimolo della coscienzia sua. Vedrebbe, e vede, che egli
perseguita el Sangue e non loro. Mia è l'ingiuria, si come mia era la
reverenzia. E cosí è mio ogni danno: scherni, villanie, obrobrio e vitoperio,
che fanno a loro; cioè che reputo facto a me quel che fanno a loro, perché Io
lo' dixi e dico che i miei cristi non voglio che sieno toccati da loro. Io gli
ho a punire, e non eglino. Ma eglino dimostrano, gl'iniqui, la inreverenzia che
essi hanno al Sangue, e che poco tengono caro el tesoro che Io l'ho dato in
salute e in vita de l’anime loro.
Piú non potavate
ricevere che darmivi tucto Dio e uomo in cibo, sí come Io t’ho decto. Ma perché
la reverenzia non era facta a me per mezzo di loro, però l'hanno diminuita
perseguitandoli, vedendo in loro molti peccati e difecti, si come, in un altro
luogo, de' difecti loro Io ti narraroe. Se in veritá avessero avuta questa
reverenzia in loro per me, non sarebbe levata per neuno difecto loro, perché
non diminuisce, come decto è, la virtú di questo sacramento per neuno difecto.
E però non debba diminuire la reverenzia; e quando diminuisce, n'offendono me.
E però m'è piú
grave questa colpa che tucte l'altre, per molte ragioni: ma tre principali te
ne dirò. L'una si è perché quello che fanno a loro fanno a me. L'altra si è
perché trapassano el comandamento: perché giá l'ho vetato che non gli tocchino;
unde spregiano la virtú del Sangue che trassero del sancto baptesmo, perché
essi disobediscono facendo quel che l’è vetato. E so' ribelli a questo Sangue,
perché hanno levata (234) la reverenzia, e levatisi con la grande persecuzione.
Essi sonno come membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta Chiesa;
unde, mentre ché stessero obstinati in questa rebellione e inreverenzia,
morendo con essa, giongono a l’etterna dapnazione. É vero che, giognendo a
l'extremità, umiliandosi e cognoscendo la colpa loro, volendosi reconciliare
col loro capo e non potendo attualmente, riceve misericordia: poniamo che non
debba però aspettare il tempo, perché non è securo d'averlo. L'altra si è
perché la loro colpa è piú aggravata che tutte l'altre, perché egli è peccato
facto per propria malizia e con deliberazione, e cognoscono che con buona
coscienzia essi noi possono fare; e, facendolo, offendono. Ed è offesa con una
perversa superbia, senza diletto corporale; anco si consumano l'anima e’l
corpo: l'anima si consuma privata della grazia, e spesse volte lo' rode
il vermine della coscienzia; la sustanzia temporale si consuma in servigio del
dimonio, e i corpi ne sonno morti come animali.
Si che questo
peccato è facto propriamente a me, ed è facto senza colore di propria utilitá o
diletto alcuno, se non con malizia e fummo di superbia, la quale superbia
nacque dal proprio amore sensitivo, e da quello timore perverso che ebbe Pilato
che, per timore di non perdere la signoria, uccise Cristo unigenito mio
Figliuolo. Cosí hanno facto e fanno costoro.
Tucti gli altri
peccati sonno fatti o per simplicità o per ignoranzia di non cognoscere, o per
malizia, cioè che cognosce il male che egli fa, ma per lo disordinato diletto e
piacere che ha in esso peccato, o per alcuna utilitá che vi trovasse, offende,
e, offendendo, fa dapno e offende l'anima sua, e offende me e il proximo suo.
Me, perché non rende gloria e loda al nome mio; el proximo, perché non gli
rende la dileczione della caritá. Ma egli non mi percuote attualmente che la
faccia propriamente a me, ma offende sé; la quale offesa mi dispiace per lo
dapno suo. Ma questa è offesa fatta a me proprio, senza mezzo. Gli altri
peccati hanno alcuno colore e sonno fatti con alcuno colore e sonno fatti con mezzo,
perché Io ti dixi che ogni peccato si faceva col mezzo del proximo, e ogni
virtú: el peccato si fa per (235) la privazione della caritá di me, Dio, e del
proximo; e la virtú con la dileczione della carità: offendendo il proximo,
offendono me col mezzo di loro. Ma perché tra le mie creature che hanno in loro
ragione lo ho eletti questi miei ministri, e' quali sonno e' miei unti, si come
lo ti dixi, ministratori del corpo e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo,
carne vostra umana unita con la natura mia divina, unde, consecrando, stanno in
persona di Cristo mio Figliuolo; si che vedi che questa offesa è facta a questo
Verbo; ed essendo fatta a lui, è fatta a me, perché siamo una medesima cosa.
Questi miserabili
perseguitano el Sangue e privansi del tesoro e del frutto del Sangue. Unde ella
m'è piú grave questa offesa, fatta a me e non a' ministri, perché loro non
reputo ne debba essere né l'onore né la persecuzione; anco a me, cioè a questo
glorioso sangue del mio Figliuolo, che siamo una medesima cosa, come detto
t'ho. Unde lo ti dico che, se tutti gli altri peccati che essi hanno commessi
fussero da l'uno lato, e questo solo da l'altro, mi pesa piú questo uno che gli
altri, per lo modo che detto t'ho, si come lo tel manifestai, acciò che tu
avessi piú materia di dolerti de l'offesa mia e della dapnazione di questi
miserabili, acciò che col dolore e con l’amaritudine tua e degli altri servi
miei, per mia bontá e misericordia, si dissolvesse tanta tenebre quanta è
venuta in questi membri putridi, tagliati dal corpo mistico della sancta
Chiesa.
Ma lo non truovo
quasi chi si doglia della persecuzione che è fatta a questo glorioso e prezioso
Sangue: ma truovo bene chi mi percuote continuamente con le saette del
disordinato amore e timore servile, e con la propria reputazione, come
aciecati, recandosi a onore quello che l'è a vitoperio, e a vitoperio quello
che l'è onore, cioè d'aumiliarsi al capo loro. Per questi difetti si sonno
levati e levano a perseguitare il Sangue.
Alto del documento
236
— Perché ti dixi
che mi percotevano, e cosí è la veritá. In quanto la intenzione loro mi
percuotono con quello che possono: none che Io in me possa ricevere alcuna
lesione né essere
percosso da loro; ma Io fo come la pietra che,
gictandole il colpo, nol riceve, ma torna verso colui che ‘l gicta. Cosí
le percosse de l'offese loro, le quali gictano puzza, a me non possono nuocere,
ma ritorna a loro la sancta avelenata della colpa. La quale colpa in questa
vita gli priva della grazia, perdendo el fructo del Sangue; e ne l'ultimo, se
essi non si correggono con la sancta confessione e contrizione del cuore,
giongono a l'etterna dapnazione, tagliati da me e legati col dimonio. E hanno
facta lega insieme, perché, subbito che l'anima è privata della grazia, è
legata nel peccato d'odio della virtú e amore del vizio. El quale legame hanno
posto col libero arbitrio nelle mani delle dimonia, e con esso gli lega, però
che in altro modo non potrebbero essere legati.
Con questo legame
si sonno legati e' persecutori del Sangue l'uno con l'altro, e' come membri
legati col dimonio, hanno preso l'offizio delle dimonia. Le dimonia s'ingegnano
di pervenire le mie creature e trarle della grazia e riducerle a la colpa del
peccato mortale, acciò che di quel male che essi hanno in loro medesimi, di
quello abbino le creature. Cosí fanno questi cotali, né piú né meno: però che,
si come membri del dimonio, vanno subvertendo e' figliuoli della Sposa di
Cristo unigenito mio Figliuolo, e sciogliendoli dal legame della caritá e
legandoli nel miserabile legame, privati del fructo del Sangue con loro
insieme. Legame annodato col nodo della superbia e con la propria reputazione,
col nodo del timore servile; che, per timore di non perdere le signorie
temporali, perdono la grazia e caggiono nella maggiore confusione che venire
possino, essendo privati della dignità del Sangue. Questo legame è suggellato
col (237) suggello della tenebre, però che essi non cognoscono in quanti
inconvenienti e miserie essi sonno caduti e fanno cadere altrui, e però non si
correggono, perché non el cognoscono, ma come aciecati si gloriano della loro
destruczione de l'anima e del corpo.
O carissima
figliuola, duolti inextimabilmente di vedere tanta ciechità e miseria in coloro
che sono lavati nel Sangue come tu, e nutricatisi e allevatisi d'esso Sangue al
pecto della sancta Chiesa; e ora, come ribelli, per timore e socto colore di
correggere e' difecti de' ministri miei (de' quali lo ho vetato eh' Io non
voglio che siano toccati da loro), si si sonno partiti da questo pecto. Unde
terrore ti debba venire, a te e agli altri servi miei, quando odi ricordare
questo cosí facto miserabile legame. La lingua tua non sarebbe sufficiente a
potere narrare quanto m'è abominevole: e peggio è che col mantello del difecto
de' ministri miei si vogliono amantellare e ricoprire i difecti loro; e non
pensano che con neuno mantello si possono riparare a l'occhio mio ch' Io nol
vegga. Potrebbersi bene nascondere a l'occhio della creatura, ma none a me, che
non tanto che sieno nascoste a me le cose presenti, ma neuna cosa a me è
nascosa. Io v'amai e vi cognobbi prima che voi fuste.
E questa è una
delle cagioni ch'e' miserabili uomini del mondo non si correggono, perché in
veritá col lume della fede viva non credono ch' Io li vegga. Però che, se essi
credessero in veritá che lo veggo e' difecti loro, e che ogni difecto è punito,
come ogni bene è remunerato, si come in un altro luogo ti dixi, non farebbero
tanto male, ma correggerebbersi di quello che hanno facto e dimandarebbero
umilemente la misericordia mia. E Io, col mezzo del sangue del mio Figliuolo,
lo' farei misericordia. Ma essi sono come obstinati e riprovatisi da la mia
bontá per li difecti loro, e caduti ne l'ultima ruina, per li loro difecti,
d'essere privati del lume, e come ciechi sono facci persecutori del Sangue. La
quale persecuzione non debba essere facta per alcuno difecto che si vedesse ne'
ministri del Sangue.
Alto del documento
238
— Hotti narrato,
carissima figliuola, alcuna cosa della reverenzia che si debba fare a' miei
unti, non obstante i difecti loro; perché la reverenzia non è facta né debba
essere facta a loro per loro, ma per l'auctorità che lo ho data a loro. E
perché per li difecti loro el misterio del sacramento non può diminuire né
essere diviso, non debba venire meno la reverenzia verso di loro: non per loro,
come decto è, ma per lo tesoro del Sangue.
Facendo el
contrario, hotti mostrato alcuna piccola cosa (per rispecto che ella è) quanto
egli è grave e spiacevole a me e dapno a loro la inreverenzia e persecuzione
del Sangue, e il legame facto contra a me, che essi hanno facto e fanno
insieme, legati in servizio del dimonio; acciò che tu piú ti doglia.
Questo è uno
difecto el quale particularmente Io t’ho narrato per la persecuzione della
sancta Chiesa. E cosí ti dico generalmente della religione cristiana: che,
stando in peccato mortale, spregiano el Sangue privandosi della vita della
grazia. Questo mi dispiace, ed è grave colpa la loro, di quelli che narrato
t'ho particularmente, sí come decto è.
Alto del documento
— Ora, per dare un
poco di refrigerio a l'anima tua, mitigarò el dolore della tenebre di questi
miserabili subditi con la vita sancta de' miei ministri, de' quali Io ti dixi
che aveano la condiczione del sole; si che con l'odore delle loro virtú mitiga
la puzza, e con la luce loro la tenebre. E anco con questa luce (239) meglio
vorrò che tu cognosca la tenebre e il difecto de' ministri miei, de' quali Io
ti dixi.
Apre l'occhio de l'
intellecto tuo, e raguarda in me, sole di giustizia; e vedrai e' gloriosi
ministri e' quali, avendo ministrato el Sole, hanno presa la condiczione del
Sole, si come Io ti contai di Pietro, el principe degli appostoli, el quale
ricevette le chiavi del reame del cielo. Cosí ti dico degli altri che in questo
giardino della sancta Chiesa hanno ministrato el Lume, cioè il Corpo e il
Sangue de l'unigenito mio Figliuolo (Sole unito e non diviso come decto è), e
tucti e' sacramenti della sancta Chiesa, e' quali tucti vagliono e dànno vita
in virtú del Sangue; ogniuno posto in diversi gradi, secondo lo stato suo, a
ministrare la grazia dello Spirito sancto. Con che l'hanno ministrata? col lume
della grazia che hanno tracta da questo vero lume.
Questo lume è egli
solo? No, però che egli non può essere solo el lume della grazia, né può essere
diviso: anco si conviene o che egli l'abbi tucto o nonne mica. Chi sta in
peccato mortale, esso facto, è privato del lume della grazia; e chi ha la
grazia ha illuminato l'occhio de l' intellecto suo in cognoscere me, che gli ho
data la grazia e la virtú che conserva la grazia. E cognosce in esso lume la
miseria del peccato e la cagione del peccato, cioè il proprio amore sensitivo,
e però e' l'odia, e odiandolo riceve il caldo della divina caritá ne l’affecto
suo, perché l’affecto va dietro a l' intellecto. Riceve il colore di questo
glorioso lumei seguitando la doctrina della dolce mia Verità; unde la memoria
sua s'è impita nel ricordamento del benefizio del Sangue.
Si che vedi che non
può ricevere il lume che non riceva el caldo e il colore, perché sonno uniti
insieme e sono una medesima cosa. E cosí non può, si com' Io ti dixi, avere una
potenzia de l'anima ordinata a ricevere me, vero Sole, che tucte e tre non siano
ordinate e congregate nel nome mio. Però che subbito che l'occhio de
l'intellecto col lume della fede si leva sopra el vedere sensitivo speculandosi
in me, l’affecto gli va dietro amando quello che l' intellecto vidde e
cognobbe, e la memoria s'empie di quello che l’affecto ama. E subbito che elle
sonno disposte, participa me, Sole, illuminandolo nella (240) potenzia mia e
nella sapienzia de l'unigenito mio Figiliulo, e nella clemenzia del fuoco dello
Spirito sancto.
Si che vedi che
essi hanno presa la condíczione del sole, cioè che, essendo vestiti e piene le
potenzie de l'anima loro di me, vero Sole, come decto t'ho, fanno come il sole.
El sole scalda e illumina, e col caldo suo fa germinare la terra: cosí questi
miei dolci ministri, electi e unti e messi nel corpo mistico della sancta
Chiesa a ministrare me, Sole, cioè il Corpo e il Sangue de l'unigenito mio
Figliuolo con gli altri sacramenti e' quali hanno vita da questo Sangue, essi
el ministrano actualmente e ministrarlo mentalmente, cioè rendendo lume nel
corpo mistico della sancta Chiesa. Lume di scienzía sopranaiurale col colore
d'onesta e sancta vita, cioè seguitando la doctrina della mia Verità, e
ministrano el caldo de l'ardentissima caritá. Unde col caldo loro facevano
germinare l'anime sterili, illuminandole col lume della scienzia, e con la vita
loro sancta e ordinata cacciavano la tenebre de' peccati mortali e di molta
infidelità, e ordinavano la vita di coloro che disordenatamente vivevano in
tenebre di peccato e in freddezza per la privazione della caritá. Si che vedi
che essi sonno sole, perché hanno presa la condiczione del sole da me, vero
Sole, perché per affecto d'amore son facti una cosa con meco e Io con loro, si
come Io in un altro luogo ti narrai.
Ogniuno ha dato,
secondo lo stato suo che Io l'ho electo, lume nella sancta Chiesa. Pietro con
la predicazione e doctrina e ne l'ultimo col sangue; Gregorio con la scienzia e
sancta Scriptura e con especchio di vita; Silvestro contra gl'infedeli e
maximamente con la disputazione e provazione che fece della sanctissima fede in
parole e in facti, ricevendo la virtú da me. Se tu ti vòlli ad Agustino e al
glorioso Tomaso, Ieronimo e gli altri, vedrai quanto lume hanno gictato in
questa Sposa, extirpando gli errori, si come lucerne poste in sul candelabro,
con vera e perfecta umilità. E, come affamati de l'onore mio e salute de
l'anime, questo cibo mangiavano con dilecto in su la mensa della sanctissima
croce: e' martiri col sangue, el quale sangue gictava odore nel cospecto mio e
con l'odore del sangue e delle virtú e col lume della scienzia facevano fructo
in questa (241) Sposa, dilatavano la fede; e' tenebrosi venivano al lume, e
riluceva in loro el lume della fede; e' prelati, posti nello stato
della prelazione da Cristo in terra, mi
facevano sacrifizio di giustizia con sancta e onesta vita; la margarita della
giustizia, con vera umilità e ardentissima carità, col lume della discrezione,
riluceva in loro e ne' loro subditi : in loro principalmente, però che
giustamente rendevano a me il debito mio, cioè rendendo gloria e loda al nome
mio; a sé rendevano odio e dispiacimento della propria sensualità, spregiando
e' vizi e abbracciando le virtú con la caritá mia e del proximo loro. Con
umilità conculcavano la superbia, e andavano come angeli a la mensa de
l'altare; con purità di cuore e di corpo e con sincerità di mente celebravano,
arsi nella fornace della caritá. E perché prima avevano facta giustizia di
loro, però facevano giustizia de' subditi, volendoli veder vivere
virtuosamente, e correggevangli senza veruno timore servile, perché non
actendevano a loro medesimi, ma solo a l'onore mio e a la salute de l'anime, si
come pastori buoni, seguitatori del buono Pastore, mia Verità, el quale lo vi
diei a governare voi pecorelle e volsi che ponesse la vita per voi. Costoro
hanno seguitato le vestigie sue, e però corressero e non lassàro imputridire e'
membri per non corregere; ma caritativamente correggevano con l'unguento della
benignità, e con l'asprezza del fuoco incendendo la piaga del difecto con la riprensione
e penitenzia, poco e assai secondo la gravezza del peccato. E per lo correggere
e dire la veritá non curavano la morte.
Questi erano veri ortolani, che con
sollicitudine e sancto timore divellevano le spine de' peccati mortali e
piantavano piante odorifere di virtú. Unde i subditi vivevano in sancto e vero
timore, e allevavansi come fiori odoriferi nel corpo mistico della sancta
Chiesa, perché correggevano senza timore servile, perché n'erano privati. E
perché in loro non era colpa di peccato, però tenevano la sancta giustizia,
riprendendo virilmente e senza veruno timore. Questa era ed è quella margarita,
in cui ella riluce, che dava pace e lume nelle menti delle creature e faceale
stare in sancto timore, ed e' cuori erano uniti. Unde Io voglio che tu (242)
sappi che per neuna cosa è venuta tanta tenebre e divisione nel mondo tra
secolari e religiosi, cherici e pastori della sancta Chiesa, se non solo perché
il lume della giustizia è mancato ed è venuta la tenebre della ingiustizia.
Neuno Stato si può
conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la
sancta giustizia, però che colui che non è correcto e non corregge fa come il
membro che è cominciato a infracidare, che, se ‘l gattivo medico vi pone
subbitamente l'unguento solamente e non incuoce la piaga, tucto il corpo
imputridisce e corrompe. Cosí el prelato, o altri signori che hanno subditi,
vedendo il membro del subdito loro essere infracidato per la puzza del peccato
mortale, se esso vi pone solo l'unguento della lusinga senza la reprensione,
non guarisce mai, ma guastarà l'altre membra, che gli sonno d'intorno legate in
uno medesimo corpo, cioè a uno medesimo pastore. Ma se elli sarà vero e buono
medico di quelle anime, si come erano questi gloriosi pastori, egli non darà
unguento senza fuoco della reprensione. E se il membro fusse pure obstinato nel
suo mal fare, el tagliarà dalla congregazione, acciò che non imputridisca gli
altri con la puzza del peccato mortale.
Ma essi non fanno
oggi cosí: anco fanno vista di non vedere. E sai tu perché? perché la radice de
l'amore proprio vive in loro, unde essi traggono il perverso timore servile;
però che, per timore di non perder lo Stato o le cose temporali o prelazione,
non correggono; ma e' fanno come aciecati, e però non cognoscono in che modo si
conserva lo Stato. Che se essi vedessero come egli si conserva per la sancta
giustizia, la manterrebbero. Ma perché essi sonno privati del lume, noi
cognoscono; ma, credendolo conservare con la ingiustizia, non riprendono e'
difecti de' subditi loro; ma ingannati sonno da la propria passione sensitiva e
da l'appetito della signoria o della prelazione.
E anco non
correggono, perché essi sonno in quelli medesimi difecti o maggiori. Sentonsi
compresi nella colpa, e però perdono l'ardire e la sicurtà; e, legati dal
timore servile, fanno vista di non vedere. E se pure veggono, non correggono;
anco (243) si lassano legare con le parole lusinghevoli e con molti presenti, e
essi medesimi truovano le scuse per non punirli. In costoro si compie la parola
che dixe la mia Verità, dicendo: « Costoro sono ciechi e guide de' ciechi ; e
se l'uno cieco guida l'altro, ambedue caggiono nella fossa ».
Non hanno facto né
fanno cosí quegli che sonno stati (o se alcuno ne fusse) miei dolci ministri,
de' quali Io ti dixi che avevano la proprietà e condiczione del sole. E
veramente sonno sole, come decto t'ho, però che in loro non è tenebre di
peccato né ignoranzia, perché seguitano la doctrina della mia Verità; né sonno tiepidi,
però che essi ardono nella fornace della mia carità, e sonno spregiatori delle
grandezze e stati e delizie del mondo: e però non temono di correggere. Ché chi
non appetisce la signoria o la prelazione, non temono di perderla, ma
riprendono virilmente; ché chi non si sente ripresa la coscienzia da la colpa,
non teme.
E però non era
tenebrosa questa margarita negli unti e cristi miei, de' quali Io t’ho narrato;
anco era lucida, ed erano abbracciatori della povertà voluntaria e cercavano la
viltà con umilità profonda. E però non curavano né scherni né villanie né
detraczioni degli uomini né ingiuria né obrobri né pena né tormento. Essi erano
bastemmiati, e eglino benedicevano, e con vera pazienzia portavano si come
angeli terrestri e piú che angeli: non per natura, ma per lo misterio e grazia
data a loro, sopranaturale, di ministrare il Corpo e ‘l Sangue de
l'unigenito mio Figliuolo.
E veramente sonno
angeli, però che, come l'angelo che Io do a vostra guardia vi ministra le
sancte e buone spirazioni, cosí questi ministri erano angeli, e cosí
dovarebbero essere: dati a voi da la mia bontá a vostra guardia. E però essi
continuamente tenevano l'occhio sopra e' subditi loro sí come veri guardiani,
spirando ne' cuori loro sancte e buone spirazioni cioè che per loro offerivano
dolci e amorosi desidèri dinanzi a me con continua orazione, con la doctrina
della parola e con l’exemplo della vita. Si che vedi che essi sonno angeli
posti da l’affocata mia caritá come lucerne nel corpo mistico della (244)
sancta Chiesa per vostra guardia, acciò che voi, ciechi, abbiate guida che vi
dirizzi nella via della veritá, dandovi le buone spirazioni, con orazioni ed
exemplo di vita e dottrina, come detto è.
Con quanta umilità
governavano e conversavano co' subditi loro! Con quanta speranza e fede viva
che non curavano né temevano che a loro né a' subditi loro venisse meno la
substanzia temporale; e però con larghezza distribuivano a' poveri la
substanzia della sancta Chiesa! Unde essi observavano a pieno quello che erano
tenuti e obligati di fare, cioè di distribuire la substanzia temporale, a la
loro necessità, a' poveri e nella sancta Chiesa. Essi non facevano diposito, e
doppo la morte loro non rimaneva la molta pecunia: anco erano alcuni che, per
li poveri, lassavano la Chiesa in debito. Questo era per la larghezza della
loro caritá e della speranza che avevano posta nella providenzia mia. Erano
privati del timore servile, e però non temevano che alcuna cosa lo' venisse
meno, né spirituale né temporale.
Questo è il segno
che la creatura spera in me e non in sé: cioè quando ella non teme di timore
servile. Ma coloro che sperano in loro medesimi sonno quegli che temono e hanno
paura de l'ombra loro, e dubbitano che non lo' venga meno el cielo e la terra.
Con questo timore e perversa speranza che pongono nel loro poco sapere,
pigliano tanta miserabile sollicitudine in acquistare e in conservare le cose
temporali, che pare che le spirituali si pongano doppo le spalle, e non si
truova chi se ne curi.
Ma e' non pensano,
e' miserabili, infedeli e superbi, che Io so' solo Colui che proveggo in tutte
quante le cose che sono di necessità a l'anima e al corpo; benché con quella
misura che voi sperate in me, con quella vi sarà misurata la providenzia mia.
E' miserabili presumptuosi non raguardano che Io so' Colui che so', ed essi
sonno quegli che non sono: l'essere loro hanno ricevuto da la mia bontá e ogni
grazia che è posta sopra l'essere. E però invano si può colui reputare
affadigarsi che guarda la città, se ella non è guardata da me. Vana sarà ogni
sua fadiga, se egli per sua fadiga la crede guardare o per sua sollicitudine:
però che solo Io la guardo. È vero che l'essere e le (245) grazie che Io ho
poste sopra l'essere vostro voglio che nel tempo l’exercitiate in virtú, usando
el libero arbitrio, che Io v'ho dato, col lume della ragione. Però che Io vi
creai senza voi, ma senza voi non vi salvarò.
Io v'amai prima che
voi fuste; e questo videro e cognobbero questi miei diletti. E però m'amavano
ineffabilemente e, per l'amore che essi avevano, speravano con tanta larghezza
in me e in neuna cosa temevano. Non temeva Silvestro, quando stava dinanzi a l'
imperadore Gostantino disputando con quegli dodici giuderi dinanzi a tutta la
turba; ma con fede viva credeva che, essendo lo per lui, neuno sarebbe contra
lui. E cosí tutti gli altri perdevano ogni timore, perché non erano soli, ma
acompagnati; però che, stando nella dileczione della carità, stavano in me, e
da me acquistavano el lume della sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo; da me
ricevevano la potenzia, essendo forti e potenti contra e' principi e tiranni
del mondo; e da me avevano el fuoco dello Spirito sancto, participando la
clemenzia e l’affocato amore d'esso Spirito sancto. Questo amore era ed è
acompagnato, a chi el vuole participare, col lume della fede, con la speranza,
con la fortezza, con pazienzia vera e con longa perseveranzia infino a l'ultimo
della morte. Si che vedi che non erano soli, ma erano acompagnati; e però non
temevano. Solamente colui che si sente solo, che spera in sé, privato della
dileczione della carità, teme: e ogni piccola cosa gli fa paura, perché è solo,
privato di me, che do somma sicurtà a l'anima che mi possiede per affetto
d'amore. Bene il provavano, questi gloriosi e diletti miei, che neuna cosa a
l'anime loro poteva nuocere: anco essi nocevano agli uomini e a le dimonia, e
spesse volte ne rimanevano legate per la virtú e potenzia che Io l'avevo data
sopra di loro. Questo era perch' Io rispondevo a l'amore, fede e speranza che
avevano posta in me.
La lingua tua non
sarebbe sufficiente a narrare le virtú di costoro, né l'occhio de l'intelletto
tuo a vedere il frutto che essi ricevono nella vita durabile, e riceverà
chiunque seguitarà le vestigie loro. Essi sonno come pietre preziose, e cosí
stanno nel cospetto mio, perch' Io ho ricevute le fadighe loro e il lume (245)
che essi gictarono e missero con l'odore della virtú nel corpo mistico della
sancta Chiesa. E però gli ho collocati nella vita durabile in grandissima
dignità, e ricevono beatitudine e gloria nella mia visione, perché diéro
exemplo d'onesta e sancta vita e con lume ministràro el Lume del Corpo e del
Sangue de l'unigenito mio Figliuolo e tutti gli altri sacramenti. E però sonno
molto singularmente amati da me, si per la dignità nella quale Io gli ho posti,
che sonno miei unti e ministri, e si perché il tesoro che lo lor missi nelle
mani non l'hanno sotterrato per negligenzia e ignoranzia: anco l'hanno
riconosciuto da me, e exercitatolo con sollicitudine e profonda umilità, con
vere e reali virtú. E perché Io in salute de l'anime gli avevo posti in tanta
excellenzia, non si ristavano mai, si come pastori buoni, di rimettere le
pecorelle ne l'ovile della sancta Chiesa. Unde essi per affetto d'amore e fame
de l'anime si mettevano a la morte per trarle delle mani delle dimonia.
Eglino infermavano,
cioè facendosi infermi con quegli che erano infermi; cioè che spesse volte per
non confóndare loro di disperazione, e per dar lo' piú larghezza di manifestare
la loro infermità, davano vista, dicendo: — Io so' infermo con teco insieme. —
Essi piangevano co' piangenti e godevano co' godenti, e cosí dolcemente
sapevano dare a ciascuno el cibo suo: i buoni conservando, e godendo delle loro
virtú, perché non si rodevano per invidia, ma erano dilatati nella larghezza della
caritá del proximo e de' subditi loro; e quegli che erano defectuosi traevano
del difetto, facendosi defectuosi e infermi con loro insieme (come detto è),
con vera e sancta compassione, e con la correczione e penitenzia de' difetti
loro commessi, facendo eglino per caritá la penitenzia con loro insieme. Cioè
che, per l'amore che essi avevano, portavano maggiore pena essi che la davano,
che coloro che la ricevevano. E alcuna volta erano di quelli che attualmente la
facevano, e spezialmente quando avessero veduto che al subdito fusse paruto
molto malagevole. Unde per quello atto la malagevolezza lo' tornava in
dolcezza.
O diletti miei!
essi si facevano subditi, essendo prelati; essi si facevano servi, essendo
signori; essi si facevano infermi, essendo (247) sani e privati della infermità
e lebbra del peccato mortale; essendo forti, si facevano debili; coi macti e
semplici si mostravano semplici, e co' piccoli, piccoli. E cosí con ogni
maniera di gente, per umilità e carità, sapevano essere, e a ciascuno davano el
cibo suo. Questo chi el faceva? la fame e il desiderio, che avevano conceputo
in me, de l'onore mio e salute de l'anime. Essi corrivano a mangiarlo in su la
mensa della sanctissima croce, non rifiutando labore né fuggivano alcuna
fadiga; ma, come zelanti de l'anime e bene della sancta Chiesa e dilatazione
della sancta fede, si mettevano tra le spine delle molte tribulazioni, e
mectevansi a ogni pericolo con vera pazienzia, gictando incensi odoriferi
d'ansietati desidèri e d'umile e continua orazione. Con le lagrime e sudori
ugnevano le piaghe de' proximi loro, cioè le piaghe della colpa de' peccati
mortali, unde ricevevano perfetta sanità, se essi umilemente ricevevano cosí
facto unguento.
Alto del documento
CXX. Repetizione in somma del precedente capitolo; e de la reverenzia che si
debba rendere a' sacerdoti, o buoni o rei che siano.
— Ora t'ho
mostrato, carissima figliuola, una sprizza de l'excellenzia loro: una sprizza,
dico, per rispetto di quello che ella è; e narrato della dignità nella quale Io
gli ho posti, perché gli ho eletti e fatti miei ministri. E per questa
auctorità e dignità che lo ho dato a loro, Io non voleva né voglio che sieno
toccati, per veruno loro difetto, per mano di secolari; e, toccandoli,
offendono me miserabilemente. Ma voglio che gli abbino in debita reverenzia:
non loro per loro, come detto t'ho, ma per me, cioè per l'autorità che Io l'ho
data. Unde questa reverenzia non debba diminuire mai perché in loro diminuisca
la virtú, né nei virtuosi de' quali Io t'ho narrato delle virtú loro e
postiteli ministratori del Sole, cioè del Corpo e del Sangue del mio Figliuolo
e degli altri sacramenti, però che questa dignità (248) tocca a' buoni e a'
gattivi : ogniuno l'ha a ministrare, colpe decto è.
Dixiti che questi
perfecti avevano la condiczione del sole; e cosí è, illuminando e scaldando,
per la dileczione della carità, e' proximi loro, e con questo caldo facevano
fructo e germinare le virtú ne l'anime de' subditi loro. Hocteli posti che essi
sono angeli; e cosí è la veritá: dati da me a voi per vostra guardia, perché vi
guardino e spirino le buone spirazioni ne' cuori vostri per sancte orazioni e
doctrina con specchio di vita, e che vi servano ministrandovi e' sancti
sacramenti, si come fa l'angelo che vi serve e guardavi e spira le buone e
sancte spirazioni in voi.
Si che vedi che,
oltre alla dignità nella quale Io gli ho posti, essendovi l'adornamento delle
virtú (si come di questi cotali Io t'ho narrato, e come tucti sonno tenuti e obligati
d'essere), quanto essi sonno degni d'essere amati! E doveteli avere in grande
reverenzia questi, che sonno dilecti figliuoli ed uno sole messo nel corpo
mistico della sancta Chiesa per le loro virtú. Però che ogni uomo virtuoso è
degno d'amore, e molto maggiormente costoro per lo ministerio che lo l'ho dato
in mano. Sí che, per virtú e per la dignità del sacramento, gli dovete amare: e
odiare dovete e' difecti di quegli che vivono miserabilmente; ma non però
farvene giudici, ché Io non voglio, perché sonno e' miei cristi, e dovete amare
e reverire l’auctorità che Io ho data a loro.
Voi sapete bene
che, se uno immondo e male vestito vi recasse uno grande tesoro del quale
traeste la vita, che per amore del tesoro e del signore che vel mandasse voi
non odiareste però el portatore, non obstante che egli fusse stracciato e
immondo. Dispiacerebbevi bene, e ingegnarestevi, per amore del signore, che si
levasse la immondizia e si rivestisse. Cosí dunque dovete fare per debito,
secondo l'ordine della carità, e voglio che voi el facciate, di questi cotali
miei ministri poco ordinati, che con inmondizia e col vestimento de' vizi,
stracciati per la separazione della carità, vi recano e' grandi tesori, cioè i
sacramenti della sancta Chiesa; da' quali sacramenti ricevete la vita (249)
della grazia, ricevendoli degnamente (non obstante che essi siano in tanto
difecto) per amore di me, Dio etterno, che ve
li mando, e per amore della vita della grazia
che ricevete dal grande tesoro ministrandovi tucto Dio e uomo, cioè il Corpo e
'l Sangue del mio Figliuolo, unito con la natura mia divina. Debbanvi
dispiacere e dovete odiare i difecti loro e ingegnarvi, con affecto di caritá e
con l'orazione sancta, di rivestirli, e con lagrime lavare la immondizia loro,
cioè offerirli dinanzi a me con lagrime e grande desiderio che Io gli rivesta,
per la mia bontá, del vestimento della caritá.
Voi sapete bene che
lo' voglio fare grazia, pure che essi si dispongano a ricevere e voi a
pregarmi. Però che di mia volontà non è che essi vi ministrino el Sole in
tenebre, né che sieno dinudati del vestimento della virtú, né immondi, vivendo
disonestamente: anco gli ho posti e dati a voi perché siano angeli terrestri e
sole, come decto t'ho. Non essendo, mi dovete pregare per loro e non giudicarli,
e il giudicio lassate a me. E Io, con le vostre orazioni, volendo eglino
ricevere, lo' farò misericordia; e, non correggendosi la vita loro, la dignità,
che essi hanno, lo' sarà in ruina. E con grande rimproverio da me, sommo
giudice, ne l'ultima extremità della morte non correggendosi né pigliando la
larghezza della mia misericordia, saranno mandati al fuoco etternale.
Alto del documento
— Ora actende,
carissima figliuola, che, acciò che tu e gli altri servi miei aviate piú
materia d'offerire a me, per loro, umili e continue orazioni, ti voglio
mostrare e dire la scellerata vita loro. Benché da qualunque lato tu ti vòlli,
e secolari e religiosi, cherici e prelati, piccoli e grandi, giovani e vecchi e
d'ogni altra maniera gente, non vedi altro che offesa; e tucti mi gictano puzza
di peccato mortale. La quale puzza a me non fa danno veruno né nuoce, ma a loro
medesimi.
250
Io t'ho contiato
infino a qui de l’excellenzia de' miei ministri e della virtú de' buoni, si per
dare refrigerio a l'anima tua, e si perché tu meglio cognosca la miseria di
questi miserabili, e vegga quanto sonno degni di maggiore riprensione e di
sostenere piú intollerabili pene; si come gli eletti e diletti miei, perché
hanno exercitato in virtú el tesoro dato a loro, sonno degni di maggiore premio
e d'essere posti come margarite nel cospetto mio. El contrario questi
miserabili, però che riceveranno crudele pena.
Sai tu, carissima
figliuola (e attende con dolore e amaritu. dine di cuore), dove essi hanno
facto el principio e il fondamento loro? Ne l'amore proprio di loro medesimi,
unde è nato l’arbore della superbia col figliuolo della indiscrezione; ché,
come indiscreti, pongono a loro l'onore e la gloria, cercando le grandi
prelazioni, con adornamenti e delicatezza del corpo loro, e a me rendono
vitoperio e offesa, e retribuiscono a loro quello che non è loro, e a me dànno
quello che non è mio. A me debba essere dato gloria e loda al nome mio, e a
loro debbono rendere odio della propria sensualità con vero cognoscimento di
loro, reputandosi indegni di tanto ministerio quanto essi hanno ricevuto da me.
Ed essi fanno el
contrario, però che, come infiati di superbia, non si saziano di rodere la
terra delle ricchezze e delizie del mondo, stretti, cupidi e avari verso e'
poveri. Unde per questa miserabile superbia e avarizia, la quale è nata dal
proprio amore sensitivo, hanno abandonata la cura de l'anime; e solo si dànno a
guardare e avere cura delle cose temporali, e lassano le mie pecorelle, ch' Io
l'ho messe nelle mani, come pecore senza pastore. E non le pascono né le
notricano né spiritualmente né temporalmente. Spiritualmente ministrano e'
sacramenti della sancta Chiesa (e' quali sacramenti per veruno loro difetto vi
possono essere tolti, né diminuisce la virtú loro); ma non vi pascono
d'orazioni cordiali, di fame e desiderio della salute vostra con sancta e
onesta vita. E non pascono e' subditi delle cose temporali (ciò sonno e'
poverelli), della quale substanzia lo ti dixi che se ne die fare tre parti:
l'una a la loro necessità, l'altra a' poverelli e l'altra in utilitá della
Chiesa.
251
Ed essi fanno el
contrario: ché non tanto che diano quella substanzia che sonno tenuti ed
obligati di dare a' poveri, ma essi tolgono l'altrui per simonia e appetito di
pecunia, e vendono la grazia dello Spirito sancto. Però che spesse volte sonno
di quelli, che sonno tanto sciagurati che non vorranno dare a chi n'ha bisogno
quello ch' Io l'ho dato per grazia e perché ‘l diano a voi, che non lo'
sia piena la mano, o proveduti con molti presenti. E tanto amano e' subditi
loro quanto ne ritraggono, e piú no. Tutto el bene della Chiesa non spendono in
altro che in vestimenti corporali e in andare vestiti delicatamente, non come
cherici e reli
giosi, ma come signori o donzelli di corte. E
studiansi d'avere i grossi cavagli e molti vaselli d'oro e d'argento con
adornamento di casa, tenendo e possedendo quello che non possono tenere, con molta
vanità di cuore. El cuore loro favella con disordinata vanità. E tutto il
desiderio loro è in vivande, facendosi del ventre loro dio, mangiando e beiendo
disordinatamente. E però caggiono subbito nella immondizia, vivendo
lascivamente.
Guai, guai a la loro
misera vita: ché quello che il dolce Verbo, unigenito mio Figliuolo, acquistò
con tanta pena in sul legno della sanctissima croce, essi lo spendono con le
publiche meretrici. Sonno devoratori de l'anime ricomprate del sangue di
Cristo, divorandole con molta miseria, in molti e in diversi modi; e di quello
de' poveri ne pascono e' figliuoli loro. O templi del diavolo, Io- v'ho posti
perché voi siate angeli terrestri in questa vita, e voi sète dimòni e preso
avete l'officio delle dimonia. Le dimonia dànno tenebre di quelle che hanno per
loro, e ministrano crociati tormenti; sottraggono l'anime dalla grazia con
molte molestie e temptazioni, per reducerle a la colpa del peccato mortale,
ingegnandosi di farne quello che essi possono: bene che neuno peccato possa
cadere ne l'anima piú che essa voglia; ma essi ne fanno quel che possono. Cosí
questi miserabili, non degni d'essere chiamati ministri, sonno dimòni
incarnati, perché per loro difetto si sonno conformati con la volontà delle
dimonia, e però fanno l'officio loro ministrando me, vero Sole, con la tenebre
del peccato mortale, e ministrano la tenebre della disordinata e scellerata
vita loro ne' subditi e ne (252) l'altre creature che hanno in loro ragione. E
dànno confusione, e ministrano pene nelle menti delle creature che
disordinatamente gli veggono vivere: anco sonno cagione di ministrare pene e
confusione di coscienzia in coloro che spesse volte sottraggono dallo stato
della grazia e via della veritá, e, conducendoli a la colpa, gli fanno andare
per la via della bugia.
Benché, colui che
gli séguita non è però scusato dalla colpa sua, perché non può essere costrecto
a colpa di peccato mortale né da questi dimòni visibili né dagl'invisibili,
però che neuno debba guardare a la vita loro né seguitare quello che fanno; ma
come v'amuní la mia Verità nel sancto Evangelio, dovete fare quello che essi vi
dicono (cioè la doctrina che v'è data nel corpo mistico della sancta Chiesa
pòrta per la sancta Scriptura, per lo mezzo de' banditori, ciò sonno i
predicatori, che vanno ad anunziare la parola mia), e i loro guai che meritano,
e la mala vita loro non seguitare, né punirli voi, però che offendareste me. Ma
lassate la mala vita a loro, e voi pigliate la doctrina, e la punizione lassate
a me; però che lo so' il dolce Dio etterno, che ogni bene remunero e ogni colpa
punisco.
Non lo' sarà
risparmiata da me la punizione per la dignità che egli hanno d'essere miei
ministri: anco saranno puniti, se non si correggeranno, piú miserabilmente che
tucti gli altri,
perché piú hanno ricevuto da la mia bontá.
Offendendo tanto miserabilmente, sonno degni di maggiore punizione. Si che vedi
che essi sonno dimòni, si come degli electi miei ti dixi che egli erano angeli
terrestri e però facevano l'officio degli angeli.
Alto del documento
— Io ti dissi che
in questi miei dilecti riluceva la margarita della giustizia. Ora ti dico che
questi miserabili tapinelli portano nel pecto loro per fibbiale la ingiustizia.
La quale ingiustizia procede (253) ed è affibbiata con l'amore proprio di loro
medesimi, però che per lo proprio amore commectono ingiustizia verso de l’anime
loro e verso me, con la tenebre della indiscrezione. A me non rendono gloria, e
a loro non rendono onesta e sancta vita né desiderio della salute de l'anime né
fame delle virtú. E per questo commectono ingiustizia verso e' subditi e
proximi loro, e non correggono e' vizi: anco, come ciechi che non cognoscono,
per lo disordinato timore di non dispiacere alle creature, li lassano dormire e
giacere nelle loro infermità. Ma essi non s'aveggono che, volendo piacere alle
creature, dispiacciono a loro e a me, Creatore vostro. E alcuna volta
correggeranno, per mantellarsi con quella poca della giustizia: e non si
faranno al maggiore, che sarà in maggiore difecto che ‘l minore, per
timore che essi avaranno che non lo' impedisca lo stato o la vita loro; ma
farannosi al minore, perché veggono che non lo' può nuocere né toller lo' lo
stato loro.
Questo commecte la
ingiustizia col miserabile amore proprio di loro medesimi. El quale amore
proprio ha atoscato tucto quanto el mondo e il corpo mistico della sancta
Chiesa, e ha insalvatichito el giardino di questa Sposa e adornato di fiori
putridi. El quale giardino fu dimesticato al tempo che ci stavano e' veri
lavoratori, cioè i ministri sancti miei; adornato di molti odoriferi fiori,
perché la vita de' subditi, per li buoni pastori, non era scellerata, anco
erano virtuosi con onesta e sancta vita.
Oggi non è cosí:
anco è il contrario, però che per li gattivi pastori sonno gattivi e' subditi.
Piena è questa Sposa di diverse spine, di molti e variati peccati. Non che in
sé possa ricever puzza di peccato, cioè che la virtú de' sancti sacramenti
possa ricevere alcuna lesione; ma quegli che si pascono al pecto di questa
Sposa ricevono puzza ne l'anima loro, tollendosi la dignità nella quale Io gli
ho posti: none che la dignità in sé diminuisca, ma in verso di loro medesimi.
Unde per li loro difecti n'è avilito el Sangue, cioè perdendo e' secolari la
debita reverenzia che debbono fare a loro per lo Sangue. Benché essi non el
debbano fare, e, se la perdono, non è però di minore la (254) colpa loro per li
difetti de' pastori; ma pure e' miserabili sonno specchio di miseria, dove Io
gli ho posti perché siano specchio di virtú.
Alto del documento
— Unde riceve
l'anima loro tanta puzza? da la propria loro sensualità. La quale sensualità
con amore proprio hanno fatta donna, e la tapinella anima hanno fatta serva;
dove Io gli feci liberi, col sangue del mio Figliuolo, della liberazione
generale, quando tutta l'umana generazione fu tratta della servitudine del
dimonio e della sua signoria. Questa grazia ricevette ogni creatura che ha in sé
ragione; ma questi miei unti gli ho liberati dalla servitudine del mondo e
postigli a servire solo me, Dio etterno, a ministrare i sacramenti della sancta
Chiesa. E hogli fatti tanto liberi, che non ho voluto né voglio che neuro
signore temporale di loro si faccia giudice. E sai che merito, dilettissima
figliuola, essi mi rendono di tanto benefizio quanto hanno ricevuto da me? El
merito loro è questo: che continuamente mi perseguitano in tanti diversi e
scellerati peccati, che la lingua tua non gli potrebbe narrare e a udirlo ci
verresti meno. Ma pure alcuna cosa te ne voglio dire, oltre a quel ch' Io t'ho
detto, per darti piú materia di pianto e di compassione.
Eglino debbono
stare in su la mensa della croce per sancto desiderio, e ire notricarsi del
cibo de l'anime per onore di me. E benché ogni creatura che ha in sé ragione
questo debba fare, molto maggiormente el debbono fare costoro che Io ho eletti
perché vi ministrino el Corpo e 'l Sangue di Cristo crocifixo unigenito mio
Figliuolo, e perché vi diano exemplo di sancta e buona vita, e, con pena loro e
con sancto e grande desiderio seguitando la mia Verità, prendano el cibo de
l'anime vostre. Ed essi hanno presa per mensa loro le taverne: ire, giurando e
spergiurando, con molti miserabili difetti, pubblicamente, come (255) uomini
aciecati e senza lume di ragione, sonno fatti animali per li loro difetti e
stanno in atti, in fatti e in parole lascivamente.
E non sanno che si
sia Officio; e se alcuna volta el dicono, ci dicono con la lingua, e ‘l
cuore loro è dilunga da me! Essi stanno come ribaldi e barattieri; e poi
che hanno giocata l'anima loro e messala nelle mani delle dimonia, ed essi
giuocano e' beni de la Chiesa, e la sustanzia temporale, la quale ricevono in
virtú del Sangue, giuocano e sbaractano. Unde i poveri non hanno el debito
loro; e la Chiesa n'è sfornita, e non con quelli fornimenti che le sonno
necessari. Unde, perché essi sonno fatti templo del diavolo, non si curano del
templo mio. Ma quello adornamento, che debbono fare nel templo e nella Chiesa
per riverenzia del Sangue, egli el fanno nelle case loro dove essi abitano. E
peggio è però che essi fanno come lo sposo che adorna la sposa sua; cosí questi
dimòni incarnati, del bene della Chiesa adornano la diavola sua, con la quale
egli sta iniquamente e immondamente. E senza veruna vergogna le faranno andare,
stare e venire, mentre ch'e' miseri dimòni saranno a celebrare a l'altare. E
non si curaranno che questa miserabile diavola vada, co' figliuoli a mano, a
fare l'offerta con l'altro popolo.
O dimòni sopra
dimòni ! Almeno le iniquità vostre fussero piú nascoste negli occhi de' vostri
subditi; ché, facendole nascoste, offendete me e fate danno a voi, ma non fate
danno al proximo, ponendo attualmente la vita vostra scellerata dinanzi a loro,
però che per lo vostro exemplo gli sète materia e cagione, non che egli esca
de' peccati suoi, ma che egli Gaggia in quegli simili e maggiori che avete voi.
È questa la purità che lo richeggio al mio ministro quando egli va a celebrare
a l'altare? Questa è la purità che egli porta: che la mattina si levarà con la
mente contaminata e col corpo suo corrotto, stato e giaciuto nello immondo
peccato mortale, e andarà a celebrare. O tabernacolo del dimonio, dove è la
vigilia della notte col solenne e devoto Officio? dove è la continua e devota
orazione? Nel quale tempo della notte tu ti debbi disponere al misterio che
(256) hai a fare la mattina, con uno cognoscimento di te, cognoscen. doti e
reputandoti indegno a tanto misterio, e con uno cogno, scimento di me che per
la mia bontá te n' hoe facto degno e non per li tuoi meriti, e fattoti mio
ministro, acciò che ‘l ministri a l'altre mie creature.
Alto del documento
— Io ti fo a
sapere, carissima figliuola, che tanta purità lo richeggio a voi e a loro in
questo sacramento, quanta è possibile a uomo in questa vita; in quanto da la
parte vostra e loro ve ne dovete ingegnare d'acquistarla continuamente. Voi
dovete pensare che, se possibile fusse che la natura angelica si purificasse, a
questo misterio sarebbe bisogno che ella si purificasse; ma non è possibile,
perché non ha bisogno d'essere purificata, perché in loro non può cadere veleno
di peccato. Questo ti dico perché tu vega quanta purità lo richeggio da voi e
da loro in questo sacramento, e singularmente da loro. Ma el contrario mi
fanno, però che tutti inmondi vanno a questo misterio; e non tanto della
immondizia e fragilità, a la quale sète inchinevoli naturalmente per fragile
natura vostra (benché la ragione, quando el libero arbitrio vuole, fa stare
queta la sua rebellione); ma e' miseri non tanto che raffrenino questa
fragilità, ma essi fanno peggio, commettendo quel maledetto peccato contra
natura. E come ciechi e stolti, obfuscato el lume de l'intelletto loro, non
cognoscono la puzza e la miseria nella quale eglino sonno: che non tanto che
ella puta a me, che so' somma e etterna purità (ed emmi tanto abominevole che
per questo solo peccato profondaro cinque città per divino mio giudicio, non
volendo piú sostener la divina giustizia, tanto mi dispiacque questo
abominevole peccato); ma non tanto a me, come detto t'ho, ma a le demonia (le
quali dimonia e' miseri s'hanno facto
(257) signori) lo' dispiace. Non che lo'
dispiaccia el male perché lo' piaccia alcuno bene, ma perché la natura loro fu
natura angelica, e però la natura loro schifa di vedere o di stare a vedere
commectere quello enorme peccato attualmente. Hagli bene inanzi gittata la
saetta avelenata del veleno della concupiscenzia, ma, giognendo a l'atto del
peccato, egli si va via per la cagione e per lo modo che detto t'ho.
Si come tu sai, se
bene ti ricorda innanzi la mortalità, che lo el manifestai a te quanto m'era
spiacevole, e quanto el mondo di questo peccato era corrotto. Unde, levando Io
te sopra di te per sancto desiderio ed elevazione di mente, ti mostrai tutto
quanto el mondo, e quasi in ogni maniera di gente tu vedevi questo miserabile
peccato. E vedevi e' dimòni, si come Io ti mostrai, che fuggivano come detto è.
E sai che fu tanta la pena che tu ricevesti nella mente tua e la puzza, che
quasi ti pareva essere in su la morte. Tu non vedevi luogo dove tu e gli altri
servi miei vi poteste ponere, acciò che questa lebbra non vi si a_accasse. E
non vedevi di potere stare né tra piccoli né tra grandi, né vecchi né giovani,
né religiosi né cherici, né prelati né subditi, né signori né servi, che di
questa malediczione non fussero contaminati le menti e i corpi loro.
Mostra'telo in generale, non ti dico, ne mostrai de' particulari, se alcuno ce
n'ha a cui non tocchi, ché pure tra ' gactivi ho riserbato alcuno de' miei, de'
quali per le loro giustizie Io ritengo la mia giustizia che non comando a le
pietre che si rivolgano contra di loro, né alla terra che gl'inghiottisca, né
agli animali che gli devorino, né alle dimonia che ne portino l'anime e i
corpi. Anco vo trovando le vie e i modi per poter lo' fare misericordia, cioè
perché correggano la vita loro; e metto per mezzo e' servi miei che sonno sani
e non lebbrosi, perché per loro mi preghino.
E alcuna volta lo'
mostraròe questi miserabili peccati acciò che sieno piú solliciti a cercare la
salute loro, offerendoli a me con maggiore compassione; e con dolore de' loro
difetti e de l'offesa mia pregare me per loro, si come Io feci a te per lo modo
che tu sai e detto t'ho. E se bene ti ricorda, facendoti sentire una sprizza di
questa puzza, tu eri venuta a tanto che (258) tu non potevi piú, si come tu
dicesti a me: — O Padre etterno, abbi misericordia di me e delle tue creature!
O tu mi traie l'anima del corpo, però che non pare che io possa piú; o tu mi
dà' refrigerio e mostrami in che luogo io e gli altri servi tuoi ci possiamo riposare,
acciò che questa lebbra non ci possa nuocere né tollere la purità de l'anime e
de' corpi nostri.—
Io ti risposi
vollendomi verso di te con l'occhio della pietà, e dixi, e dico: — Figliuola
mia, el vostro riposo sia di render gloria e loda al nome mio, e gittarmi
oncenso di continua orazione per questi tapinelli che si sonno posti in tanta
miseria, facendosi degni del divino giudicio per li loro peccati. El vostro
luogo, dove voi stiate, sia Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, abitando
e nascondendovi nella caverna del costato suo, dove voi gustarete, per affetto
d'amore, in quella natura umana la natura mia divina. In quello cuore aperto
trovarete la caritá mia e del proximo vostro, però che per onore di me, Padre
etterno, e per compire l’obbedienzia ch'Io posi a lui per la salute vostra,
corse a l'obbrobriosa morte della sanctissima croo,. Vedendo voi e gustando
questo amore, seguitarete la dottrina sua, notricandovi in su la mensa della
croce, cioè portando per carità, con vera pazienzia, el proximo vostro, pena,
tormento e fadiga, da qualunque lato elle si vengano. A questo modo camparete e
fuggirete la lebbra. —
Questo è il modo
che lo diei e do a te e agli altri. Ma per tutto questo, da l'anima tua non si
levava però el sentimento della puzza, né a l'occhio de l'intelletto la
tenebre. Ma la mia providenzia providde; però che, comunicandoti del Corpo e
del Sangue del mio Figliuolo tutto Dio e tutto uomo, si come ricevete nel
sacramento de l'altare, in segno che questo era veritá, levossi la puzza per
l'odore che ricevesti nel sacramento, e la tenebre si levò per la luce che in
esso sacramento ricevesti. E rimaseti, per admirabile modo, si come piacque a
la mia bontá, l'odore del Sangue nella bocca e nel gusto del corpo tuo per piú
di, si come tu sai.
Si che vedi,
carissima figliuola, quanto m'è abominevole in ogni creatura: or ti pensa che
molto maggiormente in questi (259) che Io ho tratti che vivano nello stato
della continenzia. E fra questi continenti che sonno levati dal mondo, chi per
religione e chi come pianta piantata nel corpo mistico della sancta Chiesa, tra
' quali sonno e' ministri, non potresti tanto udire quanto piú mi dispiace
questo peccato in loro; oltre al dispiacere che lo ricevo dagli uomini generali
del mondo, e de' particulari continenti, de' quali Io t’ho detto; perché
costoro sono lucerne poste in sul candelabro, ministratori di me, vero Sole, in
lume di virtú, di sancta e onesta vita; ed essi ministrano in tenebre. E tanto
sonno tenebrosi, che la sancta Scriptura, che in sé è illuminata, perché la
trassero e' miei eletti col lume sopranaturale da me, vero lume (si come in un
altro luogo lo ti narrai), per la enfiata loro superbia, e perché sonno immondi
e lascivi, non ne veggono né intendono altro che la corteccia, licteralmente, e
quella ricevono senza alcuno sapore, perché ‘l gusto de l'anima non è
ordinato: anco è corrotto da l'amore proprio e da la superbia, ripieno lo
stomaco della immondizia, desiderando di compire i disordenati diletti loro;
ripieni di cupidità e d'avarizia, e senza vergogna publicamente commettono e'
difecti loro. E l'usura, che è vetata da me, saranno molti miserabili che la
commectaranno.
Alto del documento
— In che modo
possono questi, pieni di tanti difecti, correggere e fare giustizia e
riprendere i difecti de' subditi loro? Non possono, perché i loro difecti lo'
tolgono l'ardire e’l zelo della sancta giustizia. E se alcuna volta la
facessero, sanno dire i subditi scellerati con loro insieme: — Medico, medica
innanzi te medesimo, e poi medica me; e io pigliarò la medicina che tu mi
darai. Egli è in maggiore difetto che non so' io, e dice (260) male a me! —
Male fa colui la cui reprensione è solo con la parola e non con buona e
ordinata vita: non che egli non debba però riprendere il male (o buono o gattivo
che egli si sia) nel suo subdito; ma male fa che egli non corregge con sancta e
onesta vita. E molto peggio fa colui che, per qualunque modo gli è facta la
reprensione, o da buono o da gattivo pastore che sia, che egli non la riceve
umilemente, correggendo la vita sua scellerata; però che egli fa male pure a sé
e non altrui, ed egli è quello che sosterrà le pene de' difecti suoi.
Tucti questi mali,
carissima figliuola, adivengono per non correggere con buona e sancta vita.
Perché non correggono? Perché sonno acciecati da l'amore proprio di loro
medesimi, nel quale amore proprio sonno fondate tucte le loro iniquità, e non
mirano se none in che modo possano compire i loro disordinati dilecti e
piaceri, e subditi e pastori, e cherici e religiosi. Doh ! figliuola mia dolce,
dove è l’obbedienzia de' religiosi, e' quali sonno posti nella sancta religione
come angeli, ed eglino sonno peggio che dimòni; posti perché adnunzino la
parola mia in doctrina e in vita, e essi gridano solo col suono della parola, e
però non fanno fructo nel cuore de l'uditore? Le loro predicazioni sonno facte
piú a piacere degli uomini e per dilectare l’ orecchie loro che ad onore di me;
e però studiano non in buona vita, ma in favellare molto pulito.
Questi cotali non
seminano el seme mio in veritá, perché non actendono a divellere i vizi e
piantare le virtú. Onde, perché non hanno tracte le spine de l'orto loro, non
si curano di trarle de l'orto del loro proximo. Tucti e' loro dilecti sonno
d'adornare i corpi e le celle loro e d'andare discorrendo per le città. E
adiviene di loro come del pesce, el quale, stando fuore de l'acqua, muore. Cosí
questi cotali religiosi con vana e disonesta vita, stando fuore della cella,
muoiono. Partonsi dalla cella, della quale si debba fare un cielo, e vanno per
le contrade cercando le case de' parenti e d'altre genti secolari, secondo che
piace a' loro miseri subditi e a' gattivi prelati, che gli hanno legati longhi
e none corti. E come miserabili pastori non si curano di vedere il loro frate
subdito nelle mani delle (261) dimonia, anco spesse volte essi stessi ve ne
mectono; e alcuna volta, cognoscendo che essi sonno dimòni incarnati, gli
mandaranno per li monasterii a quelle che sonno dimonie incarnate con loro
insieme, e cosí l'uno guasta l'altro con molti e sottili ingegni ed inganni. E
il loro principio porrà el dimonio socto colore di devozione; ma perché la
Trita loro è lasciva e miserabile, non sta molto colorato col colore della
devozione: anco subbito appariscono e' fructi delle loro devozioni: prima si
veggono e' fiori puzzolenti de' disonesti pensieri con le foglie corrocte delle
parole, e con miserabili modi compiono e' desidèri loro. E' fructi che se ne
vegono, bene lo sai tu che n'hai veduti, che sonno e' figliuoli. E spesse volte
si conducono a tanto che l'uno e l'altra esce della sancta religione. Egli è
facto uno ribaldo, ed ella una publica meretrice.
Di tucti questi
mali e di molti altri sono cagione i prelati, perché non ebbero l'occhio sopra
el loro subdito, anco gli davano largo, ed esso medesimo el mandava e faceva
vista di non vedere le miserie sue. E perché il subdito non si dilectòe della
cella, cosí per difecto dell'uno e de l'altro n'è rimaso morto. La lingua tua
non potrebbe narrare tanti difecti, né per quanti miserabili modi essi m'offendono.
Facti sonno arme del diavolo, e con le puzze loro avelenano dentro e di fuore.
Di fuore ne' secolari, e dentro nella religione. Privati sonno della caritá
fraterna, e ogniuno vuole essere il maggiore e ogniuno mira di possedere. Unde
essi fanno contra el comandamento e contra el voto che hanno facto. Essi hanno
facta promessa d'observare l'ordine, ed eglino il trappassano: ché non tanto
che l’observino eglino, ma essi faranno come lupi affamati sopra gli agnelli
che vorranno essere observatori de l'ordine, beffandoli e schernendoli. E
credono, e' miserabili, con le persecuzioni, beffe e scherni che fanno a' buoni
religiosi e observatori de l'ordine, ricoprire i difecti loro: ed essi gli
scuoprono molto piú. E tanto male è venuto ne' giardini delle sancte religioni,
però che sancte sonno in loro, perché sonno facte e fondate dallo Spirito
sancto; e però l'ordine, in sé, non può essere guasto né corrocto per lo
difecto del subdito né del prelato. E però (262) colui che vuole intrare ne
l'ordine non debba mirare a quegli che sonno gattivi, ma debba navigare sopra
le braccia de l'ordine, che non è infermo né può infermare, observandolo infino
alla morte. Dicevoti che a tanto erano venuti per li mali correggitori e per li
gattivi subditi, che quelli, che tengono l'ordine schiettamente, lo' pare che
trapassino l'ordine, non tenendo i loro costumi e non observando le loro
cerimonie, le quali hanno ordinate e observanole negli occhi de' secolari,
volendo compiacere, per mantellare i difetti loro.
Si che vedi che il
primo voto de l’obbedienzia, d'observare l'ordine, non l'adempiono; della quale
obbedienzia in un altro luogo ti parlarò. Fanno vato ancora d'observare
volontaria povertà e d'essere continenti. Questo come essi l’observano, mira le
possessioni e la molta pecunia che essi tengono in particulare, separati dalla
caritá comune di comunicare co' frati suoi le substanzie temporali e le
spirituali, sí come vuole l'ordine della caritá e l'ordine suo. Ed essi non
vogliono ingrassare altro che loro e gli animali; e l'una bestia nutrica
l'altra, e il suo povero frate muore di freddo e di fame. E poi che è bene
foderato egli e ha le buone vivande, di lui non pensa, né con lui si vuole
ritrovare a la povera mensa del refettorio. El suo dilecto è di potere stare
dove egli si possa empire di carne e saziare la gola sua. Impossibile gli è a
questo cotale di observare il terzo voto della continenzia, però che ‘l
ventre pieno non fa la mente casta, anco diventano lascivi con
disordinati riscaldamenti. E cosí vanno di male in male, e molto ne l’adiviene
del male per lo possedere; perché, se essi non avessero che spendere, non
viverebbero tanto disordinatamente e non avarebbero le curiose amistà, però
che, non avendo che donare, non si tiene l'amore né l'amistà, che è fondata per
amore del dono e per alcuno dilecto e piacere che l'uno traie de l'altro, e non
in perfetta caritá.
Oh miseri, posti in
tanta miseria per li loro difetti, e da me sonno posti in tanta dignità ! Essi
fuggono dal coro, come se fusse uno veleno. E se essi vi stanno, gridano con la
voce, e il cuore loro è dilonga da me. A la mensa de l'altare se (263) l'hanno
presa per una consuetudine d'andarvi senza veruna disposizione, si come a la
mensa corporale. Tucti questi mali e molti altri, de' quali Io non ti voglio
pia dire per non appuzzare l'orecchie tue, seguitano per difetto de' gattivi
pastori, che non correggono né puniscono e' difetti de' subditi e non si curano
né sonno zelanti che l'ordine sia observato, perché essi non sonno observatori
de l'ordine. Porranno bene le pietre in capo, delle grandi obbedienzie, a
coloro che ‘l vogliono observare, punendoli delle colpe che non hanno
commesse. E tutto questo fanno, perché in loro non riluce la margarita della
giustizia, ma della ingiustizia. E però ingiustamente danno, a colui che merita
grazia e benivolenzia, penitenzia e odio: a quegli che sonno membri del
diavolo, come eglino, dànno amore dilecto e stato, commettendo in loro gli
offizi de l'ordine. Come aciecati vivono, e come aciecati dànno gli offizi e
governano e' subditi. E se essi non si correggono, con questa ciechità giongono
a la tenebre de l’etterna danazione, e convie' lo' rendere ragione a me, sommo
giudice, de l'anime de' subditi loro: anale e gattivamente me la possono
rendere, e però ricevono da me, giustamente, quello che hanno meritato.
Alto del documento
— Detto t'ho,
carissima figliuola, alcuna sprizzarella della vita di coloro che vivono nella
sancta religione, con quanta miseria egli stanno ne l'ordine col vestimento
della pecora, ed essi sonno lupi rapaci. Ora ti ritorno a' cherici e ministri
della sancta Chiesa, lamentandomi con teco de' loro difetti, oltre a quegli che
Io t'ho narrati, sopra tre colonne di vizi, de' quali un'altra volta ti
mostrai, lagnandomi con teco di loro: cioè della immondizia e della infiata
superbia e della cupidità, ché per cupidità vendevano la grazia dello Spirito
sancto, sí come Io t'ho decto.
264
Di questi tre vizi
l'uno dipende da l'altro, e il loro fondamento di queste tre colonne è l'amore
proprio di loro medesimi. Queste tre colonne, mentre che elle stanno ricte, che
per forza de l'amore delle virtú elle non diano a terra, sonno sufficienti a
tenere l'anima ferma e obstinata in ogni altro vizio. Però che tucti e' vizi,
come decto t'ho, nascono da l'amore proprio, perché da l'amore proprio nasce il
principale vizio della superbia; e l'uomo superbo è privato della dileczione
della carità, e da la superbia viene alla immondizia e a l'avarizia. E cosí
s'incatenano essi medesimi con la catena del diavolo.
Ora ti dico,
carissima figliuola, guarda con quanta miseria d' immondizia essi lordano el
corpo e la mente loro, si come decto lo te n'ho alcuna cosa. Ma un'altra te ne
voglio dire, perché tu cognosca meglio la fontana della mia misericordia e abbi
maggiore compassione a' miserabili a cui tocca. E' sonno alcuni che tanto sonno
dimòni, che, non che essi abbino in reverenzia el sacramento e tengano cara la
excellenzia loro nella quale Io gli ho posti per la mia bontá, ma essi, come al
tucto fuore della memoria, per l'amore che avaranno posto ad alcune creature, e
non potendo avere di loro quello che desiderano, faranno con incantagioni di
dimonia e col sacramento che v' è dato in cibo di vita, faranno malie per
volere compire i loro miserabili e disonesti pensieri e volontà loro mandarle
in effecto. E quelle pecorelle, delle quali essi debbono avere cura e pascere
l'anime e i corpi loro, essi le tormentano in questi cotali modi e in molti
altri, e' quali Io trapassarò per non darti piú pena. Si come tu hai veduto, le
fanno andare sciarrate fuore della memoria, venendo lo' in volontà, per quello
che quel dimonio incarnato l'ha facto, di fare quello che elle non vogliono; e
per la resistenzia che elle fanno a loro medesime, e' corpi loro ne ricevono
gravissime pene. Questo e molti altri miserabili mali e' quali tu sai, e non
bisogna che Io te li narri, chi l'ha facto? la disonesta e miserabile vita sua.
O carissima
figliuola, la Carne che è levata sopra tucti e' cori degli angeli, per la
natura mia divina unita con la natura vostra umana, questi la dànno a tanta
miseria. O abominevole (265) e miserabile uomo, non uomo, ma animale, che la
carne tua, unta e consacrata a me, tu la dài alle meritrici e anco peggio!
A la carne tua e di
tucta l'umana generazione fu tolta la piaga, che Adam l'aveva facta per lo
peccato suo, in sul legno della sanctissima croce col Corpo piagato de
l'unigenito mio Figliuolo. O misero! Egli ha facto a te onore; e tu gli fai
vergogna! Egli t'ha sanate le piaghe col sangue suo, e piú, ché ne se' facto
ministro; e tu el percuoti con lascivi e disonesti peccati ! li pastore buono
ha lavate le pecorelle nel sangue suo; e tu gli lordi quelle che sonno pure, tu
ne fai la tua possibilità di mecterle nel letame. Tu debbi essere specchio
d'onestà; e tu se' specchio di disonestà. Tucte le membra del corpo tuo hai
dirizzate in adoperarle miserabilemente, e fai el contrario di quello che per
te ha facto la mia Verità. Io sostenni che li fussero fasciati gli occhi per te
illuminare; e tu con gli occhi tuoi lascivi gitti saette avelenate ne l'anima
tua e nel cuore di coloro in cui con tanta miseria raguardi. lo sostenni che
Elli fusse abeverato di fiele e d'aceto; e tu, come animale disordinato, ti
dilecti in cibi delicati, facendoti del ventre tuo Dio. Nella lingua tua stanno
disoneste e vane parole; con la quale lingua tu se' tenuto d'amonire il proximo
tuo e d'anunziare la parola mia e dire l’Offizio col cuore e con la lingua tua,
e lo non ne sento altro che puzza, giurando e spergiurando come se tu lussi uno
baractiere, e spesse volte bastemiandomi. lo sostenni che li fussero legate le
mani per sciogliere te e tucta l'umana generazione dal legame della colpa, e le
mani tue unte e consacrate ministrando el sanctissimo Sacramento; e tu
laidamente le exerciti in miserabili toccamenti. Tucte le tue operazioni, le
quali s'intendono per le mani, sonno corrocte e dirizzate nel servizio del dimonio.
Oh! misero, e Io t'ho posto in tanta dignità perché tu serva solamente a me, te
ed ogni creatura che ha in sé ragione!
Io volsi che gli
fussero conficti e' piei, facendoti scala del Corpo suo; e il costato aperto,
acciò che tu vedessi el secreto del cuore, Io ve l'ho posto per una bottiga
aperta dove voi potiate vedere e gustare l'amore ineffabile che lo v'ho,
trovando e vedendo la natura mia divina unita nella natura vostra umana: (266)
ine vedi che ‘l Sangue, il quale tu ministri, Io te n' hoe facto bagno
per lavare le vostre iniquità. E tu del tuo cuore hai facto tempio del dimonio.
E l'affecto tuo, il quale è significato per li piei, non tiene né offera a me
altro che puzza e vitoperio; e' piei de l'affecto tuo non portano l'anima altro
che ne' luoghi del dimonio. Si che con tucto el corpo tuo tu percuoti el Corpo
del Figliuolo mio, facendo tu el contrario di quello che ha facto Egli e di
quello che tu e ogni creatura sète tenuti e obligati di fare. Questi strumenti
del corpo tuo hanno ricevuto in male il suono, perché le tre potenzie de
l'anima tua sonno congregate nel nome del dimonio; colà dove tu le debbi
congregare nel nome mio.
La memoria tua debba essere piena de' benefizi
miei, e' quali tu hai ricevuti da me; ed ella è piena di disonestà e di molti
altri mali. L'occhio de l'intelletto el debbi ponere col lume della fede ne
l’obiecto di Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, di cui tu se' facto
ministro; e tu gli hai posto dinanzi delizie, stati e ricchezza del mondo con
misera vanità. L'affecto tuo debba solamente amare me senza alcuno mezzo; e tu
l'hai posto miseramente in amare le creature e nel corpo tuo, e i tuoi animali
amarai piú che me. E chi mel dimostra? la tua impazienzia che tu hai verso di
me quando Io ti tollesse la cosa che tu molto ami, e il dispiacimento che tu
hai al proximo tuo quando ti paresse ricevere alcuno danno temporale da lui, e
odiandolo e bastemmiandolo ti parti dalla caritá mia e sua. Oh! disaventurato
te! se' facto ministro del fuoco della divina mia carità; e tu, per li tuoi
propri e disordinati dilecti e per picciolo danno che ricevi dal proximo tuo,
la perdi.
O figliuola
carissima, questa è una di quelle tre miserabili colonne che Io ti narrai.
Alto del documento
267
— Ora ti dirò della
seconda, cioè de l'avarizia; ché quello che il mio Figliuolo ha dato in tanta
larghezza (unde tu el vedi tucto aperto il Corpo suo in sul legno della croce
che da ogni parte versa), e non l'ha ricomprato d'oro né d'argento, anco di
sangue; per larghezza d'amore non ci capie solo una metà del mondo, ma tucta
l'umana generazione, e' passati, e' presenti e i futuri. Non v'è ministrato
Sangue che non v'abbi ministrato e dato fuoco, perché per fuoco d'amore egli ve
l'ha dato; né fuoco né Sangue senza la natura mia divina, perché perfectamente
si uni la natura divina nella natura umana; e di questo Sangue unito per
larghezza d'amore, te misero Io n'ho facto ministro: e tu, con tanta avarizia e
cupidità, quello che il mio Figliuolo ha acquistato in su la croce (ciò sonno
l'anime ricomprate con tanto amore), e quello che Elli t'ha dato essendo facto
ministro del Sangue, e tu ne se' facto, misero, in tanta strettezza che per
avarizia ti poni a vendere la grazia dello Spirito sancto, volendo che i tuoi
subditi si ricomprino da te, quando ti chieggono, quello che tu hai ricevuto in
dono.
La tua gola non hai
disposta a mangiare anime per onore di me, ma a devorare pecunia. E tanto se'
facto strecto in caritá di quel che tu hai ricevuto in tanta larghezza, che lo
non cappio in te per grazia, né il proximo tuo per amore. La substanzia che tu
ricevi temporale in virtú di questo Sangue, la ricevi largamente; e tu, misero
avaro, non se' buono altro che per te, e come ladro e furo, degno della morte
etternale, imboli quel de' poveri e della sancta Chiesa, e spendilo
luxuriosamente con femmine e uomini disonesti e co' parenti tuoi, e spendilo in
delizie e règgine i tuoi figliuoli.
268
O miserabili, dove
sonno e' figliuoli delle reali e dolci virtú, le quali tu debbi avere? dove è
l'affocata caritá con che tu debbi ministrare? dove è l’ansietato desiderio de
l'onore di me e salute de l'anime? dove è il crociato dolore che tu debbi
portare di vedere il lupo infernale che ne porta le tue pecorelle? Non ci è,
perché nel tuo cuore strecto non v'è né amore di me né di loro : tu ami
solamente te medesimo d'amore proprio sen. sitivo, col quale amore aveleni te e
altrui. Tu se' quel dimonio infernale che le inghiottisci con disordinato
amore; altro non appetisce la gola tua, e però non ti curi perché ‘l
dimonio invisibile ne le porti: tu, esso dimonio visibile, ne se' facto
istrumento a mandarle a l'inferno. Cui ne vesti e ne ingrassi di quel della
Chiesa? te e gli altri dimòni con teco insieme e gli animali, cioè i grossi
cavagli che tu tieni per tuo diletto disordinato e non per necessità. E tu
debbi tenere per necessita e non per diletto; questi diletti sonno degli uomini
del mondo, e i tuoi diletti debbono essere i poveri e il visitare gl'infermi,
sovenendoli ne' loro bisogni spiritualmente e tenporalmente, però che per altro
non t'ho Io facto ministro né datati tanta dignita. Ma, perché tu se' facto
animale bruto, però ti diletti in essi animali. Tu non vedi, ché, se tu vedessi
e' supplíci che ti sonno apparecchiati se tu non ti correggi, tu non faresti
così: anco ti dorresti di quello che tu hai facto nei tempo passato e
correggeresti el presente.
Vedi quanto,
carissima figliuola, Io ho ragione di lagnarmi di questi miseri, e quanta
larghezza Io ho usata in loro; ed essi verso me tanta strettezza. Che piú? Come
Io ti dixi, saranno alcuni che prestaranno a usura; non che tengano la tenda
come i publichi usurai, ma con molto sottili modi vendaranno el tempo al
proxirno loro per la loro cupidità; la qual cosa non è licita per veruno modo
del mondo. Se egli fusse uno presente d'una piccola cosa, e con la sua
intenzione egli el ricevesse per prezzo sopra el servizio che egli ha facto a
colui prestandoli el suo, quello è usura, e ogni altra cosa che ricevesse per
quel tempo, come detto è. E Io ho posto il misero che le vieti a' secolari, e
egli fa quel medesimo e piú; ché, andandoli uno a chiedere (269) consiglio
sopra questa materia, perché egli è in quello simile difecto e perché egli ha
perduto il lume della ragione, el consiglio che egli li dae è tenebroso e
passionato, per quella passione che è dentro ne l'anima sua.
Questo e molti
altri difecti nascono dal cuore suo strecto, cupido e avaro. E' si può dire
quella parola che dixe la mia Verità quando entrò nel tempio, che egli vi trovò
coloro che vendevano e compravano, cacciandoli fuore con la ferza della fune,
dicendo: — « Della casa del Padre mio, che è casa d'orazione, n'avete fatta
spilonca di ladroni ». —
Tu vedi bene,
dolcissima figliuola, che egli è cosí che della Chiesa mia, che è luogo
d'orazione, n'è facto spilonca di ladroni: eglino vendono e comprano, e hanno
fatta mercanzia della grazia dello Spirito sancto. Unde tu vedi che chi vuole
le prelazioni e i benefizi della sancta Chiesa, gli comprano con molti
presenti, presentando quegli che sonno d' atorno di derrate e di denari; e i
miserabili non raguardano che elli sia buono piú che gattivo, ma, per
compiacerli e pèr amore del dono che hanno ricevuto, s'ingegnano di mettere
questa pianta putrida nel giardino della sancta Chiesa, e faranno per questo,
e' miseri, buona relazione di lui a Cristo in terra. E cosí l'uno e l'altro
usano la falsità e l'inganno verso Cristo in terra, colà dove essi debbono
andare schietti e con ogni veritá. Ma se il vicario del mio Figliuolo s'avede
de' difecti dell'uno e de l'altro, li debba punire: e a colui tollere l'ofizio
suo, se non si corregge e non amenda la sua mala vita; e a colui che compra gli
starebbe bene che egli li desse, in quello scambio, la pregione, si che egli
sia corretto del suo difecto, e gli altri ne prendano exemplo e temano, acciò
che neuno si levi piú a farlo. Se Cristo in terra el fa, fa el debito suo; e se
non el fa, non sarà impunito questo peccato, quando li converrà rendere ragione
dinanzi a me delle sue pecorelle.
Credemi, figliuola
mia, che oggi egli non si fa, e però è venuta la Chiesa mia in tanti difecti e
abominazioni. Essi non cercano né vanno investigando de la vita loro, quando
danno le prelazioni, se essi sono buoni o gattivi; e se alcuna cosa (270) ne
cercano, ne dimandano e cercano da coloro che sonno gattivi con loro insieme,
e' quali non renderebbero altro che buona testimonianza, perché quegli simili
dífecti sonno in loro medesimi. E non raguardano ad altro se non a grandezza di
stato e a gentilezza e a ricchezza e che sappiano parlare molto polito. E
peggio, ché alcuna volta allegarà el concestoro che egli abbi bella
persona..Odi cose di dimòni ! ché dove essi debbono cercare l'adornamento e
bellezza delle virtú, ed essi raguardano a la bellezza del corpo! Debbono
cercare gli umili poverelli che per umilità fuggano le prelazioni, ed essi
tolgono coloro che vanamente e con infiata superbia le cercano.
Mirano a la
scienzia. La scienzia in sé è buona e perfetta, quando lo scienziato ha
insiememente la scienzia e la buona e onesta vita e con vera umilità. Ma se la
scienzia è nel superbo, disonesto e scellerato nella vita sua, ella è uno
veleno, e della Scriptura non intende se non secondo la lettera: in tenebre
l'intende perché ha perduto el lume della ragione e ha obfuscato l'occhio de
l'intelletto suo. Nel quale lume, col lume sopranaturale, fu dichiarata e
intesa la sancta Scriptura, si come in un altro luogo piú chiaramente ti dixi.
Si che vedi che la scienzia è buona in sé, ma none in colui che non l'usa come
egli la debba usare: anco gli sarà fuoco pennate se egli non correggerà la vita
sua. E però debbono piú tosto raguardare a la sancta e buona vita che allo
scienziato che gattivamente guidi la vita sua. Ed eglino ne fanno el contrario:
anco e' buoni e virtuosi, che siano grossi in scienzia, reputano matti e sonno
spregiati da loro; e i povaregli schifano, perché non hanno che donare.
Si che vedi che
nella casa mia, che debba essere casa d'orazione, e dove debba rilucere la
margarita della giustizia e il lume della scienzia con onesta e sancta vita, e
debbavi essere l'odore della veritá, ed egli v'abbonda la men gna. Debbono
possedere povertà volontaria, e con vera sollicitudine conservare l'anime e
trarle delle mani delle dimonià; ed essi appetiscono ricchezze. E tanto hanno
presa la cura delle cose temporali che al tutto hanno abandonata la cura delle
spirituali, e non attendono ad altro che a giuoco e a riso e a crescere (271) e
multiplicare le substanzie temporali. E' miseri non s'avegono che questo è il
modo da perderle, però che, se eglino abondassero in virtú e pigliassero la
cura delle spirituali, si come debbono, abbondarebbero nelle temporali. E molte
rebellioni ha avute la sposa mia di quelle che ella non avarebbe avute. Eglino
debbono lassare i morti sepellire a' morti, ed essi debbono seguitare la
dottrina della mia Verità e compire in loro la volontà mia, cioè fare quello
per che Io gli ho posti. Ed essi fanno tutto el contrario, ché le cose morte e
transitorie si pongono a sepellire con disordinato affetto e sollicitudine, e
tragono l'officio di mano agli uomini del mondo. Questo è spiacevole a me e
danno a la sancta Chiesa. Debbonle lassare a loro, e l'uno morto sepellisca
l'altro, cioè che coloro, che sonno posti a governare le cose temporali, le
governino.
E perché ti dixi «
l'uno morto sepellisca l'altro »? Dico che «morto » s'intende in due modi:
l'uno è quando ministra e governa le cose corporali con colpa di peccato
mortale per disordinato affetto e sollicitudine; l'altro modo è perché egli è
offlzio del corpo che sonno cose manuali, e il corpo è cosa morta, che non ha
vita in sé se non quanto l'ha tratta da l'anima, e participa della vita mentre
che l'anima sta nel corpo, e piú no.
Debbano dunque
questi miei unti, che debbono vivere come angeli, lassare le cose morte a'
morti ed essi governare l'anime, che sonno cosa viva e non muoiono mai quanto
che ad essere, governandole e ministrando lo' e' sacramenti e i doni e le
grazie dello Spirito sancto, e pascerle del cibo spirituale con buona e sancta
vita. A questo modo sarebbe la casa mia casa d'orazione, abondando delle grazie
e virtú loro. E perché essi nol fanno, ma fanno el contrario, posso dire che
ella sia (acta spilonca di ladroni, perché son fatti mercatanti per avarizia,
vendendo e comprando, come detto è. Ed è (acta receptacolo d'animali, perché
vivono come animali bruti disonestamente; unde per questo n'hanno (acta stalla,
perché ine giacciono nel loto della disonestà, e cosí tengono le dimonia loro
nella Chiesa, come lo sposo tiene la sposa nella casa sua.
272
Si che vedi quanto
male, e molto piú, e quasi senza comparazione che quello che Io t’ho narrato,
ci quale nasce da queste due colonne fetide e puzzolenti, cioè la immondizia e
la cupidità e avarizia.
Alto del documento
CXXVIII. Come ne'
predecti ministri regna la superbia, per la quale si perde el co. gnoscimento;
e come, avendo perduto el cognoscimento, caggiono in questo defecto, cioè che
fanno vista di consecrare e non consacrano.
— Ora ti voglio
dire della terza, cioè della superbia, che, per ché Io te l'abbi posta per
l'ultima, ella è ultima e prima, perché tucti e' vizi sonno conditi dalla
superbia, sí come le virtú sonno condite e ricevono vita dalla caritá.
E la superbia nasce
ed è nutricata da l'amore proprio sensitivo, del quale Io ti dixi che era
fondamento di queste tre colonne e di tucti quanti e' mali che commectono le
creature: però che chi ama sé di disordinato amore, è privato de l'amore di me
perché non m'ama; e, non amandomi, m'offende, perché non observa ci
comandamento della legge, cioè d'amare me sopra ogni cosa e il prossimo come se
medesimo. Questa è la cagione che, amandosi d'amore sensitivo, essi non servono
né amano me, ma servono e amano ci mondo: perché l'amore sensitivo né il mondo
non hanno conformità con meco. Non avendo conformità insieme, di bisogno è che
chi ama ci mondo d'amore sensitivo e servelo sensitivamente, odii me; e chi ama
me in veritá, odii ci mondo. E però dixe la mia Verità che neuno può servire a
due signori contrari, però che, se egli serve a l'uno, sarà incontempto a
l'altro. Si che vedi che l'amore proprio priva l'anima della mia caritá e
vestela del vAio della superbia, unde nasce ogni difecto per lo principio de
l'amore proprio.
D'ogni creatura la
quale ha in sé ragione mi doglio e mi lamento, ma singularmente degli unti
miei, e' quali debbono essere umili si perché ogniuno debba avere la virtú de
l'umilità, la quale nutrica la carità, e si perché sonno facoi ministri (273)
de l'umile e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. E non si vergognano
essi e tucta l'umana generazione d'insuperbire vedendo me, Dio, umiliato a
l'uomo, dandovi ci Verbo del mio Figliuolo nella carne vostra? E questo Verbo
veggono, per l’obbedienzia ch' Io li posi, corrire e umiliarsi a l'obrobriosa
morte della croce. Egli ha ci capo chinato per te salutare, la corona in capo
per te ornare, le braccia stese per te abracciare e i piei conficti per teco
stare. E tu, misero uomo, che se' facto ministro di questa larghezza e di tanta
umilità, debbi abbracciare la croce; e tu la fuggi ed abracciti con le inique e
inmonde creature. Tu debbi stare fermo e stabile, seguitando la doctrina della
mia Verità, conficcando il cuore e la mente tua in Lui; e tu ti vòlli come la foglia
al vento, e per ogni cosa vai a vela. Se ella è prosperità, ti muovi con
disordinata allegrezza; e se ella è adversità, ti muovi per impazienzia, e cosí
trai fuore il mirollo della superbia, cioè la impazienzia; però che come la
caritá ha per suo merollo la pazienzia, cosí la impazienzia è il merollo della
superbia. Unde d'ogni cosa si turbano e si scandalizzano coloro che sonno
superbi e iracundi.
E tanto m'è
spiacevole la superbia, che ella cadde di cielo quando l'angelo volse
insuperbire. La superbia non saglie in cielo, ma vanne nel profondo de
l'inferno; e però dixe la mia Verità: K Chi si exaltarà, cioè per superbia,
sarà umiliato; e chi se umilia, sarà exaltato ». In ogni generazione di gente
mi dispiace la superbia, ma molto piú in questi ministri, si come Io t'ho
decto, perché Io gli ho posti nello stato umile a ministrare l'umile Agnello;
ma essi fanno tucto el contrario. E come non si vergogna ci misero sacerdote
insuperbire, vedendo me umiliato a voi dandovi el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo?
E loro n'ho facoi ministri, e il Verbo per l’obbedienzia mia s'è umiliato a
l’obrobriosa morte della croce! Egli ha ci capo spinato; e questo misero leva
ci capo contra me e contra ci proximo suo, e d'agnello umile, che egli debba
essere, è facto montone con le corna della superbia, e chiunque se gli accosta,
percuote.
O disaventurato
uomo ! Tu non pensi che tu non puoi escire di me. È questo l'officio che Io
t'ho dato, che tu percuota me (274) con le corna della superbia tua,
facendo ingiuria a me e al proximo tuo, e con ingiuria e con ignoranzia
conversi con lui? È questa la mansuetudine con che tu debbi andare a celebrare
il Corpo e’l Sangue di Cristo mio Figliuolo? Tu se' facto come uno
animale feroce, senza veruno timore di me. Tu devori el proximo tuo e stai in
divisione, e facto se' acceptatore delle creature, acceptando quelli che ti
servono e che ti fanno utilitá, o altri che ti piaccino che siano di quella
medesima vita che tu; e' quali tu debbi correggere e dispregiare i difecti
loro. E tu fai el contrario, dando lo' exemplo che faccino quello, e peggio. Ma
se tu fussi buono, el faresti; ma, perché tu se' gattivo, non sai riprendere né
ti dispiace il difecto altrui.
Tu dispregi gli
umili e virtuosi poveregli. Tu li fuggi: ma tu hai ragione di fuggirli, poniamo
che tu nol debba fare; tu li fuggi perché la puzza del vizio tuo non può
sostenere l'odore della virtú. Tu ti rechi a vile di vederti a l'uscio e' miei
poveregli. Tu schifi ne' loro bisogni d'andare, a visitarli: vedili morire di
fame e non li sovieni. E tucto questo fanno le corna della superbia, che non si
vogliono inchinare a usare uno poco d'acto d'umilità. Perché non s'inchina?
perché l'amore proprio, che notrica la superbia, non l'ha punto tolto da sé; e
però non vuole conscendere né ministrare a' poveregli né substanzia temporale
né la spirituale senza rivendaría.
O maladecta
superbia, fondata ne l'amore proprio, come hai acciecato l'occhio de l'
intellecto loro per si facto modo, che, parendo lo' amare e essere teneri di
loro medesimi, essi ne sonno facti crudeli; e parendo lo' guadagnare, pérdono;
parendo lo' stare in delizie e in ricchezze e in grande altezza, essi stanno in
grande povertà e miseria, perché sonno privati della ricchezza della virtú;
sonno discesi da l'al zza della grazia alla bassezza del peccato mortale. Par
lo' vedere; ed e' sonno ciechi, perché non conoscono loro né me. Non conoscono
lo stato loro né la dignità dove lo gli ho posti, né conoscono la fragilità del
mondo e la poca fermezza sua; però che, se ‘l cognoscessero, non se ne
farebbero Dio. Chi l'ha tolto il (275) cognoscimento? la superbia. E a questo
modo sonno diventati din,òni, avendoli lo electi per angeli e perché siano
angeli terrestri in questa vita; ed essi caggiono da l'altezza del cielo alla bassezza
della tenabre. E tanta è multiplicata la tenebre e la loro iniquità, che alcuna
volta caggiono nel difecto che Io ti dirò.
Sono alcuni che
sonno tanto dimòni incarnati, che spesse volte faranno vista di consecrare, e
non consecraranno, per timore del mio giudicio, e per tollersi ogni freno e
timore del loro mal fare. Sarannosi levati la mactina dalla immondizia, e la
sera dal disordinato mangiare e bere. Saragli bisogno di satisfare al popolo, e
egli, considerando le sue iniquità, vede che con buona conscienzia egli non
debba né può celebrare. Unde gli viene un poco di timore del mio giudicio; non
per odio del vizio, ma per amore proprio che egli ha a se medesimo. Vedi,
carissima figliuola, quanto egli è cieco! Non ricorre egli a la contrizione del
cuore e al dispiacimento del difecto suo con proponimento di correggersi; anco
piglia questo remedio: che non consecrarà. E, come cieco, non vede che l'errore
e il difecto di poi è maggiore che quello di prima, perché fa el popolo
idolatro, facendo lo' adorare quella ostia, non consecrata, per lo Corpo e
Sangue di Cristo, mio unigenito Figliuolo tucto Dio e tucto Uomo, si come Egli
è quando è consecrato: ed egli è solamente pane.
Or vedi quanta è
questa abominazione e quanta è la pazienzia mia che gli sostengo! Ma se essi
non si correggeranno, ogni grazia lo' tornerà a giudicio. Ma che dovarebbe fare
il popolo acciò che non venisse in quello inconveniente? Debba orare con
condiczione: se questo ministro ha decto quel che debba dire, credo veramente
che tu sia Cristo Figliuolo di Dio vivo, dato a me in cibo dal fuoco della tua
inextimabile carità, e in memoria della tua dolcissima passione e del grande
benefizio del Sangue, il quale spandesti con tanto fuoco d'amore per lavare le
nostre iniquità. Facendo cosí, la ciechità di colui non lo' darà tenebre,
adorando una cosa per un'altra: benché la colpa di peccato è solo del
miserabile ministro, ma eglino pure ne facto farebbero quello che non si debba
fare.
276
O dolcissima
figliuola, chi tiene la terra che non gl' inghioc. tisce? chi tiene la mia
potenzia che non gli fa essere immobili e statue ferme innanzi a tucto el
popolo per loro confusione? La misericordia mia. E tengo me medesimo, cioè che
con la misericordia tengo la divina mia giustizia per vincerli per forza di
misericordia. Ma essi, come obstinati dimòni, non cognoscono né veggono la
misericordia mia; ma, quasi come se credessero avere per debito ciò che egli
hanno da me, perché la superbia gli ha aciecati, non veggono che l'hanno solo
per grazia e non per debito.
Alto del documento
— Tucto questo t'ho
decto per darti piú materia di pianto e d'amaritudine della ciechità loro, cioè
di vederli stare in stato di dannazione, e perché tu cognosca meglio la
misericordia mia, acciò che tu in questa misericordia pigli fiducia e
grandissima sicurtà, offerendo loro ministri della sancta Chiesa e tucto quanto
el mondo dinanzi a me, chiedendo a me, per loro, misericordia. E quanto piú per
loro m'offerirai dolorosi e amorosi desidèri, tanto piú mi mostrarrai l'amore
che tu hai a me. Però che quella utilitá che tu a me none puoi fare, né tu né
gli altri servi miei, dovete farla e mostrarla col mezzo di loro. E Io allora
mi lassarò costrignere al desiderio, alle lagrime e a l'orazioni de' servi
miei, e farò misericordia alla sposa mia, riformandola di buoni e sancti
pastori.
Riformatala di
buoni pastori, per forza sì correggeranno e' subditi, però che, quasi, de' mali
che si fanno per li subditi sonno colpa e' gattivi pastori; però che, se essi
correggessero, F rilucesse in loro la margarita della giustizia, con onesta e
sancta vita, non farebbero cosí. E sai che n'adiviene di questi cotali perversi
modi? che l'uno séguita le vestigie de l'altro; (277) però che i subditi non
sonno obbedienti, perché, quando el prelato era subdito, non fu obbediente al
prelato suo. Unde riceve da' subditi suoi quel che die' egli; e perché fu
gattivo subdito, è gattivo pastore.
Di tucto questo, e
d'ogni altro difecto, è cagione la superbia fondata in amore proprio. Ignorante
e superbo era subdito, e molto piú è ignorante e superbo ora che è prelato. E
tanta è la sua ignoranzia che, come cieco, darà l'offizio del sacerdote a uomo
idiota, il quale a pena saprà pure leggere e non saprà l'officio suo. E spesse
volte, per la sua ignoranzia, non sapendo bene le parole sacramentali, non
consecrarà. Unde, per questo, commecte quello medesimo difecto di non
consecrare, che quegli hanno facto per malizia, non consecrando ma facendo
vista di consecrare. Colà dove egli debba scegliere uomini experti e fondati in
virtú che sappino e intendano quello che dicono. Ed essi fanno tucto il
contrario, perché non mirano che egli sappi e non mirano a tempo ma a dilecto:
pare che scelgano fanciulli e non uomini maturi. E non mirano che essi siano di
sancta e onesta vita, né che cognoscano la dignità alla quale essi vengono, né
il grande misterio che essi hanno a fare; ma mirano pure di moltiplicare gente,
ma non virtú. Essi sonno ciechi e ragunatori di ciechi, e non veggono che Io di
questo e de l'altre cose lo' richiedarò ragione ne l'ultima extremità della
morte. E poi che egli hanno facti e' sacerdoti cosí tenebrosi come decto è, ed essi
lo' danno ad avere cura d'anime, e veggonó che di loro medesimi non sanno avere
cura.
Or come potranno
costoro, che non cognoscono el difecto loro, correggerlo e cognoscerlo in
altrui? Non può né vuole fare contra se medesimo. E le pecorelle, che non hanno
pastore che curi di loro né che le sappi guidare, agevolemente si smarriscono e
spesse volte sonno .devorate e sbranate da' lupi. E perché è gattivo pastore,
non si cura di tenere il cane che abbai vedendo venire il lupo; ma tale il
tiene quale è egli. E cosí questi ministri e pastori perché non hanno
sollicitudine né hanno el cane della coscienzia, né il bastone della sancta
giustizia, né la verga per correggere, e la conscienzia non abbaia riprendendo
se medexima, né (278) reprendendo le pecorelle vedendole smarrite e non tenere
per la via della veritá, cioè non observando e' comandamenti miei, el lupo
infernale le divora. Abbaiando questo cane, ponendo e' difecti loro sopra di sé
con la verga della sancta giustizia, come decto è, camparebbe le pecorelle sue
e tornarebbero a l'ovile. Ma perché egli è pastore senza verga e senza cane di
conscienzia, periscono le sue pecorelle, e non se ne cura, perché il cane della
coscienzia sua è indebilito, e però non abbaia, perché non gli ha dato el cibo.
Però che il cibo che si debba dare a questo cane è il cibo de l'Agnello mio
Figliuolo; però che piena che la memoria è del Sangue, si come vasello de
l'anima, la coscienzia se ne notrica; cioè che per la memoria del Sangue
l'anima s'accende ad odio del vizio e amore della virtú. El quale odio e amore
purificano l'anima dalla macchia del peccato mortale, e dá tanto vigore a la
conscienzia che la guarda, che subbito che veruno nemico de l'anima, cioè il
peccato, volesse intrare dentro (non tanto l'affetto, ma el pensiero), subbito
la coscienzia come cane abbaia con stimolo, tanto ché desta la ragione. E però
non commecte ingiustizia, però che colui che ha coscienzia ha giustizia. E però
questi cotali iniqui, non degni d'essere chiamati non tanto ministri ma
creature ragionevoli, perché sonno facti animali per li loro difecti, non hanno
cane (perché si può dire per la debilezza sua che essi non l'abbino), e però
non hanno la verga della sancta giustizia. E tanto gli hanno facti timidi e'
difecti loro, che l'ombra lo' fa paura, non di timore sancto, ma di timore
servile. Eglino si debbono dispónare a la morte per trare l'anime delle mani
delle dimonia, ed essi ve le mectono, non dando lo' dottrina di buona e sancta
vita, né volendo sostenere una parola ingiuriosa per la salute loro.
E spesse volte sarà
l'anima del subdito inviluppata in gravissimi peccati, e avara a satisfare ad
altre ; e per l'amore disordinato che egli avara a la sua fameglia, per none
spropriarli, non renderà il debito suo. La vita sua sarà nota a grande quantità
di gente e anco al misero sacerdote; e nondimeno anco gli sarà facto sapere,
acciò che, come medico che egli debba essere, curi quella anima. El misero
ministro andarà per fare quello che (279) debba fare; e una parola che gli sia
decta ingiuriosa o una mala miratura che gli sia facta, per timore non se ne
impacciarà piú. E alcuna volta gli sarà donato; unde, fra el dono e il timore
servile, lassarà stare quella anima nelle mani delle dimonia, e daragli el
sacramento del Corpo di Cristo, unigenito mio Figliuolo. E vede e sa che quella
anima non è sviluppata dalla tenebre del peccato mortale; e nondimeno, per
compiacere agli uomini del mondo e per lo disordinato timore e dono che ha
ricevuto da loro, gli ha ministrato e' sacramenti e sepellitolo a grande onore
nella sancta Chiesa, colà dove, come animale e membro tagliato dal corpo, el
dovarebbe gictare fuore. Chi n'è cagione di questo? l'amore proprio e le corna
della superbia. Però che, se egli avesse amato me sopra ogni cosa e l'anima di
quel tapinello, e fusse stato umile e senza timore, avarebbe cercata la salute
di quella anima.
Vedi dunque quanto
male séguita di questi tre vizi, e' quali Io t'ho posti per tre colonne unde
procedono tucti gli altri peccati: la superbia, avarizia e inmondizia delle
menti e corpi loro. L'orecchie tue non sarebbero sufficienti a udirli, quanti
sonno e' mali che di costoro escono si come membri del dimonio. E per la
superbia, disonestà e cupidità loro fanno che alcuna volta (e tu hai veduto
coloro a cui egli toccò) saranno cotali semplicelle di buona fede che si
sentiranno cotali difecti di paura nelle menti loro. Temendo di non avere il
dimonio, vannosene al misero sacerdote, credendo che egli le possa liberare; e
vanno perché l'uno diavolo cacci l'altro. E egli, come cupido, riceve il dono,
e, come disonesto, bructo, lascivo e miserabile, dirà a quelle tapinelle: —
Questo difecto che voi avete non si può levare se non per lo tale modo; — e
cosí, miserabilemente, Io' farà fiaccare il collo con lui insieme.
O dimonio sopra
dimonio ! in tutto se' facto peggio che il dimonio. Molti dimòni sonno che
hanno a schifo questo peccato; e tu, che se' facto peggio di lui, vi t' involli
dentro come il porco nel loto. O immondo animale, è questo quel ch' Io ti
richiego, che tu con la virtú del Sangue, del quale Io t’ho facto ministro,
cacci le dimonia da l'anime e da' corpi; e tu ve li metti dentro? Non (280)
vedi che la scure della divina giustizia è giá posta a la radice de l’arbore
tuo? E dicoti che elle ti stanno a usura e a l'ora e al tempo suo, se tu non
punisci le tue iniquità con la penitenzia e contrizione del cuore: tu non sarai
riguardato perché tu sià sacerdote, anco sarai punito miserabilemente e
portarai le pene per te e per loro. E piú crudelmente sarai cruciato che gli altri:
staracti a mente alora di cacciare il dimonio col dimonio della concupiscenzia.
E l'altro misero, che andarà la creatura a lui che l'absolva perché sarà legata
in peccato mortale, e egli la legarà in cotale e maggiore, e per nuove vie e
modi cadrà in peccato con lei. E se ben ti ricorda, tu vedesti la creatura con
gli occhi tuoi, a cui egli toccò. Bene è dunque pastore senza cane di
coscienzia: anco affoga la coscienzia altrui non tanto che la sua.
Io gli ho posti
perché cantino e psalmeggino la nocte, dicendo l'officio divino; e essi hanno
imparato a fare malie e incantare le dimonia, facendosi venire per incanto di
demonio, di mezza nocte, quelle creature che miseramente amano. Parrà che
vengano, ma non sarà. Or hotti Io posto perché la vigilia della nocte tu la
spenda in questo? Certo no, ma perché tu la spenda in vigilia ed orazione,
acciò che la mactina, disposto, tu vada a celebrare, e dia odore di virtú al
popolo e non puzza di vizio. Se' posto nello stato angelico, acciò che tu possa
conversare con gli angeli per sancta meditazione in questa vita, e poi ne
l'ultimo gustare me con loro insieme; e tu ti dilecti d'essere dimonio, e di
conversare con loro prima che venga el punto della morte. Ma le corna della tua
superbia t'hanno percosso dentro ne l'occhio de l'intelletto la pupilla della
sanctissima fede, e hai perduto el lume, e però non vedi in quanta miseria tu
stai. E non credi in veritá che ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato:
ché, se in veritá tu el credessi, non faresti cosí, e non cercaresti né
vorresti si facta conversazione, anco ti verrebbe in terrore pure d'udire
mentovare il nome suo. Ma perché tu séguiti la volontà sua, di lui e delle sue
operazioni pigli dilecto. Cieco sopra cieco, Io vorrei che tu dimandassi el
dimonio che merito egli ti può rendere del servizio che tu li fai. Esso ti
(281) risponderebbe, dicendo che ti darà quel fructo che ha per sé. Però che
altro non ti può dare se non quelli crociati tormenti e fuoco nel quale arde
continuamente, dove esso cadde, per la superbia sua, da l'altezza del cielo.
E tu, angelo
terrestre, cadi da l'altezza (per la superbia tua) della dignità del sacerdote
e dal tesoro delle virtú nella povertà di molte miserie e, se tu non ti correggerai,
nel profondo . de l'inferno. Tu t'hai facto dio e signore il mondo e te
medesimo: or di' al mondo con tucte le sue delizie che tu hai prese in questa
vita, e a la propria tua sensualità con che tu hai usate le cose del mondo
(colà dove Io ti posi nello stato del sacer. dozio perché tu le spregiassi, e
te e il mondo sensualmente); di' che rendano ragione per te dinanzi a me, sommo
giudice. Rispondarannoti che non ti possono aitare e farannosi beffe di te,
dicendo: — Per te conviene che riesca. — E tu rimani confuso e vitoperato
dinanzi a me e dinanzi al mondo. Tucto questo tuo danno tu nol vedi, però che,
come decto è, le corna della superbia tua t'hanno aciecato. Ma tu el vedrai ne
l'ultima extremità della morte, dove tu non potrai pigliare rimedio in alcuna
tua virtú, però che, non l'hai se non solo nella misericordia mia, sperando in
quello dolce Sangue del quale fusti facto ministro. Questo né a te né ad alcuno
sarà mai tolto, mentre che vorrai sperare nel Sangue e nella misericordia mia;
benché neuno debba essere si matto né tu si cieco che tu ti conduca a
l’extremità.
Pensa che in su
quella extremità l'uomo che iniquamente è vissuto le dimonia l'accusano, el
mondo e la propria fragilità; e none il lusenga né li mostra il dilecto colà
dove era l'amaro, né la cosa perfetta colà dove era imperfeczione, né il lume
per la tenebre, si come fare solevano nella vita sua: anco mostrano la veritá
di quello che è. El cane della coscienzia, che era debile, comincia ad abbaiare
tanto velocemente che quasi conduce l'anima a la disperazione. Benché neuna ve
ne debba giognere, ma debba pigliare con esperanza il Sangue, non obstante i
difecti che abbi commessi; però che senza veruna comparazione è maggiore la
misericordia mia, la quale ricevete nel Sangue, (282) che tutti e' peccati che
si commettono nel mondo. Ma ncuno s'indugi, come detto è; ché forte cosa è a
l'uomo trovarsi disarmato nel campo della battaglia tra molti nemici.
Alto del documento
— O carissima
figliuola, questi miseri, de' quali Io t'ho narrato, non ci hanno alcuna
considerazione; però che, se essi l'avessero, non verrebbero a tanti difetti né
eglino né gli altri, ma farebbero come gli altri che virtuosamente vivevano. E'
quali prima eleggevano la morte che volessero offender me e sozzare la faccia
de l'anima loro e diminuire la dignità nella quale lo gli avevo posti, ma
crescevano la dignità e la bellezza de l'anime loro. Non che la dignità del
sacerdote, puramente la dignità, possa crescere per virtú né minuire per
difetto, come detto t'ho; ma le virtú sonno uno adornamento e una dignità che
dànno a l'anima, oltre a la pura bellezza de l'anima che ella ha dal suo
principio quando Io la creai a la imagine e similitudine mia. Questi cognobbero
la veritá della bontá mia e la bellezza e dignità loro, perché la superbia e
amore-,proprio non l'aveva obfuscato né tolto el lume della ragione, però che
n'erano privati e amavano me e la salute de l'anime.
Ma questi
tapinelli, perché al tutto sonno privati del lume, non si curano d'andare di
vizio in vizio, in fine che giongono a la fossa. E del tempio de l'anima loro e
della sancta Chiesa, che è uno giardino, ne fanno riceptacolo d'animali. O
carissima figliuola, quanto m'è abominevole che le case loro che debbono essere
riceptacolo de' servi miei e de' poverelli, e debbono tenere per sposa el
breviario, e i libri della sancta Scriptura per figliuoli, e ine dilettarsi per
dare dottrina al proximo loro in prendere sancta vita; e esse sono riceptacolo
d' inmondizie e d'inique persone. La sposa sua non è il breviario, anco tratta
la detta sposa del breviario come adultera, ma è una (283) miserabile dimonia
che immondamente vive con lui; e' libri suoi sonno la brigata de' figliuoli ; e
co' figliuoli, che egli ha acquistati in tanta bruttura e miseria, si diletta
senza vergogna alcuna. Le pasque e i di solempni, ne' quali egli debba rendere
gloria e loda al nome mio col divino officio e gictarmi oncenso d'umili e
devote orazioni, e egli sta in giuoco e in sollazzo con le sue dimonie e va
brigatando co' secolari, cacciando e ucellando come se fusse uno secolare e uno
signore di corte.
O misero uomo, a
che se' venuto? Tu debbi cacciare e ucellare ad anime per gloria e loda del
nome mio, e stare nel giardino della sancta Chiesa; e tu vai per li boschi. Ma
perché tu se' facto bestia, tieni dentro ne l'anima tua gli animali de' molti
peccati mortali; e però se' facto cacciatore e ucellatore di bestie, perché
l'orto de l'anima tua è insalvatichito e pieno di spine: però hai preso diletto
d'andare per li luoghi deserti cercando le bestie salvatiche. Vergògnati, uomo,
e raguarda e' tuoi difetti, però che hai materia di vergognarti da qualunque
lato tu ti vòlli. Ma tu non ti vergogni, perché hai perduto el sancto e vero
timore di me. Ma, come la meretrice che è senza vergogna, ti vantarsi di tenere
il grande stato nel mondo e d'aver la bella fameglia e la brigata de' molti
figliuoli. E se tu non gli hai, cerchi d'averli, perché rimangano eredi del
tuo. Ma tu se' ladro e furo, però che tu sai bene che tu non el puoi lassare,
perché le tue erede sonno e' poveri e la sancta Chiesa. O dimonio incarnato,
senza lume, tu cerchi quel che tu non debbi cercare; loditi e vantiti di quello
che tu debbi venire a grande confusione e vergognarti dinanzi a me, che veggo
lo intrinsico del cuore tuo, e dinanzi a le creature. Tu se' confuso, e le
corna della tua superbia non ti lassano vedere la tua confusione.
O carissima figliuola,
lo l'ho posto in sul ponte della dottrina della mia Verità a ministrare a voi
perregrini e' sacramenti della sancta Chiesa; ed egli sta nel miserabile fiume
di sotto al ponte, e nel fiume delle delizie e miserie del mondo ve li
ministra, e non se n'avede che li giogne l'onda della morte, e vanne insieme
co' suoi signori dimòni, a' quali esso ha servito e lassatosi guidare per la
via del fiume senza alcuno ritegno. (284) E se egli non si corregge, giogne a
l'etterna danpnazione con tanta reprensione e rimproverio, che la lingua tua
non sarebbe sufficiente a narrarlo. E molto piú egli che un altro, secolare:
unde una medesima colpa è piú punita in lui che in un altro che fusse nello
stato del mondo; e con piú rimproverio si levano e' nemici suoi nel ponto della
morte ad accusarlo, si come Io ti dixi.
Alto del documento
— E perché lo ti
narrai come il mondo, le dimonia e la propria sensualità l'accusavano, e cosí è
la veritá, ora tel voglio dire in questo ponto sopra questi miseri piú
distesamente (perché tu l'abbi maggiore compassione) quante sonno differenti le
bactaglie che riceve l'anima del giusto da quelle del peccatore, e quanto è
differente la morte loro, e in quanta pace è la morte del giusto, piú e meno,
secondo la perfeczione de l'anima.
Unde Io voglio che
tu sappi che tucte quante le pene, che le creature che hanno in loro ragione
hanno, stanno nella volontà; però che, se la volontà fusse ordinata e accordata
con la volontà mia, non sosterrebbe pena.. Non che fussero però tolte le
fadighe; ma a quella volontà, che volontariamente porta per lo mio amore, non
le sarebbe pena, perché questi cotali volontieri portano, vedendo che è la
volontà mia. E per l'odio sancto, che hanno di loro medesimi, hanno facto
guerra col mondo, col dimonio e con la propria loro sensualità. Unde, venendo
el punto della morte, la morte loro è in pace, perché i nemici suoi nella vita
sua sonno stati sconficti da lui. El mondo nol può accusare, però che egli
cognobbe i suoi inganni, e però renunziò al mondo e a tucte le delizie sue. La
fragile sensualità e corpo suo non l'accusa, però che egli la tenne come serva
col freno della ragione, macerando la carne con la penitenzia, con la vigilia e
umile e continua orazione. La volontà ( 285) sensitiva ucise con odio e
dispiacimento del vizio e amore della virtú, in tuctO perduta la tenerezza del
corpo suo; la quale te nerezza e amore, che è tra l'anima e’l corpo,
naturalmente fa parere la morte malagevole, e però naturalmente l'uomo teme la
morte.
Ma perché la virtú
nel giusto perfecto passa la natura, cioè che ‘l timore, che gli è
naturale, lo spegne e trapassa con odio sancto e col desiderio di tornare al
fine suo, si che la tenerezza naturale non gli può fare guerra, la coscienzia
sta queta, perché nella vita sua fece buona guardia, abbaiando quando e' nemici
passavano per volere tollere la città de l'anima. Si come il cane che sta a la
porta, il quale, vedendo e' nemici, abbaia, e abbaiando desta le guardie; cosí
questo cane della coscienzia destòe la guardia della ragione, e la ragione
insieme col libero arbitrio cognobbero, col lume de l' intellecto, se era amico
o nemico. A l'amico, cioè le virtú e i sancoi pensieri del cuore, diéro
dileczione e affecto d'amore, exercitandole con grande sollicitudine; e al
nemico, cioè al vizio e alle perverse cogitazioni, diéro odio e dispiacimento;
e col coltello de l'odio e de l'amore, e col lume della ragione, e con la mano
del libero arbitrio percossero e' nemici suoi; si che poi, al ponto della
morte, la coscienzia non si rode, perché ella fece buona guardia, ma stassi in
pace.
È vero che l'anima
per umilità e perché meglio nel tempo della morte cognosce il tesoro del tempo
e le pietre preziose delle virtú, riprende se medesima, parendole poco aver
exercitato questo tempo; ma questa non è pena afiggitiva, anco è pena
ingrassativa, però che fa ricogliere l'anima tucta in se medesima, ponendosi inanzi
el sangue de l'umile e immaculato Agnello mio Figliuolo. E non si vòlle adietro
a mirare le virtú sue passate, perché non vuole né può sperare in sue virtú, ma
solo nel Sangue, dove ha trovata la misericordia mia. E come è vissuta con la
memoria del Sangue, cosí nella morte s' innebria e anniegasi nel Sangue. Le
dimonia perché non la possono riprendere di peccato? perché ella nella vita sua
con sapienzia vinse la loro malizia; ma giongono per volere vedere se potessero
(286) acquistare alcuna cosa. Unde giongono'orribili, per farle paura con
laidissimo aspetto e con molte e diverse fantasie; ma, perché ne l'anima non è
veleno di peccato, l'aspetto loro non le dá quel timore né mette paura come a
uno altro el quale iniquamente sia vissuto nel mondo. Vedendo le dimonia che
l'anima è intrata nel Sangue con ardentissima carità, non la possono sostenere,
ma stanno da la longa a gittare le saette loro. E però la loro guerra e le loro
grida a quella anima non nocciono, però che ella giá comincia a gustare vita
etterna, si come in un altro luogo ti dixi ; però che con l'occhio de
l'intelletto, che ha la pupilla del lume della sanctissima fede, vede me, suo
infinito ed etterno Bene, el quale aspetta d'avere per grazia e non per debito
nella virtú di Iesu Cristo mio Figliuolo. Unde distende le braccia della
speranza e con le mani de l'amore lo strigne, intrando in possessione prima che
vi sia, come detto t'ho el modo in un altro luogo. Subbito passando (annegata
nel Sangue) per la porta stretta del Verbo, giogne in me, mare pacifico, che
siamo insieme uniti lo, mare, e la porta: perché Io e la mia Verità, unigenito
mio Figliuolo, siamo una medesima cosa.
Quanta allegrezza
riceve l'anima che tanto dolcemente si vede gionta a questo passo, però che
gusta el bene della natura angelica! Questo ricevono coloro che passano cosí
dolcemente; ma e' ministri miei, de' quali lo ti dixi che erano vissuti come
angeli, molto maggiormente, perché in questa vita vissero con piú cognoscimento
e con piú fame de l'onore di me e salute de l'anime. Non dico puramente del
lume della virtú, che generalmente ogniuno può avere, ma perché questi,
aggionto al lume del vivere virtuosamente, che è lume sopranaturale, ebbero el
lume della sancta scienzia, per la quale scienzia cognobbero piú della mia
Verità. E chi piú cognosce, piú ama: e chi. piú ama, piú riceve. El merito
vostro v'è misurato secondo la misura de l'amore. E se tu mi dimandassi: — Un
altro, che non abbi scienzia, può giognere a questo amore? — si bene che egli è
possibile che egli vi gionga; ma veruna cosa particulare non fa legge
comunemente per ogniuno, e Io ti favello (287) in generale. E anco ricevono
maggiore dignità per lo stato del sacerdote, perché propriamente lo' fu dato
l'officio del mangiare anime per onore di me. E poniamo che a ciascuno sia dato
che tuctí doviate stare nella dileczione del proximo vostro, a costoro è dato a
ministrare il Sangue e a governare l'anime; unde, facendolo sollicitamente e
con affetto di virtú, come detto è, ricevono costoro piú che gli altri.
Oh, quanto è beata
l'anima-loro quando vengono a l'extremità della morte, perché sonno stati
annunziatori e difenditori della fede al proximo loro. Eglino se l'hanno
incarnata intro le mirolla de l'anima, con la quale fede veggono el luogo loro
in me. La speranza con la quale sonno vissuti, sperando nella providenzia mia,
perdendo ogni speranza di loro medesimi (cioè di none sperare nel loro proprio
sapere); e perché essi perdéro la speranza di loro, non posero affetto
disordinato in veruna creatura né in veruna cosa creata, perché vissero poveri
volontariamente; e però con grande diletto distendono la speranza loro in me.
El cuore loro (che fu uno vasello di dileczione che portava el nome mio con
ardentissima carità, l'annunziavano con exemplo di buona e sancta vita e con la
dottrina della parola al proximo loro) levasi adunque con amore ineffabile e
strigne me per affetto d'amore, che so' suo fine, recandomi la margarita della
giustizia, perché la portò sempre dinanzi da sé, facendo giustizia a ogniuno e rendendo
discretamente il debito suo. E però rende a me giustizia con vera umilità e
rende gloria e loda al nome mio, perché retribuisce aver avuto da me grazia
d'avere corso el tempo suo con pura e sancta conscienzia; e a sé rende
indegnazione, reputandosi indegno d'avere ricevuta e ricevere tanta grazia.
La coscienzia sua
mi rende buona testimonianza, e Io a lui giustamente rendo la corona della
giustizia adornata delle margarite delle virtú, cioè del frutto che la caritá
ha tratto delle virtú. O angelo terrestre! beato te che non se' stato ingrato
de' benefizi ricevuti da me e non hai conmessa negligenzia né ignoranzia; ma
sollicito, con vero lume, tenesti l'occhio tuo aperto sopra e' subditi tuoi, e
come fedele e virile pastore hai seguitata (288) la doctrina del vero e buono
Pastore Cristo, dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo. E però realmente tu passi
per lui bagnato e annegato nel Sangue suo con la torma delle tue pecorelle,
delle quali, con la sancta doctrina e vita tua, molte n'hai condocte a la vita
durabile, e molte n'hai lassate in stato di grazia.
O figliuola
carissima, a costoro non nuoce la visione delle dimonia, però che per la
visione di me (la quale per fede veggono e per amore tengono, perché in loro
non è veleno di peccato) la obscurità e terribilezza loro non lo' dá noia né
alcuno timore, perché in loro non hanno timore servile, anco timore sancto.
Unde non temono e' loro inganni, perché col lume sopranaturale e col lume della
sancta Scriptura cognoscono gl'inganni suoi, si che non ricevono tenebre né
turbazione di mente. Or cosí gloriosamente passano bagnati nel Sangue, con la
fame della salute 'de l'anime, tucti affocati nella caritá del proximo, passati
per la porta del Verbo e intrati in me. E dalla mia bontá sonno conlocati
ciascuno nello stato suo, e misurato lo' secondo la misura che hanno recata a
me de l’affecto della caritá.
Alto del documento
— O carissima
figliuola, non è tanta l’excellenzia di costoro, che e' non abbino molta piú
miseria e' miseri tapinelli de' quali Io t'ho narrato. Quanto è terribile e
obscura la morte loro! Però che nel punto della morte, si come Io ti dixi, le
dimonia gli accusano con tanto terrore e obscurità, mostrando la figura loro,
che sai che è tanto orribile che ogni pena che in questa vita si potesse
sostenere eleggerebbe la creatura, inanzi che vederlo nella visione sua. E anco
se li rinfresca lo stimolo della coscienzia, che miserabilemente il rode nella
coscienzia sua. Le disordinate delizie e la propria sensualità (la quale si
fece signora, e la ragione fece serva), l'acusano miserabilmente, (289)
perchémalora cognosce la veritá di quello che in prima non cognosceva. Unde
viene a grande confusione de l'errore suo, perché
nella vita sua vixe come infedele e non fedele
a me, perché l'amore proprio gli velò la pupilla del lume della sanctissima
fede. El dimonio el molesta d' infedelità, per farlo venire a disperazione.
Oh! quanto gli è
dura questa bactaglia, perché’l truova disarmato e non gli truova Tarme
de l’affecto della carità, perché in tucto, come membri del diavolo, ne sonno
stati privati. Unde non hanno lume sopranaturale né quel della scienzia, perché
non l'intesero, però che le corna della superbia non lo' lassano intendere la
dolcezza del suo merollo; unde ora nelle grandi bactaglie non sanno che si
fare. Nella speranza essi non sonno notricati, però che non hanno sperato in me
né nel Sangue, del quale lo gli feci ministri, ma solo in loro medesimi e negli
stati e delizie del mondo. E non vedeva il misero dimonio incarnato che ogni
cosa gli stava ad usura, e come debitore gli conveniva rendere ragione dinanzi
a me? Ora si truova innudo e senza alcuna virtú, e, da qualunque lato egli si
vòlle, non ode altro che rimproverio con grande confusione.
La ingiustizia sua,
la quale egli ha usata nella vita, l'accusa a la coscienzia, unde non s'ardisce
di dimandare altro che giustizia. E dicoti che tanta è quella vergogna e
confusione, che, se non che essi s'hanno preso nella vita loro per uno uso di
sperare nella misericordia mia, bene che per li loro difecti el?a è grande
presumpzione (perché condì che offende col braccio della misericordia, in
effecto non si può dire che questa sia speranza di misericordia, ma è piú tosto
presumpzione), ma pure ha preso facto della misericordia; unde, venendo a
l’extremità della morte e cognoscendo il difecto suo e scaricando la cóscienzia
per la sancta confessione, è levata la presumpzione, che non offende piú, e
rimane la misericordia. E con questa misericordia possono pigliare atacco di
speranza, se essi vogliono. Che se non fusse questo, neuno sarebbe che non si
disperasse, e con la disperazione giognarebbe con le dimonia a l’etterna
dannazione.
290
Questo fa la mia
misericordia: di farli sperare, nella vita loro, nella misericordia, bene che
Io non lo' ‘l do perché essi of. fendano con la misericordia, ma perché
si dilatino in caritá e in considerazione della bontá mia. Ma essi l'usano
tucta in contrario, però che con la speranza, che essi hanno presa della mia
misericordia, m'offendono. E nondimeno Io gli pure conservo nella speranza
della misericordia, perché ne l'ultimo della morte egli abbino a che ataccarsi
e al tucto non vengano meno nella reprensione e non giongano a disperazione.
Però che molto piú è spiacevole a me e danno a loro questo ultimo peccato del
dispe. rarsi, che tucti gli altri peccati che egli hanno commessi. E questa è
la cagione perché egli è piú danno a loro e spiacevole a me: perché gli altri
peccati essi gli fanno con alcuno dilecto della propria sensualità, e alcuna
volta se ne dolgono, unde se ne possono dolere per modo che per quello dolere
ricevono misericordia. Ma al peccato della disperazione non ve li muove
fragilità, però che non vi truovano alcuno dilecto né altro che pena
intollerabile; e nella disperazione spregia la misericordia mia, facendo
maggiore il difecto suo che la misericordia e bontá mia. Unde, caduto che egli
è in questo peccato, non si pente né ha dolore de l'offesa: mia in veritá come
si debba dolere: duolsi bene del danno suo, ma non si duole de l'offesa che ha
facta a me; e cosí riceve la etterna dannazione.
Si che vedi che
solo questo peccato el conduce a l'inferno, e ne l'inferno è crociato di questo
e di tucti gli altri difecti che egli ha commessi. E se egli si fusse doluto e
pentutosi de l'offesa che aveva (acta a me e avesse sperato nella misericordia,
avarebbe trovato misericordia. Però che senza alcuna comparazione, si come io
ti dixi, è maggiore la misericordia mia che tucti e' peccati che potesse
commectere neuna creatura. E però molto mi dispiace che essi pongano maggiori
e' difecti loro; e questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di
là. E perché nel punto della morte (poi che la vita loro è passata
disordinatamente e scelleratamente), perché molto mi dispiace la disperazione,
vorrei che pigliassero speranza nella misericordia mia, e però nella vita loro
Io uso questo (291) dolce inganno, cioè di farli sperare largamente nella
misericordia mia; però che, quando vi sonno nutricati dentro in questa
speranza, giognendo a la morte non sonno cosí inchinevoli a lassarla per le
dure reprensioni che odono, si come farebbero non essendovisi nutricati dentro.
Tucto questo lo' dá
el fuoco e l'abisso della inextimabile caritá mia. Ma, perché essi l'hanno
usata con la tenebre de l'amore proprio, unde l'è proceduto ogni difecto, non
l'hanno cognosciuta in veritá; e però l'è reputato a grande presumpzione,
quanto che ne l’affecto loro, la dolcezza della misericordia. E questa è
un'altra reprensione che lo' dá la coscienzia ne l'aspecto delle dimonia,
rimproverando che ‘l tempo e la larghezza della misericordia, nella quale
egli sperava, si doveva dilatare in caritá e in amore delle virtú e con virtú
spendere il tempo che lo per amore lo' diei; e eglino, col tempo e con la larga
speranza della misericordia, m'offendevano miserabilemente. O cieco, sopra
cieco! Tu sotterravi la margarita e il talento che Io ti missi nelle mani perché
tu guadagnassi con esso; e tu, come presumptuoso, non volesti fare la volontà
mia, anco el sotterrasti socto la terra del disordinato amore proprio di te
medesimo, il quale ora ti rende fructo di morte. Oh, misero te! quanta è grande
la pena tua, la quale tu ora ne l’extremità ricevi. Elle non ti sonno occulte
le tue miserie, però che ‘l vermine della coscienzia ora non dorme, anco
rode. Le dimonia ti gridano e rendonti el merito che egli usano di rendere a'
servi loro: confusione e rimproverio. Acciò che nel punto della morte tu non
l'esca delle mani, vogliono che tu gionga a la disperazione, e però ti dànno la
confusione, acciò che poi, con loro insieme, ti rendano di quello che egli
hanno per loro.
Oh, misero! la
dignità, nella quale Io ti posi, ti si rapresenta lucida cpme ella è. E per tua
vergogna, cognoscendo che tu l'hai tenuta e usata in tanta tenebre di colpa la
substanzia della sancta Chiesa, ti pone innanzi che tu se' ladro e debitore, el
quale dovevi rendere il debito a' poveri e a la sancta Chiesa. Alora la
coscienzia tua tel rapresenta che tu l'hai speso e dato a le publiche
meritrici, e nutricati e' figliuoli e aricchiti e' parenti (292) tuoi, e
haitelo cacciato giú per la gola con adornamento di casa e con molti vasi de
l'argento, colà dove tue dovevi vivere con povertà volontaria.
L'officio divino ti
rapresenta la tua coscienzia, ché tu el lassavi, e non ti curavi perché cadessi
nella colpa del peccato mortale; e, se tu el dicevi con la bocca, el cuore tuo
era di longa da me. E' subditi tuoi, cioè la caritá e la fame, che verso di
loro dovevi avere di notricarli in virtú, dando lo' exemplo di vita e batterli
con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; e, perché tu
facesti el contrario, la coscienzia ne l'orribile aspetto delle dimonia ti
riprende. E se tu, prelato, hai date le prelazioni o cura d'anime a veruno tuo
subdito ingiustamente, cioè che tu non abbi veduto a cui e come tu l'hai dato,
ti si pone dinanzi a la coscienzia, perché tu le dovevi dare non per parole lusinghevoli
né per piacere alle creature né per doni, ma solo per rispetto di virtú, per
onore di me e salute de l'anime. E perché tu non l'hai facto, ne se' ripreso; e
per maggiore tua pena e confusione hai dinanzi a la coscienzia e al lume de
l'intelletto quello che tu hai facto, che non dovevi fare, e quello che tu
dovevi fare, che tu non hai facto.
E voglio che tu
sappi, carissima figliuola, che piú perfettamente si cognosce la bianchezza
allato al nero e il nero allato a la bianchezza, che separati l'uno da l'altro.
Cosí adiviene a questi miseri, a costoro in particulare e a tutti gli altri
generalmente, che nella morte (dove l'anima comincia piú a vedere i guai suoi,
e il giusto la beatitudine sua) ella è rapresentata al misero la vita sua
scellerata. E non bisogna che alcuno l' il ponga dinanzi, però che la
coscienzia sua si pone innanzi e' difecti che egli ha commessi e le virtú che
doveva adoperare. Perché la virtú? per maggiore sua vergogna: perché, essendo
allato il vizio e la virtú, per la virtú cognosce meglio el difetto, e quanto
piú el cognosce, maggiore vergogna n'ha. E per lo difetto suo cognosce meglio
la perfeczione della virtú, unde ha maggiore dolore, perché si vede nella vita
sua essere stato fuore d'ogni virtú. E voglio che tu sappi che nel
cognoscimento, che essi hanno della virtú e del vizio, veggono troppo bene el
bene (293) che séguita doppo la virtú a l'uomo virtuoso, e la pena che séguita
a quel che è giaciuto nella tenebre del peccato mortale.
Questo
cognoscimento do non perché venga a disperazione, ma perché venga a perfetto
cognoscimento di sé e a vergogna del difetto suo con esperanza; acciò che con
la vergogna e cognoscimento sconti de' difecti suoi e plachi l'ira mia,
dimandando umilmente misericordia. El virtuoso ne cresce in gaudio e in
cognoscimento della mia carità, perché retribuisce la grazia d'avere seguitate
le virtú e d'essere ito per la dottrina della mia Verità, da me e non da sé, e
però exulta in me. Con questo vero lume e cognoscimento gusta e riceve il dolce
fine suo per lo modo che Io in un altro luogo ti dixi. Si che l'uno exulta in
gaudio, cioè il giusto che è vissuto con ardentissima carità, e lo iniquo
tenebroso si confonde in pena. Al giusto la tenebre e visione delle dimonia non
gli nuoce, e non teme, però che solo el peccato è quel che teme e riceve
nocimento. Ma quegli, che lascivamente e con molte miserie hanno guidata la
vita loro, ricevono nocimento e timore ne l'aspetto delle dimonia. Non è
nocimento di disperazione, se essi non vorranno, ma di pena di riprensione, di
rinfrescamento di coscienzia e di paura e timore ne l'orribile aspetto loro.
Ora vedi quanto è
differente, carissima figliuola, la pena della morte e la battaglia che
ricevono nella morte, quella del giusto da quella del peccatore, e quanto è
differente il fine loro. Una piccola, piccola particella te n'ho narrato e
mostrato a l'occhio de l'intelletto tuo: ed è si piccola per rispetto di quel
che ella è, cioè della pena che riceve l'uno e del bene che riceve l'altro, che
è quasi non tavelle. Or vedi quanta è la ciechità dell'uomo, e spezialmente di
questi miserabili, però che tanto quanto hanno ricevuto piú da me e piú sonno
illuminati della sancta Scriptura, piú sonno obligati e ricevono piú
intollerabile confusione. E perché piú cognobbero della sancta Scriptura nella
vita loro, piú cognoscono nella morte loro e' grandi difecti che hanno
commessi, e sonno conlocati in maggiori tormenti che gli altri, si come e'
buoni sonno posti in maggiore excellenzia. A costoro adiviene come del falso
cristiano, che ne (294) l'inferno è posto in maggiore tormento che uno pagano,
perché esso ebbe il lume della fede e renunziò al lume della fede, e colui non
l'ebbe. Cosí questi miseri avaranno piú pena d'una medesima colpa che gli altri
cristiani, per lo misterio che Io lo' diei dando lo' a ministrare il Sole del
sancto Sacramento, e perché ebbero el lume della scienzia a potere discernere
la veritá e per loro e per altrui, se essi avessero voluto. E però giustamente
ricevono maggiori pene.
Ma e' miseri nol
cognoscono; ché, se essi avessero punto di considerazione dello stato loro, non
verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quel che debbono essere e non sonno.
Anco tucto el mondo è corrocto, facendo molto peggio essi che i secolari nel
grado loro. Unde con le loro puzze lordano la faccia de l’anime loro e
corrompono e' subditi e succhiano il sangue a la sposa mia, cioè alla sancta
Chiesa. Unde per li loro difecti essi la impalidiscono, cioè che l'amore e
l'affetto della carità, che debbono avere a questa sposa, l'hanno posto a loro
medesimi, e non attendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e
le grandi rendite, dove essi debbono cercare anime. Unde per la loro mala vita
vengono e' secolari ad inreverenzia e a disobbedienzia alla sancta Chiesa, benché
essi nol debbano fare. E non è scusato il difetto loro per lo difetto de'
ministri.
Alto del documento
— Molti difetti
t'avarei a dire; ma non voglio piú apuzzare l'orecchie tue. Hotti narrato
questo per satisfare al desiderio tuo, e perché tu sia piú sollicita a offerire
dolci, amorosi e amari desidèri dinanzi a me per loro. E hotti contata della
excellenzia nella quale Io gli ho posti, e del tesoro che v'è ministrato per
(295) le mani loro, cioè del sancto Sacramento tucto Dio e tutto uomo, dandoti
la similitudine del sole, acciò che tu vedessi che per li loro difecti non
diminuisce la virtú di questo Sacramento: e però non voglio che diminuisca la
reverenzia verso di loro. E hotti mostrata la excellenzia de' virtuosi ministri
miei, in cui riluceva la margarita delle' virtú e della sancta giustizia. E
hotti mostrato quanto m'è spiacevole l'offesa che fanno e' persecutori della
sancta Chiesa, e la inreverenzia che essi hanno al Sangue; però che,
perseguitando loro, el reputo facto al Sangue e non a loro, però che Io l'ho
vetato che non tocchino e' cristi miei.
Ora t'ho contiato
della vitoperosa vita loro, e quanto miseramente vivono, e quanta pena e
confusione hanno nella morte, e quanto crudelmente, piú che gli altri, sonno
cruciati doppo la morte. Ora t'ho atenuto quel ch' Io ti promissi, cioè di
narrarti della vita loro alcuna cosa; e hotti satisfacto di quel che mi
dimandasti, volendo tu che Io t'actenessé quel che promesso t'aveva.
Ora ti dico da capo
che, con tutti quanti e' loro difetti, e se fussero ancora piú, Io non voglio
che neuno secolare s'impacci di punirli. E se essi el faranno, non rimarrà
impunita la colpa loro, se giá non la puniscono con la contrizione del cuore,
ammendandosi de' difetti loro. Ma l'uno e gli altri sonno dimòni incarnati, e
per divina giustizia l'uno dimonio punisce l'altro; e l'uno e l'altro offende.
El secolare non è scusato per lo peccato del prelato, né il prelato per lo
peccato del secolare. Ora invito te, carissima figliuola, e tutti gli altri
servi miei a piagnere sopra questi morti, e a stare come pecorelle nel giardino
della sancta Chiesa a pascere per sancto desiderio e continue orazioni,
offerendole dinanzi a me per loro, però che Io voglio fare misericordia al
mondo. E non vi ritraete da questo pascere né per ingiuria né per alcuna
prosperità, cioè che non voglio che alziate il capo né per impazienzia né per
disordinata allegrezza, ma umilmente attendete a l'onore di me e alla salute de
l'anime e alla reformazione della sancta Chiesa. E questo mi sarà segno che tu
e gli altri m'amiate in veritá. Tu sai bene che Io ti manifestai che volevo che
tu e gli altri fuste pecorelle, (296) le quali sempre pasceste nel giardino
della sancta Chiesa, sostenendo con fadiga, infino a l'ultimo della morte. E,
cosí facendo, adempirò e' desidèri tuoi.
Alto del documento
Alora quella anima,
come ebbra, ansietata e affocata d'amore, ferito el cuore di molta amaritudine,
si vòlleva alla somma ed etterna bontá, dicendo: — O Dio etterno, o luce sopra
ogni altra luce, ché da te esce ogni luce! o fuoco sopra ogni fuoco, però che
tu se' solo quello fuoco che ardi e non consumi; e consumi ogni peccato e amore
proprio che trovassi ne l'anima; e non la consumi afliiggitivamente, ma
ingrassila d'amore insaziabile, però che, saziandola, non si sazia, ma sempre
ti desidera, e quanto piú t'ha piú ti cerca, e quanto piú ti desidera piú
truova e gusta di te, sommo ed etterno fuoco, abisso di caritá ! O sommo ed
etterno Bene, chi t'ha mosso te, Dio infinito, d'aluminare me, tua creatura
finita, del lume della tua veritá? Tu, esso medesimo fuoco d'amore, ne se'
cagione. Però che sempre l'amore è quello che ha costretto e costrigne te a
crearci a la imagine e similitudine tua, e a farci misericordia donando
smisurate e infinite grazie alle tue creature che hanno in loro ragione. O
Bontà sopra ogni bontá ! tu solo se' colui che se' sommamente buono, e
nondimeno tu donasti el Verbo de l'unigenito tuo Figliuolo a conversare con
noi, puzza e pieni di tenebre. Di questo chi ne fu cagione? L'amore, però che
ci amasti prima che noi fussimo. O buono, o etterna grandezza, facestiti basso
e piccolo per fare l'uomo grande. Da qualunque lato Io mi vòllo, non truovo
altro che abisso e fuoco della tua caritá.
E sarò io quella
misera che possa restituire alle grazie e a l’affocata caritá che tu hai
mostrata, e mostri tanto affocato amore in particulare, oltre a la caritá
comune e amore che (297) tu mostri a le tue creature? No: ma solo tu,
dolcissimo e amoroso Padre, sarai quello che sarai grato e cognoscente per me,
cioè che l'affetto della tua caritá medesima ti renderà grazie; però che io so'
colei che non so'. E se io dicesse alcuna cosa per me, io mentirei sopra el
capo mio e sarei mendace figliuola del dimonio, che è padre delle bugie. Però
che tu se' solo colui che se'; e l'essere e ogni grazia, che hai posta sopra
l'essere, ho da te, che mel desti e dài per amore e non per debito. O
dolcissimo Padre, quando l'umana generazione giaceva inferma per lo peccato di
Adam, e tu le mandasti el medico del dolce e amoroso Verbo, tuo Figliuolo. Ora,
quando Io giacevo inferma della infermità della negligenzia e di molta
ignoranzia, e tu, soavissimo e dolcissimo medico, Dio etterno, m'hai data una
soave, dolce e amara medicina, acciò che io guarisca e mi levi da la mia
infermità. Soave m'è, però che con la soavità e caritá tua hai manifestato te a
me: dolce sopra ogni dolce m'è, però che hai illuminato l'occhio de
l'intelletto mio col lume della sanctissima fede. Nel quale lume, secondo che
t'è piaciuto di manifestare, cognobbi la excellenzia e la grazia che hai data a
l'umana generazione, ministrando tutto Dio e tutto uomo nel corpo mistico della
sancta Chiesa, e la dignità de' tuoi ministri, e' quali hai posti che
ministrino te a noi.
Io desideravo che
tu satisfacessi a la promessa la quale facesti a me; e tu desti molto piú,
dando quello che io non sapevo adomandare. Unde io cognosco veramente in veritá
che ‘l cuore dell'uomo non sa tanto adimandare né desiderare quanto tu
piú dài; e cosí veggo che tu se' colui che se', infinito e etterno Bene, e noi
siamo coloro che non siamo. E perché tu se' infinito e noi finiti, però dài tu
quello che la tua creatura, che ha in sé ragione, non può né sa tanto
desiderare: né per quel modo che tu sai, puoi e vuogli satisfare a l'anima e
saziarla di quelle cose che ella non t'adimanda, né per quel modo tanto dolce e
piacevole quanto tu le dài. E però ho ricevuto lume nella grandezza e caritá
tua per l'amore, che hai manifestato che tu hai a tutta l'umana generazione, e
singularmente agli unti tuoi, e' quali debbono essere angeli terrestri in
questa (298) vita. Mostrato hai la virtú e beatitudine di questi tuoi unti, e'
quali sonno vissuti come lucerne ardenti con la margarita della giustizia nella
sancta Chiesa. E, per questo, meglio ho cognosciuto el difecto di coloro che
miserabilemente vivono. Unde ho conceputo grandissimo dolore de l'offesa tua e
danno di tucto quanto el mondo: perché fanno danno al mondo, essendo specchio
di miseria, dove essi debbono essere specchio di virtú. E perché tu a me,
misera, cagione e strumento di molti difecti, hai manifestate e lamentatoti
delle iniquità loro, ho trovato dolore intollerabile.
Tu, amore
inextimabile, l'hai manifestato dandomi la medicina dolce e amara, perché io mi
levi in tucto da la infermità della ignoranzia e negligenzia, e con
sollicitudine e anxietato desiderio ricorra a te, cognoscendo me e la bontá
tua, e l'offese che sonno facte a te da ogni maniera di gente e spezialmente
da' ministri tuoi, acciò che io distilli uno fiume di lagrime Sopra me
miserabile, traendole del cognoscimento della tua infinita bontá, e sopra
questi morti, e' quali tanto miserabilmente vivono. Unde io non voglio,
ineffabile fuoco e dileczione di carità, Padre etterno, che ‘l desiderio
mio si stanchi mai di desiderare il tuo onore e la salute de l'anime, e gli
occhi miei non si ristiano; ma dimandoti per grazia che sieno facti due fiumi
d'acqua, che esca di te, mare pacifico. Grazia, grazia sia a te, Padre, che,
satisfacendo a me di quel che io ti dimandai e di quello che io non cognoscevo
e non ti dimandai, tu m'hai invitata, dandomi la materia del pianto, e
d'offerire dolci e amorosi e anxietati desidèri dinanzi da te con umile e
continua orazione. Ora t'adimando che tu facci misericordia al mondo e alla
sancta Chiesa tua. Pregoti che tu adempia quello che tu mi fai adimandare.
Oimè, misera, dolorosa l'anima mia, cagione d'ogni male! Non indugiare piú a
fare misericordia al mondo: conscende e adempie il desiderio de' servi tuoi.
Oimè! tu se' colui che gli fai gridare: adunque ode la voce loro. La tua Verità
disse che noi chiamassimo e sarebbeci risposto, bussassimo e sarebbeci aperto,
chiedessimo e sarebbeci dato. O Padre etterno, e' servi tuoi chiamano a te
misericordia: risponde lo' (299) dunque. lo so bene che la misericordia t'è
propria, e però non la puoi stollere che tue non la dia a chi te l'adomanda.
Essi bussano a la porta della tua Verità, però che nella Verità tua, unigenito
tuo Figliuolo, cognoscono l'amore ineffabile che tu hai a l'uomo, si che
bussano a la porta. Unde il fuoco della tua caritá non si debba né può tenere
che tu non apra a chi bussa con perseveranzia.
Adunque apre,
diserra e spezza e' cuori indurati delle tue creature: non per loro che non
bussano, ma fallo per la tua infinita bontá e per amore de' servi tuoi, che
bussano a te per loro. Dà lo', Padre etterno, ché vedi che stanno a la porta
della Verità tua e chiegono. E che chiegono? il Sangue di questa porta, Verità
tua. E nel sangue tu hai lavate le iniquità, e tracta la marcia del peccato
d'Adam. El Sangue è nostro, però che ce n'hai facto bagno: noi puoi né vuogli
disdire a chi te l’adimanda in veritá. Dà' dunque il fructo del Sangue a le tue
. creature: pone nella bilancia el prezzo del sangue del tuo Figliuolo, acciò
che le dimonia infernali non ne portino le tue pecorelle. Oli! tu se' pastore
buono, che ci desti el Pastore vero de l'unigenito tuo Figliuolo, el quale, per
l’obbedienzia tua, pose la vita per le tue pecorelle e del Sangue ci fece
bagno. Questo è quel Sangue che t'adimandano come affamati e' servi tuoi a
questa porta: per lo quale Sangue adimandano che tu facci misericordia al
mondo, e rifiorisca la sancta Chiesa di fiori odoriferi di buoni e sancti
pastori, e con l'odore spenga la puzza degl'iniqui fiori e putridi. Tu dicesti,
Padre etterno, che per l'amore che tu hai alle tue creature, che hanno in loro
ragione, che con l’orazioni dei servi tuoi e col molto loro sostenere fadighe
senza colpa, faresti misericordia al mondo e riformaresti la Chiesa tua, e cosí
ci daresti refrigerio. Adunque non indugiare a vòllere l'occhio della tua
misericordia, ma risponde, però che vuoli rispondere prima che noi chiamiamo,
con la voce della tua misericordia.
Apre la porta della
tua inextimabile carità, la quale ci donasti per la porta del Verbo. Si, so io
che tu apri prima che noi bussiamo, però che con l’affecto e amore, che hai
dato (300) a' servi tuoi, bussano e chiamano a te, cercando l'onore tuo e la
salute de l'anime. Dona lo' dunque il pane della vita, cioè il fructo del
sangue de l'unigenito tuo Figliuolo, el quale t'adimandiamo per gloria e loda
del nome tuo e per salute de l'anime. Però che piú gloria e loda pare che torni
a te a salvare tante creature, che a lassarle obstinate permanere nella durizia
loro. A te, Padre etterno, ogni cosa è possibile: poniamo che tu ci creasti
senza noi, ma salvare senza noi questo non vuogli fare; ma pregoti che sforzi
la volontà loro e dispongali a volere quello che essi non vogliono. Questo
t'adimando per la tua infinita misericordia. Tu ci creasti di non cavelle;
adunque, ora che noi siamo, facci misericordia e rifa' e' vaselli che tu hai
creati e formati a la imagine e similitudine tua. Riformagli a grazia nella
misericordia e nel sangue del tuo Figliuolo, Cristo dolce Iesú.
Alto del documento
303
Alora el sommo ed
etterno Padre con benignità ineffabile voileva l'occhio della sua clemenzia
inverso di lei, quasi volendo mostrare che in tucte le cose la providenza sua
non mancava mai a l'uomo, pure che egli la voglia ricevere, manifestandolo con
uno dolce lagnarsi dell'uomo in questo modo, dicendo: — O carissima figliuola
mia, si come in piú luoghi Io t’ho decto, Io voglio fare misericordia al mondo
e in ogni necessità provedere a la mia creatura che ha in sé ragione. Ma lo
ignorante uomo piglia in morte quello che lo do in vita, e cosí si fa crudele a
se medesimo. Io sempre proveggo; e si ti lo sapere che ciò che Io ho dato a
l'uomo è somma providenzia. Unde con providenzia el creai: quando raguardai in
me medesimo, inamora' mi della mia creatura; piacquemi di crearla a la imagine
e similitudine mia con molta providenzia. Unde providdi di darle la memoria
perché ritenesse i. benefizi miei, facendole participare della potenzia di me
Padre etterno. Die' le l'intellecto acciò che nella sapienzia de l'unigenito
mio Figliuolo ella intendesse e cognoscesse la volontà di me Padre etterno,
donatore delle grazie a lei con tanto fuoco d'amore. Die' le la volontà ad
amare, participando la clemenzia dello Spirito sancto, acciò che potesse amare
quello che lo 'ntellecto vide e cognobbe.
Questo fece la
dolce mia providenzia solo perché ella fusse capace ad intendere e gustare me,
e godere de l’etterna mia (304) bontá ne l'etterna mia visione. E, si come in
molti luoghi Io t'ho narrato, perché giognesse a questo fine, essendo serrato
el cielo per la colpa d'Adam, il quale non cognobbe la sua dignità, raguardando
con quanta providenzia e amore ineffabile Io l'avevo creato; unde, perché egli
non la conobbe, pera cadde nella disobbedienzia, e dalla disobbedienzia a la
immondizia, con superbia e piacere feminile, volendo piú tosto conscendere e
piacere a la compagna sua (poniamo che non credesse però a lei quello che ella
diceva), consenti piú tosto di trapassare l'obbedienzia mia che contristarla;
cosí per questa disobbedienzia vennero e sonno venuti poi tucti quanti e' mali;
tucti contraeste di questo veleno (della quale disobbedienzia in uno altro
luogo ti narrarò come ella è pericolosa, ad commenda. zione de l'obbedienzia);
unde, per tollere via questa morte, Io providi a l'uomo dandovi el Verbo de
l'unigenito mio Figliuolo con grande prudenzia e providenzia per provedere a la
vostra necessità. Dico « con prudenzia », però che con l'esca della
vostra umanità e l'amo della mia Deitá Io presi el dimonio, el quale non poté
cognoscere la mia Verità. La quale Verità, Verbo incarnato, venne a consumare e
a distruggere la sua bugia con la quale aveva ingannato l'uomo.
Si che usai grande
providenzia e prudenzia. Pensa, carissima figliuola, che maggiore non la poteva
usare che darvi el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo. A lui posi la grande
obbedienzia per trare il veleno, che per la disobbedienzia era caduto ne
l'umana generazione. Unde egli, come inamorato vero obbediente, corse a
l'obrobriosa morte della sanctissima croce, e con la morte vi die' la vita.
None in virtú de l'umanità, ma in virtú della mia Deitá; la quale, per mia
providenzia, unii con la natura umana per satisfare a la colpa che era facta
contra a me, Bene infinito, la quale richiedeva satisfaczione infinita, cioè
che la natura umana, che aveva offeso (che era finita), fusse unita con cosa
infinita, acciò che infinitamente satisfacesse a me infinito, e a la natura
umana, a`passati, a' presenti e a' futuri, e tanto quanto offendesse l'uomo,
volendo ritornare a me nella vita sua, trovasse perfecta satisfaczione. E però
unii la natura divina con (305) natura umana, per la quale unione avete
ricevuta satisfaczione perfecta. Questo ha facto la mia providenzia: che, con
l'operazione finita (ché finita fu la pena della croce nel Verbo), avete
ricevuto fructo infinito in virtú della Deitá, come decto è.
Questa infinita ed
etterna providenzia di me Dio, Padre vostro, Trinitá etterna, provide di
rivestire l'uomo. El quale, avendo perduto el vestimento della innocenzia e
dinudato d'ogni virtú, periva di fame e moriva di freddo in questa vita della
perregrinazione. Soctoposto era ad ogni miseria, serrata era la porta del cielo
e perduta n'aveva ogni speranza; la quale speranza, se l'avesse potuta pigliare,
gli sarebbe stato uno refrigerio in questa vita. None l'aveva, e però stava in
grande affliczione. Ma Io, somma providenzia, providi a questa necessità: unde,
non costrecto dalle vostre giustizie né virtú, ma dalla mia bontá, vi diei el
vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo.
El quale, spogliando sé della vita, rivesti voi di innocenzia e di grazia; la
quale innocenzia e grazia ricevete nel sancto baptesmo in virtú del Sangue,
lavando la macchia del peccato originale, nel quale sète conceputi,
contraendolo dal padre e dalla madre vostra. E però la mia providenzia provide
non con pena di corpo, si come era usanza nel Testamento vecchio, quando erano
circuncisi, ma con la dolcezza del sancto baptesmo.
Si che egli è
rivestito. Anco l'ho scaldato, manifestandovi l'unigenito mio Figliuolo, per
l'apriture del Corpo suo, el fuoco della mia carità, el quale era velato sotto
questa cennere de l'umanità vostra. E non die questo riscaldare l'affreddato
cuore de l'uomo, se egli non è giá obstinato, aciecato dal proprio amore, che
egli non si vegga amare da me tanto ineffabilemente? La mia providenzia gli ha
dato el cibo per confortarlo mentre che egli è perregrino e viandante in questa
vita, si come. in un altro luogo ti dixi. Facto ho indebilire i nemici suoi,
che veruno gli può nocere se non esso medesimo. La strada è battuta nel Sangue
della mia Verità, acciò che possa giognere al termine suo, a quello fine per lo
quale Io el creai. E che cibo è questo? Si come in un altro luogo lo ti narrai,
è il Corpo (306) e ‘l Sangue di Cristo crocifixo tucto Dio e tucto
uomo, cibo degli angeli e cibo di vita. Cibo che sazia ogni affamato che di
questo pane si dilecta, ma none colui che non ha fame; però che egli è uno cibo
che vuole essere preso con la bocca del sancto desiderio e gustato per amore.
Si che vedi che la mia providenzia ha proveduto di darli conforto.
Alto del documento
— Anco gli ho dato
el refrigerio della speranza, se col lume della sanctissima fede raguarda el
prezzo del Sangue che è pagato per lui, el quale gli dá ferma speranza e
certezza della salute sua. Negli obrobri di Cristo crocifixo gli è renduto
l'onore; ché se con tucte le membra del corpo suo egli offende me, e Cristo
benedecto, dolcissimo mio Figliuolo, in tucto el Corpo suo ha sostenuti
grandissimi tormenti, e con la sua obbedienzia ha levata la vostra
disobbedienzia. Dalla quale obbedienzia tucti avete contracto la grazia, si
come per la disobbedienzia tucti contraeste la colpa.
Questo v'ha
conceduto la mia providenzia, la quale, dal principio del mondo infino al di
d'oggi, ha proveduto e provederà, infino a l'ultimo, a la necessità e salute
dell'uomo in molti e diversi modi (secondo che Io, giusto e vero medico, veggo
che vi bisogna a le vostre infermità), secondo che n'ha bisogno per renderli
sanità perfecta o per conservarlo nella sanità. La mia providenzia non mancarà
mai, a chi la vorrà ricevere, in quegli che perfectamente sperano in me. E chi
spera in me, bussa e chiama in veritá, non solamente con la parola, ma con affetto
e col lume della sanctissima fede, gustaranno me nella providenzia mia; ma non
coloro che solamente bussano e suonano col suono della parola, chiamandomi: —
Signore, Signore! — Dicoti che, se essi con altra virtú non m'adimandano, non
saranno (307) conosciuti da me per misericordia, ma per giustizia. Si che lo ti
dico che la mia providenzia non mancarà a chi in veritá spera in me, ma in chi
si dispera di me e spera in sé.
Sai che speranza in
due cose contrarie non si può ponere. Questo volse dire a voi la mia Verità nel
sancto Evangelio, quando dixe: «Veruno può servire a due signori»; ché, se
serve a l'uno, è incontempto a l'altro. Servire non è senza speranza, però che
‘l servo, che serve, serve con esperanza che ha nel prezzo e utilitá che
se ne vede trare, o con esperanza che egli ha di piacere al signore suo. Onde
al nemico del suo signore punto non servirebbe; el quale servizio fare non
potrebbe senza alcuna speranza. Onde, servendo e sperando, si vederebbe privare
di quello che aspectava dal signore suo. Or cosí pensa, carissima figliuola,
che adiviene a l'anima: o egli si conviene che ella serva e speri in me, o
serva e speri nel mondo e in se medesima: però che tanto serve al mondo, Cuore
di me, di servizio sensuale, quanto serve e ama la propria sensualità; del
quale amore e servizio spera d'avere dilecto, piacere e utilitá sensitiva. Ma,
perché la speranza sua è posta in cosa finita, vana e transitoria, però gli
viene meno, e non giogne in effecto di quel che desiderava. Mentre che egli
spera in sé e nel mondo, none spera in me: perché ‘l mondo, cioè i
desidèri mondani dell'uomo sono a me in odio, e in tanta abominazione mi furono
che Io diei l'unigenito mio Figliuolo a l’obrobriosa morte della croce; onde il
mondo non ha conformità meco, né Io con lui. Ma l'anima, che perfectamente
spera in me e serve con tucto el cuore e con tucto l’affecto suo, subbito per
necessità, per la cagione decta, si conviene che si disperi di sé e del mondo,
di speranza posta con propria fragilità.
Questa vera e perfecta
speranza è meno e piú perfecta, secondo la perfeczione de l'amore che l'anima
ha in me. E cosí, perfecta e imperfecta, gusta della providenzia mia: piú
perfettamente la gustano e la ricevono quegli che servono e sperano di piacere
solamente a me, che quegli che servono con esperanza del fructo e per dilecto
che trovassero in me. Questi primi sonno quegli che, ne l'ultimo stato de
l'anima, Io ti narrai della (308) loro perfeczione. E questi, che Io ora ti
conto, sonno e' secondi e i terzi, che vanno con esperanza del diletto e del
fructo, e sonno quegli imperfecti de' quali Io ti contai narrandoti degli stati
de l'anima.
Ma, in veruno modo,
a' perfetti e agli imperfecti non mancarà la mia providenzia, purché l'uomo non
presummi né speri in sé. El quale presummere e sperare in sé, perché esce da
l'amore proprio, obfusca l'occhio de l'intelletto, .traendone el lume della
sanctissima fede. Unde non va con lume di ragione, e però non cognosce la mia
providenzia, non che egli non ne pruovi. Però che neuno è, né giusto né
peccatore, che non sia proveduto da me, perché ogni cosa è facta e creata da la
mia bontá, però che Io so' Colui che so', e senza me veruna cosa è facta, se
non solo el peccato che non è. Si che essi ricevono bene della mia providenzia,
ma non la intendono, perché non la cognoscono: non'cognoscendola, non l'amano:
e però non ne ricevono fructo di grazia. Ogni cosa veggono torta, dove ogni
cosa è dricta. E, si come ciechi, ogni cosa vegono in tenebre, e la tenebre in
luce, perché hanno posta la speranza e il servizio loro nella tenebre, unde
caggiono in mormorazione e vengono ad impazienzia.
E come sonno tanto
macti? Doh, carissima figliuola, come possono essi credere che Io, somma ed
etterna bontá, possa volere altro che il loro bene nelle cose piccole che tucto
di Io permecto per salute loro, quando pruovano che Io non voglio altro che la
loro sanctificazione nelle cose grandi? Ché, con tucta la loro ciechità, non
possono fare che almeno con uno poco di lume naturale non veggano la bontá mia
e il benefizio della mia providenzia, la quale truovano (e non la possono
dinegare) nella prima creazione e nella ricreazione che ha ricevuto l'uomo nel
Sangue, ricreandolo a grazia, si come detto t'ho. Questa è cosa si chiara e
manifesta che non possono dire di no. Poi mancano e vengono meno a l'ombra
loro, perché questo lume naturale non è stato exercitato in virtú. El macto
uomo non vede che di tempo in tempo Io ho proveduto generalmente al mondo, e in
particulare a ogniuno secondo el suo (309) Stato. E perché veruno è che in
questa vita stia fermo, ma sempre si muta di tempo in tempo insino che egli è
gionto a lo stato suo fermo, sempre il provego di quel che gli bisogna nel
tempo che egli è.
Alto del documento
— Generalmente Io
providi con la legge, che Io diei a Moisé nel Testamento vecchio, e con molti
altri sancti profeti. Anco ti fo sapere che, innanzi l'avenimento del Verbo mio
Figliuolo, poco stecte il popolo giudaico senza profeta, per confortare il
popolo con le profezie, dando lo' speranza che la mia Verità, profeta de'
profeti, li traesse della servitú e facesseli liberi e diserrasse lo' el cielo
col sangue suo, che tanto tempo era stato serrato. Ma, poi che venne il dolce e
amoroso Verbo, neuno profeta si levò tra loro: per certificarli che quello, che
egli aspettavano, l'avevano avuto, unde non bisognava che piú profeti
l'annunziassero: benché essi nol cognobbero né cognoscono per la ciechità loro.
Doppo costoro, providi venendo el Verbo, si come decto è, il quale fu vostro
tramezzatore tra me, Dio etterno, e voi. Doppo lui, gli appostoli, martiri,
doctori e confessori, si come in un altro luogo Io ti dixi. Ogni cosa ha facto
la mia providenzia, e cosi ti dico che infino a l'ultimo provederà. Questa è
generale, data a ogni creatura che ha in sé ragione, che di questa providenzia
vorrà ricevere el frutto. In particulare lo' do ogni cosa per mia providenzia:
e vita e morte (per qualunque modo lo la dia), fame, sete, perdimento di stato
nel mondo, nudità, freddo, caldo, ingiurie, scherni e villanie. Tucte queste
cose permetto che lo' siano facte o decte dagli uomini. Non che lo faccia la
malizia della mala volontà di colui che fa el male e la ingiuria, ma el tempo e
l'essere che egli ha avuto da (310) me. El quale essere gli dici non perché
offendesse me né il prossimo suo, ma perché servisse me e lui con dileczione di
caritá. Unde Io permecto quello acto o per provare la virtú della pazienzia in
quella anima di colui che riceve, o per farlo ricognoscere.
Alcuna volta permectarò
che al giusto tucto el mondo gli sarà contrario, e ne l'ultimo farà morte la
quale darà grande admirazione agli uomini del mondo. Parrà a loro una cosa
ingiusta di vedere perire uno giusto quando in acqua, quando in fuoco, quando
strangolato da l'animale e quando per cadimento di casa sopra di lui, nel quale
perderà la vita corporale. Oh, quanto paiono fuore di modo queste cose a quello
occhio che non v'è dentro el lume della sanctissima fede! Ma none al fedele:
però che’l fedele ha trovato e gustato, per affecto d'amore, nelle cose
grandi sopradecte la mia providenzia; e cosí vede e tiene che con providenzia
Io fo ciò ch' Io fo, solo per procurare a la salute dell'uomo. E però ha ogni
cosa in reverenzia: non si scandalizza in sé, né ne l'operazioni mie, né nel
proximo suo; ma ogni cosa trapassa con vera pazienzia. La providenzia mia non è
tolta a veruna creatura, perché tucte le cose sonno condite con essa. Alcuna
volta parrà a l'uomo, o grandine o tempesta o saetta che Io mandi sopra el
corpo della creatura, che ella sia crudeltá, quasi giudicando che Io non abbi
proveduto a la salute di colui. E Io l'ho facto per camparlo della morte
etternale; ed egli tiene il contrario. E cosí gli uomini del mondo in ogni cosa
vogliono contaminare le mie operazioni e intenderle secondo el loro basso
intendimento.
Alto del documento
— E voglio che tu
vegga, dilectissima figliuola, con quanta pazienzia a me conviene portare le
mie creature, le quali Io ho create, come decto è, a la imagine e similitudine
mia con tanta (311) dolcezza d'amore. Apre l'occhio de l'intelletto e raguarda
in me; e ponendoti Io uno caso particulare avenuto, del quale se ben ti
ricorda, tu mi pregasti ch' Io provedesse, e io providi, si come tu sai, che
senza pericolo di morte riebbe lo stato suo. E come egli è questo particulare,
cosí è generalmente in ogni cosa. —
Alora quella anima,
aprendo l'occhio de l’intellecto col lume della sanctissima fede nella divina
sua maestà con anxietato desiderio (perché per le parole decte piú conosceva
della sua veritá nella dolce providenzia sua) per obbedire al comandamento suo,
specolandosi ne l'abisso della sua carità, vedeva come egli era somma e etterna
Bontà, e come per solo amore ci aveva creati e ricomprati del sangue del suo
Figliuolo, e che con questo amore medesimo dava ciò che egli dava e permecteva:
tribulazioni e consolazioni; ogni cosa era dato per amore e per provedere a la
salute de l'uomo, e non per verun altro fine.
El Sangue sparto
con tanto fuoco d'amore vedeva che manifestava che questa era la veritá. Alora
diceva el sommo ed etterno Padre: — Questi sono come aciecati per lo proprio
amore che hanno di loro medesimi, scandalizzandosi con molta impazienzia. Io ti
parlo ora in particulare e in generale, ripigliando quel ch' Io dicevo. Essi
giudicano in male, in loro danno, in ruina e in odio quello che Io fo per amore
e per loro bene, per privarli dalle pene etternali, per guadagno e per dar lo'
vita etterna. E perché dunque si lagnano di me? perché none sperano in me, ma
in loro medesimi; e giá t'ho decto che per questo vengono a tenebre, si che non
cognoscono. Unde odiano quel che debbono avere in reverenzia, e, come superbi,
vogliono giudicare gli occulti miei giudizi, e' quali sonno tucti dricti. Ma
essi fanno come il cieco, che col tacto della mano, o alcuna volta col sapore
del gusto, e quando col suono della voce, vorrà giudicare in bene e in male,
secondo el suo basso, infermo e picciolo sapere. E non si vorranno actenere a
me, che so' vero lume e so' Colui che gli nutrico spiritualmente e
corporalmente, e senza me veruna cosa possono avere. E se alcuna volta sonno
serviti da la creatura, Io so' Colui che l'ho data la volontà, l’aptitudine, el
sapere, el potere a poterlo fare. Ma, come macto, (312) egli andare vuole col
sentimento della malto, che è ingannata nel suo toccare perché non ha lume per
discernere il colore: e cosí el gusto s'inganna, perché non vede l'animale
immondo che si pone alcuna volta in sul cibo; l'orecchia è ingannata nel
diletto del suono, perché non vede colui che canta; se non si guardasse da lui,
per lo diletto egli li può dare la morte.
Cosí fanno costoro
e' quagli, come aciecati, perduto el lume della ragione, toccano con la mano
del sentimento sensitivo. E' diletti del mondo lo' paiono buoni; ma, perché
essi non veggono, non si guardano che egli è uno panno meschiato di molte
spine, con molta miseria e grandi affanni, in tanto che il cuore, che le
possiede fuore di me, è incomportabile a se medesimo. Cosí la bocca del
desiderio, che disordinatamente l'ama, gli paiono dolci e soavi a prendere, ed
egli v'è su l'animale immondo di molti peccati mortali, e' quali fanno immonda
l'anima e dilonganla dalla similitudine mia e tolgonla della vita della grazia.
Unde, se egli non va col lume della sanctissima fede a purificarla nel Sangue,
n'ha morte etternale. L'udire è l'amore proprio di sé, che gli pare che facci
uno dolce suono. Perché gli pare? perché l'anima corre dietro a l'amore della
propria. sensualità; ma, perché non vede, è ingannato dal suono, e, perché gli
andò dietro con disordinato diletto, truovasi condotto nella fossa, legato col
legame della colpa, menato nelle mani de' nemici suoi, però che, come aciecato
dal proprio amore e confidanza che hanno posta a loro medesimi e al loro
proprio sapere, non s'attengono a me, che so' guida e via loro.
Fatta v'è questa
via dal Verbo mio Figliuolo, el quale dixe che era « via, veritá e vita », ed è
lume. Unde chi va per lui non può essere ingannato né andare in tenebre; e
neuno può venire a me se non per lui, perché egli è una cosa con meco; e giá ti
dixi che Io ve n'avevo facto ponte, acciò che tutti poteste venire al termine
vostro. E nondimeno, con tutto questo, non si fidano di me, che non voglio
altro che la loro sanctificazione. Per questo fine, e con grande amore lo' do e
permetto ogni cosa, ed essi sempre si scandalizzano in me; e Io con pazienzia
gli porto e gli sostengo, perché Io gli amai senza essere (313) amato da loro.
Ed essi sempre mi perseguitano con molta impazienzia, odio e mormorazioni e con
molta infedelità, volendosi ponere ad investigare, secondo el loro cieco
vedere, gli occulti miei giudici, e' quali sonno fatti tucti giustamente e per
amore. E non cognoscono ancora loro medesimi, e però vegono falsamente, però
che chi non cognosce se medesimo non può cognoscere me né le giustizie mie in
veritá.
Alto del documento
— Vuogli ti mostri, figliuola, quanto el mondo
è ingannato de' misteri miei? Or apre l'occhio de l' intelletto, e raguarda in
me; e, mirando, vedrai nel caso particulare del quale lo ti dixi che ti
narrarei. E come egli è questo, cosí generalmente ti potrei contare degli
altri. —
Alora quella anima,
per obbedire al sommo etterno Padre, raguardava in lui con ansietato desiderio.
Alora Dio etterno dimostrava la dannazione di colui per cui era adivenuto el
caso, dicendo: — Io voglio che tu sappia che, per camparlo di questa etternrna
dannazione nella quale tu vedi che egli era, lo permissi questo caso, acciò che
col sangue suo nel Sangue della mia Verità unigenito mio Figliuolo avesse vita.
Però che non avevo dimenticato la reverenzia e amore che egli aveva a la
dolcissima madre, Maria, dell'unigenito mio Figliuolo. A la quale è dato
questo, per reverenzia del Verbo, da la mia bontá: cioè che qualunque sarà
colui, o giusto o peccatore, che l'abbi in debita reverenzia, non sarà tolto né
devorato dal demonio infernale. Ella è come una esca posta da la mia bontá a
pigliare le creature che hanno in loro ragione. Si che per misericordia ho
facto quello, cioè permessolo, none (acta la mala volontà degl' iniqui, che gli
uomini tengono crudeltá. E tutto questo l'adiviene per l'amore proprio di loro
medesimi, che l'ha tolto (314) el lume, e però non cognoscono la veritá mia.
Ma, se essi si volessero levare la nuvila, la cognoscerebbero e amarebbero, e
cosí avarebbero ogni cosa in reverenzia, e nel tempo della ricolta
riceverebbero el frutto delle loro fadighe. Ma non dubbitare, figliuola mia,
ché di quello che tu mi preghi Io adempirò e' desidèri tuoi e de' servi miei.
Io so' lo Dio vostro remuneratore d'ogni fadiga e adempitore de' sancti
desidèri, purché Io trovasse chi in veritá bussasse a la porta de la mia
misericordia con lume, acciò che non errassero né mancassero in speranza della
mia providenzia.
Alto del documento
— Hotti narrato di
questo caso particulare: ora ti ritorno al generale. Tu non potresti mai vedere
quanta è la ignoranzia dell'uomo. Egli è senza veruno senno o cognoscimento,
avendoselo tolto per sperare in sé e confidarsi nel suo proprio sapere. O
stolto uomo, e non vedi tu che il sapere tuo tu non l'hai da te, ma la mia
bontá, che provide al tuo bisogno, te l'ha dato? Chi tel mostra? Quel che tu in
te medesimo pruovi: che tale ora vuoli tu fare una cosa, che tu non la puoi
fare né saprai fare. Alcuna volta non avarai el tempo, e, se avarai el tempo,
ti mancarti el volere. Tucto questo t’è dato da me per provedere a la salute
tua, perché tu cognosca te non essere e abbi materia d'umiliarti e non
d'insuperbire. Unde in ogni cosa truovi mutazione e privazione, però che non
stanno in tua libertà: solo la grazia mia è quella che è ferma e stabile, che
non ti può essere tolta né mutata , (cioè di farti partire da essa grazia e
tornare a la colpa), se tu medesimo non te la muti.
Dunque, come puoi
levare il capo contra la mia bontá? Non puoi, se tu vuoli seguitare la ragione,
né puoi sperare in te (315) né confidarti del tuo sapere. Ma, perché se' facto
animale senza ragione, non vedi che ogni cosa si muta, excepto la grazia mia. E
perché non ti confidi di me, che so' el tuo Creatore? perché ti confidi in te.
E non so' Io fedele e leale a te? Certo si: e questo non t' è nascosto, però
che continuamente l'hai per pruova.
O dolcissima e
carissima figliuola, l'uomo non fu leale né fedele a me, trapassando
l'obbedienzia che Io gli avevo imposta, per la quale cadde nella morte. E Io
fui fedele a lui, attenendoli quello per che lo l'avevo creato, volendogli dare
il sommo ed etterno Bene. E, per compire questa mia veritá, unii la Deitá mia,
somma altezza, con la bassezza della sua umanità, essendo ricomprato e
restituito a grazia col mezzo del sangue de l'unigenito mio Figliuolo. Si che
egli l'ha provato. Ma e' pare che essi non credano che Io sia potente a poterli
sovenire, forte a poterli aitare e difendere da' nemici loro, e sapiente per
illuminarli l'occhio de l'intelletto loro, né che Io abbi clemenzia a voler lo'
dare quello che è di necessità a la salute loro, né sia ricco per poterli
aricchire, né sia bello per poter lo' dare bellezza, né abbi cibo per dar lo'
mangiare, né vestimento per rivestirli. L'operazioni loro mi manifestano che
essi nol credono: però che, se il credessero in veritá, sarebbe con opera di
sancte e buone operazioni.
E nondimeno essi
pruovano continuamente che Io so' forte, perché li conservo ne l'essere e
difendoli da' nemici loro. E veggono che neuno può ricalcitrare contra la
potenzia e fortezza mia; ma essi nol veggono, ché nol vogliono vedere. Con la
mia sapienza Io ho ordinato e governo tucto quanto el mondo con tanto ordine,
che veruna cosa vi manca e veruno ci può apponere. Ne l'anima e nel corpo, in
tucto ho proveduto; non costretto a farlo da la volontà vostra, però che voi
non eravate, ma solo da la mia clemenzia, costrecto da me medesimo, facendo el
cielo e la terra e il mare e il fermamento; cioè il cielo, perché si movesse
sopra di voi; l'acre, perché respiraste; el fuoco e l'acqua, per temperare
contrario con contrario; el sole, perché non steste in tenebre; tucti facti e
ordinati, perché sovenganO a la necessità dell'uomo. El cielo adornato degli
(316) ucelli ; la terra germina e' fructi, con molti animali, per la vita
dell'uomo; ci mare, adornato di pesci. Ogni cosa ho facto con grandissimo
ordine e providenzia.
Poi che Io ebbi
facta ogni cosa buona e perfecta, Io creai la creatura razionale a la imagine e
similitudine mia, e missila in questo giardino. El quale giardino, per lo
peccato di Adam, germinoe spine, dove in prima ci erano fiori odoriferi di
innocenzia e di grandissima soavità. Ogni cosa era obbediente a l'uomo; ma, per
la colpa e disobbedienzia commessa, trovò ribellione in sé e in tucte le
creature. Insalvatichi ci mondo e l'uomo, ci quale uomo è un altro mondo. Ma io
providi che, mandando nel mondo la mia Verità, Verbo incarnato, gli tolse il
salvaticume, trassene le spine del peccato originale e fecilo uno giardino
inaffiato del sangue di Cristo crocifixo, piantandovi le piante de' septe doni
dello Spirito sancto e traendone il peccato mortale. E questo fu doppo la morte
de l'unigenito mio Figliuolo, ché inanzi no.
Si come fu figurato
nel vecchio Testamento, quando fu pregato Eliseo che risuscitasse quel giovano
che era morto. Eliseo non andò, ma mandò Giezzi col bastone suo, dicendo che
egli ci ponesse sopra’l dosso del garzone. Andando Giezzi e facendo
quello che Eliseo gli disse, non ci risuscitò però. Vedendo Eliseo che egli non
era risuscitato, andò egli con la propria persona e conformarsi tucto col
garzone con tucte le membra sue, e spirò aciando septe volte nella bocca sua. E
il garzone respirò septe volte, in segno che egli era resuscitato. Questo fu
figurato per Moisé, che lo mandai col bastone della legge sopra ci morto de
l'umana generazione, ci quale per questa legge non aveva vita. Mandai ci Verbo
de l'unigenito mio Figliuolo (ci quale fu figurato per Eliseo), che si conformò
con questo figliuolo morto, per l'unione della natura divina unita con la
natura vostra umana. Con tucte le membra si uni questa natura divina, cioè con
la potenzia mia, con la sapienzia del mio Figliuolo e con la clemenzia dello
Spirito sancto, tucto me, Dio, abisso di Trinitá, conformato e unito con la
natura vostra umana.
317
Doppo questa unione
fece l'altra il dolce e amoroso Verbo, correndo come inamorato a l’obrobriosa
morte della croce. In, si distese. E doppo questa unione donò e' septe doni
dello Spirito sancto a questo figliuolo morto, aciando nella bocca del
desiderio de l'anima, tollendole la morte nel sancto baptesmo. Egli spira in
segno che egli ha vita, gittando fuore di sé e' septe peccati mortali. Si che
egli è facto giardino adornato di dolci e soavi fructi. È vero che l'ortolano
di questo giardino, cioè il libero arbitrio, ci può insalvatichire e
dimesticare secondo che li piace. Se egli ci semina il veleno de l'amore
proprio di sé, unde nascono e' septe principali peccati e tucti gli altri che
procedono da questi, esso facto ne caccia e' septe doni dello Spirito sancto e
privasi d'ogni virtú. Ine non è fortezza, ché egli è indebilito; non v'è
temperanzia né prudenzia, ché egli ha perduto ci lume col quale usava la
ragione; non v'è fede né speranza né giustizia, però che egli è facto ingiusto,
spera in sé e crede con fede morta a se medesimo, fidasi delle creature e non
di me suo Creatore; non v'è caritá né pietà veruna, perché se l'ha tolta con
l'amore della propria fragilità: è facto crudele a sé, unde non può essere
pietoso al proximo suo. Privato è d'ogni bene e caduto in sommo male. E unde
riavarà la vita? da questo medesimo Eliseo, Verbo incarnato, unigenito mio
Figliuolo. In che modo? che questo ortolano divella queste spine della colpa
con odio (ché, se non si odiasse, non ne le trarrebbe mai), e con amore corra a
conformarsi con la doctrina della mia Verità, innaffiandola col Sangue. El
quale Sangue gli è gictato sopra ci capo suo dal ministro, andando a la
confessione con contrizione di cuore e dispiacimento della colpa, e con
satisfaczione e con proponimento dl none offendere piú.
Per questo modo può
dimesticare questo giardino de l'anima mentre che vive: ché, passata questa
vita, non ha piú rimedio veruno, si come in piú altri luoghi Io t'ho narrato.
Alto del documento
318
— Vedi dunque che
con la mia providenzia lo raconciai el secondo mondo de l'uomo. Al primo non fu
tolto, che non germinasse spine di molte tribolazioni e che in ogni cosa l'uomo
non trovasse ribellione. Questo non è facto senza providenzia né senza vostro
bene, ma con molta providenzia e vostra utilitá, per tòllere la speranza del
mondo all'uomo e farlo córrire e dirizzare a me che so' suo fine, si che
almeno, per importunità di molestie, egli ne levi el cuore e l'affecto suo. E
tanto ignorante è l'uomo a non cognoscere la veritá, ed è tanto fragile a
dilatarsi nel mondo, che, con tucte queste fadighe e spine che egli ci truova,
non pare che egli se ne voglia levare, né curi di tornare a la patria sua. Or
sappi dunque, figliuola, quel che farebbe se nel mondo trovasse perfecto
dilecto e riposo senza veruna pena.
E però con
providenzia lo' permecto e do che ‘l mondo lo' germini le molte
tribulazioni : e per provare in loro la virtú, e della pena, forza e violenzia
che fanno a loro medesimi abbi di che remunerarli. Si che in ogni cosa ha
ordinato e proveduto con grande sapienzia la providenzia mia. Ho lo' dato, si
come decto è, perché lo so' ricco e potevolo e posso dare, e la ricchezza mia è
infinita; anco ogni cosa è facta da me, e senza me veruna cosa può essere.
Unde, se esso vuole bellezza, lo so' bellezza; se vuole bontá, Io so' bontá,
perché so' sommamente buono; Io so' sapienzia; Io benigno, Io giusto e
misericordioso Dio; Io largo e none avaro; Io so' Colui che do a chi
m'adimanda, apro a chi bussa in veritá e rispondo a chi mi chiama. Non so'
ingrato, ma grato e conoscente a remunerare chi per me s'afadigarà, cioè per
gloria e loda del nome (319) mio. Io so' giocondo, che tengo l'anima, che si
veste della mia volontà, in sommo dilecto. Io so' quella somma providenzia, che
non manco mai a' servi miei, che sperano in me, né ne l'anima né nel. corpo.
E come può credere
l'uomo, che mi vede pascere e nutricare il vermine intro el legno secco,
pascere gli animali bruti e i pesci del mare, tucti gli animali della terra e
gli ucelli de l'aria; sopra le piante mando el sole e la rugiada che ingrassi la
terra: e non crederà che Io nutrichi lui, el quale è mia creatura, creata a l'
imagine e similitudine mia? Conciossiacosaché tucto questo è facto da la mia
bontá in servizio suo. Da qualunque lato egli si vòlle, e spiritualmente e
temporalmente, non truova altro che ‘l fuoco e l'abisso della mia caritá
con maxima, dolce e perfecta providenzia. Ma egli non vede, perché s'ha tolto
el lume e non si dá a vederlo, e però si scandelizza. Ristrigne la caritá verso
el proximo suo, e con avarizia pensa el di di domane: el quale li fu vetato da
la mia Verità, dicendo: « Non voliate pensare del di di domane; basti al di la
sollicitudine sua », riprendendovi della vostra infedelità e mostrandovi la mia
providenzia e la brevità del tempo, dicendo: « Non voliate pensare il di di
domane ». Quasi dica la mia Verità: — Non pensate di quello che non sète sicuri
d'avere; basta il presente di. — E insegnavi a dimandare prima el regno del
cielo (cioè la buona e sancta vita), ché di queste cose minime ben so Io, Padre
vostro di cielo, che elle vi bisognano, e però l'ho facte e comandato a la
terra che vi doni de' fructi suoi.
Questo miserabile,
perché la sconfidenzia sua ha ristrecto el cuore e le mani nella caritá del
prossimo, non ha lecta questa doctrina che gli ha data el Verbo mia Verità.
Perché non séguita le vestigie sue, esso diventa incomportabile a se medesimo;
èscene, di questo fidarsi in sé e none sperare in me, ogni male: essi si fanno
giudici della volontà degli uomini, non veggono che Io gli ho a giudicare: Io e
non eglino. La volontà mia non intendono né giudicano in bene, se non quando si
veggono alcuna prosperità, dilecto o piacer del mondo. E, venendo lo' meno
questo, perché l’affecto loro con esperanza era tucto posto (320) ine, non lo'
pare sentire né ricevere né providenzia mia né bontá veruna: par lo' essere
privati d'ogni bene., E, perché sonno aciecati dalla propria passione, non vi
cognoscono la ricchezza che v'è dentro, né il frutto della vera pazienzia: anco
ne tragono morte, e gustano in questa vita l'arra de l'inferno. E Io, con tutto
questo, non lasso per la mia bontá che lo non lo' provegga. Cosí, comando a la
terra che dia de' frutti al peccatore come al giusto, e cosí mando el sole e la
piova sopra el campo suo come sopra quello del giusto, e piú n'avarà spesse
volte il peccatore che ‘l giusto.
Questo fa la mia
bontá per dare piú a pieno delle ricchezze spirituali ne l'anima del giusto che
per mio amore s'è spogliato delle temporali, renunziando al mondo, con tutte le
sue delizie, e a la propria volontà. Questi sonno quegli che ingrassano l'anima
loro, dilatandosi ne l'abisso della mia carità: pèrdono in tutto la cura di
loro medesimi, che non tanto delle mondane ricchezze, ma di loro non possono
avere cura. Alora , Io so' facto el loro governatore spiritualmente e
temporalmente: uso una providenzia particulare, oltre a la generale; ché la
clemenzia mia, Spirito sancto, se lo' fa servo che gli serve. Questo sai, se
ben ti ricorda d'avere letto nella vita de' sancoi padri, che, essendo
infermato quello solitario, sanctissimo uomo che tutto aveva lassato sé per
gloria e loda del nome mio, la clemenzia mia providde e mandò ulto angelo
perché ‘l governasse e provedesse a la sua necessità. El corpo era
sovenuto nel suo bisogno, e l'anima stava in admirabile allegrezza e dolcezza
per la conversazione de l'angelo.
Lo Spirito sancto
gli è madre che 'l nutrica al petto della divina mia caritá. Egli l'ha facto
libero, si come signore, tollendoli la servitudine de l'amore proprio; ché dove
è il fuoco della mia caritá non vi può essere l'acqua di questo amore, che
spegne questo dolce fuoco ne l'anima. Questo servidore dello Spirito sancto,
che io l'ho dato per mia providenzia, la veste, nutrica e inebbria di dolcezza
e dalle somma ricchezza. Perché tutto lassoe, tutto truova; perché si spogliò
tutto di sé, si truova vestito di me; fecesi in tutto servo per umilità, e però
è facto (321) signore signoreggiando el mondo e la propria sensualità. Perché
tutto s'aciecò nel suo vedere, sta in perfectissimo lume: disperandosi di sé, è
coronato di fede viva e di perfetta e compíta speranza; gusta vita etterna,
privato d'ogni pena e amaritudine afiiiggitiva. Ogni cosa giudica in bene,
perché in tutte giudica la volontà mia, quale vide col lume della fede che Io
non volevo altro che la sua sanctificazione, e però è facto paziente.
Oh, quanto è beata
questa anima, la quale, essendo anco nel corpo mortale, gusta il bene
immortale! Ogni cosa ha in reverenzia; tanto gli pesa la mano manca quanto la
ritta, tanto la tribolazione quantó la consolazione; tanto la fame e la sete
quanto el mangiare e il bere, tanto el freddo, el caldo e la nudità quanto el
vestimento, tanto la vita quanto la morte, tanto l'onore quanto el vitoperio e
tanto l'afliczione quanto la recreazione. In ogni cosa sta solido, fermo e
stabile, perché è fondato sopra la viva pietra. Ha cognosciuto e veduto, col
lume della fede e con ferma speranza, che ogni cosa do con uno medesimo amore e
per uno medesimo rispetto, cioè per la salute vostra, e che in ogni cosa Io proveggo.
Però che nella grande fadiga lo do la grande fortezza, e non pongo maggiore
peso che si possa portare, pure che si disponga a volere portare per lo mio
amore. Nel Sangue v'è facto manifesto che Io non voglio la morte del peccatore,
ma voglio che si converta e viva; e per sua vita gli do ciò ch' Io gli do.
Questo ha veduto
l'anima spogliata di sé, e però gode in ciò che ella vede o sente in sé o in
altrui. Non dubbita che le vengano meno le cose minime, perché col lume della
fede è certificata nelle cose grandi, delle quali nel principio di questo
trattato Io ti narrai. Oh! quanto è glorioso questo lume della sanctissima
fede, col quale vide e cognobbe, e cognosce la mia veritá; el quale lume ha dal
servidore dello Spirito sancto, el quale è uno lume sopranaturale, che l'anima
acquista per la mia bontá, exer`citando el lume naturale che Io l'ho dato.
Alto del documento
322
— Sai tu, carissima
figliuola, come Io provego questi miei servi che sperano in me? In due modi:
cioè che tutta la providenzia, che Io uso a le mie creature che hanno in loro
ragione, è sopra l'anima e sopra ‘l corpo. E ciò, chi Io adopero di
providenzia nel corpo, è facto in servizio de l'anima, per farla crescere nel
lume della fede, farla sperare in me e perdere la speranza di sé, e perché vega
e cognosca che Io so' Colui che so', che posso, voglio e so sovenire al suo
bisogno e salute. Tu vedi che ne l'anima, per la vita sua, Io l'ho dati e'
sacramenti della. sancta Chiesa, perché sonno suo cibo: none il pane, che è
cibo grosso corporale, e però è dato al corpo; ma, perché ella è incorporea,
vive della parola mia. Però disse la mia Verità nel sancto Evangelio che di
solo pane non viveva l'uomo, ma d'ogni parola che procede da me, cioè di
seguitare con spirituale intenzione la dottrina di questa mia Parola incarnata,
la quale parola in virtú del Sangue suo e' sacramenti vi dànno vita.
Sí che i sacramenti
spirituali sonno dati a l'anima: poniamo che si pongano e si diano con lo
strumento del corpo; non darebbe a l'anima vita di grazia solamente quello
atto, se essa anima non si disponesse a riceverli con espirituale, sancto e
vero desiderio. E però ti dixi che egli erano spirituali, che si dànno a
l'anima perché è cosa incorporea: non obstante che sieno pórti per lo mezzo del
corpo, come detto è, al desiderio de l'anima è dato che ‘l riceva. Alcuna
volta, per crescerla in fame e sancto desiderio, gli le farò desiderare e non
potrà averli; non potendoli avere, cresce la fame, e bella fame il
cognoscimento di.sé, reputandosene indegna per umilità. E Io alora la fo degna,
provedendo spesse volte in diversi modi sopra questo sacramento. E tu sai che
egli è.cosí, se ben ti ricorda d'averlo (323) udito e provato in te medesima.
Perché la clemenzia mia dello Spirito sancto, che gli ha presi a servire (dato
lo' da me per la mia bontá), spirarà la mente d'alcuno ministro che l'ha a dare
questo cibo, che, costrecto dal fuoco della mia caritá d'esso Spirito sancto,
el quale gli dá stimolo di coscienzia, unde per coscienzia si muove a pascere
la fame e compire il desiderio di quella anima. Farò indugiare alcuna volta in
su l’extremità e, quando in tutto ella n'avarà perduta la speranza, ed ella
avara quel che desidera.
E non poteva Io
cosí provedere nel principio come ne l'ultimo? Si bene: ma follo per crescerla
nel lume della fede, acciò che mai non manchi che ella none speri nella mia
bontá; e per farla cauta e prudente, ché imprudentemente non volti el capo a
dietro, allentando la fame del sancto desiderio: e però la indugio. Sí come ti
ricorda di quella anima, che, giognendo nella sancta chiesa con grande fame
della comunione, e giognendo el ministro a l'altare, ella dimandò el Corpo di
Cristo tutto Dio e uomo: egli rispose che non volea darlele. In lei crebbe il
pianto e il desiderio: e in lui, quando venne ad offerire il calice, crebbe lo
stimolo della coscienzia, costrecto dal servidore dello Spirito sancto che
provedeva a quella anima. E come provedeva e lavorava in quel cuore dentro,
cosí el mostroe di fuore, dicendo a quel che ‘l serviva: — Dimanda se
ella si vuole comunicare, ché lo lei darò volontieri. — E se ella aveva una
sprizza di fede e d'amore, crebbe in grandissima abondanzia il desiderio;
intantoché pareva che la vita si volesse partire dal corpo. E però l'avevo lo
permesso: per farla crescere e farle diseccare ogni amore proprio, infidelità e
speranza che avesse in sé. Alora providi col mezzo della creatura. Un'altra
volta provederà el servidore dello Spirito sancto solo, senza questo mezzo, si
come piú volte a molte persone è adivenuto e adiviene tutto di a' servi miei.
Ma, tra l'altre, due admirabili, si come tu sai, te ne narrarò per farti
dilatare in fede e a commendazione della mia providenzia.
Ricordati e
rammentati in te medesima d'avere udito di quella anima, che, stando nel tempio
mio della sancta chiesa, el di della conversione del glorioso appostolo Pavolo
mio dolce banditore, (324) con tanto desiderio di giognere a questo sacramento,
pane di vita, cibo degli angeli dato a voi uomini, che ella provò quasi a
quanti ministri vennero a celebrare; e da tutti le fu denegato per mia
dispensazione, perché volsi che ella cognoscesse che, mancandole gli uomini,
non le mancavo Io, suo Creatore. E però a l'ultima messa lo tenni questo modo
che Io ti dirò, e usai uno dolce inganno per farla inebbriare della providenzia
mia. Lo inganno fu questo: che, avendo ella detto di volersi comunicare, quel
che serviva noi volse dire al ministro. Vedendo ella che egli non rispondeva
del no, aspettava con grande desiderio di potersi comunicare. Detta la messa e
trovandosi di no, crebbe in tanta fame e in tanto desiderio, con vera umilità
reputandosene indegna e riprendendo la sua presumpzione, parendole avere
presumpto di giognere a tanto misterio. lo, che exalto gli umili, trassi a me
il desiderio e l'affetto di quella anima, dandole cognoscimento ne l'abisso
della Trinitá di me, Dio etterno, illuminando l'occhio de l'intelletto suo
nella potenzia di me, Padre etterno, nella sapienzia de l'unigenito mio
Figliuolo e nella clemenzia dello Spirito sancto, e' quali siamo una medesima
cosa. E in tanta perfeczione si uni quella anima, che ‘l corpo si
sospendeva da la terra, perché, come nello stato unitivo de l'anima Io ti narrai,
era piú perfetta l'unione che l'anima aveva fatta per affetto d'amore in me che
nel corpo suo. E in questo abisso grande, per satisfare al desiderio suo,
ricevette da me la sancta comunione. E in segno di ciò che Io in veritá l'avevo
satisfacto, per piú di senti per admirabile modo nel gusto corporale il sapore
e odore del Sangue e del Corpo di Cristo erocifixo, mia Verità: Unde ella si
rinnovellò nel lume della mia providenzia, avendola gustata cosí dolcemente.
Tucto questo fu
visibile a lei, ma invisibile agli occhi delle creature. Ma el secondo fu
visibile agli occhi del ministro a cui adivenne il caso: ché, essendo quella
anima con grande desiderio d'udire la messa e della comunione, per passione
corporale non era potuta andare alla chiesa a quella ora che bisognava. Pur
gionse, essendo l'ora tardi, a la consecrazione, cioè che gionse in su quella
ora che ‘l ministro consecrava. Ed essendo egli da (325) l'uno capo della
chiesa, ella si pose da l'altro, però che l’obbedienzia non le concedeva che
ella stesse ine. Ella si pose con grandissimo pianto, dicendo: — O miserabile
anima mia! e non vedi tu quanto di grazia tu hai ricevuto, che tu se' nel
tempio sancto di Dio e hai veduto il ministro, che se' degna d'abitare ne
l'inferno per li tuoi peccati? — El desiderio però non si quietava, ma quanto
piú si profondava nella valle de l'umilità, tanto piú era levata in su, dandole
a cognoscere con fede e speranza la mia bontá, confidandosi che ‘l
servitore dello Spirito sancto notricasse la fame sua. lo alora le diei
quello che ella in quello modo non sapeva desiderare. El modo fu questo: che,
venendo el sacerdote per comunicarsi, nel dividere ne cadde uno pezzuolo, el
quale per mia dispensazione e virtú (il moccolino de l'ostia, cioè quella
particella che se n'era levata) si parti da l'altare e andò ne l'altro capo
della chiesa, dove ella era. E, credendosi ella che non fosse cosa visibile ma
invisibile, sentendosi comunicata, pensossi con grande e affocato desiderio
che, come piú volte l'era adivenuto, Io l'avesse satisfacto invisibilmente. Ma
egli non parbe cosí al ministro, che, non trovandola, sentiva intollerabile
dolore. Se non che ‘l servdore della mia clemenzia gli manifestò nella
mente sua chi l'aveva avuta, sempre però dubitando infino che dichiarato si fu
con lei. E non potevo lo tollerle lo impedimento del difetto corporale e farla
andare ad ora, dacciò che ella avesse potuto ricevere il sacramento dal
ministro? Si; ma volevo farle provare che, col mezzo della creatura e senza il
mezzo della creatura, in qualunque stato e in qualunque tempo si sia, in
qualunque modo sa desiderare e piú che non sa desiderare, Io la posso, so e
voglio satisfare, come detto è, con meravigliosi modi.
Questo ti basti,
carissima figliuola, averti narrato della providenzia mia, la quale Io uso con
l'anime affamate di questo dolce sacramento. E cosí in tutti gli altri, secondo
che lo' bisogna, uso questa dolce providenzia. Ora ti dirò alcuna cosellina
come Io l'uso dentro ne l'anima, la quale uso senza il mezzo del corpo, cioè
con estrumento di fuore. Benché parlandoti degli stati de l'anima Io te ne
dicesse, nondimeno anco te ne dirò.
Alto del documento
326
— L'anima o ella è
in stato di peccato mortale, o ella è imperfecta in grazia, o ella è perfecta.
In ogniuno uso, dilargo e do la mia providenzia; ma in diversi modi, con grande
sapienzia, secondo che lo veggo che gli bisogna. Agli uomini del mondo, che giacciono
nella morte del peccato mortale, provego destandoli con lo stimolo della
coscienzia, o con fadiga che sentiranno nel mezzo del cuore per nuovi e diversi
modi. E sonno tanti questi modi, che la lingua tua non sarebbe sufficiente a
narrarli. Unde spesse volte si partono, per questa importunità delle pene e
stimolo di coscienzia che è dentro ne l'anima, da la colpa del peccato mortale.
E alcuna volta (perché Io delle spine vostre sempre traggo la rosa), concependo
el cuore de l'uomo amore al peccato mortale o alla creatura fuore della mia
volontà, Io gli tollarò el luogo e il tempo che non potrà compire le volontà
sue, intantoché con la stanchezza della pena del cuore, la quale egli ha
acquistata per suo difecto, non potendo compire le sue disordinate volontà,
torna a se medesimo con compunzione di cuore e stimolo di coscienzia, e con
esse gicta a terra il farnetico suo. El quale drictamente si può chiamare
«farnetico », ché, credendosi ponere l'affecto suo in alcuna cosa, quando viene
a vedere, non era cavelle. Era bene ed è alcuna cosa la creatura cui egli amava
di miserabile amore; ma quello, che egli ne pigliava, era non cavelle, però che
‘l peccato non è cavelle. Di questo non cavelle della colpa, che è una
spina che pugne l'anima, Io ne traggo questa rosa, come decto è, per provedere
a la salute sua.
Chi mi costrigne a
farlo? Non egli, che non mi cerca né adimanda l’aiutorio e providenzia mia se
none in colpa di peccato, in delizie, ricchezze e stati del mondo: ma l'amore
mi costrigne, perché v'amai prima che voi fuste; senza essere amato (327) da
voi, lo v'amai ineffabilemente. Questo mi costrigne a farlo, e l’orazioni de'
servi miei, e' quali (el servidore dello Spirito sancto, clemenzia mia,
ministrando lo' l'onore di me e la dileczione del proximo loro) cercano con
inextimabile caritá la salute loro, studiandosi di placare l'ira mia e di
legare le mani della divina mia giustizia, la quale merita lo iniquo uomo che
Io usi contra di lui. Essi mi strengono con le lagrime, umili e continue
orazioni. Chi gli fa gridare? La mia providenzia, che proveggo a la necessità
di quel morto, perché decto è ch' Io non voglio la morte del peccatore, ma che
egli si converta e viva.
Inamórati,
figliuola, della mia providenzia. Se tu apri l'occhio della mente tua e. del
corpo, tu vedi che gli scellerati uomini che giacciono in tanta miseria, e'
quali so' facti puzza di morte, obscuri e tenebrosi per la privazione del lume,
essi vanno cantando e ridendo, spendendo il tempo loro in vanità, in delizie e
grandi disonestà: tucti lascivi, mangiatori e bevitori, fintantoché del ventre
loro si fanno dio, con odio, con rancore, con superbia e con ogni miseria
(delle quali miserie piú distintamente sai ch'Io te ne narrai), e non
cognoscono lo stato loro. Vanno per la via a giognere alla morte etternale, se
non si correggono nella vita loro, e vanno cantando! E non sarebbe reputata
grande stoltizia e pazzia se quelli, che è condannato a la morte e va a la
giustizia, andasse cantando e ballando, mostrando segni d'allegrezza? Certo si.
In questa stoltizia stanno questi miseri, e tanto piú senza comparazione
veruna, quanto essi ricevono, quegli pena finita, e costoro pena infinita,
morendo in stato di danpnazione. E vanno cantando! Ciechi sopra ciechi! stolti
e macti sopra ogni stoltizia !
E i servi miei
stanno in pianto, in affíiczione di corpo e in contrizione di cuore, in vigilia
e continua orazione, con sospiri e lamenti, macerando la carne loro per
procurare a la loro salute; ed essi si fanno beffe di loro! Ma elle caggiono
sopra e' loro capi, tornando la pena della colpa in cui ella debba tornare, e i
fructi delle fadighe portate per amore di me si dànno in cui la bontá mia gli
ha facti meritare, però che io so' lo Idio (328) vostro giusto, che a ogniuno
rendo secondo che averà meritato. Ma e' veri servi miei non allentano e' passi
per le beffe, persecuzioni e ingratitudine loro; anco crescono in maggiore
sollicitudine e desiderio. Questo chi ci fa, che con tanta fame bussino alla
porta della mia misericordia? La providenzia mia, che proveggo e procuro
insiememente la salute di questi miseri, e augmento la virtú e cresco il fuoco
della dileczione della caritá ne' servi miei.
Infiniti sonno
questi modi di providenzia, ch' Io uso ne l'anima del peccatore per trarlo
della colpa del peccato mortale. Ora ti parlaró di quello che fa la mia
providenzia in coloro che sonno levati dalla colpa, e sonno ancora inperfecti ;
non ricapitolando gli stati de l'anima, perché giá ordinatamente te gli ho
narrati, ma breve breve alcuna cosa ti dirò.
Alto del documento
— Sai tu, carissima
figliuola, che modo lo tengo per levare l'anima inperfecta dalla sua
inperfeczione? Che alcuna volta Io la proveggo con molestie di molte e diverse
cogitazioni, e con la mente sterile. Parrà che sia tutto abandonata da me,
senza veruno sentimento: né nel mondo gli pare essere, ché non v'è; né in me
gli pare essere, ché non ha sentimento veruno, fuore che sente che la volontà
sua non vuole offendere.
Questa porta della
volontà, che è libera, non do Io licenzia a' nemici che l'aprano. Ma do bene
licenzia alle dimonia e agli altri nemici de l'uomo che percuotano l'altre
porte; ma questa, che è la principale, no, ché conserva la città de l'anima. È
vero che ha la guardia del libero arbitrio, che sta a questa porta: hogliele
dato libero, che dica si e no, secondo che gli piace. Molte sonno le porte che
ha questa città. Le principali sonno tre (ché l'una è quella che sempre si
tiene, se ella vuole, ed è guardia de l'altre): ciò sonno la memoria, lo
'ntellecto e la volontà. Unde, se la volontà consente, v'entra il nemico de
l'amore proprio e tutti gli (329) altri nemici che seguitano doppo lui. Subbito
lo 'ntellecto riceve la tenebre, che è nemica della luce; e la memoria riceve
el odio per ricordamento della ingiuria (ci quale odio è nemico della
dileczione della caritá del proximo suo); ritiene e' diletti e piaceri del
mondo in diversi modi, come sonno diversi e' peccati e' quali sonno contrari
alle virtú.
Subito che sonno
aperte le porte, s'aprono li sportegli de' sentimenti del corpo, e' quali sonno
tutti strumenti che rispondono a l'anima. Unde tu vedi che l'affetto
disordenato de l'uomo, che ha uperte le porte sue, risponde con questi organi;
unde tutti e' suoni sonno guasti e contaminati, cioè le sue operazioni.
L'occhio non porge altro che morte, perché è posto a vedere cosa morta con
disordenato guardare colà dove non debba; con vanità di cuore, con leggerezza,
con modi e guardature disoneste è cagione di dare morte a sé e ad altrui. Oh
misero te! quel ch' Io t'ho dato perché tu raguardi ci cielo e tutte l’altre
cose e la bellezza della creatura per me e perché tu raguardi e' misteri miei;
e tu raguardi in loto e in miseria, e cosa n'acquisti la morte.
Cosí l'orecchia si
diletta in cose disoneste, o in udire e' fatti del proximo suo per giudicio;
dove lo gli li dici perché udisse la parola mia e la necessità del proximo suo.
La lingua ho data perché annunzi la parola mia e confessi e' difetti suoi, e
perché l’aduopari in salute de l'anime; ed egli l'aduopera in bastemmiare me,
che so' suo Creatore, e in ruina del proximo, nutricandosi delle carni sue,
mormorando e giudicando l'operazioni buone in male e le gattive in bene;
bastemiando, dando falsa testimonanza; con parole lascive pericola sé e altrui;
gitta parole d'ingiuria, che trapassano ne' cuori de' proximi come coltella, le
quali parole li provocano ad ira. Oh, quanti sonno e' mali e omicidii, quanta
disonestà, quanta ira, odio e perdimento di tempo che escono per questo menbro
!
Se egli è
l'odorato, né piú né meno offende ne l'essere suo con disordenato piacere nel
suo odorare. E, se egli è il gusto, con golosità insaziabile, con disordenato
appetito volendo le molte e varie vivande, non mira se non d'empire il ventre
suo, (330) non raguardando la misera anima, che aperse la porta, che per lo
disordenato prendere de' cibi viene a riscaldamento la fragile carne sua, con
disordenato desiderio di corrómpare se medesimo. Le mani, in tòllere le cose
del proximo suo, e con laidi e miserabili toccamenti, le quali sonno fatte per
servire il proximo quando il vede nella infermità, sovenendo con la elemosina
nella necessità sua. E' piei, gli sono dati perché servino e portino il corpo
in luogo sancto e utile a sé e al proximo suo per gloria e loda del nome mio;
ed egli spende e porta el corpo in luoghi vitoperosi in molti e diversi modi,
novellando e spiacevoleggiando, corrompendo con le loro miserie l'altre
creature in molti modi, secondo che piace alla disordenata volontà.
Tutto questo t'ho
detto, carissima figliuola, per darti materia di pianto di vedere gionta a
tanta miseria la nobile città de l'anima, e perché tu vegga quanto male esce
della principale porta della volontà. Alla quale Io non do licenzia che i
nimici de l'anima entrino, come detto è; ma, come lo ti dicevo, do bene
licenzia ne l'altre che i nimici le percuotano. Unde lo 'ntellecto sostengo che
sia percosso da una tenebre di mente; e la memoria pare molte volte che sia
privata del riscadamento di me. E alcuna volta tutti gli altri sentimenti del
corpo parrà che siano in diverse bactaglie. Nel guardare, le cose sancte e
toccandole e udendole e odorandole e andandovi, ogni cosa parrà che gli dia
mutazione, disonestà e corrompimento. Ma tutto questo non è a morte, però che
Io non voglio la morte sua (guarda che egli non fusse si stolto che egli
aprisse la porta della volontà): Io permetto che eglino stiano di fuore, ma non
che entrino dentro. Dentro non possono intrare se non quando la propria volontà
vuole.
E perché tengo Io
in tanta pena e affîiczione questa anima atorniata da tanti nemici? Non perché
ella sia presa e perda la ricchezza della grazia; ma follo per mostrarle la mia
providenzia, acciò che ella si fidi di me e non in sé, levisi dalla negligenzia
e con sollicitudine rifugga a me, che so' suo difenditore, so' Padre benigno,
che procuro la salute sua; acciò che ella stia umile e vegga sé non essere, ma
l'essere e ogni grazia (331) che è posta sopra l'essere ricognosca da me, che
so' sua vita. Come ella cognosce questa vita e providenzie mie in queste
bactaglie? Ricevendo la grande liberazione, ché non la lasso perInanere
continuamente in questo tempo; ma vanno e vengono, secondo ch' Io veggo che le
bisognino. Talora gli parrà essere ne lo 'nferno, che, senza veruno suo
exercizio che allora faccia, ne sarà privata e gustarà vita etterna. L'anima
rimane serena: ciò che vede le pare che gridi Dio, tutta infiammata d'amoroso
fuoco per la considerazione che fa allora l'anima nella mia providenzia, perché
si vede essere uscita di si grande pelago non con suo exercizio, ché il lume
venne inproviso, non exercitandosi, ma solo per la mia inextimabile carità, che
volsi provedere alla sua necessità nel tempo del bisogno, che quasi non poteva
più.
Perché ne
l’exercizio, quando s'exercitava a l'orazione e a l'altre cose che bisognano,
non le risposi col lume, tollendole la tenebre? Perché, essendo ancora
inperfecta, non reputasse in suo exercizio quello che non era suo. Si che vedi
che lo inperfecto nelle bactaglie, exercitandosi, viene a perfeczione, perché
in esse bactaglie pruova la divina mia providenzia, unde egli s'è levato da
l'amore inperfecto.
Anco uso uno sancto
inganno, solo per levarli dalla inperfeczione: ch' Io lo' farò concipere amore
ad alcuna creatura spiritualmente e in particulare, oltre a l'amore generale.
Unde con questo mezzo s'exercita alla virtù, leva la sua inperfeczione, fallo spogliare
il cuore d'ogni altra creatura che egli amasse sensualmente, di padre, madre,
suoro, frategli : ne trae ogni propria passione, e amali per me, Dio. E, con
questo amore ordinato del mezzo ch'Io gli ho posto, caccia il disordinato, col
quale in prima amava le creature. Adunque vedi che tolle questa inperfeczione.
Ma attende che un'altra cosa fa questo amore di questo mezzo: che egli fa
provare se perfettamente egli ama me e il mezzo che lo gli ho dato, o no. E
però gli li diei Io, perché egli el provasse, acciò che avesse materia di
cognoscerlo; ché, non cognoscendolo, né a se medesimo dispiacerebbe, né
piacerebbe quello che avesse in sé che fusse mio. Per questo (332) modo el
cognosce: e giá t'ho detto che ella è ancora inper. fetta. E non è dubbio che,
essendo inperfecto l'amore che ha a me, è inperfecto quello che ha alla
creatura che ha in sé ragione, però che la caritá perfetta del proximo dipende
dalla perfetta caritá mia. Si che con quella misura perfetta e inperfecta che
ama me, con quella ama la creatura. Come el cognosce per questo mezzo? In molte
cose. Anco, quasi, se voi aprite l'occhio de l’ intelletto, non passarà tempo
che egli nol vegga e pruovi. Ma, perché in un altro luogo Io tel manifestai,
poco te ne narrarò.
Quando della
creatura cui egli ama di singulare amore, come detto è, egli si vede diminuire
il diletto, la consolazione o conversazioni usate, dove trovava grandissima
consolazione, o di molte altre cose, o che vedesse che ella avesse piú
conversazioni con altrui che con lui, sente pena; la quale pena el fa intrare a
cognoscimento di sé. Se vuole andare con lume e con prudenzia, come debba, con
piú perfetto amore amerà quel mezzo, perché, col cognoscimento di se medesimo e
odio che amerà conceputo al proprio sentimento, si tolle la inperfeczione e
viene ad perfeczione. Essendo poi perfetto, séguita piú perfetto e maggiore
amore nella creatura generale, e nel particulare mezzo posto dalla mia bontá,
che ho proveduto a farla spronare con odio di sé e amore delle virtú in questa
vita della perregrinazione, pure che ella non sia ignorante a recarsi, nel
tempo delle pene, a confusione e tedio di mente, a tristizia di cuore e senza
exercizio. Questa sarebbe cosa pericolosa: verrebbeli a ruina e a morte quello
che Io gli ho dato per vita. Non die fare cosí; ma con buona sollicitudine e
con umilità reputandosi indegno di quel che desidera (cioè non avendo la
consolazione la quale egli voleva), e con lume vegga che la virtú, per la quale
principalmente la debba amare, non è diminuita in lui con fame e desiderio di
volere portare ogni pena, da qualunque lato ella venga, per gloria e loda del
nome mio. Per questo modo adempirà la volontà mia in sé, ricevendo il frutto
della perfeczione, per la quale Io ho permesso le battaglie, el mezzo e ogni altra
cosa perché ella venga a lume di perfeczione.
333
In questo modo
negl'imperfetti uso la providenzia mia, e in tanti altri modi che lingua non
sarebbe sufficiente a narrarli.
Alto del documento
CAPITOLO CXLV. De la providenzia che Dio usa
verso di coloro che sono ne la caritá perfetta.
— Ora ti dico de'
perfetti, che Io gli proveggo per conservarli e provare la loro perfeczione e
per farli crescere continuamente. Però che neuno è in questa vita, sia perfetto
quanto vuole, che non possa crescere a magiore perfeczione. E però tengo questo
modo tra gli altri, si come disse la mia Verità quando dixe: « Io so' vite
vera, el Padre mio è il lavoratore, e voi sète i tralci ». Chi sta in Lui, che
è vite vera, perché procede da me Padre, seguitando la dottrina sua, fa frutto.
E, àcciò che ‘l frutto vostro cresca e sia perfetto, lo vi poto con le
molte tribulazioni, infamie, ingiurie, scherni e villanie e rimproverio; con
fame e sete, in detti e in fatti, secondo che piace alla mia bontá di
concederle a ogniuno, secondo ch'egli è atto a portare. Però che la
tribulazione è uno segno dimostrativo, che dimostra la perfetta caritá de
l'anima e la inperfeczione colà dove ella è. Nelle ingiurie e fadighe, che lo
permetto a' servi miei, si pruova la pazienzia, e cresce il fuoco della caritá
in quella anima per compassione che ha a l'anima di colui che gli fa ingiuria;
ché piú si duole de l'offesa che fa a me e dapno suo, che della sua ingiuria.
Questo fanno quelli che sonno nella grande perfeczione; si che crescono, e però
lo lo' permetto questo e ogni altra cosa. Io lo' lasso uno stimolo di fame
della salute de l'anime, che di e notte bussano alla porta della mia
misericordia, intanto che dimenticano loro medesimi, si come nello stato de'
perfetti Io ti narrai. E quanto piú abandonano loro, piú truovano me. E dove mi
cercano? Nella mia Verità, andando con perfeczione per la dolce dottrina sua.
Hanno letto in questo dolce e glorioso (334) libro, e, leggendo, hanno trovato
che, volendo compire l’obbedienzia mia e mostrare quanto amava il mio onore e
l'umana generazione, corse con pena e obrobrio alla mensa della sanctissima
croce, dove, con sua pena, mangiò il cibo de l'umana generazione. Si che, col
sostenere e col mezzo de l'uomo, mo. strò a me quanto amasse il mio onore.
Dico che questi
diletti figliuoli, e' quali sonno gionti a per, fectissimo stato con
perseveranzia, con vigilie, umili e continue orazioni, mi dimostrano che in
veritá amino me e che essi hanno bene studiato, seguitando questa sancta
doctrina della mia Verità, con loro pena e fadiga che portano per la salute del
proximo loro, perché altro mezzo non hanno trovato, in cui dimostrare l'amore
che hanno a me, che questo. Anco ogni altro mezzo, che ci fusse a potere
dimostrare che amano, si è posto sopra questo principale mezzo della creatura
che ha in sé ragione, si come in un altro luogo io ti dixi che ogni bene si
faceva col mezzo del proximo tuo e ogni operazione. Perché neuno bene può
essere facto se non nella caritá mia e del proximo; e, se non è facto in questa
carità, non può essere veruno bene, poniamo che gli acri suoi fussero virtuosi.
E cosí el male anco si fa con questo mezzo per la privazione della caritá. Si
che vedi che in questo mezzo, che Io v'ho posto, dimostrano la loro perfeczione
e l'amore schietto che hanno a me, procurando sempre la salute de' proximi col
molto sostenere. Adunque Io gli purgo, perché facciano maggiore e piú soave
frutto, con le molte tribulazioni. Grande odore gicta a me la pazienzia loro.
Quanto è soave e
dolce questo frutto e di quanta utilitá a l'anima che sostiene senza colpa!
Ché, se ella el vedesse, non sarebbe veruna che con grande sollicitudine e
allegrezza non cercasse di portare. Io, per dar lo' questo grande tesoro, gli
proveggo di poner lo' il peso delle molte fadighe, acciò che la virtú della
pazienzia non irrugginisca in loro; si che, venendo poi el tempo che ella
bisogna provare, non la trovassero ruginosa, trovandovi, per non averla
abituata, la ruggine della inpazienzia, la quale rode l'anima.
335
Alcuna volta uso uno piacevole inganno con
loro per conservarli nella virtú de l’umilità: ch'io lo' farò adormentare il
sentimento loro, che non parrà che nella volontà né nel sentimento essi sentano
veruna cosa adversa, se non come persone adormentate, non dico morte. Però che
'I sentimento sensitivo dorme ne l'anima perfecta, ma non muore; però che,
subbito ch'egli allentasse l'exercizio e il fuoco del sancto desiderio, si
destarebbe piú forte che mai. E però non sia veruno che se ne fidi, sia
perfetto quanto si vuole: egli gli bisogna stare nel sancto timore di me; ché
molti per lo fidarsi caggiono miserabilemente, ché altrementi non cadrebbero
eglino. Si che dico che in loro pare che dormano i sentimenti, e, sostenendo e
portando i grandi pesi, non pare che sentano. A mano a mano, in una picciola
cosellina che sarà non tavelle, che essi medesimi se ne faranno beffe poi, si
sentiranno per si facto modo in loro medesimi, che vi diventaranno stupefatti.
Questo fa la providenzia mia perché l'anima cresca e vada nella valle de
l’umilità: però che ella allora, come prudente, si leva sé sopra di sé, non
perdonandosi; ma coll'odio e rimproverio gastiga il sentimento; el quale
gastigare è uno farlo adormentare piú fortemente.
Alcuna volta
proveggo ne' grandi servi' miei di dar lo' uno stimolo, si com' Io feci al
dolce appostolo Pavolo, vasello d'eleczione. Avendo ricevuta la doctrina della
mia Verità ne l'abisso di me, Padre etterno; e nondimeno gli lassai lo stimolo
e inpugnazione della carne sua. E non potevo lo fare, e posso, a Pavolo e agli
altri in cui Io lasso lo stimolo in diversi modi, che essi non l'avessero? Si.
Perché il fa la mia providenzia? Per farli meritare, per conservarli nel
cognoscimento di loro, unde traggono la vera umilità, e per farli pietosi e non
crudeli verso de' proximi loro, che siano conpassionevoli a le loro fadighe.
Però che molta piú conpassione hanno a' tribolati e passionati, sentendo eglino
passione, che se non l'avessero. Crescono in maggiore amore, e corrono a me
tutti unti di vera umilità e arsi nella fornace della divina caritá. E con
questi mezzi e con infiniti altri giongono ad perfecta unione, si come lo ti
dixi. In tanta unione e cognoscimento della mia bontá che, essendo nel (336)
corpo mortale, gustano il bene degl' inmortagli ; stando nella carcere del
corpo, ne lo' pare essere di fuore; e, perché molto hanno cognosciuto di me,
molto m'amano. E chi molto ama, molto si duole; unde a cui cresce amore, cresce
dolore.
In su che dolore e
pene rimangono? Non in ingiurie che lo' fussero fatte, né per pene corporali,
né per molestie di dimonio, né per veruna altra cosa che lo' potesse avenire,
propriamente a loro, che l'avesse a dare pena; ma solo si dolgono de l'offese
fatte a me (vedendo e cognoscendo ch' Io so' degno d'essere amato e servito) e
del danno de l'anime, vedendoli andare per la tenebre del mondo e stare in
tanta ciechità. Perché ne l'unione, che l'anima ha (acta in me per affetto
d'amore, raguardò e cognobbe in me quanto Io amo la mia creatura
ineffabilemente. E, vedendola rappresentare la imagine mia, s' inamorò di lei
per amore di me. Unde sente intollerabile dolore quando gli vede dilongare
dalla mia bontá; e so' si grandi queste pene, che ogni altra pena fanno
diminuire e venire meno in lei, che niente l'apprezza se non come non fusse
egli che ricevesse.
Io gli proveggo.
Con che? Con la manifestazione di me medesimo a loro, facendo lo' in me vedere,
con grande amaritudine, le iniquità e miserie del mondo, la danpnazione de
l'anime in comune e in particulare, secondo che piace alla mia bontá, per farli
crèsciare in amore e in pena; acciò che, stimolati dal fuoco del desiderio,
gridino a me, con speranza ferma e col lume della sanctissima fede, a chiedere
l’aiutorio mio che sovenga a tante loro necessita. Sí che insiememente proveggo
con divina providenzia per sovenire al mondo, lassandomi costringere da'
penosi, dolci e anxietati desidèri de' servi miei, e a loro nutricandoli e
crescendoli, per questo, in maggiore e piú perfetto cognoscimento e unione di
me.
Adunque vedi che Io
proveggo questi perfetti per molte vie e diversi modi; perché, mentre che voi
vivete, sempre sète atti a crèsciare lo stato della perfeczione e a meritare. E
però Io gli purgo d'ogni proprio e disordenato amore spirituale e temporale; e
potogli con le molte tribulazioni, acciò che faccino maggiore e piú perfetto
frutto, come detto è. E con la grande (337) tribulazione che sostengono,
vedendo offendere me e privare l'anima della grazia, si spegne ogni sentimento
di questa mi nore. Intantoché tutte le fadighe loro, che in questa vita possino
sostenere, le reputano meno che non cavelle. E per questo, si cum' Io ti dixi,
si curano tanto della tribulazione quanto della consolazione, perché non
cercano le loro consolazioni, e non m'amano d'amore mercennaio per proprio
diletto, ma cercano la gloria e loda del nome mio.
Adunque vedi,
carissima figliuola, che in ogni creatura che ha in sé ragione Io distendo e
uso la providenzia mia in molti e infiniti luoghi, con modi admirabili non
cognosciuti dagli uomini tenebrosi, perché la tenebre non può conprendere la
luce. Solo da quegli che hanno lume sonno cognosciuti perfettamente e
inperfectamente, secondo la perfeczione del lume ch'egli hanno. El quale lume
s'acquista nel cognoscimento che l'anima ha di sé, unde si leva con
perfectissimo odio della tenebre.
Alto del documento
— Hotti narrato e
hai veduto, meno che l'odore d'una sprizza che è non cavelle a comparazione del
mare; come Io proveggo le mie creature, avendoti parlato in generale e in
particulare. E ora per questi stati, contandoti prima del Sagramento, come Io
proveggo e per che modo a fare crèsciare la fame ne l'anima, e come Io procuro
dentro nel sentimento de l'anime, ministrando lo' la grazia col mezzo del
servidore dello Spirito sancto: allo iniquo per riducerlo in stato di grazia,
allo inperfecto per farlo giognere a perfeczione, al perfetto per augmentare e
crescere la perfeczione in lui, perché sète atti a crescere, e per farli buoni
e perfetti mezzi tra l'uomo, che è caduto in guerra, e me. Perché giá ti dixi,
se ben ti ricorda, che col (338) mezzo de' servi miei Io farei misericordia al
mondo e col molto sostenere riformarei la sposa mia.
Veramente questi
cotali si possono chiamare un altro Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo,
perché hanno preso a fare l’offizio suo. Egli venne come tramezzatore, per
levare la guerra e reconciliare in pace con meco l'uomo, col molto sostenere
infino a l'obbrobriosa morte della croce. Cosí questi cotali vanno crociati,
facendosi mezzo con l'orazione, con la parola e con la buona e sancta vita,
ponendola per exempro dinanzi a loro. Rilucono le pietre preziose delle virtú
con pazienzia, portando e sopportando i loro difecti. Questi sonno e' lami con
che essi pigliano l'anime. Essi gictano la rete da la mano dricta e non da la
manca, come dixe la mia Verità a Pietro e agli altri discepoli doppo la
resurreczione; però che la mano manca del proprio amore è morta in loro, e la
mano dricta è viva d'uno vero e schiecto, dolce e divino amore, col quale
gictano la rete del sancto desiderio in me, mare pacifico. E giugnendo la
storia che fu inanzi a la resurreczione con quella che fu doppo, sappi che,
tirando a loro la rete, richiudendola nel cognoscimento di loro, pigliano tanta
abondanzia di pesci d'anime, che si conviene che chiamino il compagno perché
gli aiti a trarli della rete, però che solo non può. Perché nello strignere e
nel gittare gli conveniva la compagnia della vera umilità, chiamando il proximo
per dileczione, chiedendo che gli aiti a trare questi pesci de l'anime.
E che questo sia
vero, tu il vedi ne' servi miei e pruovi ché si grande peso lo' pare a tirare
queste anime che sonno prese nel sancto desiderio loro, che chiamano compagnia,
e vorrebero che ogni creatura che ha in sé ragione gli aitasse, con umilità
reputandosi insufficienti. E però ti dixi che chiamavano l’umilità e la caritá
del proximo, ché gli aitasse a trare questi pesci. Tirando, ne trae in
grandissima abondanzia: poniamo che molti per li loro difecti n'escono, che non
stanno rinchiusi nella rete. La rete del desiderio gli ha ben tucti presi,
perché l'anima, affamata de l'onore mio, non si chiama contenta a una
particella, ma tucti gli vuole: e' buoni dimanda perché gli aitino (339) a
niectere e' pesci nella rete sua, acciò che si conservino e crescano la
perfeczione. Gl'imperfecti vorrebbe che fussero perfecti, e' gattivi vorrebbe
che fussero buoni, gl'infedeli tenebrosi vorrebbe che tornassero al lume del
sancto baptesimo. Tucti gli vuole: di qualunque stato o condizione si siano,
perché tucti gli vede in me, creati dalla mia bontá in tanto fuoco d'amore e
ricomprati del sangue di Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo. Si che tucti
gli ha presi nella rete del sancto desiderio suo. Ma molti n'escono, come decto
è, che si partono dalla grazia per li difecti loro: e gl'infedeli e gli altri
che stanno in peccato mortale. Non è però che essi non siano in quello
desiderio per continua orazione: però che, quantunque l'anima si parta da me
per le colpe sue, e da l'amore e conversazione che debbono avere a' servi miei,
e debita reverenzia; non è però diminuito, né debba diminuire, l’affecto della
caritá in loro. Si che essi gictano questa dolce rete dalla mano dricta.
O figliuola
carissima, se tu considerrai punto facto che fece il glorioso appostolo Pietro,
il quale si conta nel sancto Evangelio, che gli fece fare la mia Verità quando
gli comandò che gittasse la rete nel mare, Pietro rispose che tucta nocte s'era
afadigato e neuno n'aveva potuto avere, dicendo: — « Ma nel comandamento e alla
parola tua, io la gittarò »; — gittandola, ne prese in tanta abondanzia, che
solo non poté tirarla fuore, e chiamò e' discepoli che l'aitassero. Dico che in
questa figura, la quale fu in veritá cosí (ma figura te per quello che decto Io
t'ho), tu la troverai che ella t'è propria. E fotti sapere che tucti e' misteri
e modi che tenne la mia Verità nel mondo, e co' discepoli e senza e' discepoli,
erano figurativi dentro ne l'anima de' servi miei, e in ogni maniera di genti ;
acciò che in ogni cosa poteste avere regola e doctrina, speculandovi col lume
della ragione: e a' grossi e a' sottili, a quegli che hanno basso intendimento
e alto; ogniuno può pigliare la parte sua, pure che voglia.
Dixiti che Pietro
al comandamento del Verbo gittò la rete. Si che fu obbediente, credendo con
fede viva poterli pigliare; (340) e però ne prese assai, ma non nel tempo della
nocte. Sai tu qual è il tempo della nocte? È la scura nocte del peccato
mortale, quando l'anima è privata del lume della grazia. In questa nocte veruna
cosa prende, però che gitta l'affetto suo non nel mare vivo, ma nel morto, dove
truova la colpa, che è non tavelle. Indarno s'affadiga con grandi e
intollerabili pene, senza veruna utilitá: fannosi màrteri del dimonio e non di
Cristo crocifixo. Ma, apparendo el di, che egli esce della colpa e torna a lo
stato della grazia, gli appariscono nella mente sua e' comandamenti della
Legge, e' quali li comandano che gitti questa rete nella parola del mio Verbo,
amando me sopra ogni cosa e il proximo come se medesimo. Allora con obbedienzia
e col lume della fede, con ferma speranza, la gitta nella parola sua,
seguitando la dottrina e le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo, e
discepoli. E come gli piglia, e cui egli chiama, giá te l'ho detto di sopra, e
però non te gli ricapitolo piú.
Alto del documento
— Questo t'ho
detto, acciò che col lume de l'intelletto cognosca con quanta providenzia
questa mia Verità, nel tempo che conversò con voi, egli adoperò e' ministeri
suoi e tutti e' suoi atti; perché tu cognosca quello che vi conviene fare, e
quello che fa l'anima che sta in questo perfectissimo stato. E pensa che piú
perfetto il fa uno che un altro, secondo che va ad obbedire a questa parola piú
promptamente e con piú perfetto lume, perduta ogni speranza di sé, ma solo
ricolta in me, suo Creatore. Piú perfettamente la gitta colui che obedisce,
observando e' comandamenti e consigli mentalmente e attualmente, che colui che
observa solo i comandamenti, e i consigli mentalmente. Ché chi non osservasse i
consigli mentalmente, giá non observarebbe e' comandamenti attualmente, perché
sonno legati insieme, (341) sí come in un altro luogo piú pienamente lo
ti narrai. Si che perfettamente piglia, secondo che perfectamente gitta. Ma e'
perfecti, de' quali Io t'ho narrato, pigliano in abbondanzia e in grande
perfeczione.
Oh! come hanno
ordinati gli organi loro per la buona e dolce guardia che fece la guardia del
libero arbitrio alla porta della volontà. Tutti e' sentimenti loro fanno un
suono soavissimo, el quale esce dentro della città de l'anima, perché le porte
sonno tutte chiuse e aperte. Chiusa è la volontà all'amore proprio; ed è aperta
a desiderare e amare il mio onore e la dileczione del proximo: Lo intell'ecto è
chiuso a raguardare le delizie, vanità e miserie del mondo, le quali sonno
tutte una notte che dànno tenebre allo 'ntellecto che disordenatamente le
guarda; ed è aperto col lume posto ne l'obietto del lume della mia Verità. La
memoria è serrata nel ricordamento del mondo e di sé sensitivamente; ed è
aperta a ricevere e reducersi a memoria el ricordamento de' benefizi miei.
L'affetto de l'anima fa allora uno giubilo e uno suono, temparate e acordate le
corde con prudenzia e lume; accordate tutte a uno suono, cioè a gloria e loda
del nome mio.
In questo medesimo
suono, che sonno acordate le corde grandi delle potenzie de l'anima, sonno
acordate le piccole de' sentimenti e strumenti del corpo. Si com' Io ti dixi,
parlandoti degl' iniqui uomini, che tutti sonavano morte, ricevendo e' loro
nemici; cosí questi suonano vita, ricevendo gli amici delle vere e reali virtú,
stormentano con sancte e buone operazioni. Ogni menbro lavora el lavorio che
gli è dato a lavorare, ogniuno perfettamente nel grado suo: l'occhio nel suo
vedere, l'orecchia nel suo udire, l'odorato nel suo odorare, il gusto nel suo
gustare, la mano nel toccare e adoperare, e' piei ne l'andare. Tutti
s'accordano in uno medesimo suono: a servire il proximo per gloria e loda del
nome mio, e servire l'anima con buone e sancte e virtuose operazioni,
obbedienti a l'anima a rispondere come organi. Piacevoli sonno a me, piacevoli
a la natura angelica, e piacevoli a' veri gustatori, che gli aspettano con
grande gaudio e allegrezza dove participarà il bene l'uno de (342) l'altro, e
piacevoli al mondo. Voglia il mondo o no, non possono fare gl' iniqui uomini
che non sentano de la piacevolezza di questo suono. Anco, molti e molti con
questo ]amo e stor. mento ne rimangono presi: partonsi dalla morte e vengono
alla vita.
Tucti e' sancti
hanno preso con questo organo. El primo che solfasse in suono di vita fu il
dolce e amoroso Verbo, pigliando la vostra umanità. E con questa umanità unita
con la Deitá, facendo uno dolce suono in su la croce, prese il figliuolo de
l'umana generazione, e prese il dimonio, che ne li tolse la signoria che tanto
tempo l'aveva posseduto per la colpa sua. Tucti voi altri sonate inparando da
questo Maestro. Con questo imparare da lui presero gli appostoli, seminando la
parola sua per tucto il mondo; e' màrteri e confessori e doctori e le vergini,
tucti pigliavano l'anime col suono loro. Raguarda la gloriosa vergine Orsina,
che tanto dolcemente sonò il suo stormento, che solo di vergini n'ebbe undici
migliaia, e piú d'altretanti d'altra gente ne prese con questo medesimo suono.
E cosí tucti gli altri, chi in uno modo e chi in un altro. Chi n'è cagione? La
mia infinita providenzia, che ho proveduto in dar lo' gli strumenti, e dato
l'ho la via e ‘l modo con che possino sonare. E ciò ch' Io do e permetto
in questa vita l'è via ad augmentare questi stormenti, se essi la vogliono
cognoscere, e che non si voglino tollere il lume, con che e' veggono, con la
nuvila de l'amore proprio, piacere e parere di loro medesimi.
Alto del documento
— Dilarghisi,
figliuola, el cuore tuo, e apre l'occhio de l' intellecto col lume della fede a
vedere con quanto amore e providenzia Io ho creato e ordinato l'uomo acciò che
goda nel mio sommo, etterno bene. E in tutto ho proveduto, come detto (343) t'
ho, ne l'anima e nel corpo, negl' imperfecti e ne' perfecti, a' buoni e a'
gattivi, spiritualmente e temporalmente, nel cielo e nella terra, in questa
vita mortale e nella inmortale.
In questa vita
mortale, mentre che sète viandanti, Io v'ho legati nel legame della carità:
voglia ]'uomo o no, egli ci è legato. Se egli si scioglie per affecto che non
sia nella caritá del proximo, egli ci è legato per necessità. Unde, acciò che
in acto e in affecto usasse la caritá (e se la perdete in affecto per le
iniquità vostre, almeno sète constrecti per vostro bisogno d'usare facto),
providdi di non dare a uno uomo, né a ogniuno a se medesimo, el sapere fare
quello che bisogna fare in tucto alla vita de l'uomo; ma chi n'ha una parte, e
chi n'ha un'altra, acciò che l'uno abbi materia, per suo bisogno, di ricòrrire
a l'altro. Unde tu vedi che l'artefice ricorre al lavoratore, e il lavoratore a
l'artefice: l'uno ha bisogno de l'altro, perché non sa fare l'uno quello che
l'altro. Cosi el cherico e il religioso ha bisogno del secolare, e il secolare
del religioso; e l'uno non può fare senza l'altro. E cosí d'ogni altra cosa.
E non potevo Io
dare a ogniuno tucto? Si bene; ma volsi, con providenzia, che s'aumiliasse
l'uno a l'altro, e costrecti fussero d'usare facto e l'affecto della caritá
insieme. Mostrato ho la magnificenzia, bontá e providenzia mia in loro, e essi
si lassano guidare alla tenebre della propria fragilità. Le menbra del corpo
vostro vi fanno vergogna, perché usano caritá insieme, e non voi: unde, quando
il capo ha male, la mano il soviene; e se il dito, che è cosí piccolo menbro,
ha male, il capo non si reca a schifo perché sia maggiore e piú nobile che
tucta l'altra parte del corpo, anco il soviene con l'udire, col vedere, col
parlare e con ciò ch'egli ha. E cosí tucte l’altre menbra. Non fa cosí l'uomo
superbo, che, vedendo il povero membro suo infermo e in necessità, non el
soviene, non tanto con ciò che egli ha, ma con una minima parola; ma con
rimproverio e schifezza volta la faccia adietro. Abbonda in ricchezze, e lassa
lui morire di fame; ma egli non vede che la sua miseria e crudeltá gitta puzza
a me, e infino al profondo de lo 'nferno ne va la puzza sua.
344
Io proveggo quel
povarello, e per la povertà gli sarà data somma ricchezza. E a lui, con grande
rimproverio, gli sarà rimproverato dalla mia Verità, se egli non si corregge,
per lo modo che conta nel sancto Evangelio, dicendo: « Io ebbi fame e non mi
desti mangiare; ebbi sete, e non mi desti bere; nudo fui, e non mi vestisti;
infermo e in carcere, e non mi visitasti ». E non gli varrà in quello ultimo di
scusarsi, dicendo: — Io non ti viddi mai, ché, se io t'avesse veduto, io farei
facto. — El misero sa bene (e cosí dixe Egli) che quello che fa a' suoi
povaregli, fa a lui. E però giustamente gli sarà dato etterno supplicio con le
demonia.
Si che vedi che
nella terra Io ho proveduto perché non vadano all'etternale dolore.
Se tu raguardi di
sopra, in me vita durabile, nella natura angelica e ne' cittadini che sonno in
essa vita durabile, che in virtú del sangue dell'Agnello hanno avuta vita
etterna, Io ho ordinato con ordine la caritá loro, cioè che Io non ho posto che
l'uno gusti pure il bene suo proprio, nella beata vita che egli ha da me, e non
sia participato dagli altri. Non ho voluto cosí: anco è tanto ordinata e
perfecta la caritá loro, che il grande gusta el bene del piccolo, e il piccolo
quello del grande. Piccolo, dico, quanto a misura, non che ‘l piccolo non
sia pieno come il grande, ognuno nel grado suo, si come in un altro luogo Io ti
narrai. Oh! quanto è fraterna questa carità, e quanto è unitiva in me, e l'uno
con l'altro, perché da me l'hanno e da me la ricognoscono, con quello timore
sancto e debita reverenzia, che rendono loro, s'affogano in me, e in me veggono
e cognoscono la loro dignità nella quale Io gli ho posti. L'angelo si comunica
con l'uomo, cioè con l'anime de' beati, e i beati con gli angeli. SI che ognuno
in questa dileczione della carità, godendo el bene l'uno de l'altro, exultano
in me con giubilo e allegrezza senza alcuna tristizia, dolce senza alcuna
amaritudine, perché, mentre che vissero e nella morte loro, gustàro me per
affecto d'amore nella caritá del proximo.
Chi l'ha ordinato? La sapienzia mia con
admirabile e dolce providenzia. E se tu ti vòlli al purgatorio, vi trovarrai la
mia (345) dolce e inextimabile providenzia in quelle tapinelle anime che per
ignoranzia perdéro il tempo, e perché sonno separate dal corpo, non hanno piú
el tempo di potere meritare: unde Io l’ ho provedute col mezzo di voi, che anco
sète nella vita mortale, che avete il tempo per loro; cioè che con le limosine
e divino offizio che facciate dire a' ministri miei, con digiuni e con orazioni
facte in istato di grazia, abbreviate a loro il tempo della pena mediante la
mia misericordia. Odi dolce providenzia !
Tucto questo ho
decto a te che s'appartiene, dentro ne l'anima, alla salute vostra, per farti
inamorare e vestire col lume della fede, con ferma speranza nella providenzia
mia, e perché tu gitti te fuore di te, e in ciò che tu hai a fare speri in me
senza veruno timore servile.
Alto del documento
— Ora ti voglio
dire una picciola particella de' modi ch' Io tengo a sovenire i servi miei, che
sperano in me, nella necessità corporale. E tanto la ricevono perfectamente e
inperfectamente, quanto essi sonno perfecti e inperfecti, spogliati di loro e
del mondo: ma ogniuno proveggo. Unde i povaregli miei, povari per spirito e di
volontà, cioè per spirituale intenzione, non semplicemente dico povari, però
che molti sonno povari e non vorrebbero essere: questi sonno ricchi quanto alla
volontà e sonno mendichi, perché non sperano in me né portano volontariamente
la povertà che Io l'ho data per medicina de l'anima loro, perché la ricchezza
farebbe facto male e sarebbe stata loro dannazione; ma e' servi miei sonno
poveri e non mendichi. El mendico spesse volte non ha quello che gli bisogna e
pate grande necessità; ma el povaro non abonda, ma ha apieno la sua necessità.
Io non gli manco mai mentre ch'egli spera in me: conducoli bene alcuna volta
(346) in su la extremità, perché meglio cognoscano e veggano che lo gli posso e
voglio provedere, inamorinsi della providenzia mia e abbraccino la sposa della
vera povertà. Unde il servo loro dello Spirito sancto, clemenzia mia, vedendo
che non abbino quello che lo' bisogna alla necessità del corpo, accenderà uno
desiderio con uno stimolo nel cuore di coloro che possono sovenire, che essi
andaranno e soverrannoli de' loro bisogni. Tucta la vita de' dolci miei
povaregli si governa per questo modo: con sollicitudine che lo do di loro a'
servi del mondo. È vero che, per provarli in pazienzia, in fede e
perseveranzia, Io sosterrò che lo' sia decto rimproverio ingiuria e villania; e
nondimeno quel medesimo che lo' dice e fa ingiuria è costretto dalla mia
clemenzia di dar lo' Pelimosina e sovenire ne' loro bisogni.
Questa è
providenzia generale data a' miei povarelli. Ma alcuna volta I'usarò ne' grandi
servi miei senza il mezzo della creatura, solo per me medesimo, si come tu sai
d'avere provato. E hai udito del glorioso padre tuo Domenico che, nel principio
dell'ordine, essendo e' frati in necessità, intantoché essendo venuta l'ora del
mangiare e non avendo che, il dilecto mio servo Domenico, col lume della fede
sperando che Io provedesse, dixe: — Figliuoli, ponetevi a mensa. — Obbediendolo
e' frati, alla parola sua si posero a mensa. Allora Io, che proveggo chi spera
in me, mandai due angeli con pane bianchissimo, intantoché n'ebbero in
grandissima abondanzia per piú volte. Questa fu providenzia non con mezzo
d'uomini, ma £acta dalla clemenzia mia dello Spirito sancto.
Alcuna volta
proveggo multiplicando una piccola quantità, la quale non era bastevole a loro,
si come tu sai di quella dolce vergine sancta Agnesa. La quale, dalla sua
puerizia infino a l'ultimo, servi a me con vera umilità, con esperanza ferma,
intantoché non pensava di sé né della sua famiglia con dubbitazione. Unde ella
con viva fede, per comandamento di Maria, si mosse, poverella e senza alcuna
substanzia temporale, a fare il mònasterio. Sai che era luogo di peccatrici.
Ella non pensò: — Come potrò io farequesto? — Ma sollicitamente, con la mia
providenzia, (348) ne fece luogo sancto, monasterio ordinato a religiose. Ine
congregò nel principio circa diciotto fanciulle vergini senza avere cavelle, se
non come Io la provedevo: tra l'altre volte, avendo Io sostenuto che tre di
erano state senza pane, solo con l'erba. E se tu mi dimandassi : — Perché le
tenesti a quel modo, conciosiacosaché di sopra mi dicesti che tu non manchi mai
a' servi tuoi che sperano in te, e che essi hanno la loro necessità? In questo
mi pare che lo' mancasse il loro bisogno, perché pure de l'erba non vive il corpo
della creatura, parlando comunemente e in generale di chi non è perfecto: ché,
se Agnesa era perfecta ella, non erano l'altre in quella perfeczione; — Io ti
risponderei ch' Io el feci e permissi per farla inebriare della providenzia
mia; e quelle, che anco erano inperfecte, per lo miracolo che poi seguitò,
avessero materia di fare il principio e fondamento loro nel lume della
sanctissima fede. In quella erba o in altro a cui divenisse simile caso, o per
verun altro modo, davo e do una disposizione a quel corpo umano, intantoché
meglio starà con quella poca dell'erba, o alcuna volta senza cibo, che inanzi
non faceva col pane e con l'altre cose che si dànno e sonno ordinate per la
vita de l'uomo. E tu sai che egli è cosí, che l'hai provato in te medesima.
Dico che Io proveggo col moltiplicare. Ché,
essendo ella stata in questo spazio del tempo, che Io t’ho decto, senza pane,
vollendo ella l'occhio della mente sua col lume della fede a me, disse: — Padre
e Signore mio, sposo etterno, ed ha' mi tu facte trare queste figliuole delle
case de' padri loro perché elle periscano di fame? Provede, Signore, alla loro
necessità. — Io ero Colui che la facevo adimandare: piacevami di provare la
fede sua, e l'umile sua orazione era a me piacevole. Distesi la mia providenzia
in quello che con la mente sua stava dinanzi a me, e costrinsi per spirazione
una creatura, nella sua mente, che le portasse cinque panuccioli. E,
manifestandolo a lei nella sua mente, dixe, vollendosi a le suore: — Andate,
figliuole mie, rispondete alla ruota, e tollete quel pane. — Arrecandolo elle,
si posero a mensa. Io le diei tanta virtú, nello spezzare el pane che ella
fece, che tucte se ne saziarono apieno, e tanto ne levarono (348) di su la
mensa, che pienamente un'altra volta n'ebbero abondantemente alla necessità del
corpo loro.
Queste sonno delle
providenzie che Io uso co' servi miei a quelli che son povari volontariamente;
e non pure volontariamente, ma per spirito. Però che senza spirituale
intenzione nulla lo' varrebbe. Si come divenne a' filosofi, che, per amore che
avevano alla scienzia e volontà d'impararla, spregiavano le ricchezze e
facevansi povari volontariamente; cognoscendo, di cognoscimento naturale, che
la sollicitudine delle mondane ricchezze gli aveva ad inpedire di non lassarli
giognere al termine loro della scienzia, el quale ponevano, per uno loro fine,
dinanzi all'occhio de l'intelletto loro. Ma, perché questa volontà de la
povertà non era spirituale, fatta per gloria e loda del nome mio, però non
avevano vita di grazia né perfeczione, ma morte etternale.
Alto del documento
— Doh ! raguarda,
carissima figliuola, quanta vergogna a' miseri uomini amatori delle ricchezze,
che non seguitano il cognoscimento che lo' porge la natura per acquistare il
sommo ed etterno Bene! Lo fanno questi filosofi, che, per amore della scienzia,
cognoscendo che e' l'era inpedimento, le gittavano da loro. E questi de le
ricchezze si vogliono fare uno idio. E questo manifesta ch'egli è cosí : che
essi si dogliono piú quando perdono la ricchezza e substanzia temporale che
quando perdono me, che so' somma ed etterna ricchezza. Se tu raguardi bene,
ogni male n'esce di questo disordenato desiderio e volontà della ricchezza.
Egli n'esce la superbia, volendo essere il
maggiore; la ingiustizia in sé e in altrui; l'avarizia, che per l'appetito
della pecunia non si cura di robbare il fratello suo, né di tollere quello
della sancta Chiesa, che è acquistato col sangue del Verbo unigenito (349) mio
Figliuolo. Èscene rivendarìa delle carni del proximo suo e del tempo: come
sonno. gli usurai, che, come ladri, vendono quel che non è loro. Èscene
golosità per li molti cibi e disordenatamente prenderli, e disonestà. Ché, se
non avesse che spendere, spesse volte non starebbe in conversazioni di tanta
miseria. Quanti omicidii, odio e rancore verso il suo proximo, e crudeltá con
infidelità verso di me, presumendo di loro medesimi, come se per loro virtú
l'avessero acquistate! Non vedendo che per loro virtú non le tengono né
l'acquistano, ma solo per mia, perdono la speranza di me, sperando solo nelle
loro ricchezze. Ma la speranza loro è, vana, ché, non avedendosene, elle
vengono meno: o essi le perdono in questa vita per mia dispensazione e loro
utilitá, o essi le perdono col mezzo della morte. Allora cognoscono che vane e
none stabili elle erano. Elle inpoveriscono e uccidono l'anima: fanno l'uomo
crudele a se medesimo, tolgonli la dignità dello infinito e fannolo finito,
cioè che’l desiderio suo, che debba essere unito in me che so' bene
infinito, egli l'ha posto e unito per affetto d'amore in cosa finita. Egli perde
il gusto del sapore della virtú e de l'odore della povertà, perde la signoria
di sé, facendosi servo delle ricchezze. È insaziabile, perché ama cosa meno di
sé; però che tutte le cose che sonno create sonno fatte per l'uomo perché il
servissero e non perché egli se ne faccia servo, e l'uomo die servire a me che
so' suo fine.
A quanti pericoli e
a quante pene si mette l'uomo, per mare e per terra, per acquistare la grande
ricchezza, per tornare poi nella città sua con delizie e stati; e non si cura
d'acquistare le virtú né di sostenere un poca di pena per averle, che sonno la
ricchezza de l'anima. Essi sonno tutti, ammersi il cuore, e l'affetto, che
debba servire a me, egli l'hanno posto nelle ricchezze, e con molti guadagni
inliciti carica la conscienza loro. Vedi a quanta miseria egli si recano e di
cui e' si sonno fatti servi: non di cosa ferma né stabile, ma mutabile, ché
oggi son ricchi e domane povari ; ora sonno in alto, ora sonno a basso; Ora
sono temuti e avuti in reverenzia dal mondo per la loro ricchezza, e ora è
facto beffe di loro avendola perduta, con (350) rimproverio e vergogna e senza
conpassione eglino son trattati, perché si facevano amare e erano amati per le
ricchezze e non per virtú che fussero in loro. Ché, se fussero stati amati e
fussersi facti amare per le virtú che fussero state in loro, non sarebbe levata
la reverenzia né l'amore, perché la sustanzia temporale fuxe perduta e non la
ricchezza delle virtú.
Oh, come è grave
loro a portare nella coscienzia loro questi pesi! E l'è si grave, che in questo
camino della perregrinazione non può còrrire né passare per la porta stretta.
Nel `sancto Evangelio vi disse cosí la mia Verità: che « egli è piú inpossibile
ad intrare uno ricco a vita etterna che uno camello per una cruna d'aco ». Ciò
sonno coloro che con disordenato e miserabile affetto posseggono o desiderano
la ricchezza. Però che molti sonno quelli che sonno povari, si com' Io ti dixi,
e per affetto d'amore disordenato posseggono tutto il mondo con la loro
volontà, se essi el potessero avere. Questi non possono passare per la porta,
però che ella è stretta e bassa; unde, se non gittano il carico a terra e non
ristrengono l'affetto loro nel mondo e chinano il capo per umilità, non ci
potranno passare. E non ci è altra porta che gli conduca ad vita se non questa.
Ècci la porta larga che gli mena a l’etterna dannazione; e, come ciechi, non
pare che veggano la loro ruina, che in questa vita gustano l'arra de l'inferno.
Però che in ogni modo ricevono pena, desiderando quello che non possono avere.
Non avendo, hanno pena, e se e' perdono, perdono con dolore. Con quella misura
hanno il dolore, che essi la possedevano con amore. Perdono la dileczione del
proximo, non si curano d'acquistare veruna virtú. Oh, fracidume del mondo! non
le cose del mondo in loro, però che ogni cosa creai buona e perfetta, ma
fracido è colui che con disordenato amore le tiene e cerca. Mai non potresti
con la tua lingua narrare, figliuola mia, quanti sonno e' mali che n'escono e
veggonne e pruovanne tutto di; e non vogliono vedere né cognoscere il danno
loro.
Alto del documento
351
— Hottene toccato
alcuna cosa perché meglio cognosca il tesoro della povertà volontaria per
spirito. Chi la cognosce? I diletti povaregli servi miei, che, per potere
passare questo camino e intrare per la porta stretta, hanno gittato a terra il
peso delle ricchezze. Alcuno le gitta attualmente e mentalmente; e questi sonno
quegli che observano e' comandamenti e consigli attualmente e mentalmente. E
gli altri observano i consigli solo mentalmente, spogliatosi l'affetto della
ricchezza, ché non la possiede con disordenato amore, ma con ordine e timore
sancto; fattone non posessore, ma dispensatore a' povari. Questo è buono; ma el
primo è perfetto, con piú frutto e meno inpaccio, in cui si vede piú rilucere
la providenzia mia attualmente. Della quale, insiememente commendando la vera
povertà, Io ti compirò di narrare. L'uno e l'altro hanno chinato il capo,
facendosi piccoli per vera umilità. E perché in un altro luogo, se ben ti
ricorda, di questo secondo alcuna cosa ti parlai, però ti dirò solo di questo
primo.
Io t'ho mostrato e
detto che ogni male, danno e pena in questa vita e ne l'altra esce da l'amore
delle ricchezze. Ora ti dico, per contrario, che ogni bene, pace e riposo e
quiete esce della vera povertà. Mirami pure l'aspetto de' veri povaregli: con
quanta allegrezza e giocundità stanno; mai non si contristano se non de
l'offesa mia, la quale tristizia non affligge ma ingrassa l'anima. Per la
povertà, hanno acquistata la somma ricchezza; per lassare la tenebre, truovansi
perfectissima luce; per lassare la tristizia del mondo, posseggono allegrezza;
per li beni mortali, truovano gl' inmortali e ricevono maxima consolazione. Le
fadighe e’l sostenere l'è uno rifrigerio, con giustizia e caritá fraterna
con ogni (352) creatura che ha in sé ragione. Non sono acceptatori delle
creature in cui riluce la virtú della sanctissima fede e vera speranza, dove
arde il fuoco della divina caritá in loro: ché, col lume della fede che ebbero
in me, somma e etterna ricchezza, levarono la speranza loro dal mondo e da ogni
vana ricchezza, e abbracciarono la sposa della vera povertà con le serve sue. E
sai quali sonno le serve della povertà? La viltà e dispiacimento di sé e la
vera umilità, che servono e notricano l'affecto della povertà ne l'anima. Con
questa fede e speranza, accesi di fuoco di carità, saltavano e saltano e' veri
servi miei fuore delle ricchezze e del proprio sentimento. Si come il glorioso
Matteo appostolo lassò le grandi ricchezze saltando il banco, e seguitò la mia
Verità, che v'insegnò il modo e regola, insegnandovi amare e seguitare questa
povertà. E non ve la insegnò solamente con parole, ma con exemplo; unde, dal
principio della sua natività infino a l'ultimo della vita sua, in exemplo v'insegnò
questa doctrina.
Egli la sposò per
voi questa sposa della vera povertà, conciosiacosaché egli fusse somma
ricchezza per l'unione della natura divina, unde egli è una cosa con meco e Io
con lui, che so' etterna ricchezza. E se tu il vuoli vedere umiliato in grande
povertade, raguarda Dio essere facto uomo, vestito della viltà e umanità
vostra. Tu vedi questo dolce e amoroso Verbo nascere in una stalla, essendo
Maria in camino, per mostrare a voi viandanti che voi dovete sempre rinascere
nella stalla del cognoscimento di voi, dove trovarrete nato me, per grazia,
dentro ne l'anima vostra.
Tu il vedi stare
ine in mezzo degli animali in tanta povertà, che Maria non ha con che
ricoprirlo. Ma, essendo tempo di freddo, col fiato de l'animale e col fieno, si
el riscaldava. Essendo fuoco di carità, vuole sostenere freddo ne l'umanità sua
in tucta la vita. Mentre che visse nel mondo volse sostenere, e senza e'
discepoli e co' discepoli: unde alcuna volta, per la fame, sgranellavano i
discepoli le spighe e mangiavano le granella. E, ne l'ultimo della vita sua,
nudo fu spogliato e fragellato alla colonna, e assetato sta in sul legno della
croce, in tanta povertà, (353) che la terra e il legno gli venne meno, non
avendo luogo dove riposare il capo suo; ma convennesi che sopra la spalla sua
riposasse il capo, e, come ebbro d'amore, vi fa bagno del sangue suo, aperto il
Corpo di questo Agnello, che da ogni parte versa.
Essendo in miseria,
dona a voi la grande ricchezza; stando in sul legno strecto della croce, egli
spande la larghezza sua a ogni creatura che ha in sé ragione; assaggiando
l’amaritudine del fiele, egli dá a voi perfectissima dolcezza; stando in
tristizia, vi dá consolazione; stando confitto e chiavellato in croce, vi
scioglie dal legame del peccato mortale; essendosi facto servo, ha facti voi
liberi e tracti de la servitudine del dimonio; essendo venduto, v'ha
ricomperati di Sangue; dando a sé morte, ha dato a voi vita.
Bene v'ha dato dunque regola d'amore,
mostrandovi maggiore amore che mostrare vi potesse, dando la vita per voi, che
eravate facti nemici a lui e a me, sommo ed etterno Padre. Questo non cognosce
lo ignorante uomo, che tanto m'offende e tiene a vile si facto prezzo. Havi
data regola di vera umilità, umiliandosi a l’obrobriosa morte della croce; e di
viltà, sostenendo gli obrobri e i grandi rimprovèri; e di vera povertà, unde
parla di lui la Scrittura, lamentandosi in sua persona: « Le volpi hanno tana e
gli uccelli hanno il nido, e’l Figliuolo della Vergine non ha dove
riposare il capo suo ». Chi el cognosce questo? Quello che ha il lume della
sanctissima fede. In cui truovi questa fede? Ne' povaregli per spirito, che
hanno presa per sposa la reina della povertà, perché hanno gittato da loro le
ricchezze che dànno tenebre d' infidelità.
Questa reina ha il
reame suo che non v'è mai guerra, ma sempre ha pace e tranquilità. Ella abbonda
di giustizia, perché quella cosa che commecte ingiustizia è separata da lei; le
mura della città sua son forti, perché ‘l fondamento non è facto Sopra la
terra, ma sopra la viva pietra: Cristo, dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo.
Dentro v'è luce senza tenebre, perché la madre di questa reina è l'abisso della
divina caritá. L'addornamento di questa città è la pietà e misericordia, perché
(354) n'ha tracto il tiranno della ricchezza che usava crudeltá. Ine v'è una
benivolenzia con tucti i cittadini, cioè la dileczione del proximo. Avi la
longa perseveranzia con la prudenzia, che non va né governa la città sua
imprudentemente, ma con molta prudenzia e solicita guardia. Unde l'anima, che
piglia questa dolce reina della povertà per sposa, si fa signore di tucte
queste ricchezze, e non può essere de l'uno che ella non sia de l'altro.
Guarda giá che la
morte de l'appetito delle ricchezze non cadesse in quella anima: allora sarebbe
divisa da quello bene, e trovarebbesi di fuore della città in somma miseria.
Ma, se ella è leale e fedele a questa sposa, sempre in etterno le dona la
ricchezza sua. Chi vede tanta excellenzia? in cui riluce il lume della fede.
Questa sposa riveste lo sposo suo di purità, tollendo via la ricchezza che ‘l
faceva inmondo; privalo delle gattive conversazioni e dagli le buone;
tra'ne la marcia della negligenzia, gittando fuore la sollicitudine del mondo e
delle ricchezze; tra'ne l’amaritudine e rimane la dolcezza; taglia le spine e
rimanvi la rosa; vòta lo stomaco de l'anima d'umori corrocti del disordenato
amore, e fallo leggiero; e, poi che egli è vòto, l'empie del cibo delle virtú,
che dànno grandissima soavità. Ella gli pone il servo de l'odio e de l'amore,
acciò che purifichi il luogo suo: unde el odio del vizio e della propria
sensualità spazza l'anima, e l'amore delle virtú l'addorna; tra'ne ogni
dubbitazione, privandola del timore servile e dalle sicurtà con timore sancto.
Tucte le virtú,
tucte le grazie, piaceri e dilecti che sa desiderare truova l'anima che piglia
per sposa la reina della povertà. Non teme briga, ché non è chi le facci
guerra; non teme di fame né di caro, perché la fede vide e sperò in me, suo
Creatore, unde procede ogni ricchezza e providenzia, che sempre gli pasco e gli
notrico. E trovossi mai uno vero mio servo, sposo della povertà, che perisse di
fame? No, ché si sonno trovati di quelli che sonno abondati nelle grandi
ricchezze, confidandosi nelle lore ricchezze e non in me, e però perivano; ma a
questi non manco lo mai, perché non mancano in speranza, e però gli proveggo
come benigno e pietoso padre. E con quanta allegrezza e larghezza sonno venuti
a me, avendo cognosciuto col ( 355) lume della fede che, dal principio infino
a l'ultimo del mondo, ho usato e uso e usarò in ogni cosa la providenzia mia
spiritualmente e temporalmente, come decto è. Fogli Io bene sostenere, si com'
Io ti dixi, per farli crescere in fede e in speranza e per rimunerarli delle
lore fadighe; ma non lo' manco mai in veruna cosa che lo' bisogni. In tucto
hanno provato l'abisso della mia providenzia, gustandovi el lacte della divina
dolcezza, e però non temono l'amaritudine della morte: ma con ansietato
desiderio corrono, come morti al proprio sentimento di loro e delle ricchezze,
abbracciati con la sposa della povertà come inamorati, e vivi nella volontà
mia, a sostenere freddo, nudità, caldo, fame, sete, strazi e villanie; e a la
morte, con desiderio di dare la vita per amore della Vita (cioè di me, che so'
toro vita) e il sangue per amore del Sangue.
Raguarda gli
appostoli povarelli e gli altri gloriosi màrteri, Pietro, Pavolo, Stefano e
Lorenzo, che non pareva che stesse sopra ‘l fuoco, ma sopra fiori di
grandissimo dilecto, quasi stando in mocti col tiranno, dicendo: — Questo lato
è cocto: vòllelo e comincialo a mangiare. — Col fuoco grande della divina
caritá spegneva il piccolo nel sentimento de l'anima sua. Le pietre a Stefano
parevano rose: chi n'era cagione? L'amore, col quale aveva preso per sposa la
vera povertà, avendo Tassato il mondo per gloria e loda del nome mio, e presala
per sposa col lume della fede, con ferma speranza e prompta obbedienzia:
fattisi obbedienti a' comandamenti e a' consigli che lo' die' la mia Verità
actualmente e mentalmente, come decto è.
La morte hanno in
desiderio e la vita in dispiacere e ad inpazienzia, non per fuggire labore né
fadiga, ma per unirsi in me, che so' loro fine. E perché non temono la morte
che naturalmente l'uomo teme? Perché la sposa, la quale egli hanno presa della
povertà, gli ha facci sicuri, tollendo lo' l'amore di sé e delle ricchezze.
Unde con la virtú hanno conculcato l'amore naturale e ricevuto quello lume e
amore divinq che è sopra naturale. E come potrà l'uomo che è in questo stato
dolersi della . morte sua, che desidera di lassare la vita, e pena gli è di
portarla quando la vede tanto prolongare? Potrassi dolere di lassare (356) le
ricchezze del mondo, che l'ha spregiate con tanto desiderio? Non è grande facto
ponto, ché chi non ama non si duole, anco si dilecta quando lassa la cosa che
odia. Si che, da qualunque lato tu ti vòlli, truovi in loro perfecta pace e
quiete e ogni bene; e ne' miseri, che posseggono con tanto disordenato amore,
sommo male e intollerabili pene: poniamo che all'aspecto di fuore paresse il
contrario; ma in veritá egli è pure cosí.
E chi non avarebbe
giudicato che Lazzaro povero fusse stato in somma miseria, e il ricco danpnato
in grande allegrezza e riposo? E nondimeno non era né fu cosí: ché sosteneva
maggiore pena quello ricco con le sue ricchezze, che Lazzaro povarello crociato
di lebbra; perché in lui era viva la volontà unde procede ogni pena, e in
Lazzaro era morta, e viva in me, che nella pena aveva rifrigerio e
consolazione. Essendo cacciato dagli uomini, e maximamente dal ricco danpnato,
non forbito né governato da loro, Io provedevo che l'animale, che non ha
ragione, leccasse le piaghe sue; e ne l'ultimo della loro vita vedete, col lume
della fede, Lazzaro a vita etterna e il ricco ne l'inferno.
Si che i ricchi stanno
in tristizia e i dolci miei povarelli in allegrezza. Io me gli tengo al pecto
mio, dando lo' del lacte delle molte consolazioni: perché tucto lassarono, però
tucto mi posseggono; lo Spirito sancto si fa baglia de l'anime e de' corpicelli
loro in qualunque stato e' sieno. Agli animali li fo provedeve in diversi modi,
secondo che hanno bisogno: agl'infermi solitari farò escire l'altro solitario
della cella per andare a sovenirlo; e tu sai che molte volte t'adivenne ch' Io
ti trassi di cella per satisfare alla necessità delle povarele che avevano
bisogno. Alcuna volta te la feci provare in te questa medesima providenzia,
facendoti sovenire alla tua necessità, e, quando mancava la creatura, non
mancavo Io; tuo Creatore. In ogni modo Io gli proveggo. E unde verrà che
l'uomo, stando nelle ricchezze e in tanta cura del corpo suo e con molti panni,
e sempre starà infermiccio; e spregiando poi sé e abbracciando la povertà per
amore di me, el vestimento terrà solo per ricoprire il corpo suo, e diventarà
forte e sano, e veruna cosa parrà che gli sia nociva, che a quello corpo non
pare che gli faccia danno piú (357) né freddo né caldo né grossi cibi? Dalla
mia providenzia gli venne, che providdi e tolsi ad avere cura di lui, perché
tucto si lassò.
Adunque vedi,
dilectissima figliuola, in quanto riposo e dilecto stanno questi dilecti miei
povaregli.
— Ora t'ho narrato
alcuna picciola particella della providenzia mia in ogni creatura e in ogni
maniera di gente, come decto è; mostrandoti che, dal principio ch' Io creai el
mondo primo, e il secondo mondo della mia creatura, dandole l'essere alla
imagine e similitudine mia, infino a l'ultimo, Io ho usato, facto e fo ciò che
Io fo con providenzia per procurare alla salute vostra, perché Io voglio la
vostra sanctificazione; e ogni cosa data a voi, che abbia essere, vi do per
questo fine. Questo non veggono gl' iniqui uomini del mondo che s'hanno tolto
il lume; e decto t'ho che, però che non cognoscono, si scandelizzano in me.
Nondimeno Io con pazienzia gli porto, aspectandogli infine a l'ultimo,
procurando sempre al loro bisogno, si com' Io ti dissi, a loro che sonno
peccatori, come de' giusti, in queste cose temporali e nelle spirituali. Anco
t'ho contata la inperfeczione delle ricchezze, una sprizza della miseria nella
quale conducono colui che le possiede con disordinato affecto, e della
excellenzia della povertà: della ricchezza che dá nell'anima che la elegge per
sua sposa, aconpagnata con la sorella della viltà. Della quale viltà insieme
con l'obbedienzia ti narrarò.
Anco t'ho mostrato
quanto è piacevole a me e come Io la tengo cara e come Io la proveggo con la
providenzia mia. Tucto l'ho decto a comendazione di questa virtú e della
sanctissima fede, con la quale gionse a questo perfectissimo stato ed
excellentissimo, per farti crescere in fede e in speranza, e perché bussi alla
porta della mia misericordia. Con fede viva tiene (358) che il desiderio tuo e
de' servi miei lo l'adempirò col molto sostenere infino alla morte. Ma
confortati ed exulta in me, che so' tuo difenditore e consolatore.
Ora ho satisfacto
al parlare della providenzia, della quale tu mi pregasti che lo provedesse alla
necessità delle mie creature, e hai veduto che lo non so' dispregiatore de'
sancti e veri desidèri.
Alto del documento
Allora quella
anima, come ebbra, innamorata della vera e sancta povert~, dilatata nella
somma, etterna grandezza, e transformata ne l’ abisso della somma e
inextimabile providenzia (intantoché, stando nel vassello del corpo, si vedeva
fuore del corpo per la obunbrazione e rapire che facto aveva il fuoco della sua
caritá in lei), teneva l'occhio de l' intellecto suo fixo nella divina maiestà,
dicendo al sommo e etterno Padre:
— O Padre etterno !
O fuoco e abisso di caritá ! O etterna bellezza, o etterna sapienzia, o etterna
bontá, o etterna clemenzia, o speranza, o refugio de' peccatori, o larghezza
inextimabile, o etterno e infInito bene, o pazzo d'amore! E hai tu bisogno
della tua creatura? Sí, pare a me; ché tu tieni modi come se senza lei tu non
potessi vivere, conciosiacosaché tu sia vita, dal quale ogni cosa ha vita e
senza te neuna cosa vive. Perché dunque se' cosí inpazzato? Perché tu t'
innamorasti della tua factura, piacestiti e dilectastiti in te medesimo di lei,
e, come ebbro della sua salute, ella ti fugge, e tu la vai cercando; ella si
dilonga, e tu t'appressimi: piú presso non potevi venire che vestirti della sua
umanità. E che dicerò? Farò come Troglio.che dicerò: — A, a, — perché non so
che Ini dire altro, però che la lingua finita non può exprimere l’affecto de
l'anima che infinitamente desidera te. Parrai ch'io possa dire la parola di
Pavolo, quando disse: «Né lingua (359) può parlare, né urecchia udire, né
occhio vedere, né cuore pensare quello che io viddi ». Che vedesti? Vidde «arcana
Dei ». E io che dico? Non ci aggiongo con questi sentimenti grossi; ma
tanto ti dico che hai gustato e veduto, anima mia, l'abisso della somma,
etterna providenzia. Ora rendo grazie a te, sommo etterno Padre, della
smisurata tua bontá mostrata a me, miserabile, indegna d'ogni grazia. Ma
perch'io veggo che tu se' adempitore de' sancti desidèri, e la tua Veritá non
può mentire, e perché io desidero che ora un poco tu mi parlassi della virtú de
l'obbedienzia e della excellenzia sua, si come tu, Padre etterno, mi
promectesti che mi narrarestí, acciò che io d'essa virtú m' inamori, e mai non
mi parta da l'obbedienzia tua; piacciati, per la tua infinita bontà, di dirmi
della sua perfeczíone, e dove io la posso trovare, e quale è la cagione che me
la tolle, e chi me la dá, e il segno che io l'abbi o non l'abbi.
Alto del documento
363
Allora el sommo ed
etterno Padre, e pietoso, volse l'occhio della misericordia e clemenzia sua
inverso di lei, dicendo: — O carissima e dolcissima figliuola, el sancto
desiderio e giuste petizioni debbono essere exauditi ; e però Io, somma veritú,
adempirò la veritá mia, satisfacendo alla promessa che Io ti feci e al
desiderio tuo. E se tu mi dimandi : dove la truovi, e quale è la cagione che te
la tolle, e il segno che tu l'abbi o no, lo ti rispondo: che tu la truovi
conpitamente nel dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo. Fu tanto
pronpta in lui questa virtú che, per conpirla, corse all'obrobriosa morte della
croce. Chi te la tolle? Raguarda nel primo uomo, e vedrai la cagione che gli
tolse l’obbedienzia inposta a lui da me, Padre etterno: la superbia che esci e
fu producta da l'amore proprio e piacimento della compagna sua. Questa fu
quella cagione che gli tolse la perfeczione de l’obbedienzia e diègli la
disobbedienzia; unde gli tolse la vita della grazia e diègli la morte, perdette
la innocenzia e cadde in inmondizia e in grande miseria. E non tanto egli, ma
e' v'incorse tutta l'umana generazione, si come lo ti dixi.
El segno che tu
abbi questa virtú è la pazienzia; e, non avendola, ti dimostra che tu non
l'hai, la inpazienzia. Unde contiandoti di questa virtú, trovarrai che egli è
cosí. Ma actende: ché. in due modi s'observa obbedienzia. L'una è piú perfetta
che l'altra; e non so' però separate, ma unite, si com' Io ti dixi de' (364)
comandamenti e de' consigli. L'uno è buono e perfetto, l'altro è perfectissimo;
e neuno è che possa giognere a vita etterna se non l'obbediente, però che senza
l’obbedienzia veruno è che vi possa intrare, perché ella fu diserrata con la
chiave de l’obbedienzia, e con la disobbedienzia di Adam si serrò.
Essendo poi Io
costretto dalla mia infinita bontá, vedendo che l'uomo, cui Io tanto amavo, non
tornava a me, fine suo, tolsi le chiavi de l'obbedienzia e posile in mano del
dolce e amoroso Verbo, mia Verità; ed egli, come portonaio, diserrò questa
porta del cielo. E senza questa chiave e portonaio, mia Verità, veruno ci può
andare. E però dixe egli nel sancto evangelio che veruno poteva venire a me,
Padre, se non per lui. Egli vi lassò questa dolce chiave de l'obbedienzia,
quando egli ritornò a me, exultando, in cielo, e levandosi dalla conversazione
degli uomini per l'ascensione. Si come tu sai, egli lassò il vicario suo,
Cristo in terra, a cui sète tutti obligati d'obbedire infino alla morte. E chi
è fuore de l'obbedienzia sua, sta in stato di danpnazione, si come in un altro
luogo Io ti dixi.
Ora Io voglio che
tu vegga e cognosca questa excellentissima virtú ne l'umile e inmaculato
Agnello, e unde ella procede. Unde venne che tanto fu obbediente questo Verbo?
Da l'amore ch'egli ebbe a l'onore mio e alla salute vostra.
Unde procedette
l'amore? Dal lume della chiara visione con la quale vedeva, l'anima sua,
chiaramente la divina Essenzia e la Trinitá etterna; e cosí sempre vedeva me,
Dio etterno. Questa visione adoperava perfectissimamente in lui quella fedeltà,
la quale inperfectamente adopera in voi ci lume della sanctissima fede. Ché fu
fedele a me, suo Padre etterno, e però corse col lume glorioso, come innamorato,
per la via de l'obbedienzia. E perché l'amore non è solo, ma è aconpagnato di
tutte le vere e reali virtú, però che tutte le virtú hanno vita da l'amore
della caritá (benché àltrementí fussero le virtú in lui e altrementi in voi);
ma tra l'apre ha la pazienzia, che è il mirollo suo, uno segno dimostrativo che
ella fa ne l'anima se ella è in grazia e ama in veritá o no; e però la madre
della caritá l'ha data per sorella alla virtú de l'obbedienzia, e halle si
unite insieme, che (365) mai non si perde l'una senza l'altra: o tu l'hai
amendune, o tu non hai veruna.
Questa virtú ha una
nutrice che la notrica, cioè la vera umilità; unde tanto è obbediente quanto
umile, e umile quanto obbediente. Questa umilità è baglia e nutrice della
carità, e però ci latte suo medesimo notrica la virtú de l'obbedienzia. El
vestimento suo, che questa nutrice le dà, è l’avilire se medesimo, vestirsi
d'obrobri, dispiacere a sé e piacere a me. In cui ci truovi? In Cristo, dolce
Iesú, unigenito mio Figliuolo. E chi s'avilí piú di lui? Egli si satollò
d'obrobri, di scherni e di villanie; dispiacque a sé, cioè la vita sua
corporale, per piacere a me. E chi fu piú paziente di lui, che non fu udito ci
grido suo per alcuna mormorazione, ma con pazienzia abbracciando le ingiurie, come
inamorato compi l'obbedienzia mia, inposta a lui da me, suo Padre etterno?
Addunque in lui la
trovarrete compitamente. Egli vi lassò la regola e questa dottrina, e prima
l'osservò in sé; ella vi dá vita, perché ella è via dritta. Egli è la via, e
però dixe egli che era via, veritá e vita; e chi va per essa va per la luce, e
colui che va per la luce non può offendere né essere offeso che egli non
s'avegga, perché ha tolto da sé la tenebre de l'amore proprio unde cadeva nella
disobbedienzia: che, com' Io ti dixi, la conpagna, e unde procedeva
l'obbedienzia, è l’umilità. Cosí ti dixi e dico che la disobbedienzia viene
dalla superbia, che esce da l'amore proprio di sé, privandosi de l’umilità. La
sorella, che è data da l'amore proprio alla disobbedienzia, è la inpazienzia, e
la superbia la notrica; con tenebre d' infidelità corre per la via tenebrosa,
che gli dá morte etternale.
Tutti vi conviene
leggere in questo gloricsc libro, dove trovate scripta questa e ogni altra
virtú.
Alto del documento
366
— Poi che Io t'ho
mostrato dove tu la truovi, e unde ella viene, e chi è la sua compagna, e da
cui è nutricata; ora ti parlarò degli obbedienti insieme co' disobbedienti, e
de l’obbedienzia generale e della particolare, cioè di quella de' comandamenti
e di quella de' consigli.
Tucta la fede
vostra è fondata sopra l’obbedienzia, ché ne l’obbedienzia mostrate d'essere
fedeli. Posti vi so' dalla mìa Verità, a tutti generalmente, i comandamenti
della legge. El principale si è d'amare me sopra ogni cosa e ‘l proximo
come voi medesimi; e sonno legati questi insieme con gli altri, che non si può
observare l'uno che tutti non si observino, né lassarne uno che tutti non si
lassino. Chi observa quest'o observa tutti gli altri, è fedele a me e al
proximo suo, ama me e sta nella dileczione della mia creatura; e però è
obbediente, fassi subdito a' comandamenti della legge e alle creature per me,
con umiltà e pazienzia porta ogni fadiga e detrazione dal proximo.
Questa obbedienzia
fu ed è di tanta excellenzia, che tutti ne contraeste la grazia, si come perla
disobbedienzia tutti avavate tratta la morte. Ma e' non bastarebbe, se ella
fusse stata solo nel Verbo, e ora non l'usaste voi. Giá ti dixi che ella era
una chiave che diserris il cielo, la quale chiave pose nelle mani del vicario
suo. Que., to vicario la pone in mano d'ogniuno, ricevendo il sancto baptesmo,
dove egli promette di renunziare al dimonio, al mondo e alle ponpe e delizie
sue. Promettendo d'obbedire, riceve la chiave de l’obbedienzia; si che ogniuno
l'ha in particolare, ed è la medesima chiave del Verbo. E se l'uomo non va col
lume della fede e con la mano de l'amore a diserrare con questa chiave la porta
del cielo, giá mai dentro non vi entrarrà, non obstante che ella sia aperta
(367) per lo Verbo; però che lo vi creai senza voi, ma non vi salvarò senza Voi.
Addunque vi
conviene portare in mano la chiave, e convienvi andare e non sedere: andare per
la dottrina della mia Verità e non sedere, cioè ponendo l'affetto suo in cosa
finita, si come fanno gli uomini stolti che seguitano l'uomo vecchio, il primo
padre loro, facendo quello che fece egli, che gittò la chiave de l'obbedienzia
nel loto della immondizia; schiacciandola col martello della superbia,
arrugginilla con l'amore proprio. Se non poi che venne il Verbo, unigenito mio
Figliuolo, che si recò questa chiave de l’obbedienzia in mano e purificolla nel
fuoco della divina carità; trassela del loto, lavandola col Sangue suo;
dirizzolla col coltello della giustizia, fabricando le iniquità vostre in su
l’ancudine del corpo suo. Egli la racconciò si perfectamente che, tanto quanto
l'uomo guastasse la chiave sua per lo libero arbitrio, con questo medesimo
libero arbitrio, mediante la grazia mia, con questi medesimi strumenti la può
racconciare. O cieco sopra cieco uomo, che, poi che tu hai guasta la chiave de l’obbedienzia,
tu anco non ti curi di raconciarla! E credi tu che la disobbedienzia, che serrò
el cielo, te l'apra? Credi che la superbia, che ne cadde, vi salga? Credi col
vestimento stracciato e bructo andare alle nozze? Credi, sedendo e legandoti
nel legame del peccato mortale, potere andare? o senza chiave potere aprire
l'uscio? Non te lo imaginare di potere, ché ingannata sarebbe la tua
imaginazione. E' ti conviene essere sciolto. Esce del peccato mortale per la
sancta confessione e contrizione di cuore e satisfazione, e con proponimento di
non offendere piú. Gittarai allora a terra el bructo e laido vestimento, e
corrirai, col vestimento nunpziale, con lume e con la chiave de l'obbedienzia
in mano, a diserrare la porta. Lega, lega questa chiave col funicello della
viltà e dispiacimento di te e del mondo; attaccala al piacere di me tuo
Creatore del quale debbi fare uno cingolo e cignerti, acciò che tu non la
perda.
Sappi, figliuola
mia, che molti sonno quegli che hanno presa questa chiave de l’obbedienzia,
perché hanno veduto col lume (368) della fede che in altro modo non possono
campare dall'etterna danpnazione. Ma tengonla in mano senza el cingolo cinto e
senza el funicello dentrovi: cioè che non si vestono perfectamente del piacere
di me, ma anco piacciono a loro medesimi. E non v'hanno posto el funicello
della viltà, desiderando d'essere tenuti vili, ma piú tosto dilectatisi della
loda degli uomini. Questi sonno acti a smarrire la chiave, pure che lo'
soprabondi un poca di fadiga o tribulazione mentale o corporale; e, se non
s'hanno ben cura, spesse volte, allentando la mano del sancto desiderio, la
perdarebbero. El qual perdere è uno smarrire, ché, volendola ritrovare,
possono, mentre che vivono; e non volendo, non la truovano mai. E chi gli li
manifestarà che l'abbino smarrita? La inpazienzia: perché la pazienzia era
unita con l’obbedienzia; non essendo paziente, si dimostra che l’obbedienzia
non è ne l'anima.
Oh, quanto è dolce
e gloriosa questa virtú, in cui sonno tucte l'altre virtú! Perché ella è conceputa
e partorita dalla carità; in lei è fondata la pietra della sanctissima fede;
ella è una reina che, di cui ella è sposa, non sente veruno male: sente pace e
quiete. L'onde del mare tempestoso non gli possono nuocere, che l'offendano per
alcuna sua tempesta il mirollo de l'anima. Non sente l'odio nel tempo della
ingiuria, però che vuole obbedire, ché sa che gli è comandato che perdoni; non
ha pena che l'appetito suo non sia pieno, perché l’obbedienzia l'ha facto
ordinare a desiderare solamente me, che posso, so e voglio conpire i desidèri
suoi, e hallo spogliato delle mondane ricchezze. E cosí in tucte le cose (le
quali sarebbero troppo lunghe a narrare) truova pace e quiete, avendo questa
reina de l’obbedienzia presa per sposa, la quale t'ho posta come chiave.
O obbedienzia, che
navighi senza fadiga, e senza pericolo giogni a porto di salute! Tu ti conformi
col Verbo, unigenito mio Figliuolo; tu sali nella navicella della sanctissima
croce, recandoti a sostenere per non trapassare l’obbedienzia del Verbo, né
escire della doctrina sua; tu te ne fai una mensa, dove tu mangi el cibo de
l'anime, stando nella dileczione del proximo! (369) Tu se' unta di vera
umilità, e però non appetisci le cose del proximo fuore della volontà mia. Tu
se' dricta senza veruna tortura, ché fai el cuore dricto e non ficto, amando
liberalmente e non fictivamente la mia creatura. Tu se' una aurora, che meni
teco la luce della divina grazia. Tu se' uno sole che scaldi, perché non se'
senza el calore della caritá. Tu fai germinare la terra, cioè che gli strumenti
de l'anima e del corpo tucti producono fructo, che dá vita in sé e nel proximo
suo. Tu se' tucta gioconda, perché non hai turbata la faccia per inpazienzia,
ma ha' la piacevole con la piacevolezza della pazienzia, tucta serena di
fortezza. Se' grande con longa perseveranzia, si grande che tieni dal cielo
alla terra, perché con essa si diserra il cielo. Tu se' una margarita nascosta
e non cognosciuta, calpestata dal mondo, avilendo te medesima, sottoponendoti
alle creature. Egli è si grande la tua signoria, che veruno è che ti possa
signoreggiare, perché se' escita della mortale servitudine della propria
sensualità, la quale ti tolleva la dignità tua. Morto questo nemico, con l'odio
e dispiacimento del proprio piacere, hai riavuta la tua libertà.
Alto del documento
CLVI. Qui insiememente si parla de la miseria de li inobedienti e de la
excellenzia de li obedienti.
— Ma Io ti dico,
carissima figliuola, tucto questo ha facto la bontá e providenzia mia, che
providdi che ‘l Verbo racconctasse la chiave, come decto è, di questa
obbedienzia; ma gli uomini del mondo, privati d'ogni virtú, fanno tucto il
contrario. Essi, si come animali sfrenati, perché non hanno il freno de
l’obbedienzia, corrono, andando di male in peggio, di peccato in peccato, di
miseria in miseria, di tenebre in tenebre e di morte in morte; tanto che si
conducono in su la fossa della extremità della morte col vermine della
conscienzia che sempre gli rode. E poniamo che anco possano ripigliare
l'obbedienzia di volere (370) obbedire a' comandamenti della legge,
avendo il tempo e dolendosi di quello che hanno disobbedito, nondimeno è molto
malagevole per la longa consuetudine del peccato. E però non sia veruno che se
ne fidi, indugiando a pigliare la chiave de l’obbedienzia ne l'ultima extremità
della morte, benché ogniuno possa e debba sperare infine che egli ha il tempo;
ma non se ne debba fidare, che per questo pigli indugio a corrèggiare la vita
sua. E chi è cagione di tanto loro male e di tanta ciechità, che non cognoscono
questo tesoro? La nuvila de l'amore proprio con la miserabile superbia, unde
sonno partiti da l'obbedienzia e caduti nella disobbedienzia. Non essendo
obbedienti, non sonno pazienti, come detto è, e nella inpazienzia sostengono
intollerabili pene. Halli tratti della via della veritá e menali per la via
della bugia, facendosi servi e amici delle dimonia, e con loro insieme, se non
si correggono con l'obbedienzia, vanno co' loro signori dimòni a l’etterno supplicio;
si come i diletti figliuoli observatori della legge e obbedienti godono ed
exultano nella etterna mia visione con lo inmaculato e umile Agnello, facitore,
adempitore e donatore della legge. In questa vita, observandola, hanno gustata
la pace, e nella beata vita ricevono e vestonsi della perfectissima pace, dove
è pace senza veruna guerra, e ogni bene senza veruno male, sicurtà senza veruno
timore, ricchezza senza povertà, sazietà senza fastidio, fame senza pena, luce
senza tenebre, uno sommo bene infinito e non finito, e uno bene partecipato con
tutti e' veri gustatori.
Chi l'ha messo in
tanto bene? Il sangue de l'Agnello, nella virtú del quale sangue la chiave de
l’obbedienzia perde la ruggine, acciò che con essa potesse diserrare la porta.
Si che l’obbedienzia, in virtú del sangue, te l'ha diserrata. O stolti e matti,
non tardate piú a escire del loto delle inmondizie, che pare che fatiate come
il porco che s' involle nel loto, cosí voi nel loto della carnalità.
Lassate le
ingiustizie, omicidii, odio e rancore, le detrazioni, mormorazioni, giudici e
crudeltá, e' quali usate verso il proximo vostro, furti e tradimenti, col
disordenato piacere e diletti del mondo. Tagliate le corna della superbia, col
quale tagliare (371) spegnerete l'odio che avete nel cuore verso di chi vi fa
ingiuria, :Misurate le ingiurie che fate a me e al proximo vostro con quelle
che sonno facte a voi, e trovarrete che, a rispecto di quelle che fate a me e a
loro, le vostre non sonno cavelle. Voi vedete bene che, stando ne l'odio, voi
fate ingiuria a me, perché trapassate il comandamento mio, e fate ingiuria a
lui, privandovi della dileczione della caritá. E giá v'è stato comandato che
voi amiate me sopra ogni cosa e ‘l proximo come voi medesimi. Non vi fu
messa chiosa veruna, che vi fusse detto: — Se egli vi fa ingiuria, non l'amate:
-no; ma libero e schietto, perché fu dato a voi dalla mia Verità, che con
schiettezza l'osservò e fece. Con questa schiettezza il dovete observare voi,
e, se non l'osservate, fate danno a voi e ingiuria a l'anima vostra, privandola
della vita della grazia.
Tollete, dunque,
tollete la chiave de l’obbedienzia col lume della fede; non andate piú con
tanta ciechità né freddo; ma con fuoco d'amore tenete questa obbedienzia, acciò
che, insiememente con gli observatori della legge, gustiate vita etterna.
Alto del documento
— Alcuni sonno,
dilettissima figliuola mia, che tanto crescerà in loro el dolce e amoroso fuoco
d'amore verso questa obbedienzia; e, perché fuoco d'amore non è senza odio
della propria sensualità, crescendo el fuoco, cresce l'odio; unde, per odio e
per amore, non si chiamano contenti a l'obbedienzia generale de' comandamenti
della legge (a' quali, come detto è, tutti sète tenuti e obligati d'obbedire,
se volete avere la vita: se non che, avareste la morte), ma pigliano la
particulare, cioè l'obbedienzia particulare che va dietro alla grande
perfeczione, unde si fanno observatori de' consigli attualmente e mentalmente.
372
Voglionsi questi
cotali, per odio di loro e per uccidere in tucto la loro volontà, legarsi piú
corti. O essi si legano al giogo de l’obbedienzia nella sancta religione; o
egli si legano fuore della religione ad alcuna creatura, sottomectendo la loro
volontà in lei, per andare piú expediti a diserrare il cielo. Questi son
quegli, de' quali Io ti dixi che eleggevano l’obbedienzia perfectissima.
Decto t'ho della
generale obbedienzia; e, perché Io so che la tua volontà è che Io ti parli de
l'obbedienzia piú particulare, perfectissima, però ti narrarò ora di questa
seconda, la quale non esce però della prima, ma è piú perfecta: perché giá ti
dixi che elle erano unite insieme per si facto modo, che separare non si
possono.
Hotti decto unde
procede e dove si truova l'obbedienzia generale, e quale è quella cosa che ve
la tolle. Ora ti dirò della particulare, non traendoti di questo principio.
Alto del documento
— L'anima che con
amore ha preso il giogo de l'obbedienzia de' comandamenti, seguitando la
doctrina della mia Verità, per lo modo che decto t'ho, con l’exercizio
exercitandosi in virtú in questa generale obbedienzia, verrà alla seconda con
quello lume medesimo che venne alla prima. Perché col lume della sanctissima
fede avara cognosciuto nel sangue de l'umile Agnello la mia veritá, l'amore
ineffabile che Io gli ho e la fragilità sua, che non risponde, con quella
perfeczione che debba, a me.
Va cercando con
questo lume in che luogo e in che modo possa rendermi il debito, e conculcare
la propria fragilità e uccidere la volontà sua. Raguardando, ha trovato il
luogo col lume della fede, cioè la sancta religione. La quale è fatta dallo
Spirito sancto, posta come navicella per ricevere l'anime che (373) vogliono
còrrire a questa perfeczione, e conducerle a porto di salute. El padrone di
questa navicella è lo Spirito sancto, che in sé non manca mai per difecto di
veruno subdito religioso che trapassasse l'ordine suo: non può offendere questa
navicella, ma offende se medesimo. È vero che, per difecto di colui che tenesse
il timone, la fa andare a onde; e questi sonno e' gattivi e miserabili pastori,
prelati posti dal padrone di questa navicella. Ella è di tanto dilecto in se
medesima, che la lingua tua noi potrebbe narrare.
Dico che questa
anima, cresciuto il fuoco del desiderio, con odio sancto di sé avendo trovato
il luogo, col lume della fede v'entra dentro morta, se egli è vero obbediente,
cioè che perfectamente abbi observata l’obbedienzia generale. E se egli v'entra
inperfecto, non è però che non possa giognere alla perfeczione: anco vi giogne,
volendo exercitare in sé la virtú de l’obbedienzia. Anco la maggiore parte di
quegli che v'entrano sonno inperfecti: chi v'entra con perfeczione, chi v'entra
per fanciullezza, chi v'entra per timore, chi per pena e chi per lusinghe. Ogni
cosa sta poi in exercitarsi nella virtú e in perseverare infino alla morte; ché
per l'entrare veruno giudicio non si può ponere, ma solo nella perseveranzia.
Però che molti sonno paruti che sieno andati perfecti, che hanno poi voltato el
capo adietro, o stati ne l'ordine con molta inperfeczione. Si che il modo e
facto, con che entrano nella navicella (che sono tucti ordinati da me,
chiamandoli in diversi modi), non si può giudicare; ma solo l'affecto di colui
che dentro vi persevera con vera obbedienzia.
Questa navicella è
ricca, che non bisogna al subdito che abbi pensiero veruno di quello che gli
bisogni né spiritualmente né temporalmente; però che, se egli è vero obbediente
e observatore de l'ordine, egli è proveduto dal padrone dello Spirito sancto,
come tu sai ch' Io ti dixi, quando ti parlai della providenzia mia, che i servi
miei, se essi erano povari, non erano mendichi cosí costoro; si che trovavano
la loro necessità. Bene la pro vavano e pruovano quegli che sonno observatori
de l'ordine. Unde vedi che, ne' tempi che gli ordini si reggevano in fiore
(374) di virtú con vera povertà e con caritá fraterna, non lo' venne mai meno
la substanzia temporale, ma avevanne piú che non richiedeva il loro bisogno.
Ma, perché e' ci è intrata la puzza de l'amore proprio in vivere in
particulare, ed è mancata l'obbedienzia, lo' viene meno la sustanzia temporale.
E quanta piú ne posseggono; in maggiore mendicaggine si truovano. Giusta cosa è
che, infino alle cose minime, pruovino che frutto lo' dá la disobbedienzia;
ché, se fussero obbedienti, observarebbero il voto della povertà e non
terrebbero proprio, né vivarebbero in particulare.
Truovaci la
ricchezza delle sancte ordinazioni, poste con tanto ordine e con tanto lume da
coloro che erano fatti tempio di Spirito sancto. Raguarda Benedetto con quanto
ordine ordinò la navicella sua. Raguarda Francesco con quanta perfeczione e
odore di povertà, con le matgarite delle virtú, egli ordinò la navicella de
l'ordine suo, dirizzandoli nella via dell'alta perfeczione; ed egli fu il primo
che la fece, dando lo' per sposa la vera e sancta povertà, la quale aveva presa
per se medesimo, abbracciando le viltà. Spiacendo a se medesimo, non disiderava
di piacere a veruna creatura fuore della volontà mia; anco desiderava d'essere
avilito nel mondo, macerando il corpo suo e uccidendo la volontà, vestitosi
degli obrobri, pene e vitopèri per amore de l'umile Agnello, col quale egli
s'era confitto e chiavellato per affecto d'amore in su la croce: intantoché,
per singulare grazia, nel corpo suo apàrbero le piaghe della mia Verità,
mostrando nel vasello del corpo quello che era ne l'affetto de l'anima sua. Si
che egli lo' fece la via.
Ma tu mi dirai: — E
non sonno fondate in questo medesimo l'altre? — Si; ma in ogniuno non è
principale (poniamo che tutte sieno fondate in questo), ma adiviene come delle
virtú: tutte le virtú hanno vita dalla carità; e nondimeno, come in altri
luoghi t'ho detto, a cui è propria l'una, e a cui è propria l'altra, e
nondimeno tutti stanno in caritá. Cosí questi: a Francesco povarello gli fu
propria la vera povertà, facendo il suo principio della navicella, per affecto
d'amore, in essa povertà, con molto ordine stretto, da gente perfetta e non
comune, da pochi e (375) buoni. «Pochi » dico, perché non sonno molti quelli
che eleggono questa perfeczione; ma per li difecti loro sonno moltiplicati in
gente e venuti meno in virtú: non per difecto della navicella, ma per li
disobbedienti subditi e gattivi governatori.
E se tu raguardi la
navicella del padre tuo Domenico, diletto mio figliuolo, egli l'ordinò con
ordine perfetto, ché volse che attendessero solo a l'onore di me e salute de
l'anime col lume della scienzia. Sopra questo lume volse fare il principio suo;
non essendo però privato della povertà vera e volontaria. Anco l'ebbe, e, in
segno ch'egli l'aveva e dispiacevali il contrario, lassa per testamento a'
figliuoli suoi per eredità la maladiczione sua e la mia, se essi posseggono o
tengono possessione veruna in particulare o in generale, in segno ch' egli
aveva eletta per sua sposa la reina della povertà. Ma per piú proprio suo
obietto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello
tempo erano levati. Egli prese l'officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo.
Drittamente nel mondo pareva uno apostolo: con tanta veritá e lume seminava la
parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io
porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della sancta Chiesa
come stirpatore de l'eresie.
Perché dixi «col
mezzo di Maria »? Perché Maria gli die' l'abito: commesso fu l'officio a lei
dalla mia bontá. In su che mensa fa mangiare e' figliuoli suoi col lume della
scienzia? Alla mensa della croce, in su la quale croce è posta la mensa del
sancto desiderio, dove si mangia anime per onore di me. Egli non vuole che'
figliuoli suoi attendano ad altro se non a stare in su questa mensa col lume
della scienzia, a cercare solo la gloria e loda del nome mio e la salute de
l'anime. E, acciò che non attendano ad altro, tolle la cura delle cose
temporali, ché vuole che sieno poveri. Vero è che egli mancava in fede, temendo
che non fussero proveduti? Non mancava, ché egli era vestito delle fede, ma con
ferma speranza sperava nella providenzia mia.
Vuole che observino
l'obbedienzia, sieno obbedienti a fare quello che sonno posti. E perché il
vivere inmondamente obfusca l'occhio de l'intelletto; e non tanto de
l'intelletto, ma per (376) questo miserabile vizio ne manca il vedere
corporale; unde egli non vuole che lo' sia inpedito questo lume, col quale lume
meglio e piú perfectamente acquistano el lume della scienzia: però pone il
terzo voto della continenzia, e in tucti vuole che l’observino con vera e
perfécta obbedienzia. Bene che al di d'oggi male s'Observi; anco la luce della
scienzia pervertono in tenebre con la tenebre della superbia: non che questa
luce in sé riceva tenebre, ma quanto a l'anime loro. Dove è superbia non può
essere obbedienzia; e giá ti dixi che tanto era umile quanto obbediente, e
tanto obbediente quanto umile. E, trapassando il voto de l’obbedienzia, rade
volte è che non trapassi quel della continenzia, o mentalmente o actualmente.
Si che egli ha
ordinata la navicella sua legata con questi tre funicelli: con obbedienzia,
continenzia e vera povertà. Egli la fece tucta reale, non strignendola ad colpa
di peccato mortale. Alluminato da me, vero lume, con providenzia providde a
quegli che fussero meno perfecti; ché, benché tucti quegli che observano
l'ordine sieno perfecti, nondimeno anco in vita è piú perfecto uno che un
altro; e, perfecti e non perfecti, tucti ci stanno bene in questa navicella.
Egli s'acostò con la mia Verità, mostrando di non volere la morte del peccatore,
ma che si convertisse e vivesse. Tucta larga, tucta gioconda, tucta odorifera,
uno giardino dilectosissimo in sé; ma e' miseri non observatori de l'ordine, ma
trapassatori, l'hanno tucto insalvatichito, tucto ingrossato con poco odore di
virtú e lume di scienzia in quegli che si notricano al pecto de l'ordine. Non
dico « ne l'ordine », che in sé, com' Io ti dixi, ha ogni dilecto; ma non era
cosí nel principio suo, che egli era uno fiore: anco c'erano uomini di grande
perfeczione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume, che a l'occhio loro
non si parava tenebre d'errore che non si
dissolvesse.
Raguarda il
glorioso Tommasso, che con l'occhio de l'intellecto suo tucto gentile si
specolava nella mia Verità, dove acquistò lume sopranaturale e scienzia infusa
per grazia; unde egli l'ebbe piú col mezzo de l'orazione che per studio umano.
Questi fu una luce ardentissima, che rende lume ne l'ordine suo (377) e del
corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l'eresie.
Raguardami Pietro vergine
e martire, che col sangue suo . die' lume nelle tenebre delle molte eresie; che
tanto l'ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che
visse, l’exercizio suo non er'altro che orare, predicare, disputare con gli
eretici e confessare, annunziando la veritá e dilatando la fede senza veruno
timore. Ché non tanto ch'egli la confessasse nella vita sua, ma infine a
l'ultimo della vita. Unde, nella extremità della morte, venendoli meno là voce
e lo 'nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo:
non ha carta questo glorioso martire, e però s'inchina e scrive in terra
confessando la fede, cioè il « Credo in Deum ». El cuore suo ardeva nella
fornace della mia carità, e però non allentò e' passi voltando il capo adietro,
sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la
morte sua); ma, come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce fuore in
sul campo della bactaglia.
E cosí molti te ne
potrei contiare, e' quali, perché non avessero il martirio actualmente,
l'avevano mentalmente, si come ebbe Domenico. Odi lavoratori, che questo padre
misse nella vigna sua a lavorare, extirpando le spine de' vizi e piantando le
virtú ! Veramente Domenico e Francesco sonno stati due colonne nella sancta Chiesa:
Francesco con la povertà, che principalmente gli fu propria, come decto è; e
Domenico con la scienzia.
Alto del documento
— Poi che i luoghi
sonno trovati, cioè queste navicelle ordinate dallo Spirito sancto per lo mezzo
di questi padroni, e però ti dixi che lo Spirito sancto era padrone di queste
navicelle (378) fondate col lume della sanctissima fede, cognoscendo con questo
lume che la clemenzia mia (esso Spirito sancto) ne sarebbe governatore, hotti
mostrato il luogo, dicendoti della sua perfeczione. Ora ti parlarò de
l’obbedienzia e disobbedienzia di quegli che sono in questa navicella, parlandoti
insieme di tucti, e non in particulare: cioè non parlandoti piú d'uno ordine
che d'un altro, mostrando insiememente il difecto del disobbediente con la
virtú de l'obbediente, acciò che meglio cognosca l'uno per l'altro, e come
debba andare, cioè in che modo, colui che va ad intrare nella navicella de
l'ordine.
Come debba andare
colui che vuole intrare alla perfecta obbedienzia particulare ? Col lume della
sanctissima fede, col quale lume cognosca che gli conviene uccidere la propria
volontà col coltello de l'odio d'ogni propria passione sensitiva, pigliando la
sposa che gli darà la caritá e la sorella. La sposa, dico, della vera e prompta
obbedienzia con la sorella della pazienzia e con la nutrice de l'umilità; ché,
se egli non avesse questa nutrice, l’obbedienzia perirebbe di fame, perché ne
l'anima, dove non è questa virtú piccola de l'umilità, l’obbedienzia vi muore
di subbito.
La umilità non è
sola, ma ha la serva della viltà e spregio del mondo e di sé, che fa l'anima
tenere vile: non appetisce onori, ma vergogne. Cosí morto debba andare alla
navicella de l'ordine quello che è in età da ciò; ma, per qualunque modo egli
v'entra (perché ti dixi che in diversi modi Io gli chiamavo), egli debba
acquistare e conservare in sé questa perfeczione: pigliare largamente e
festinamente la chiave de l'obbedienzia de l'ordine. La quale chiave diserra lo
sportello che è nella porta del cielo, si come la porta che ha lo sportello.
Cosí questi cotali hanno preso a diserrare lo sportello, passando dalla chiave grossa
de l’obbedienzia generale che diserra la porta del cielo, si com' Io ti dixi.
In questa porta hanno presa una chiave sottile, passando per lo sportello basso
e strecto. Non è separato però dalla porta: anco è nella porta, sí come
materialmente tu vedi. Questa chiave la debbono tenere, poi che essi l'hanno
presa, e non gictarla da loro.
379
E perché i veri
obbedienti hanno veduto, col lume della fede, che col carico delle ricchezze e
col peso della loro volontà essi non possono passare per questo sportello senza
grande loro fadiga e che non vi lassi la vita, né andare col capo alto che non
sel rompano, chinandolo, vogliano essi o no, con loro pena; però gittano via el
carico delle ricchezze e della propria loro volontà, observando il voto della
povertà volontaria, e non vogliono possedere, perché veggono, col lume della
fede, in quanta ruina essi ne verrebbero. Egli trapassarebbero l’obbedienzia,
ché non observarebbero il voto promesso della povertà. Essi ne vengono nella
superbia, portando il capo ricto della volontà loro; e, convenendo lo' alcuna
volta pure obbedire, essi non il chinano per umilità, ma passanla con superbia,
chinando il capo per forza. La quale forza rompe il capo a la volontà, facendo
quella obbedienzia con dispiacimento de l'ordine e del prelato loro. A mano a
mano essi si vedrebbero ruinare ne l'altro, trapassando il voto della
continenzia; però che colui, che non ha ordinato l'appetito suo, né spogliatosi
della substanzia temporale, piglia le molte conversazioni e truova degli amici
assai, che l'amano per propria utilitá. Dalle conversazioni vengono alle
strecte amistà. Il corpo loro tengono in delizie, perché non hanno la baglia de
l’umilità, non hanno la sorella sua della viltà; e però stanno nel piacere di
loro medesimi, stando agiatamente e dilicatamente, non come religiosi, ma colpe
signori; non con la vigilia e orazione. Per queste e molte altre cose, le quali
l’adivengono e fanno perché hanno che spendere (ché, se non avessero che
spendere, non l’adiverrebbe), caggiono nella inmondizia corporale o mentale:
ché, se alcuna volta, per vergogna o per non avere il modo, essi se n'astengono
corporalmente, non si asterranno mentalmente. Ché inpossibile sarebbe a quegli
che sta in molta conversazione, in dilicatezza di corpo, in prendere
disordenatamente i cibi e senza la vigilia e orazione, conservare la mente sua
pura.
E però il perfecto
obbediente vede dalla longa, col lume della sanctissima fede, il male e il
danno che ne gli verrebbe del possedere la substanzia temporale, e l'andare col
peso della propria volontà. E vede bene che pure passare gli conviene (380) per
questo sportello, e che egli el passarebbe con morte e non con vita, perché non
l’avarebbe diserrato con la chiave de l’obbedienzia. Perché ti dixi che pure
passare gli conveniva, e cosí è: cioè che, non partendosi dalla navicella de
l'ordine, pure, voglia egli o no, gli conviene passare per la strectezza de
l'obbedienzia del prelato suo. E però il perfecto obbediente leva sé sopra di
sé e signoreggia la propria sensualità. Levandosi sopra e' sen. timenti suoi
con fede viva, ha messo l'odio nella casa de l'anima sua, come servo perché
cacci il nemico de l'amore proprio, perché non vuole che la sposa sua de
l'obbedienzia (la quale gli fu data dalla madre della carità, sposata col lume
della fede) sia offesa. E però ne caccia il nemico, e mectevi la compagna e la
nutrice della sposa sua, e l'odio ha cacciato il nemico. L'amore de
l’obbedienzia vi mecte dentro gli amatori della sposa sua, che amano la sposa
de l’obbedienzia: ciò sonno le vere e reali virtú e costumi e l’observanzie de
l'ordine. Unde questa dolce sposa entra dentro ne l'anima con la sorella della
pazienzia e con la nutrice de l’umilità, acompagnata con la viltà e dispiacere
di sé. Poi che ella è intrata dentro, ella possiede la pace e la quiete, perché
ha messi di fuore i nemici suoi. Sta nel giardino della vera continenzia col
sole del lume de l' intellecto dentrovi la pupilla della fede, ponendosi per
obiecto la mia Verità, perché l’obiecto suo è veritá. Avi el fuoco che rende
caldo a tucti e' servi e compagni suoi, perché observa l'observanzie de
l'ordine con fuoco d'amore.
Quali sonno e'
nemici suoi che stanno di fuore? El principale è l'amore proprio, che produce
superbia, nemico della caritá e umilità, la inpazienzia contra la pazienzia, la
disobbedienzia contra la vera obbedienzia. La infidelità è contraria alla fede,
il presummere e sperare in sé non s'acorda con la speranza vera, che l'anima
debba avere in me. La ingiustizia non si conforma con la giustizia, né la
inprudenzia con la prudenzia, né la intemperanzia con la temperanzia, né il
trapassare e' comandamenti de l'ordine con l'observanzia de l'ordine, né le
gattive conversazioni di coloro che scelleratamente vivono con la buona
conversazione (anco so' nemici), né escire de' (381) costumi e delle buone
consuetudini de l'ordine. Questi sonno i nemici crudeli suoi: èvi l'ira contra
la benivolenzia, la crudeltà contra la pietà, l' iracundia contra la benignità,
l'odio delle virtú contra l'amore d'esse virtú, la inmondizia contra la purità,
la negligenzia contra la sollicitudine, la ingnoranzia contra al cognoscimento,
e il dormire contra la vigilia e continua orazione.
E perché col lume
della fede cognobbe che questi erano tucti nemici, che avevano a contaminare la
sposa sua della sancta obbedienzia, però mandò l'odio che gli cacciasse, e
l'amore che mectesse dentro gli amici suoi. Unde l'odio col coltello suo uccise
la propria perversa volontà; la quale volontà, notricata da l'amore proprio,
dava vita a tucti questi nemici della vera obbedienzia. Mozzo il capo al
principale, per cui si conservano tucti gli altri, rimane libero e in pace,
senza veruna guerra. Non ha chi li li faccia, perché l'anima ha tolto da sé
quello che la tenea in amaritudine ed in tristizia.
E che guerra ha
l'obbediente ? Fagli guerra la ingiuria? No, ché egli è paziente; la quale
pazienzia è sorella de l’obbedienzia. Sonnoli gravi e' pesi de l'ordine? No,
ché l’obbedienzia nel fa observatore. Dagli pena la grave obbedienzia? No, ché
egli ha conculcata la sua volontà e non vuole investigare la volontà del
prelato suo né giudicarla, ma col lume della fede giudica la volontà mia in
lui, credendo in veritá che la clemenzia mia gli fa comandare e non comandare,
secondo che è di necessità alla salute sua. Recasi egli a schifezza e
dispiacere di fare le cose vili de l'ordine? o sostenere le beffe e rimprovèri
e gli scherni e villanie, che spesse volte gli sonno facti e decti? e l'essere
tenuto vile? No, perch'egli ha conceputo amore a la viltà e dispiacimento a se
medesimo, con perfectissimo odio: anco gode con pazienzia, exultando con gaudio
e giocundità con la sposa sua della vera obbedienzia.
Egli non si
contrista se non de l'offesa che vede fare a me, suo Creatore; la sua
conversazione è con quegli che temono me in veritá. E se pure conversa con
quelli che sono separati dalla volontà mia, non il fa per conformarsi co'
difecti loro, ma per sottrarli dalla loro miseria, perché, con caritá fraterna,
(382) quel bene che egli ha in sé vorrebbe porgere a loro, vedendo che piú loda
e gloria tornarebbe al nome mio avere di molti di quelli che observassero
l'ordine, che pure di lui. E però s'ingegna di chiamare e religiosi e secolari
con la parola e con l'orazione: per qualunque modo egli può, s'ingegna di
trarli della tenebre del peccato mortale.
Si che le
conversazioni del vero obbediente sonno buone e perfette, o con giusti o con
peccatori che sieno, per l'ordinato affetto e larghezza di caritá. Della cella
si fa uno cielo, dilettandosi di parlare e conversare in me, sommo e etterno
Padre, con affetto d'amore, fuggendo l'ozio con l'umile e continua orazione. E
quando e' pensieri, per illusione del dimonió, gli abbondano in cella, non si
pone a sedere nel letto della negligenzia, abbracciando l'ozio, né vuole
investigare per ragione le cogitazioni del cuore, né i suoi pareri: ma fugge
l'ozio, levando sé sopra di sé con odio sopra ci sentimento sensitivo, e con
vera umilità e pazienzia a portare le fadighe che sente nella mente sua;
resiste con la vigilia e umile orazione, veghiando l'occhio de l’ intelletto
suo in me, vedendo col lume della fede che lo so' suo subvenitore, e che Io
posso, so e voglio subvenirlo; apro le braccia della mia benignità, e però gli
li permetto perché sia piú sollicito a fugire da sé e venire a me. E se
l'orazione mentale, per la grande fadiga e tenebre della mente, paresse che gli
venisse meno, egli piglia la vocale o l’exercizio corporale, acciò che con la
vocale ed exercizio corporale fugga l'ozio. Con lume raguarda in me, che per
amore gli li do, unde traie fuore il capo della vera umilità, reputandosi
indegno della pace e quiete della mente, come gli altri servi miei, e degno
delle pene. Perché giá ha avilito nella mente sua se medesimo con odio e
rimproverio di sé, non pare che si possa saziare delle pene, non mancandoli la
speranza né la providenzia mia, ma con fede e con la chiave de l'obbedienzia
passa per questo mare tempestoso nella navicella de l'ordine; e cosí è
abitatore della cella, fuggendovi l'ozio, come detto è.
L'obbediente vuole
essere il primo che entri in coro e l'ultimo che n'esca. E quando vede il frate
piú obbediente e (383) sollicito di lui, egli piglia una sancta invidia,
furandoli quella virtú: non volendo però che ella diminuisca in colui. Ché, se
egli volesse, sarebbe separato dalla caritá del proximo suo. L'obbediente non
abandona il refettorio, anco il visita continuamente, e dilettasene di stare
alla mensa co' povarelli. E in segno che egli se ne dilettava, per non avere
materia di stare di fuore, ha tolta da sé la substanzia temporale, observando
perfettamente il voto della povertà; e tanto perfettamente, che la necessità
del corpo tiene con rimproverio. La cella sua è piena de l'odore della povertà,
e non di panni: non ha pensiero ch'e' ladri vengano per inbolarli, né che la
ruggine o tigniuole li rodino e' vestimenti suoi. E se gli è donato alcuna
cosa, non ha pensiero di riponerla, ma liberamente la comunica co' fratelli
suoi, non pensando el dí di domane; ma nel di presente tolle la sua necessità,
pensando solo del reame del cielo, e della vera obbedienzia in che modo meglio
la possino observare. E perché per la via de l’umilità meglio si conserva, egli
si sottomette al piccolo come al grande e al povaro come al ricco; di tutti si
fa servo: non rifiutando mai labore, ogniuno serve caritativamente.
L'obbediente non vuole fare l’obbedienzia a suo modo, né eleggere tempo né
luogo, ma a modo de l'ordine e del prelato suo.
Tutto questo fa
senza pena o tedio di mente il vero obbediente e perfetto. Egli passa, con
questa chiave in mano, per lo sportello stretto de l'ordine agiatamente e senza
violenzia, perché ha observato e observa il voto della povertà, de
l’obbedienzia vera e della continenzia, levata l'altezza della superbia e
chinato il capo a l'obbedienzia per umilità. E però non rompe il capo per
inpazienzia, ma è paziente con fortezza e longa perseveranzia, che sonno amici
de l’obbedienzia. Passa l'assedio delle dimonia, mortificando e macerando la
carne sua, spogliandola delle delizie e diletti, e vestela delle fadighe de
l'ordine con fede e senza sdegno. Come parvolo, che non tiene a mente la
battitura del padre né ingiuria che gli fusse fatta, cosí questo parvolo non
tiene a mente né ingiurie né fadighe né battiture che ricevesse ne l'ordine dal
prelato suo; ma, chiamandolo, (384) umilemente torna a lui, non passionato
d'odio, d'ira né di rancore, ma con mansuetudine e benivolenzia.
Questi sonno quelli
parvoli che contòe la mia Verità, quando dixe a' discepoli, che contendevano
insieme qual di loro fusse il maggiore, facendosi venire uno fanciullo,
dicendo: — « Lassate li parvoli venire a me, ché di questi cotali è il reame
del cielo; e chi non si umiliarà come questo. fanciullo, cioè che egli abbi la
condizione sua, non intrarrà nel reame del cielo ». — Però che chi s'aumiliarà,
carissima figliuola, sarà exaltato, e chi sé exalta sarà umiliato: anco questo
medesimo dixe la mia Verità. Dunque, giustamente, questi parvoli umili, che per
amore si sonno umiliati e facti subditi con vera e sancta obbedienzia, non
ricalcitrando a l'ordine e al loro prelato, sonno exaltati da me, sommo ed
etterno Padre, co' veri cittadini della vita beata, dove sonno remunerati
d'ogni loro fadiga, e in questa vita gustano vita etterna.
Alto del documento
— Conpiesi in loro
la parola che dixe nel sancto Evangelio il dolce e amoroso Verbo, unigenito mio
Figliuolo, quando rispose a Pietro, che l'aveva dimandato: — « Maestro, noi
aviamo lassato ogni cosa per lo tuo amore e noi medesimi, e aviamo seguitato
te: che ci darai? » — La Verità mia rispose: — « Daròvi per uno cento, e vita
etterna possederete ». — Quasi volesse dire la mia Verità: — Ben hai facto
Pietro, ché in altro modo non mi potevi seguitare; ma Io in questa vita te ne
darò, per uno, cento. — E quale è questo cento, dilectissima figliuola, che, di
po' questo, séguita vita etterna? Di quale intese e dixe la mia Verità? Di
substanzia temporale? No, propriamente (poniamo che alcuna volta ne
l'elimosiniere Io facci multiplicare i beni temporali); ma di quali? Di quello
che dá la propria sua volontà, che è una (385) volontà, Io ne gli rendo cento
per questa una. Perché ti pongo numero di cento? Perché cento è numero
perfecto, e non puoi agiognervi piú, se tu non ti ricominci al primo. Cosí la
caritá è perfectissima sopra tucte l'altre virtú, ché non si può salire ad
virtú piú perfecta. Ricominciti bene al cognoscimento di te, e cresci numero di
centonaia in merito, ma tu giogni pure al numero del cento. Questo è quello
cento, che è dato a quelli che hanno dato l'uno della loro volontà e ne
l’obbedienzia generale e in questa particulare; e con questo cento avete vita
etterna, però che solo la caritá è quella che entra dentro come donna,
menandosene seco il fructo di tucte l'altre virtú (ed esse rimangono di fuore),
in me, vita durabile, in cui essi gustano vita etterna, però che lo so' essa
vita etterna. Non ci saglie la fede, perché essi hanno quello, per pruova e in
essenzia, che hanno creduto per fede; né la speranza, ché essi sonno in
possessione di quello che hanno sperato; e cosí tucte l’altre virtú. Solo la
caritá entra come reina e possiede me, suo possessore. Vedi dunque che questi
parvoli ricevono per uno cento, e vita etterna con esso, ricevendo qui el fuoco
della divina carità, posto per lo numero del cento, come decto è. E perché da
me hanno ricevuto questo cento, stanno in admirabile allegrezza cordiale. Perché
nella caritá non cade tristizia, ma allegrezza: fa el cuore largo e liberale, e
non doppio né strecto. L'anima, che è ferita di questa dolce saetta, non mostra
una in faccia e in lingua, e un'altra abbi nel cuore; non serve, né fa
fictivamente e con ambizione al proximo suo, però che la caritá è aperta a ogni
creatura. E però l'anima, che la possiede, non cade in pena né in tristizia
afictiva, né si scorda de l'obbedienzia, ma è obbediente infino a la morte.
Alto del documento
386
— El contrario fa
il miserabile disobbediente, che sta nella navicella de l'ordine con tanta pena
a sé e ad altrui, che in questa vita gusta l'arra de l'inferno. Egli sta sempre
in tristizia, confusione e stimolo di conscienzia, con dispiacimento de
l'ordine e del prelato suo; incomportabile è a se medesimo. Or che è a vedere,
figliuola mia, quello che ha presa la chiave de l’obbedienzia de l'ordine con
la disobbedienzia, alla quale egli s'è facto schiavo, e la disobbedienzia ha
(acta donna, con la compagna della inpazienzia, nutricata dalla superbia col
proprio piacere. La quale superbia detto è che esce dall'amore proprio di sé.
Tucto si rivolle in contrario ad quello che detto t'ho della vera obbedienzia;
e come può questo misero stare altro che in pena, che è privato della carità?
Conviengli chinare il capo della volontà sua per forza; e la superbia gli li
tiene ritto. Tutte le sue volontà si discordano dalla volontà de l'ordine. Egli
li comanda l'obbedienzia, ed egli ama la disobbedienzia; la povertà volontaria,
ed egli la fugge, possedendo e desiderando la ricchezza; vuole continenzia e
purità, ed egli inmondizia. Trapassando questi tre voti, figliuola mia, il
religioso cade in ruina e in tanti miserabili difetti, che l'aspetto suo non
pare religioso, ma uno dimonio incarnato, si come in un altro luogo lo ti
narrai piú distesamente. Non lassarò però che alcuna cosa non te ne conti dello
inganno loro e del frutto che traggono della disobbedienzia, a comendazione ed
exaltazione de I'obbedienzia.
Questo misero è ingannato dal proprio amore,
perché l'occhio de l'intelletto suo s'è posto, con fede morta, nel piacere
della propria volontà e nelle cose del mondo. Ha saltato il mondo col corpo e
rimastovi con l'affetto. E perché gli pare fadiga l’obbedienzia, vuole
disobbedire per fuggire fadiga; e egli cade in maxima fadiga, ché pure obbedire
gli conviene o per forza (387) o per amore. Meglio gli era, e meno fadiga, a
fare l’obbedienzia per amore che senza amore.
Oh! come è
ingannato! E neuno è che lo inganni, se non egli medesimo. Volendo piacersi,
egli si dispiace, dispiacendoli le sue operazioni stesse, che farà per l’obbedienzia
che gli è posta. Volendo stare in grande dilecto e farsi vita etterna in questa
vita, e l'ordine vuole che egli sia perregrino, e continuamente glil dimostra,
ché, quando egli s'è posto in uno luogo a sedere, dove vorrebbe stare per
piacere e dilecto che egli vi truova, egli è mutato. Nella mutazione ha pena,
perché la volontà sua era viva a non volere. E, se egli non obbedisce, e egli è
suggecto a convenirli portare la disciplina e fadiga de l'ordine; e cosí sta in
continuo tormento.
Vedi dunque che
s'inganna: volendo fuggire le pene, cade intro le pene, perché la ciechità sua
non el lassa cognoscere la via della vera obbedienzia, che è una via di veritá,
fondata ne l'obbediente Agnello, unigenito mio Figliuolo, che gli tolle la
pena. E però va per la via della bugia, credendovi trovare dilecto, e egli vi
truova pena e amaritudine. Chi vel guida? L'amore, che egli ha, per la propria
passione, al disobbedire. Questi, come stolto, vuole navicare in questo mare
tempestoso sopra le braccia sue, fidandosi nel suo misero sapere; e non vuole
navigare sopra le braccia de l'ordine e del prelato suo. Questi sta bene nella
navicella de l'ordine corporalmente, ma non mentalmente: anco n'è escito per
desiderio, non observando l'ordinazioni né i costumi de l'ordine né i tre voti
promessi, che egli promisse, nella sua professione, d'observare. Egli sta nel
mare della tempesta percosso dai venti molto contrari alla navicella. Sta
attaccato solo per li panni, portando l'abito in sul corpo, ma non in cuore.
Questo non è frate,
ma uno uomo vestito: uomo in forma, ma in effetto e nel vivere suo è peggio che
animale. E non vede egli che piú fadiga gli è a navicare con le sue braccia che
con l'altrui? E non vede egli ch'egli sta a pericolo di morte etternale, come
il panno si staccasse dalla navicella, che, subbito che fusse staccato col
mezzo della morte, non avarebbe (388) piú rimedio? No, che egli nol vede:
perché con la nuvila de l'amore proprio, unde gli è venuta la disobbedienzia,
s'è privato del lume che non el lassa vedere e' guai suoi. Adunque
miserabilemente s'inganna.
Che fructo produce
l’arbore di questo misero? Frutto di morte, perché ha piantata la radice de
l'affetto suo nella superbia, che egli ha tratta del piacere e amore proprio di
sé. E però ogni cosa n'esce corrotto. E' fiori, le foglie e il fructo e i rami
de l’arbore tutti sono guasti. E' tre rami, che ha questo arbore, sonno guasti,
cioè il ramo de l’obbedienzia, povertà e continenzia, che sonno tre rami che si
contengono nel pedone de l'affetto, el quale è male piantato, come detto è. Le
foglie che produce questo arbore, che sono le parole, sonno corrotte per si
facto modo che nella bocca d'uno ribaldo secolare non starebbero. E, s'egli
avara ad anunziare la parola mia, egli la gitta con parlare polito, none
schietto ch'egli attenda a pàsciare l’anime di questo seme della mia parola, ma
parlare molto politamente.
Se tu raguardi e'
fiori di questo arbore, essi gittano puzza: ciò sonno le varie e diverse
cogitazioni, le quali voluntariamente riceve con diletto e piacimento, non
fuggendo el luogo né le vie che vel fanno venire; anco le cerca per potere
venire a compimento del peccato, el quale è uno fructo che l'uccide, tollegli
la vita della grazia e dagli morte etternale. E che puzza gitta questo fructo generato
col fiore de l'arbore? Gitta puzza di disobbedienzia; col pensiero del cuore
vuole investigare e giudicare in male la volontà del prelato suo: gitta
inmondizia, dilectandosí con molte conversazioni col miserabile vocabolo delle
divote.
O misero, tu non
t'avedi che, sotto il colore della devozione, riescirai con la brigata de'
figliuoli ! Questo ti dá la disobbedienzia tua. Non hai presi e' figliuoli
delle virtú, si come fa il vero obbediente. Egli cerca d'ingannare il prelato
suo, quando vede che gli diniega quello che la perversa sua volontà vorrebbe,
usando le foglie delle parole lusinghevoli o aspre, parlando inreverentemente e
con rimproverio. Egli non conporta il fratello (389) suo, né può sostenere una
piccola parola né riprensione che gli fusse fatta; ma subbito traie fuore il
fructo avelenato della inpazienzia, ira e odio verso il fratello suo,
giudicando in suo male quello che egli ha facto in suo bene; e, cosí
scandalizzato, vive in pena l'anima e ‘l corpo.
Perché è
dispiaciuto al fratello suo? Perché piacque a sé sensitivamente. Egli fugge la
cella come fusse uno veleno, perché egli è escilo della cella del cognoscimento
di sé, per la qual cosa egli venne a disobbedienzia: però non può stare nella
cella attuale. Nel refectorio non vuole apparire, se non come a suo nemico,
mentre che egli ha che spendere: non avendo che, la necessità vel mena. Bene
fecero dunque gli obbedienti, che volsero observare il voto della povertà per
non avere-che spendere, acciò che non gli traesse della soave mensa del
refectorio, dove l'obbediente notrica in pace e in quiete l'anima e’l
corpo. Non ha pensiere d'apparechiare né provedersi come il misero;
el,quale misero, al gusto suo, il visitare il refectorio gli pare amaro, e però
il fugge.
Al coro sempre
vuole essere l'ultimo a intrare e il primo che n'esca. Con le labbra sue
s'appressima a me, e col cuore se ne dilunga. li capitolo, per timore della
penitenzia, il fugge volontieri quando egli può: lo starvi fa come se fusse suo
nemico mortale, con vergogna e confusione nella mente sua (quello che nel
commettere le colpe non ebbe, non vergognandosi di commettere la colpa de'
peccati mortali). Chi ne gli è cagione? La disobbedienzia. Egli, non vigilia né
orazione, e non tanto l'orazione mentale, ma spesse volte l'officio, ad che
egli è obligato, non il dirà; non caritá fraterna, ché egli non ama altro che
sé, non d'amore ragionevole, ma d'amore bestiale. Tanti sonno e' mali che gli
caggiono in capo al disobbediente, tanti sono i dolorosi frutti suoi, che la
lingua tua non gli potrebbe narrare!
Oh disobbedienzia,
che spogli l'anima d'ogni virtú e vestila d'ogni vizio! Oh disobbedienzia, che
privi l'anima del lume de l'obbedienzia, tollile la pace e da'le la guerra,
tollile la vita e da' le la morte, traendola della navicella de l’observanzie
de (390) l'ordine, affoghila nel mare, facendola notare sopra le braccia sue e
non sopra quelle de l'ordine. Tu la vesti d'ogni miseria, fa' la morire di
fame, tollendole il cibo del merito de l’obbedienzia. Tu le dai continua amaritudine,
e privila d'ogni dilecto di dolcezza e d'ogni bene, e fa' la stare in ogni
male. In questa vita le fai portare l'arra de' crociati tormenti; e, se egli
non si corregge inanzi ch'e' panni si stacchino dalla navicella col mezzo della
morte, tu, disobbedienzia, conduci l'anima a l’etterna danpnazione con le
demonia, che caddero di cielo perché furono ribelli a me e andarono nel
profondo. Cosi tu, disobbediente, perché se' stato ribello a l'obbedienzia; e
questa chiave, con che dovevi aprire la porta del cielo, tu l'hai gittata da
te, e con la chiave della disobbedienzia hai aperto lo 'nferno.
Alto del documento
— O carissima
figliuola, e quanti sonno questi cotali che al di d'oggi si pascono in questa
navicella? Molti: unde pochi sonno e' contrari, cioè i veri obbedienti. È vero
che tra e' perfecti e questi miserabili ci ha assai di quegli che si vivono ne
l'ordine comunemente, che né perfecti sonno, come essi debbono essere, né
gattivi sonno, cioè che pure conservano la conscienzia loro che non peccano
mortalmente, stanno in tiepidezza e freddezza di cuore. E se essi non
exercitano un poco la vita loro con l’observanzie de l'ordine, stanno a grande
pericolo; e però l'è bisogno molta soljicitudine, e non dormire, e levarsi
dalla tiepidezza loro. Ché, se essi vi permangono, sonno acti a cadere. E se
pure non cadessero, staranno con uno loro parere e piacere umano, colorato col
colore de l'ordine, studiandosi piú d'observare le cirimonie de l'ordine che
propriamente l'ordine. E spesse volte, per poco lume, saranno acri a cadere in
(391) giudicio in quegli che piú perfectamente di loro observano l'ordine, e in
meno perfeczione le cirimonie, delle quali e' si fanno observatori.
Si che, in ogni
modo, è loro nocivo a permanere ne l'obbedienzia comune, cioè che freddamente
passano l’obbedienzia loro, con molta fadiga e con molta pena. Però che al
cuore freddo pare fadigoso a portare: portano fadiga assai, con poco fructo;
offendono la loro perfeczione, nella quale essi sonno intrati e sonno tenuti
d'observarla; e, poniamo che faccino meno male che gli altri de' quali Io t'ho
contato, pure male fanno: ché essi non si partirono dal secolo per stare con la
chiave generale de l'obedienzia, ma per diserrare il cielo con la chiavicella
de l'obbedienzia de l'ordine, la quale chiavicella debba essere col funicello
della viltà, avilendo se medesimo, e col cingolo de l'umilità, come decto è,
tenerla strecta nella mano de l'affocato amore.
Sappi, carissima
figliuola, che essi sono bene acti a giognere alla grande perfeczione, se essi
vogliono, perché vi sonno piú presso che gli altri miseri. Ma in un altro modo
sonno piú malagevoli questi, nel grado loro, a levarli dalla loro
inperfeczione, che lo iniquo, nel suo grado, della sua miseria. E sai tu
perché? Perché questo si vede manifestamente che egli fa male, e la conscienzia
glil manifesta; unde per l'amore proprio di sé, che l'ha indebilito, non si
sforza ad escire di quella colpa che egli vede, con uno lume naturale, che egli
fa male quel che fa. Unde chi el dimandasse: — E non fai tu male di fare
questo? — Direbbe: — Sí, ma è tanta la mia fragilità, che non pare ch'io ne
possa escire. — Benché egli non dice il vero, ché con l’aiutorio mio ne può
escire, se vuole; nondimeno pur cognosce che fa male: col quale cognoscimento
gli è agevole a potern'escire, se vuole.
Ma questi tiepidi,
che né un grande male fanno né uno grande bene, non cognoscono la freddezza
dello stato loro, né in quanto dubbio stanno. Non cognoscendola, non si curano
di levarsene né curano che lo' sia mostrato; essendo lo' mostrato, per la freddezza
del cuore loro, si rimangono legati nella loro longa consuetudine e usanza.
392
Che modo ci sarà in
costoro di farli levare? Che tolgano le legna del cognoscimento di sé, con odio
del proprio piacimento e reputazione, e mettanle nel fuoco della divina mia
carità; sposando di nuovo, come se allora allora intrassero ne l'ordine, la
sposa della vera obbedienzia con l'anello della san. ctissima fede, e non
dormano piú in questo stato, ch'egli è molto spiacevole a me e danno a loro.
Drictamente si potrebbe dire a loro quella parola: « Maladecti tiepidi! che
almen fuste voi pur ghiacci. Se voi non vi correggete, sarete vomicati dalla
bocca mia », per quello modo che decto t'ho. Ché, non levandosi, sonno acti a
cadere; e, cadendo, sarebbono reprovati da me. Innanzi vorrei che fuste
ghiacci: cioè che inanzi vi fuste stati nel secolo con l’obbedienzia generale,
la quale, a rispecto del fuoco de' veri obbedienti, si mostra quasi uno
ghiaccio; e però dixi : « almeno fuste voi pure ghiacci ». Hotti dichiarata questa
parola, acciò che in te non cadesse errore di credere ch' Io ci volesse piú
tosto nel ghiaccio del peccato mortale che nella tiepidezza della
inperfeczione. No, ché io non posso volere colpa di peccato, ché in me non è
questo veneno: anco mi dispiacque tanto ne l'uomo, che Io non volsi che
passasse senza punizione, ché, non essendo l'uomo sufficiente a portare la pena
che gli seguitava doppo la colpa, mandai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo.
Egli con l'obbedienzia la fabricò sopra ci Corpo suo.
Levinsi dunque con
exercizio, con vigilia, con umile e continua orazione; specchinsi ne l'ordine
loro e ne' padroni di questa navicella, che sonno stati uomini come eglino,
nutricati d'un medesimo cibo, nati in uno medesimo modo. E quello Dio so' ora,
che allocta. La potenzia mia non è infermata, la mia volontà non è diminuita in
volere la salute vostra, né la sapienzia mia in darvi lume, acciò che
cognosciate la mia veritá. Adunque possono, se egli vogliono, pure che se
l'arrechino dinanzi a l'occhio de l'intelletto, privandosi della nuvila de
l'amore proprio, e col lume corrano co' perfetti obbedienti. Con questo ci
giogneranno; in altro modo, no: si che il remedio ci è.
Alto del documento
393
— Questo è quello
vero remedio che tiene il vero obbediente; e ogni di di nuovo il tiene,
augmentando la virtú de l'obbedienzia col lume della fede, desiderando scherni
e villanie e che gli sieno imposti e' grandi pesi dal prelato suo, perché la
virtú de l'obbedienzia e la pazienzia sua sorella non irrugginiscano, acciò
che, nei tempo che le bisognano adoperare, elle non venissero meno o desserli
molta malagevolezza; e però continuamente suona lo stormento del desiderio e
non lassa passare il tempo, perché n'ha fame. È una sposa sollicita, che non
vuole stare oziosa. Oh obbedienzia dilectevole, oh obbedienzia piacevole,
obbedienzia soave; obbedienzia illuminativa, perché hai levata la tenebre del
proprio amore; obbedienzia che vivifichi, dando, ne l'anima, la vita de la
grazia, che te ha eletta per sposa, toltole la morte della volontà propria, che
dá guerra e morte ne l'anima! Tu se' larga, ché d'ogni creatura che ha in sé
ragione ti fai subdita. Tu se' benigna e pietosa: con benignità e mansuetudine
porti ogni grande peso, perché se' acompagnata con la fortezza e vera
pazienzia. Tu se' coronata della corona della perseveranzia; tu non vieni meno
per la inportunità del prelato né per grandi pesi che egli ti ponesse senza
discrezione, ma col lume della fede ogni cosa porti. Tu se' si legata con la
umilità, che neuna creatura la può trare della mano del sancto desiderio de
l'anima che ti possiede.
E che diremo,
dilectissima e carissima figliuola, di questa excellentissima virtú? Diremo che
ella è uno bene senza veruno male; sta nella nave, nascosta, che neuno vento
contrario le può nuocere; fa navicare l'anima sopra le braccia de l'ordine e
del prelato, e non sopra le sue, perché il vero obbediente non ha a rendare
ragione di sé a me, ma il prelato di cui egli è stato subdito.
Inamòrati, dilectissima figliuola, di questa
gloriosa virtú. Vuogli tu essere grata de' benefizi ricevuti da me, Padre
etterno? (394) Sia obbediente, però che l'obbedienzia ti mostra se tu se'
grata, perché procede dalla carità. Ella ti mostra se tu non se' ignorante,
perché procede dal cognoscimento della mia veritá. Und, ella è uno bene
cognosciuto nel Verbo, el quale v'insegnò l; via de l'obbedienzia come vostra
regola, facendosi obbedient( infino all'obrobriosa morte della croce, nella cui
obbedienzi, (che fu la chiave che diserrò il cielo) è fondata l’obbedienzia,
data a voi, generale e questa particulare, si come nel principio del tractato
di questa obbedienzia lo ti narrai.
Questa obbedienzia
da uno lume ne l'anima: mostra che ella è fedele a me ed è fedele a l'ordiné e
al prelato suo. Nel quale lume della sanctissima fede ha dimenticato sé, non
cercando sé per sé, perché ne l'obbedienzia, acquistata col lume della fede, ha
mostrato che nella volontà sua egli è morto a ogni proprio sentimento. Il quale
sentimento sensitivo cerca le cose altrui e non le sue, come fa il
disobbediente, che vuole investigare la volontà di chi li comanda e giudicarla
secondo il suo basso parere e vedere tenebroso, ma non la sua perversa volontà
che gli dá morte. Il vero obbediente, col lume della fede, ha giudicata la
volontà del suo prelato in bene, e però non cerca la volontà sua, ma china il
capo, e con l'odore della vera e sancta obbedienzia notrica l'anima sua. E
tanto cresce ne l'anima questa virtú, quanto si dilata nel lume della
sanctissima fede: ché con quello lume della fede col quale l'anima cognosce sé
e me, con quello m'ama e s'aumilia. E quanto piú ama ed è umiliata, tanto piú è
obbediente; e l’obbedienzia con la pazienzia sua sorella dimostrano se l'anima
in veritá è vestita del vestimento nupziale della carità, col quale vestimento
intrate in vita etterna.
Unde l’obbedienzia diserra il cielo e rimane
di fuore; e la carità, che diede questa chiave, entra dentro col frutto de
l’obbedienzia. Ogni virtú, si com' lo ti dixi, rimane di fuore, e
questa entra dentro; ma all'obbedienzia l'è
apropriato che ella è chiave che v'opre, perché con la disobbedienzia del primo
uomo fu serrato il cielo, e con l'obbedienzia dell'umile é fedele e inmaculato
Agnello, unigenito mio Figliuolo, fu diserrata vita etterna, che tanto tempo
era stata serrata.
Alto del documento
395
— Si come decto
t'ho, egli ve la lassòe per regola e per doctrina, dandovela come chiave con
che poteste aprire per giognere al fine vostro. Egli ve la lassò per
comandamento nella generale obbedienzia. Egli ve ne consiglia, consigliandovi
se voi volete andare alla grande perfeczione e passare per lo sportello
strecto, come decto è, de l'ordine. E anco di quegli che non hanno ordine e
nondimeno sonno nella navicella della perfeczione (ciò sonno quelli che
observano la perfeczione de' consigli fuore de l'ordine) hanno rifiutato le
ricchezze e le pompe del mondo actuali e mentali e observano la continenzia:
chi sta in stato virginale e chi ne l'odore della continenzia, essendo privati
della virginità. Essi observano l'obbedienzia sottomettendosi, si come in un
altro luogo lo ti dixi, ad alcuna creatura, alla quale s'ingegnano, con
perfetta obbedienzia, obbedirle infino alla morte. E se tu risi dimandassi
quale è di maggiore merito, o quegli che sta ne l'ordine o questi, Io ti
rispondo che ‘l merito de l’obbedienzia non è misurato ne l'atto né nel
luogo né in cui, piú in buono che in gattivo, piú in secolare che in religioso;
ma, secondo la misura de l'amore che ha l'obbediente, con questa misura gli è
misurato. Ché al vero obbediente la inperfeczione del prelato gattivo non gli
nuoce: anco alcuna volta gli giuova, perché con la persecuzione e con pesi
indiscreti della grave obbedienzia acquista la virtú de l’obbedienzia e la
pazienzia sua sorella. Né il luogo inperfecto non gli nuoce. Inperfecto, dico,
ché piú perfetta e piú ferma e stabile cosa è la religione che veruno altro
stato: e però ti pongo inperfecto il luogo di questi che hanno la chiave
piccola de l'obbedienzia, observando i consigli fuore de l'ordine; ma non ti
pongo inperfecta né di meno merito la loro obbedienzia, perché ogni
obbedienzia, come detto è, e ogni altra virtú è misurata con la virtú de
l'amore.
396
È ben vero che in
molte altre cose, si per lo voto che egli fa nelle mani del prelato suo e si
perché sostiene piú, piú e meglio gli è provata la obbedienzia ne l'ordine che
fuore de l'ordine; però che ogni atto corporale gli è legato a questo giogo e
non si può sciogliere, quando.egli vuole, senza colpa di peccato mortale,
perché è approvato dalla sancta Chiesa e facto voto. Ma questi non è cosí: egli
s' è legato volontariamente, per amore che egli ha all'obbedienzia, ma non con
voto solelnpne; unde, senza colpa di peccato mortale, si potrebbe partire
dall'obbedienzia di quella creatura, avendo legiptime cagioni che per lo suo
difetto egli non si partisse. Ma, se si partisse per suo difetto, non sarebbe
senza gravissima colpa: non però obligato a peccato mortale, propriamente, per
quello partire: Sai tu quanto ha da l'uno a l'altro? Quanto da colui che tolle
l' altrui, a quello che ha prestato e poi ritolle quello che per amore aveva
donato, con intenzione però di non richiederlo, ma carta non ne fa
affermativamente. Ma quelli ha donato e trattane la carta nella professione,
unde nelle mani del prelato renunzia a se Inedesimo e promecte d'observare
obbedienzia e continenzia e povertà volontaria. E il prelato promecte a lui, se
egli observa irIfino alla morte, di darli vita etterna.
Si che in
observanzia, in luogo e in modo, quella è piú perfecta, e questa è meno
perfetta: quella è piú sicura, e, cadendo, è piú atto a rilevarsi perché ha piú
aiuto; e questa è piú dubbiosa e meno sicura, e piú atto, s'egli viene caduto,
a voltare il capo a dietro, perché non si sente legato per voto facto in
professione, come sta il relegioso prima che sia professo, che infino alla
professione si può partire, ma poi no. Ma il merito, t'ho detto e dico, che
egli è dato secondo la misura de l'amore dei vero obbediente, acciò che
ogniuno, in qualunque stato egli si sia, possa perfettamente avere il merito,
avendolo posto solo ne l'amore.
Cui chiamo in uno stato e cui in uno altro,
secondo che ciascuno è atto a ricevare; ma ogniuno s'empie con questa misura
detta de l'amore. Se il secolare ama piú che il religioso, piú riceve; e cosí
il religioso piú che ‘l secolare, e cosí tutti gli altri.
Alto del documento
397
— Tutti v'ho messi
nella vigna de l’obbedienzia a lavorare in diversi modi. A ogniuno gli sara
dato il prezzo secondo la misura de l'amore e non secondo l'operazione né
misura del tempo; cioè che piú abbi colui che viene per tempo, che quello che viene
tardi, si come si contiene nel sancto Evangelio. Ponendovi la mia Verita
l'exemplo di quelli che stavano oziosi e furono messi dal Signore a lavorare
nella vigna sua: e tanto die' a quelli che andarono all'aurora quanto a quelli
della prima, e tanto a quelli della terza e a quegli che andàro a sexta, a nona
e a vesparo quanto a' primi; mostrandovi la mia Verità che voi sète remunerati
non secondo il tempo né opera, ma secondo la misura de l'amore. Molti sonno
messi nella puerizia loro a lavorare in questa vigna: chi v'entra piú tardi, e
chi nella sua vecchiezza. Questi anderà alcuna volta con tanto fuoco d'amore,
perché si vedra la brevità del tempo, che ringiugne quegli che intrarono nella
loro puerizia, perché sonno andati co' passi lenti. Adunque ne l'amore de l'
obbedienzia riceve l'anima il merito suo: ine empie il suo vasello in me, mare
pacifico.
Molti sonno che
tanto hanno pronpta questa obbedienzia e tanto l'hanno incarnata dentro ne
l'anima loro, che, non tanto che si pongano a volere vedere il perché è loro
comandato da colui che lo' comanda, ma a pena che essi aspettino tanto che la
parola gli esca della bocca, col lume della fede intendono la intenzione del
prelato loro. Unde il vero obbediente obbedisce piú a la intenzione che a la
parola, giudicando che la volontà del prelato sia nella volontà mia, e per mia
dispensazione e (398) volontà comandi a lui; e però ti dixi che obbediva piú
alla in. tenzione che alla parola. Però obbedisce egli alla parola, perché
prima obbediva con l’affecto alla volontà sua, vedendo col lume della fede e
giudicando la volontà sua in me.
Bene il mostrò
quello di cui si legge in Vita Patrum, che prima obbediva con l’affecto; ché,
essendoli comandato dal prelato suo una obbedienzia, avendo cominciato uno « O
», che è cosí piccola cosa, non die' tanto spazio a se medesimo che egli el vo.
lesse compire, ma subbito fu pronpto a l’obbedienzia. Unde, per mostrare quanto
m'era piacevole, vi feci il segno, e compi l'altra metà, scripto d'oro, la
clemenzia mia.
Questa gloriosa
virtú è tanto piacevole a me che in neuna virtú è in che tanti segni e
testimoni di miracoli siano dati da me quanti a lei, perché ella procede dal
lume della fede.
Per dimostrare quanto ella m'è piacevole, la
terra è obbediente a questa virtú, gli animali le sonno obbedienti, l'acqua
sostiene l'obbediente. E se tu ti vòlli alla terra, a l'obbediente obbedisce,
sí come vedesti, se bene ti ricorda d'avere lecto di quello discepolo, che,
essendoli dato uno legno secco dal suo abbate, ponendoli per obbedienzia che ‘l
dovesse piantare nella terra e inaffiarlo ogni dí, egli, obbediente, col
lume della fede, non si pose a dire: — Come sarebbe possibile? — ma, senza
volere sapere la possibilità, compiè l’obbedienzia sua, intantoché, in virtú de
l’obbedienzia e della fede, il legno secco rinverdí e fece fructo, in segno che
quella anima era levata dalla secchezza della disobbedienzia, e, rinverdita,
germinava il fructo de l’obbedienzia. Unde il pomo di quello legno era chiamato
per li sancti padri «el fructo de l'obbedienzia ».
E se tu raguardi
negli animali, medesimamente. Unde quello discepolo, mandato da l’obbedienzia,
per la purità e obbedienzia sua prese uno dragone e menollo a l’abbate suo. Ma
l’abbate, come vero medico, perché egli non venisse ad vento di vanagloria e
per provarlo nella pazienzia, il cacciò da sé con rimproverio, dicendo: — Tu,
bestia, hai menata legata la bestia. —
E se tu raguardi il
fuoco, medesimamente. Unde tu hai nella sancta Scriptura che molti, per non
trapassare l’obbedienzia mia (399) o per obbedire a me promptamente, essendo
messi nel fuoco, e1 fuoco non lo' noceva, si come quelli tre fanciulli che
stavano nella fornace, e di molti altri e' quali si potrebbe contiare.
L'acqua sostenne
Mauro, essendo mandato da l’obbedienzia a campare quello discepolo che se
n'andava giú per l'acqua. Egli non pensò di sé; ma pensò, col lume della fede,
di compire l’obbedienzia del prelato suo. Vassene su per l'acqua come andasse
su per la terra, e campa il discepolo.
In tucte quante le
cose, se tu apri l'occhio de l' intellecto, trovarrai che t'è mostrata
l'excellenzia di questa virtú. Ogni altra cosa si debba lassare per
l’obbedienzia. Se fussi levata in tanta contemplazione e unione di mente in me,
che ‘l corpo tuo fusse sospeso dalla terra, essendoti inposta
l’obbedienzia (parlandoti generalmente e non cosa particulare, che non pone
legge), potendo, tu ti debbi sforzare di levarti per compire l'obbedienzia
imposta. Pensa che da l'orazione tu non ti debbi levare, quando egli è l'ora,
se non per necessità o per caritá e obbedienzia. Questo ti dico, perché tu
vegga quanto lo voglio che la sia prompta ne' servi miei e quanto ella m'è
piacevole.
Ciò che fa,
l'obbediente si merita: se egli mangia, mangia l’obbedienzia; se dorme,
l'obbedienzia; se va, se sta, se digiuna e se veghia, tucto fa l’obbedienzia;
se egli serve il proximo, l'obbedienzia; se egli è in coro o in refectorio o
sta in cella, chi vel guida o fa stare? L'obbedienzia, col lume della
sanctissima fede, col quale lume si gittò, morto a ogni sua propria volontà,
umiliato e con odio, nelle braccia de l'ordine e del prelato suo. Con questa
obbedienzia, riposandosi nella nave, lassatosi guidare al prelato suo, ha
navigato nel mare tempestoso di questa vita con grande bonaccia, con mente
serena e tranquilità di cuore, perché l’obbedienzia, con la fede, ne trasse
ogni tenebre. Egli sta forte e sicuro, perché s'ha tolta la debilezza e timore
tollendosi la propria volontà, dalla quale viene ogni debilezza e disordenato
timore.
E che mangia e beie
questa sposa de l'obbedienzia? Mangia cognoscimento di sé e di me, cognoscendo
sé non essere, e il difecto suo, e me che so' Colui che so', in cui gusta e
mangia (400) la mia veritá, cognosciutala nella mia Verità, Verbo incarnato, E
che beffe? Sangue: nel quale Sangue el Verbo gli ha Irto, strata la veritá mia
e l'amore ineffabile che lo gli ho. In esso Sangue mostrala obbedienzia sua
posta a lui, per voi, da me, suo Padre etterno, e però si innebria; e poi che è
ebbra del Sangue e de l’obbedienzia del Verbo, perde sé e ogni suo parere e
sapere, e possiede me per grazia, gustandomi per affecto d'aurore col lume
della fede nella sancta obbedienzia.
Tucta la vita sua
grida pace; e nella morte riceve quello che nella professione gli fu promesso
dal prelato suo, cioè vita etterna, visione di pace e di somma ed etterna
tranquilità e
riposo: uno bene inextimabile, che neuno è che
‘l possa stimare né comprendere quanto egli è. Perché egli è infinito, da
cosa minore non può essere compreso questo bene infinito, se non come il
vasello che è messo nel mare, che non comprende tucto il mare, ma quella
quantità che egli ha in se medesimo. El mare è quello che si comprende; e cosí
lo, mare pacifico, so' solo Colui che mi comprendo e mi stimo, e del mio
stimare e comprendare godo in me medesimo. Il quale godere e bene, che lo ho in
me, participo a voi, a ogniuno secondo la misura sua. Io l'empio e non la tengo
vòta. Dandole perfecta beatitudine, comprende e cbgnosce dalla mia bontá tanto
quanto ne l'è dato a cognoscere da me.
L'obbediente,
dunque, col lume della fede nella veritá, arso nella fornace della carità, unto
d'umilità, inebriato di Sangue, con la sorella della pazienzia, e con la viltà
avilendo se me
desimo, con fortezza e longa perseveranzia e
con tucte l’altre virtú, cioè col fructo delle virtú, ha ricevuto il fine suo
da me, suo Creatore.
Alto del documento
401
— Ora t'ho,
dilectissima e carissima figliuola, satisfacto al desiderio tuo dal principio
infino a l'ultimo de l’obbedienzia. Se bene ti ricorda, dal principio mi
dimandasti con ansietato desiderio (si come lo ti feci dimandare per farti
crescere il fuoco della mia caritá ne l'anima tua), tu mi dimandasti quatro
petizioni. L'una per te, a la quale Io ho satisfacto, alluminandoti della mia
veritá, mostrandoti in che modo tu cognosca questa veritá, la quale desideravi
di cognoscere; cioè che col cognoscimento di te e di me, col lume della fede,
ti spianai in che modo tu venivi a cognoscimento della veritá.
La seconda, che tu
dimandasti, fu che Io facessi misericordia al mondo.
La terza, per lo
corpo mistico della sancta Chiesa; pregandomi che lo tollesse la tenebre e la
persecuzione, volendo tu che lo punisse le iniquità loro sopra di te. In questo
ti dichiarai che neuna pena, che sia data in tempo finito, può satisfare alla
colpa commessa contro a me, bene infinito, puramente pur pena. Satisfa, se la
pena è unita col desiderio dell'anima e contrizione del cuore: il modo
dichiarato te l'ho. Anco t'ho risposto ch'Io voglio fare misericordia al mondo,
mostrandoti che la misericordia m'è propria. Unde, per misericordia e amore
inextimabile ch' Io ebbi all'uomo, mandai el Verbo de l'unigenito mio
Figliuolo, el quale, per mostrartelo ben chiaramente, tel posi in similitudine
d'uno ponte che tiene dal cielo — a la terra, per l'unione della natura mia
divina nella natura vostra umana.
Anco ti mostrai, per illuminarti piú della mia
veritá, come il ponte si saliva con tre scaloni, cioè con le tre potenzie de
l'anima. E di questo Verbo, ponte, mostrato a te, anco questi tre scaloni
figurai nel corpo suo, si come tu sai, per li piei, per lo costato e per la
bocca; ne' quali posi tre stati de l'anima: lo (402) stato inperfecto, e lo
stato perfecto, e lo stato perfectissimo, dove l'anima giogne alla excellenzia
de Punitivo amore. In ogniuno t'ho mostrato chiaramente quella cosa che le
tolle la inperfeczione e falla giognere alla perfeczione, e per che via si va;
e degli occulti inganni del dimonio, e del proprio amore spirituale; e
parlatoti, in questi stati, di tre reprensioni che fa la mia clemenzia: l'una
ti posi fatta nella vita, l'altra nella morte in quelli che senza speranza
muoiono in peccato mortale (de' quali Io ti posi che andavano sotto al ponte
per la via del dimonio, contandoti delle miserie loro), e la terza de l'ultimo
giudicio generale. E parla'ti alcuna cosa della pena de' danpnati, e della
gloria de' beati, quando avara riavuto ogniuno la dota del corpo suo.
Anco ti promissi e
prometto che col molto sostenere de' servi miei riformarò la sposa mia.
Invitandovi a sostenere, lamentandomiteco delle iniquità loro, e mostrandoti
l'excellenzia de' ministri nella quale Io gli ho posti, e la reverenzia ch' Io
richieggo che i secolari abbino a loro, mostrandoti la cagione perché, per loro
difetto, non debba diminuire la reverenzia in loro; e quanto m'è spiacevole il
contrario. E della virtú di quelli che vivevano come angeli, toccandoti,
insieme con questo, de l’excellenzia del sacramento.
Anco sopra i detti
stati; volendo tu sapere degli stati delle lagrime e unde elle procedono, tel
narrai, e acorda'teli con questi. E detto t'ho che tutte le lagrime escono
della fontana del cuore, e ordinatamente t'ho assegnato perché. Di quatro stati
di lagrime, e della quinta che germina morte, anco ti contai.
Hotti risposto alla
quarta petizione di quello che mi pregasti: ch' Io provedesse al caso
particulare advenuto. Io providdi, si come tu sai. Sopra questo t'ho dichiarata
la providenzia mia in generale e in particulare, facendomi dal principio della
creazione del mondo infino a l'ultimo, come ogni cosa ho fatta e fo con divina
providenzia, dando e permettendo ciò ch' Io do, e tribulazioni e consolazioni
temporali e spirituali. E ogni cosa è data per vostro bene, perché siate
sanctificati in me e la veritá mia si compia in voi. Perché la mia veritá fu
questa: che Io (403) vi creai perché aveste vita etterna, la quale veritá v'è
fatta manifesta col sangue del Verbo, unigenito mio Figliuolo.
Anco t'ho, ne
l'ultimo, satisfacto al desiderio tuo e a quello ch' Io ti promissi di narrare
della perfeczione de l’obbedienzia e della inperfeczione della disobbedienzia,
e unde ella viene, e che ve la tolle. Hottela posta per una chiave generale, e
cosí è. E detto t'ho della particulare, e de' perfetti e degl'imperfetti, di
quegli de l'ordine e di quelli fuore de l'ordine, d'ogniuno distintamente;
della pace che dá l'obbedienzia e della guerra che dá la disobbedienzia, e
quanto s'inganna il disobbediente, ponendoti che la morte venne nel mondo per
la disobbedienzia di Adàm.
Ora Io, Padre
etterno, somma ed etterna veritá, ti conchiudo che ne l’obbedienzia del Verbo,
unigenito mio Figliuolo, avete la vita. E come tutti dal primo uomo vecchio
contraeste la morte, cosí tutti, chi vuole portare la chiave de l’obbedienzia,
avete contratta la vita da l'uomo nuovo, Cristo dolce Iesú, di cui Io v'ho
fatto ponte, perché era rotta la strada del cielo.
Ora lo t'invito ad pianto te e gli altri servi
miei; e, col pianto, con l'umile e continua orazione, voglio fare misericordia
al mondo. Corre per questa strada della veritá, morta, acciò che non sia poi
ripresa andando tu lentamente; ché piú ti sarà richiesto da me ora, che prima,
perché ho manifestato me medesimo a te nella veritá mia. Guarda che tu non esca
mai della cella del cognoscimento di te; ma in questa cella conserva e spende
il tesoro che Io t'ho dato. Il quale è una dottrina di veritá, fondata in su la
viva pietra, Cristo dolce Iesú, vestita di luce che discerne la tenebre. Di
questa ti veste, dilettissima e dolcissima figliuola, in veritá.
404
Alto del documento
Alora quella anima,
avendo veduto con l'occhio de l’intellecto, e col lume della sanctissima fede
cognosciuta la veritá e la excellenzia de l’obbedienzia, uditala con sentimento
e gustatala per affetto, con spasimato desiderio, speculandosi nella divina
maestà, rendeva grazie a lui, dicendo:
— Grazia, grazia
sia a te, Padre etterno, che tu non hai spregiata me, factura tua, né voltata
la faccia tua da me, né spregiati e' miei desidèri. Tu, luce, non hai
raguardato alla mia tenebre; tu, vita, non hai raguardato a me, che so' morte;
né tu, medico, alle gravi mie infermità; tu, purità etterna, a me, che so'
piena di loto di molte miserie; tu, che se' infinito, a me, che so' finita; tu,
sapienzia, a me, che so' stoltizia.
Per tutti quanti
questi ed altri infiniti mali e difetti che sonno in me, la tua sapienzia, la
tua bontá, la tua clemenzia e il tuo infinito bene non m'ha spregiata. Ho
cognosciuta la veritá nella tua clemenzia, ho trovato la caritá tua e
dileczione del proximo. Chi t'ha costretto? Non le mie virtú, ma solo la caritá
tua. Quello medesimo amore ti costringa ad illuminare l'occhio de l’ intelletto
mio nel lume della fede, a ciò che io cognosca e intenda la veritá tua,
manifestata a me. Dammi che la memoria sia capace a ritenere i benefizi tuoi,
la volontà arda nel fuoco della tua carità; ci quale fuoco facci germinare e
gittare al corpo mio sangue, e con esso sangue, dato per amore del Sangue, e
con la chiave de l'obbedienzia io diserri la porta del cielo. Questo medesimo
t'adimando cordialmente per ogni creatura che ha in sé ragione, e in comune e
in particulare e per lo corpo mistico della sancta Chiesa. Io confesso, e non
lo niego, che tu m'amasti prima che io fusse, e che tu m'ami ineffabilemente
come pazzo della tua creatura.
405
O Trinitá etterna!
O Deitá, la quale Deitá, natura tua divina, fece valere el prezzo del sangue
del tuo Figliuolo ! Tu, Trinitá etterna, se' uno mare profondo, che quanto piú
c'entro tanto piú truovo, e quanto piú truovo piú cerco di te. Tu se'
insaziabile, ché, saziandosi l'anima ne l'abisso tuo, non si sazia, perché
sempre rimane nella fame di te, Trinitá etterna, desiderando di vederti col
lume nel tuo lume. Si come desidera il cervio la fonte de l'acqua viva, cosí
desidera l'anima mia d'escire della carcere del corpo tenebroso e vedere te in
veritá. Oh quanto tempo sarà nascosta la faccia tua agli occhi miei! O Trinitá
etterna, fuoco e abisso di carità, dissolve oggimai la nuvila del corpo mio! Il
cognoscimento, che tu hai dato di te a me nella veritá tua, mi costringe a
desiderare di lassare la gravezza del corpo mio e dare la vita per gloria e loda
del nome tuo. Però che io ho gustato e veduto, col lume dello intelletto nel
lume tuo, l'abisso tuo, Trinitá etterna, e la bellezza della creatura tua.
Unde, raguardando me in te, vidi me essere imagine tua, donandomi la potenzia
di te, Padre etterno, e della sapienzia tua ne l'intelletto, la quale sapienzia
è apropriata a l'unigenito tuo Figliuolo. Lo Spirito sancto, che procede da te
e dal Figliuolo tuo, m'ha data la volontà, ché so' acta ad amare. Tu, Trinitá
etterna, se' fattore; e io, tua factura, ho cognosciuto, nella recreazione che
mi facesti nel sangue del tuo Figliuolo, che tu se' innamorato della bellezza
della tua factura.
O abisso, o Deitá
etterna, o mare profondo! E che piú potevi dare a me che dare te medesimo? Tu
se' fuoco che sempre ardi e non consumi; tu se' fuoco che consumi nel calore
tuo ogni amore proprio de l'anima; tu se' fuoco che tolli ogni freddezza; tu
allumini; col lume tuo m'hai fatta cognoscere la tua veritá; tu se' quello lume
sopra ogni lume, coi quale lume dài a l'occhio de l'intelletto lume
sopranaturale, in tanta abondanzia e perfeczione che tu chiarifichi el lume
della fede, nella quale fede veggo che l'anima mia ha vita, e in questo lume
riceve te, lume. Nel lume della fede acquisto la sapienzia nella sapienzia del Verbo
del tuo Figliuolo; nel lume della fede so' forte, costante e perseverante; nel
lume della fede spero: (406) non mi lassa venire meno nel camino. Questo lume
m'insegna la via, e senza questo lume andarei in tenebre; e però ti dixi Padre
etterno, che tu m'alluminassi del lume della sanctissima fede.
Veramente questo
lume è uno mare, perché notrica l'anima in te, mare pacifico, Trinitá etterna.
L'acqua non è turbida, e però non ha timore, perché cognosce la veritá; ella è
stillata, ché manifesta le cose occulte; unde, dove abbonda l’abondantissimo
lume della fede tua quasi certifica l'anima di quello che crede. Ella è uno
specchio, secondo che tu, Trinitá etterna, mi fai cognoscere; ché, raguardando
in questo specchio, tenendolo con la mano de l'amore, mi rapresenta me in te,
che so' creatura tua, e te in me, per l'unione che facesti della Deitá ne
l'umanità nostra. In questo lume cognosco e rapresentami te, sommo e infinito
Bene: Bene sopra ogni bene, Bene felice, Bene incomprensibile e Bene
inextimabile. Bellezza sopra ogni bellezza; sapienzia sopra ogni sapienzia,
anco tu se' essa sapienzia. Tu, cibo degli angeli, con fuoco d'amore ti se'
dato agli uomini. Tu, vestimento che ricuopri ogni nudità, pasci gli affamati
nella dolcezza tua. Dolce se' senza alcuno amaro. O Trinitá etterna, nel lume
tuo il quale desti a me, ricevendolo col lume della sanctissima fede, ho
cognosciuto, per molte e admirabili dichiarazioni spianandomi, la via della
grande perfeczione, acciò che con lume e non con tenebre io serva te, sia
specchio di buona e sancta vita, e levimi dalla miserabile vita mia; ché
sempre, per lo mio difetto, t'ho servito in tenebre. Non ho cognosciuta la tua
veritá, e però non l'ho amata.
Perché non ti
conobbi? Perché io non ti viddi col glorioso lume della sanctissima fede, però
che la nuvila de l'amore proprio obfuscò l'occhio de l'intelletto mio. E tu,
Trinitá etterna, col lume tuo dissolvesti la tenebre. E chi potrà agiognere a
l'altezza tua a rendarti grazie di tanto smisurato dono e larghi benefizi quanto
tu hai dati a me, della dottrina della veritá che tu m'hai data? che è una
grazia particulare, oltre alla generale, che tu dài a l'altre creature. Volesti
conscendere alla mia necessità e de l'altre creature, che dentro ci si (407)
specchiaranno. Tu risponde, Signore: tu medesimo hai dato, e tu medesimo
risponde e satisfa, infondendo uno lume di grazia in me a ciò che con esso lume
io ti renda grazie. Veste, veste me di te, Verità etterna, si che io corra
questa vita mortale con vera obbedienzia e col lume della sanctissima fede, del
quale lume pare che di nuovo inebbri l'anima mia.
Deo
gratias. Amen.
QUI FINISCE EL
LIBRO FACTO E COMPILATO PER LA VENERANDISSIMA VERGINE, FIDELISSIMA SERVA E
SPOSA DI IESU CRISTO CROCIFIXO, CATERINA DA SIENA, DE L’ABITO DI SANCTO
DOMENICO, SOCTO GLI ANNI DOMINI MCCCLXXVIII DEL MESE D’OCTOBRE. AMEN.
PREGA
DIO PER LO TUO INUTILE FRATELLO.
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